Sugar Magnolia
di
mudcrawler
genere
etero
Avevo intuito che non sarebbe stata una giornata come le altre. Eravamo il perfetto esempio di due opposti che si attraggono, lei si chiamava Joni, vestita di ogni colore dei fiori, sempre sorridente e con una vitalità travolgente; io vestito completamente di nero, il lato oscuro dell’hippie, da pace e amore globali ad uno tsunami di misantropia, eppure ci siamo tanto divertiti, come fossimo ancora dei ragazzini.
Passo a prenderla dopo pranzo, sale in macchina e il suo profumo delicato invade l’abitacolo, i Grateful Dead sono la colonna sonora per questo giorno di sole e lei è la mia Sugar Magnolia. “Andiamo al parco” è ciò che mi dice dopo un primo bacio; io già penso “la gente, le zanzare, il caldo” ma non mi tiro indietro, non sono capace di dire di no a quel sorriso.
Arriviamo al parco e non c’è poi così tanta gente, è molto grande per cui i presenti sono dispersi in giro; iniziamo a passeggiare e penso di vagare a caso ma in poco tempo mi rendo conto che Joni sta andando verso un punto preciso nell’angolo opposto del parco, lontano dall’ingresso. Ci sediamo su una panchina ed iniziamo a parlare di quello che si è fatto dall’ultima volta che ci siamo visti, lavoro, amici, sogni. Proprio un suo sogno in particolare prende presto il sopravvento sul discorso: in meno di una notte ha girato il mondo ed ha sognato di farlo in mare, nel deserto, su un ghiacciaio e perfino nello spazio. Non ho alcun modo purtroppo per aiutarla a realizzare questo sogno, quando glielo dico ride (una risata che mi scalda dentro) e mi dice che non è quello che vuole; tuttavia il sogno è recente, molto recente, precisamente della notte prima, per cui Joni oggi ha l’ormone che svolazza libero e allegro e le dona uno sguardo che se non è malizioso è quantomeno ambiguo.
“Non serve andare nello spazio però potremmo impegnarci per provare più posti possibili in una giornata.”
E secondo voi io dico di no?
Ci alziamo e andiamo verso i tendoni del tennis, oggi vuoti; dietro di essi c’è uno spiazzo dove normalmente non va nessuno, a volte i bambini che giocano a nascondino ma oggi quella zona del parco è decisamente deserta e di bambini non se ne sono visti. Appena arriviamo Joni mi spinge contro il tendone e mi bacia come se non ci fosse un domani, una foga che stupisce anche me; nel frattempo armeggia per slacciarmi la cintura, mi apre i pantaloni e fruga con convinzione nelle mie mutande, come a controllare che ci fosse ancora quello che ricordava. Per non essere da meno le alzo lentamente la gonna e vado con la mano a cercare gli slip le sfilo, lasciandoli cadere. Non ne sono del tutto sicuro ma penso che li abbia indossati di nuovo solo verso le cinque del mattino successivo.
Come due adolescenti ci baciamo e ci smanacciamo fino a quando lei non mi dice “Prendimi ma non venire, non ancora.”. La metto faccia al tendone, si appoggia con le mani, alzo la gonna da dietro e mi fermo un attimo ad ammirare il suo meraviglioso sedere, largo il giusto e del colore della Luna; quando mi appoggio la vedo sorridere, quando entro sento il suo respiro che si ferma un attimo. La conosco ormai, so le sue reazioni e mi stupisco neanche un minuto dopo a sentirla già esplodere. Mi fermo, si gira, mi sorride ancora e quasi a scusarsi dice “Ne avevo veramente bisogno.”; riprendo a muovermi lentamente e con una mano passo a solleticarle il bottoncino magico, lei riprende ad ansimare e pochi minuti dopo esplode di nuovo.
“Bene, possiamo cambiare posto adesso, aspetta che ti pulisco”, si china e con la bocca mi pulisce dai suoi umori, io faccio del mio meglio per trattenermi, quella situazione, avere lei così eccitata di fianco e la prospettiva di un’intera giornata così mi stanno tirando scemo.
