Una serata diversa dal solito (1/2)
di
LanA
genere
fisting
Episodio 1/2
Parcheggiai la macchina ma a differenza delle altre volte, la voglia di vederlo mi fece anticipare i tempi.
“Quando hai parcheggiato scrivimi e aspetta” mi scrisse.
E feci in parte quello che mi era stato chiesto. Girai parecchio tempo per riuscire a trovare un parcheggio che non si riusciva mai a trovare vicino a casa sua.
Gli scrissi e nel frattempo a piedi m’incamminai verso l’entrata dello stabile dove abitava. Mentre camminavo e aspettavo un suo messaggio o una sua chiamata, lo stomaco iniziava a contorcersi, come sempre in questi casi.
Cercavo di distrarmi guardando le macchine che mi passavano accanto e le persone alla guida dei veicoli. Immaginavo la vita di ogni conducente.
Chissà dove vanno. Chissà che cosa hanno fatto o stanno per fare. Sicuramente nessuno di loro può guardare me ed immaginare che tra non molto sarò al cospetto del mio Padrone.
Nessuno può sapere che sto per consegnarmi nella mani che più bramo. Tutti questi pensieri mi servivano ad allentare un po’ la tensione, ma più il cervello cercava di divagare, più la distanza tra me e l’appartamento si accorciava.
Mi trovai troppo velocemente davanti all’entrata. Feci un lungo respiro e con passo veloce, ma non troppo, mi incamminai verso la porta del suo appartamento.
L’ascensore aveva le porte aperte ed entrai subito nella cabina. Appena le porte si chiusero dietro di me, arrivò il messaggio. “Terzo piano, settima porta a destra. Entra, spogliati e mettiti in posizione” scrisse.
Leggere quelle parole innescarono in me una forte ed incontrollabile agitazione. La mente iniziò come sempre ad annebbiarsi.
Arrivai al terzo piano, le porte si aprirono davanti a me e uscii dalla gabbia di metallo. Non cercai subito la porta, restai un po’ di tempo lì sul pianerottolo.
Lo feci più che altro perché non volevo essere troppo in anticipo e non sapevo se lui fosse nell’appartamento oppure no. Feci lunghi, lunghissimi respiri per aiutare il cervello ad incamerare più ossigeno possibile e m’incamminai.
Presi il corridoio a destra. Passi nervosi e respiro corto erano gli unici rumori che mi accompagnavano in quei secondi che mi dividevano da Lui.
La porta era semichiusa.
Misi la mano sulla maniglia. Presi l’ultimo respiro, la mia personalità veniva azzerata e varcai la soglia. Questa volta, a differenza dell’ultima, guardai immediatamente se fosse nella stanza.
Era lì, seduto sulla poltroncina. Appena i miei occhi riconobbero la sua figura nella penombra iniziarono a mandare impulsi ad ogni parte del mio corpo provocando un’agitazione mista ad eccitazione che è difficile da descrivere.
Nel silenzio assoluto iniziai a spogliarmi. Ormai stava diventando una pratica conosciuta. Sapevo che mi guardava e non riuscivo nemmeno per un secondo a dirigere lo sguardo verso di lui. Tenevo sempre gli occhi bassi e i miei movimenti erano sempre impacciati in questi primi minuti.
I miei oggetti di piacere erano appoggiati sul letto, come sempre.
Nuda ed agitata mi misi in posizione. Gambe larghe, mani dietro la nuca e braccia ben aperte. Lui stava lì fermo e aspettava.
Nessun ordine, nessuna parola. Odio quel momento. M’imbarazza moltissimo. Mi mette in una condizione di assoluta impotenza. Il mio cervello vorrebbe pensare ma non lo fa. La mia bocca vorrebbe parlare ma tace. I miei occhi vorrebbero guardare ma lo sguardo è sempre rivolto verso il basso.
Le mie mani vorrebbero muoversi ma restano sempre ben salde dietro la testa. Attimi interminabili. Cosa fa? Cosa guarda? Cosa pensa? Ucciderei per avere almeno una risposta ad una di queste domande ed invece. Ferma, restavo ferma.
Finalmente decise di muoversi. Si alzò e la mia pelle iniziò a bruciare, le gambe cedettero lievemente e il respiro si fermò. Si mise davanti a me a pochissimi centimetri di distanza. Iniziai ad agitarmi.
Nemmeno mi aveva toccata e già mi stavo eccitando. Potere della mente. La sua mano si appoggiò delicata sul mio viso. Il suo contatto mi provocava innumerevoli sensazioni, ma quella che più sovrastava era la pace. Pace dei sensi, pace del corpo e pace della mente.
Da quel momento non dovevo più pensare a nulla che non sia ciò che succede, agli ordini che mi venivano dati. Non esisteva un passato o un futuro. Non esistevano problemi o ansie. Esisteva solo lui ed io. I suoi ordini e il mio desiderio di soddisfarli nella totalità. Il presente.
