Freccia Rossa

di
genere
saffico

L’autista dopo avermi portata alla stazione mi ha scortata fino all’inizio del binario, ho un piccolo trolley, ora mi arrangio da sola.
“Arrivederci tra quindici giorni signora”
“Grazie Mario ci vediamo”.
L’hostess controlla la prenotazione,saliamo sul vagone e mi scorta al mio posto.
Sono i vantaggi di chi viaggia in classe affari, d’altronde non sono io a pagare, nel mio contratto di consulenza ci sono anche i viaggi inclusi. Solite operazioni, gesti ripetitivi, quasi dei mantra per chi viaggia su questi treni.
Mi siedo sul comodo sedile, attacco il tablet alla presa della corrente,indosso le cuffiette, cerco nella libreria un disco di Hank Mobley che mi è venuto in mente prima, mentre spiegavo al responsabile commerciale, una possibile strategia per aggirare il ristagno delle vendite di alcuni prodotti esclusivi.
Come sempre dopo qualche istante sono a mio agio, osservo dal finestrino le influenze liberty e art decò della struttura novecentista di Milano Centrale.
Tra due ore saremo a Firenze, penso a Mia, che già sta scalpitando, ha deciso che mi verrà a prendere con l’auto, ci vorrà più di un ora, le ho detto che mi sarei arrangiata con un treno, ma non ha voluto sentire ragione.
“Quel regionale ferma a tutte le stazioni, ci vuole una vita, e poi cosi’ mi faccio un giro a Firenze”.
So già cosa vuole fare, mette l’auto nel parcheggio sotto alla stazione, e poi vuole andare a fare un giro in centro, un po’ di vetrine, i suoi amati mercatini, il panino con il lampredotto a San Lorenzo.
D’altronde la capisco, non esce quasi mai, almeno io una volta ogni due settimane faccio questi viaggi, per un paio di giorni mi svago, tolgo dai miei orizzonti la campagna.
Partiamo con uno scossone, mi sto già pregustando la goduria dell’allungarmi senza nessuno, quando l’hostess arriva con una signora, un po’ trafelata, deve aver rischiato di perdere il treno.
Un po’ delusa ritiro i piedi, nel mio spazio, e mi ricompongo un pochino, lei mi sorride, come per dire,
“mi spiace, ma purtroppo è questo il posto che mi hanno assegnato”.
Lo spazio è comunque ampio, osservo la signora, alta borghesia milanese, capi di abbigliamento sobri, ma molto ricercati, Reverso d’oro al polso, due piccole gocce di platino con un punto di carato ai lobi.
Tira fuori il suo armamentario, l’immancabile iphone top di gamma, e una piccola risma di fogli A4 fotocopiati, inforca un paio di occhialini da lettura, e dopo avermi dato un occhiata per controllare,
inizia a leggere, e con una penna a correggere e cancellare.
Faccio partire la musica, Soul Station è il disco che volevo ascoltare, siamo in tema.
Il suono rilassato del sax di Hank mi distoglie dalla mia dirimpettaia, chiudo gli occhi, e mi faccio cullare dai sussulti delicati del treno che sta iniziando a prendere velocità.
L’hostess ha portato uno snack, dell’acqua fresca, una tovaglietta profumata.
Mi distolgo per un attimo dal suono delle cuffiette, la signora si è tolta la giacca del completo, ha un top aderente a mezze maniche, mi accorgo solo ora che è molto attraente, ha accavallato le gambe, si è rilassata, non scarabocchia più i suoi fogli, il mio sguardo fuori controllo intravede, una piccola fuoriuscita dalla gonna, il bordo di pizzo degli autoreggenti.
Levo le cuffiette, con la tovaglietta mi strofino le dita, i nostri sguardi si incrociano per un istante, ha gli occhi color nocciola.
“Cosa stava ascoltando”?
Me lo chiede senza lasciar trapelare nessun moto di curiosità, con estrema naturalezza.
“Ah non so se lo conosce, è un jazzista di mezzo secolo fa, Hank Mobley “.
“Il mio ex marito era appassionato di jazz, mi sembra di aver letto quel nome su qualcuno dei suoi
innumerevoli vinili”.
“beh si, se era un appassionato, di sicuro qualche disco suo lo aveva”.
Resto in silenzio, forse si aspetta la domanda e prosegue,
“abbiamo divorziato qualche anno fa, correva dietro a tutte le ventenni che incontrava”.
“Che ci vuole fare” rispondo, “gli uomini sono spesso molto banali, anche se dal loro punto di vista, non gli si può dare del tutto torto”.
“certo, certo, ha fatto lo spaccone, anche se ora mi mantiene a vita, da una parte mi ha fatto anche un favore”.
“Lei non è sposata”?
“beh no”……
Vorrei dire che è un po’ come lo fossi, ma rispondo con un
“ma convivo”,
“ più o meno è uguale, prima o poi vengono fuori le stesse problematiche dei matrimoni”
“ beh certo, lui com’è un tipo tranquillo?” mi chiede la signora……
Vorrei tergiversare,per cambiare argomento le chiedo del suo lavoro,
“ah mi ha visto correggere…certo, no io non lavoro, sono laureata in lettere, stavo correggendo un lavoro di mia figlia, la sto andando a trovare a Roma”.
“Lei che lavoro fa”?
“ sono una consulente, mi occupo di strategie aziendali e marketing, seguo alcuni clienti qui a Milano, ma vivo vicino a Firenze”.
“ molto interessante”
Mi osserva, forse il mio abbigliamento, non coincide con il prototipo di donna che si era immaginata, sto quasi per dirle che sono una persona molto informale, che nel mio lavoro sono molto brava, ormai non ho più bisogno di apparire.