Ci ricomponiamo e ci incamminiamo verso la macchina guardandoci in giro e riprendendo a parlare. Poco prima dell’uscita del parco Joni vede il baretto e propone una pausa ghiacciolo; è ancora presto e al bar non c’è praticamente nessuno tranne il barista e due signore a un tavolo. Ordiniamo i due ghiaccioli (lei menta e io tamarindo, sai mai che vi interessi saperlo) e facciamo per andarcene quando Joni chiede al barista se ci sia un bagno; il barista glielo indica e lei mi chiede se l’accompagno per tenere la porta ma, una volta dentro, capisco che non è per quello che mi vuole lì. Si siede in punta alla tazza chiusa, alza la gonna, si passa il ghiacciolo là dove di solito fa un gran caldo e mi invita ad assaggiare questa sua ricetta speciale, io mi inginocchio davanti a lei e assaggio volentieri. Non stiamo in bagno più di 5 minuti, lei ogni tanto ripassa il ghiacciolo poi si rimette a mangiarlo mentre io mi adopero più a sud, riuscendo ancora una volta a farla liquefare sulla mia faccia. Mi sciacquo rapidamente al lavandino ed usciamo; restituisco le chiavi al barista che non sospetta niente mentre invece le due signore al tavolo ci guardano di traverso, probabilmente due cielline zozze con voglia di giudicare e poco cervello per farlo. Poco male, se le abbiamo scandalizzate sono solo che felice. Intanto sento ancora il profumo di lei sulla barba.
Saliamo in macchina e chiedo a Joni dove voglia dirigersi adesso, “Stupiscimi” è la risposta. L’estate impazza, cerco con una mano nella borsa e tiro fuori ‘Live Rust’ di Neil Young, alzo il volume e ingrano la prima.
Neanche un quarto d’ora più tardi parcheggio in campagna dove parte una stradina sterrata che imbocchiamo a piedi. Il caldo si fa sentire mentre camminiamo nella campagna aperta verso un boschetto che in mezzo ai campi sembra un’oasi, il contrasto fra la terra piatta, giallastra e arsa e le cime verdeggianti degli alberi lontani fa la sua porca figura davanti agli occhi. Quando finalmente ci addentriamo fra gli alberi Joni si dimostra impaziente e fa per tirarmi nella boscaglia, lontano dal sentiero; le dico di aspettare e di seguirmi ancora qualche minuto. Arriviamo ad una piccola radura in mezzo al bosco dove c’è un piccolo laghetto di acqua sorgiva, limpida e freddissima, ci sediamo sull’erba e contempliamo l’esistenza in un raro momento di quiete. Joni si sfila i sandali e mette i piedi candidi nell’acqua fredda, penso che sia un’ottima idea e la imito; ci mettiamo a giocare coi piedi nell’acqua come bambini al mare, un minuto di innocenza che fa sorridere. Poi un bacio, un altro, le mani che ricominciano a cercare il corpo dell’altro e in un attimo sono di nuovo dentro di lei, dopo essere rotolati verso dei cespugli che mascherano un pochino la nostra attività furtiva e laida. Un giorno dovrò chiedere a qualche psichiatra perché metà delle volte in cui lo faccio io finisca in qualche modo a pensare ad una canzone di Prince, per ora non mi faccio troppi problemi mentre le melodie di “She’s always in my hair” mi ronzano in testa, psichedelia ed ossessione potrebbero essere i temi portanti della giornata. No, ‘ossessione’ è una parola troppo pesante.
Questa volta mi accorgo che Joni sublima quando vedo che con le dita cerca la terra nuda, afferra mazzetti di erba e li strappa per sfogare la tensione residua, poi apre gli occhi e mi guarda, tornata da un mondo parallelo dove mi piacerebbe molto poterla incontrare. Resto un attimo dentro di lei, solo adesso mi accorgo che abbiamo ancora i piedi in acqua e mi sono bagnato il fondo dei pantaloni. Come se me ne fregasse qualcosa.
Ci alziamo, perdiamo tempo, facciamo saltare i sassi sull’acqua, camminiamo ancora un po’ in silenzio ascoltando quello che il mondo ha da dire, è molto più interessante quando non ci sono persone che parlano.
A questo punto il sole sta iniziando a scendere e quando usciamo dal bosco il contrasto cromatico è impressionante, i campi sono diventati giallo oro, il cielo è di un blu così profondo che mette in soggezione, lo skyline della città lontana è illuminato come se fosse in fiamme. Per un attimo torna la distruzione, torna il fuoco che devasta ogni cosa, torna la voglia di vedere tutto in fiamme; poi mi giro e vedo lo sguardo di Joni perso nel volo di uno stormo di corvi, mi guarda ridendo e dice “Sembra un quadro di Van Gogh”. Ha ragione, ritrovo quel momento di pace e mi ci aggrappo con tutte le forze. La prendo, la bacio, la stringo, la porto lontano dal sentiero in mezzo all’erba alta, non mi interessa se qualcuno ci vede, lo facciamo lì in mezzo al campo con i corvi che ci guardano e le zanzare che ci mangiano vivi. In tutto questo io non sono ancora venuto una volta dall’inizio della giornata, ci ho girato attorno, mi sono trattenuto, mi sono fermato appena in tempo; ancora una volta mi stupisco del mio autocontrollo e mi fermo poco dopo aver sentito un sospiro più profondo provenire da Joni sotto di me.