La sua mano mi accarezzò il viso ed il collo. Sapevo che sentiva la mia pelle vibrare sotto i suoi polpastrelli e sapevo che gli piaceva. Fece scendere la sua mano dal viso al figa con una tranquillità nei movimenti che mi lasciavano sempre esterrefatta.
Le sue dita toccavano le mie grandi labbra e lui capiva immediatamente che l’effetto voluto è già stato scatenato. Infilò un dito dentro di me e un lieve mugolio mi uscì dalla mia bocca. “Vedo che come sempre, sei un lago” mi sussurra nell’orecchio. La sua voce, adoro quella voce così calda e tranquilla.
Finalmente la sento. L’ho desiderata così a lungo. Il suo odore ed il respiro leggero e caldo che accompagnava quelle parole mi stordivano ulteriormente. Mi sentivo pervasa da una sensazione calda ed infinitamente piacevole.
Si allontanò da me e sentii che si dirigeva verso un lato della stanza.
I momenti in cui non mi era vicino sono gli unici che mi permettevano di riprendere un attimo il controllo del mio corpo concedendomi così di respirare normalmente.
Momenti brevi perché non stava mai troppo lontano da me. Lo sentii armeggiare ma ovviamente non potevo guardare. Non è necessario perché capivo immediatamente cosa stesse per succedere. Odio quel rumore. Quello sfiatare leggero della pompetta mi provocava sempre una reazione incontrollata.
Odio quella pompetta. Odio la sensazione che mi provoca e odio quando sento le Sue mani infilarla dentro di me. Lui sa bene quello che mi provoca. Ogni volta che la fa sgonfiare leggermente, prima d’inserirla nella vagina, mi suscita un breve attacco di sconforto.
La testa cade in avanti e con lei anche le mani e le braccia s’inarcano leggermente. Pessima reazione la mia. Sento bruciare le natiche subito dopo.
“Stai dritta” mi ordina. Riprendo subito il controllo del corpo anche se il dolore è bello acuto. Il suo amato frustino aveva voglia di assaggiare la mia pelle.
Si mise davanti a me di nuovo. “Apri bene le gambe” disse.
Piccoli movimenti fanno ulteriormente divaricare le mie cosce. Lo sento piegarsi leggermente e sento la punta di silicone che inizia a farsi strada dentro di me.
... continua con 2/2
Parcheggiai la macchina ma a differenza delle altre volte, la voglia di vederlo mi fece anticipare i tempi.
“Quando hai parcheggiato scrivimi e aspetta” mi scrisse.
E feci in parte quello che mi era stato chiesto. Girai parecchio tempo per riuscire a trovare un parcheggio che non si riusciva mai a trovare vicino a casa sua.
Gli scrissi e nel frattempo a piedi m’incamminai verso l’entrata dello stabile dove abitava. Mentre camminavo e aspettavo un suo messaggio o una sua chiamata, lo stomaco iniziava a contorcersi, come sempre in questi casi.
Cercavo di distrarmi guardando le macchine che mi passavano accanto e le persone alla guida dei veicoli. Immaginavo la vita di ogni conducente.
Chissà dove vanno. Chissà che cosa hanno fatto o stanno per fare. Sicuramente nessuno di loro può guardare me ed immaginare che tra non molto sarò al cospetto del mio Padrone.
Nessuno può sapere che sto per consegnarmi nella mani che più bramo. Tutti questi pensieri mi servivano ad allentare un po’ la tensione, ma più il cervello cercava di divagare, più la distanza tra me e l’appartamento si accorciava.
Mi trovai troppo velocemente davanti all’entrata. Feci un lungo respiro e con passo veloce, ma non troppo, mi incamminai verso la porta del suo appartamento.
L’ascensore aveva le porte aperte ed entrai subito nella cabina. Appena le porte si chiusero dietro di me, arrivò il messaggio. “Terzo piano, settima porta a destra. Entra, spogliati e mettiti in posizione” scrisse.
Leggere quelle parole innescarono in me una forte ed incontrollabile agitazione. La mente iniziò come sempre ad annebbiarsi.
Arrivai al terzo piano, le porte si aprirono davanti a me e uscii dalla gabbia di metallo. Non cercai subito la porta, restai un po’ di tempo lì sul pianerottolo.
Lo feci più che altro perché non volevo essere troppo in anticipo e non sapevo se lui fosse nell’appartamento oppure no. Feci lunghi, lunghissimi respiri per aiutare il cervello ad incamerare più ossigeno possibile e m’incamminai.
Presi il corridoio a destra. Passi nervosi e respiro corto erano gli unici rumori che mi accompagnavano in quei secondi che mi dividevano da Lui.