Ma lei mi precede,
“allora questo compagno con cui convive”?
Decido che in fondo non me ne frega, non la rivedrò mai più in tutta la mia vita,
“veramente è una compagna, ormai sono alcuni anni che stiamo insieme,”
Sto sempre molto attenta alle reazioni di coloro che scoprono questa cosa, nonostante tutto io e Mia cerchiamo di essere riservate, la gente apparentemente sembra sempre aperta, ma spesso non è mai come appare.
La signora resta per qualche istante silenziosa.
Non mi sembra in imbarazzo, piuttosto mi dà l’impressione di pensare alla prossima mossa, a quello che dovrà dire.
Lentamente rimette la gamba che aveva a cavalcioni sulla poltrona, e si rilassa sullo schienale.
Ho come la sensazione che stia assumendo una posizione un po’ lasciva, scivola avanti con il bacino, quel poco che basta, per fare apparire un po’ di quella bordatura degli autoreggenti, da sotto alla stoffa scura, mi sembra di intravedere il candore della pelle chiara, di quel pezzo delle cosce che resta scoperto, dove finiscono le calze, e iniziano le mutande.
Riapre gli occhi che aveva leggermente socchiuso,
“quindi lei scende a Firenze”?
“certo verrà a prendermi la mia compagna, di sicuro vorrà andare un po’ in giro per il centro, ha la fissa dei mercatini, dove mi compra questi vestiti usati”.
Fuori dal finestrino scorre la pianura padana, ho intravisto la scritta Parma, tra non molto saremo a Bologna.
Mi guardo un pochino attorno, lo scompartimento è quasi vuoto, in cima c’è uno vestito da manager ,che continuamente traffica con lo smart phone, penso che non ci abbia nemmeno notate.
Le hostess sono sparite, prima di arrivare a Firenze mancheranno una quarantina di minuti.
Guardo la signora, ci fissiamo con gli occhi che restano immobili, e le dico,
“non ci resta molto tempo, vado al bagno, che fai mi segui”?
Mi incammino, e quando ho percorso mezzo tragitto lei si alza e mi viene dietro.
Entro nel bagno, mi aspettavo uno spazio angusto, invece è abbastanza grande, la pulizia è maniacale, tutto brilla, gli specchi e le cromature, un odore di freso e di pulito mi assale.
Entra dentro anche lei, è solo un po’ più bassa di me, chiude la porta, sento il suo profumo dolciastro mentre mi avvicino, la spingo contro il ripiano bianco dove c’è il lavandino, le infilo la lingua in bocca, lei risponde con veemenza, le nostre mani iniziano a frugare.
Mentre ci baciamo si sfila le mutande, appoggia il sedere e spalanca le cosce, ora la sua fica è li’ ne sento l’odore, mi inginocchio e la inghiotto in un solo boccone.
Mugola, si bagna, mi ha presa per i capelli, mi spinge la faccia contro il pube, le strizzo il clitoride tra gli incisivi, con la punta della lingua lo sfrego, ansima più forte, caccia un urlo soffocato.
Mi lascia andare i capelli salta giù dal ripiano e me la ritrovo faccia a faccia, mi ribacia in bocca,
vuole sentire il sapore della sua fica.
Nel frattempo mi slaccia i larghi pantaloni che mi scivolano fino ai piedi, si accorge che ho i collant, me li abbassa, lo fa anche con le mutande, mi gira, con un gesto rapido li sfilo da una gamba, sistemo anche io mio sedere sul ripiano, apro le cosce, si inginocchia e si dirige avida sulla mia fica.
Mentre me la lecca, penso a Mia che mi aspetta alla stazione.
Le poche volte che l’ho tradita mi è sempre successo, la chioma liscia e meshata di questa sconosciuta,
che mi sta baciando tra le cosce, si trasforma nei lunghi riccioli castani di Mia, ma ha un altro modo di fare, tergiversa in altre zone, tralascia il clitoride, affonda nella vagina, sembra sapere qual è il mio punto debole, l’orgasmo mi esplode improvviso, le bagno tutto il viso, erano mesi che non mi succedeva.
Ci sciacquiamo la bocca e la faccia, la signora controlla che gli schizzi non le abbiano bagnato il vestito, si rimette le mutandine, io mi rinfilo il collant, e le mutande di cotone bianco, quando le vede le scappa un sorriso.
I capelli sono a posto, ci diamo un breve bacio in bocca, esco per prima dopo qualche istante anche lei mi segue, nessuno ci ha notato.
Non faccio in tempo raggiungere la mia seduta che il treno inizia la sua frenata.
“appena in tempo”
Me lo dice tra il divertito e il rammaricato, restiamo a fissarci per un pochino, pensiamo se sia il caso di scambiarci il cellulare, ma nessuna delle due ha il coraggio di compiere quel passo, che potrebbe rovinare tutto.
“faccia buon viaggio, se capita su questo treno magari ci rincontriamo”.
“Certo cara, buona fortuna anche a lei, e buon lavoro”.
Trascino il mio trolley lungo il corridoio, scendo e mi incammino accompagnata dal ticchettio delle ruote sul pavimento rigato della stazione.
In fondo ai cancelli vedo Mia, ha portato anche Buck, il capo branco, l’unico abituato ad andare in giro per le città, di tutti è quello che più soffre della mia assenza, appena sente il mio odore inizia a scodinzolare, so già che mi salterà addosso, Mia sorride, mi viene in mente che alla signora del treno non ho nemmeno chiesto quale fosse il suo nome.
scritto il
2020-10-26
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