Quando arriviamo in macchina siamo stanchi, sporchi e felici. Non è libertà, la libertà non esiste, ma cazzo quanto ci va vicino.
Mangiamo una pizza riprendendoci un po’, beviamo un paio di birre che ci risvegliano e poi è buio, sarebbe fin troppo facile andare a casa, nessuno dei due ne ha voglia.
Poi dal nulla mi nasce un’idea.
Lasciamo la macchina alla pizzeria e camminiamo per le vie del paese andando verso fuori. Arriviamo al recinto della piscina che non è ancora mezzanotte, ne usciremo verso le cinque di mattina. Come ragazzini del liceo scavalchiamo il muretto, arriviamo alla piscinetta scoperta, lasciamo tutti i vestiti in un angolo e ci immergiamo nudi nell’acqua fresca. È bello come la vita cambi forma quando sei in acqua, diventa una sfera leggerissima, puoi tenerla fra le mani e guardarla e giocarci, tanto niente può farti male.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno del sesso, è un momento già abbastanza intimo e lontano dalla realtà; beh, lo facciamo comunque. In piedi in acqua, sdraiati sul bordo, seduti nell’acqua bassa, tentiamo addirittura una fallimentare ma molto divertente soluzione subacquea. Mi chiede come faccia a trattenermi ancora, le rispondo che quella giornata di sesso è stata tutto tranne che sesso, mi guarda negli occhi e so che ha capito. Alla fine però ci tiene più di me e mi fa esplodere sull’erba oltre il bordo della piscinetta, non posso dire che mi dispiaccia ma contrasta nettamente con la poesia del momento.
Quando verso le cinque scavalchiamo il muretto per uscire le dico che mi spiace non averla portata nello spazio a farlo, proverò ad organizzarmi.
Ride. Ride come se non ci sia nulla di più divertente di quel momento. Ci penso un attimo e poi scoppio a ridere anch’io, ridiamo fino alle lacrime.
Come due ragazzini.
“Sweet blossom, come on under the willow
We can have high times if you'll abide
We can discover the wonders of nature
Rolling in the rushes down by the riverside
She's got everything delightful
She's got everything I need
Takes the wheel when I'm seeing double
Pays my ticket when I speed”
Grateful Dead, “Sugar Magnolia”
Passo a prenderla dopo pranzo, sale in macchina e il suo profumo delicato invade l’abitacolo, i Grateful Dead sono la colonna sonora per questo giorno di sole e lei è la mia Sugar Magnolia. “Andiamo al parco” è ciò che mi dice dopo un primo bacio; io già penso “la gente, le zanzare, il caldo” ma non mi tiro indietro, non sono capace di dire di no a quel sorriso.
Arriviamo al parco e non c’è poi così tanta gente, è molto grande per cui i presenti sono dispersi in giro; iniziamo a passeggiare e penso di vagare a caso ma in poco tempo mi rendo conto che Joni sta andando verso un punto preciso nell’angolo opposto del parco, lontano dall’ingresso. Ci sediamo su una panchina ed iniziamo a parlare di quello che si è fatto dall’ultima volta che ci siamo visti, lavoro, amici, sogni. Proprio un suo sogno in particolare prende presto il sopravvento sul discorso: in meno di una notte ha girato il mondo ed ha sognato di farlo in mare, nel deserto, su un ghiacciaio e perfino nello spazio. Non ho alcun modo purtroppo per aiutarla a realizzare questo sogno, quando glielo dico ride (una risata che mi scalda dentro) e mi dice che non è quello che vuole; tuttavia il sogno è recente, molto recente, precisamente della notte prima, per cui Joni oggi ha l’ormone che svolazza libero e allegro e le dona uno sguardo che se non è malizioso è quantomeno ambiguo.
“Non serve andare nello spazio però potremmo impegnarci per provare più posti possibili in una giornata.”
E secondo voi io dico di no?
Ci alziamo e andiamo verso i tendoni del tennis, oggi vuoti; dietro di essi c’è uno spiazzo dove normalmente non va nessuno, a volte i bambini che giocano a nascondino ma oggi quella zona del parco è decisamente deserta e di bambini non se ne sono visti. Appena arriviamo Joni mi spinge contro il tendone e mi bacia come se non ci fosse un domani, una foga che stupisce anche me; nel frattempo armeggia per slacciarmi la cintura, mi apre i pantaloni e fruga con convinzione nelle mie mutande, come a controllare che ci fosse ancora quello che ricordava. Per non essere da meno le alzo lentamente la gonna e vado con la mano a cercare gli slip le sfilo, lasciandoli cadere. Non ne sono del tutto sicuro ma penso che li abbia indossati di nuovo solo verso le cinque del mattino successivo.