La porta era semichiusa.
Misi la mano sulla maniglia. Presi l’ultimo respiro, la mia personalità veniva azzerata e varcai la soglia. Questa volta, a differenza dell’ultima, guardai immediatamente se fosse nella stanza.
Era lì, seduto sulla poltroncina. Appena i miei occhi riconobbero la sua figura nella penombra iniziarono a mandare impulsi ad ogni parte del mio corpo provocando un’agitazione mista ad eccitazione che è difficile da descrivere.
Nel silenzio assoluto iniziai a spogliarmi. Ormai stava diventando una pratica conosciuta. Sapevo che mi guardava e non riuscivo nemmeno per un secondo a dirigere lo sguardo verso di lui. Tenevo sempre gli occhi bassi e i miei movimenti erano sempre impacciati in questi primi minuti.
I miei oggetti di piacere erano appoggiati sul letto, come sempre.
Nuda ed agitata mi misi in posizione. Gambe larghe, mani dietro la nuca e braccia ben aperte. Lui stava lì fermo e aspettava.
Nessun ordine, nessuna parola. Odio quel momento. M’imbarazza moltissimo. Mi mette in una condizione di assoluta impotenza. Il mio cervello vorrebbe pensare ma non lo fa. La mia bocca vorrebbe parlare ma tace. I miei occhi vorrebbero guardare ma lo sguardo è sempre rivolto verso il basso.
Le mie mani vorrebbero muoversi ma restano sempre ben salde dietro la testa. Attimi interminabili. Cosa fa? Cosa guarda? Cosa pensa? Ucciderei per avere almeno una risposta ad una di queste domande ed invece. Ferma, restavo ferma.
Finalmente decise di muoversi. Si alzò e la mia pelle iniziò a bruciare, le gambe cedettero lievemente e il respiro si fermò. Si mise davanti a me a pochissimi centimetri di distanza. Iniziai ad agitarmi.
Nemmeno mi aveva toccata e già mi stavo eccitando. Potere della mente. La sua mano si appoggiò delicata sul mio viso. Il suo contatto mi provocava innumerevoli sensazioni, ma quella che più sovrastava era la pace. Pace dei sensi, pace del corpo e pace della mente.
Da quel momento non dovevo più pensare a nulla che non sia ciò che succede, agli ordini che mi venivano dati. Non esisteva un passato o un futuro. Non esistevano problemi o ansie. Esisteva solo lui ed io. I suoi ordini e il mio desiderio di soddisfarli nella totalità. Il presente.
La sua mano mi accarezzò il viso ed il collo. Sapevo che sentiva la mia pelle vibrare sotto i suoi polpastrelli e sapevo che gli piaceva. Fece scendere la sua mano dal viso al figa con una tranquillità nei movimenti che mi lasciavano sempre esterrefatta.
Le sue dita toccavano le mie grandi labbra e lui capiva immediatamente che l’effetto voluto è già stato scatenato. Infilò un dito dentro di me e un lieve mugolio mi uscì dalla mia bocca. “Vedo che come sempre, sei un lago” mi sussurra nell’orecchio. La sua voce, adoro quella voce così calda e tranquilla.
Finalmente la sento. L’ho desiderata così a lungo. Il suo odore ed il respiro leggero e caldo che accompagnava quelle parole mi stordivano ulteriormente. Mi sentivo pervasa da una sensazione calda ed infinitamente piacevole.
Si allontanò da me e sentii che si dirigeva verso un lato della stanza.
I momenti in cui non mi era vicino sono gli unici che mi permettevano di riprendere un attimo il controllo del mio corpo concedendomi così di respirare normalmente.
Momenti brevi perché non stava mai troppo lontano da me. Lo sentii armeggiare ma ovviamente non potevo guardare. Non è necessario perché capivo immediatamente cosa stesse per succedere. Odio quel rumore. Quello sfiatare leggero della pompetta mi provocava sempre una reazione incontrollata.
Odio quella pompetta. Odio la sensazione che mi provoca e odio quando sento le Sue mani infilarla dentro di me. Lui sa bene quello che mi provoca. Ogni volta che la fa sgonfiare leggermente, prima d’inserirla nella vagina, mi suscita un breve attacco di sconforto.
La testa cade in avanti e con lei anche le mani e le braccia s’inarcano leggermente. Pessima reazione la mia. Sento bruciare le natiche subito dopo.
“Stai dritta” mi ordina. Riprendo subito il controllo del corpo anche se il dolore è bello acuto. Il suo amato frustino aveva voglia di assaggiare la mia pelle.
Si mise davanti a me di nuovo. “Apri bene le gambe” disse.
Piccoli movimenti fanno ulteriormente divaricare le mie cosce. Lo sento piegarsi leggermente e sento la punta di silicone che inizia a farsi strada dentro di me.
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