Come due adolescenti ci baciamo e ci smanacciamo fino a quando lei non mi dice “Prendimi ma non venire, non ancora.”. La metto faccia al tendone, si appoggia con le mani, alzo la gonna da dietro e mi fermo un attimo ad ammirare il suo meraviglioso sedere, largo il giusto e del colore della Luna; quando mi appoggio la vedo sorridere, quando entro sento il suo respiro che si ferma un attimo. La conosco ormai, so le sue reazioni e mi stupisco neanche un minuto dopo a sentirla già esplodere. Mi fermo, si gira, mi sorride ancora e quasi a scusarsi dice “Ne avevo veramente bisogno.”; riprendo a muovermi lentamente e con una mano passo a solleticarle il bottoncino magico, lei riprende ad ansimare e pochi minuti dopo esplode di nuovo.
“Bene, possiamo cambiare posto adesso, aspetta che ti pulisco”, si china e con la bocca mi pulisce dai suoi umori, io faccio del mio meglio per trattenermi, quella situazione, avere lei così eccitata di fianco e la prospettiva di un’intera giornata così mi stanno tirando scemo.
Ci ricomponiamo e ci incamminiamo verso la macchina guardandoci in giro e riprendendo a parlare. Poco prima dell’uscita del parco Joni vede il baretto e propone una pausa ghiacciolo; è ancora presto e al bar non c’è praticamente nessuno tranne il barista e due signore a un tavolo. Ordiniamo i due ghiaccioli (lei menta e io tamarindo, sai mai che vi interessi saperlo) e facciamo per andarcene quando Joni chiede al barista se ci sia un bagno; il barista glielo indica e lei mi chiede se l’accompagno per tenere la porta ma, una volta dentro, capisco che non è per quello che mi vuole lì. Si siede in punta alla tazza chiusa, alza la gonna, si passa il ghiacciolo là dove di solito fa un gran caldo e mi invita ad assaggiare questa sua ricetta speciale, io mi inginocchio davanti a lei e assaggio volentieri. Non stiamo in bagno più di 5 minuti, lei ogni tanto ripassa il ghiacciolo poi si rimette a mangiarlo mentre io mi adopero più a sud, riuscendo ancora una volta a farla liquefare sulla mia faccia. Mi sciacquo rapidamente al lavandino ed usciamo; restituisco le chiavi al barista che non sospetta niente mentre invece le due signore al tavolo ci guardano di traverso, probabilmente due cielline zozze con voglia di giudicare e poco cervello per farlo. Poco male, se le abbiamo scandalizzate sono solo che felice. Intanto sento ancora il profumo di lei sulla barba.
Saliamo in macchina e chiedo a Joni dove voglia dirigersi adesso, “Stupiscimi” è la risposta. L’estate impazza, cerco con una mano nella borsa e tiro fuori ‘Live Rust’ di Neil Young, alzo il volume e ingrano la prima.
Neanche un quarto d’ora più tardi parcheggio in campagna dove parte una stradina sterrata che imbocchiamo a piedi. Il caldo si fa sentire mentre camminiamo nella campagna aperta verso un boschetto che in mezzo ai campi sembra un’oasi, il contrasto fra la terra piatta, giallastra e arsa e le cime verdeggianti degli alberi lontani fa la sua porca figura davanti agli occhi. Quando finalmente ci addentriamo fra gli alberi Joni si dimostra impaziente e fa per tirarmi nella boscaglia, lontano dal sentiero; le dico di aspettare e di seguirmi ancora qualche minuto. Arriviamo ad una piccola radura in mezzo al bosco dove c’è un piccolo laghetto di acqua sorgiva, limpida e freddissima, ci sediamo sull’erba e contempliamo l’esistenza in un raro momento di quiete. Joni si sfila i sandali e mette i piedi candidi nell’acqua fredda, penso che sia un’ottima idea e la imito; ci mettiamo a giocare coi piedi nell’acqua come bambini al mare, un minuto di innocenza che fa sorridere. Poi un bacio, un altro, le mani che ricominciano a cercare il corpo dell’altro e in un attimo sono di nuovo dentro di lei, dopo essere rotolati verso dei cespugli che mascherano un pochino la nostra attività furtiva e laida. Un giorno dovrò chiedere a qualche psichiatra perché metà delle volte in cui lo faccio io finisca in qualche modo a pensare ad una canzone di Prince, per ora non mi faccio troppi problemi mentre le melodie di “She’s always in my hair” mi ronzano in testa, psichedelia ed ossessione potrebbero essere i temi portanti della giornata. No, ‘ossessione’ è una parola troppo pesante.
Questa volta mi accorgo che Joni sublima quando vedo che con le dita cerca la terra nuda, afferra mazzetti di erba e li strappa per sfogare la tensione residua, poi apre gli occhi e mi guarda, tornata da un mondo parallelo dove mi piacerebbe molto poterla incontrare. Resto un attimo dentro di lei, solo adesso mi accorgo che abbiamo ancora i piedi in acqua e mi sono bagnato il fondo dei pantaloni. Come se me ne fregasse qualcosa.
Ci alziamo, perdiamo tempo, facciamo saltare i sassi sull’acqua, camminiamo ancora un po’ in silenzio ascoltando quello che il mondo ha da dire, è molto più interessante quando non ci sono persone che parlano.
A questo punto il sole sta iniziando a scendere e quando usciamo dal bosco il contrasto cromatico è impressionante, i campi sono diventati giallo oro, il cielo è di un blu così profondo che mette in soggezione, lo skyline della città lontana è illuminato come se fosse in fiamme. Per un attimo torna la distruzione, torna il fuoco che devasta ogni cosa, torna la voglia di vedere tutto in fiamme; poi mi giro e vedo lo sguardo di Joni perso nel volo di uno stormo di corvi, mi guarda ridendo e dice “Sembra un quadro di Van Gogh”. Ha ragione, ritrovo quel momento di pace e mi ci aggrappo con tutte le forze. La prendo, la bacio, la stringo, la porto lontano dal sentiero in mezzo all’erba alta, non mi interessa se qualcuno ci vede, lo facciamo lì in mezzo al campo con i corvi che ci guardano e le zanzare che ci mangiano vivi. In tutto questo io non sono ancora venuto una volta dall’inizio della giornata, ci ho girato attorno, mi sono trattenuto, mi sono fermato appena in tempo; ancora una volta mi stupisco del mio autocontrollo e mi fermo poco dopo aver sentito un sospiro più profondo provenire da Joni sotto di me.
Quando arriviamo in macchina siamo stanchi, sporchi e felici. Non è libertà, la libertà non esiste, ma cazzo quanto ci va vicino.
Mangiamo una pizza riprendendoci un po’, beviamo un paio di birre che ci risvegliano e poi è buio, sarebbe fin troppo facile andare a casa, nessuno dei due ne ha voglia.
Poi dal nulla mi nasce un’idea.
Lasciamo la macchina alla pizzeria e camminiamo per le vie del paese andando verso fuori. Arriviamo al recinto della piscina che non è ancora mezzanotte, ne usciremo verso le cinque di mattina. Come ragazzini del liceo scavalchiamo il muretto, arriviamo alla piscinetta scoperta, lasciamo tutti i vestiti in un angolo e ci immergiamo nudi nell’acqua fresca. È bello come la vita cambi forma quando sei in acqua, diventa una sfera leggerissima, puoi tenerla fra le mani e guardarla e giocarci, tanto niente può farti male.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno del sesso, è un momento già abbastanza intimo e lontano dalla realtà; beh, lo facciamo comunque. In piedi in acqua, sdraiati sul bordo, seduti nell’acqua bassa, tentiamo addirittura una fallimentare ma molto divertente soluzione subacquea. Mi chiede come faccia a trattenermi ancora, le rispondo che quella giornata di sesso è stata tutto tranne che sesso, mi guarda negli occhi e so che ha capito. Alla fine però ci tiene più di me e mi fa esplodere sull’erba oltre il bordo della piscinetta, non posso dire che mi dispiaccia ma contrasta nettamente con la poesia del momento.
Quando verso le cinque scavalchiamo il muretto per uscire le dico che mi spiace non averla portata nello spazio a farlo, proverò ad organizzarmi.
Ride. Ride come se non ci sia nulla di più divertente di quel momento. Ci penso un attimo e poi scoppio a ridere anch’io, ridiamo fino alle lacrime.
Come due ragazzini.
“Sweet blossom, come on under the willow
We can have high times if you'll abide
We can discover the wonders of nature
Rolling in the rushes down by the riverside
She's got everything delightful
She's got everything I need
Takes the wheel when I'm seeing double
Pays my ticket when I speed”
Grateful Dead, “Sugar Magnolia”
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