Essere la sua bambola (1/2)
di
LanA
genere
fisting
Il mio essere masochista mi portava ad immaginare la Sua mano dentro di me, nella sua totalità e un po’ di dolore unita alla penetrazione mi eccitava non poco.
Dall’altra l’assoluta ignoranza della pratica mi spaventava.
Nonostante non sia una Sua abitudine anticipare ciò che avrebbe fatto nella sessione, dettato dal fatto che non segue una scaletta, mi anticipò questo Suo desiderio.
Ero eccitata!
Leggere che aveva in mente di usare questa pratica su di me era una cosa che attirava tutta la mia attenzione e la mia curiosità, che si sa, è femmina.
Arrivò il giorno della convocazione. Solita prassi da seguire.
Parcheggiai la macchina ma a differenza delle altre volte, la voglia di vederlo mi fece anticipare i tempi.
“Quando hai parcheggiato scrivimi e aspetta” mi scrisse.
E feci in parte quello che mi era stato chiesto.
Girai parecchio tempo per riuscire a trovare posto che non si riusciva mai a trovare vicino all’albergo. Gli scrissi e nel frattempo a piedi m’incamminai verso l’entrata dell’hotel.
Mentre camminavo e mentre aspettavo un Suo messaggio o una Sua chiamata lo stomaco iniziava a contorcersi.
Cercavo di distrarmi guardando con attenzione tutte quelle macchine che mi passavano a fianco.
Immaginavo la vita di ogni conducente. Chissà dove vanno. Chissà che cosa hanno fatto o stanno per fare. Sicuramente nessuno di loro può guardare me ed immaginare che tra non molto sarò al cospetto del mio Padrone.
Nessuno può sapere che sto per consegnarmi nelle mani che più bramo.
Tutti questi pensieri mi servivano ad allentare un po’ la tensione, ma più il cervello cercava di divagare più la distanza tra me e l’hotel si accorciava.
Mi trovai troppo velocemente davanti all’entrata.
Perché non anticipare ancora e nel frattempo superare l’ostacolo della hall pensai. Così feci.
Lungo respiro e passo veloce, ma non troppo, per arrivare velocemente da Lui.
L’ascensore aveva le porte aperte ed entrai subito dentro.
Appena le porte si chiusero dietro di me, arrivò il messaggio. “Stanza 711. Entra, spogliati e mettiti in posizione” scrisse.
Leggere quelle parole innescarono in me forte ed incontrollabile agitazione. La mente iniziò come sempre ad annebbiarsi.
Arrivai al piano 7. Le porte si aprirono davanti a me e uscii dalla gabbia di metallo. Non cercai subito la stanza, restai un po’ di tempo lì sul pianerottolo.
Lo feci più che altro perché non volevo essere troppo in anticipo e non sapevo se Lui fosse nella stanza oppure no.
Lunghi, lunghissimi respiri per aiutare il cervello ad incamerare più ossigeno possibile e m’incamminai.
Corridoio a destra. Passi nervosi e respiro corto erano gli unici rumori che mi accompagnavano in quei secondi che mi dividevano da Lui.
711. Porta semichiusa. Mano sulla maniglia.
Ultimo respiro, azzeramento della personalità e varco la soglia.
Questa volta, a differenza dell’ultima, guardai immediatamente se fosse nella stanza.
Era lì, seduto sulla poltroncina.
Appena i miei occhi riconobbero la Sua figura nella penombra iniziarono a mandare impulsi ad ogni parte del mio corpo provocando un’agitazione mista ad eccitazione che è difficile da descrivere.
Nel silenzio assoluto iniziai a spogliarmi. Ormai stava diventando una pratica conosciuta.
So che mi guarda e non riesco nemmeno per un secondo a dirigere lo sguardo verso di Lui.
Occhi sempre bassi e movimenti sempre impacciati mi accompagno in questi brevi minuti.
I miei oggetti di piacere appoggiati sul letto, come sempre.
Nuda ed agitata mi metto in posizione. Gambe larghe, mani dietro la nuca e braccia ben aperte.
Lui sta lì fermo e aspetta. Nessun ordine, nessuna parola. Odio quel momento.
M’imbarazza moltissimo. Mi mette in una condizione di assoluta impotenza. Il mio cervello vorrebbe pensare ma non lo fa. La mia bocca vorrebbe parlare ma tace. I miei occhi vorrebbero guardare ma lo sguardo è sempre verso il basso. Le mie mani vorrebbero toccare ma restano sempre ben salde dietro la testa.
Attimi interminabili. Cosa fa? Cosa guarda? Cosa pensa?
Ucciderei per avere almeno una risposta ad una di queste domande ed invece. Ferma.
Finalmente decide di muoversi.
Si alza e la mia pelle inizia a bruciare, le gambe cedono lievemente e il respiro si ferma.
Si mette davanti a me a pochissimi centimetri di distanza. Inizio ad agitarmi.
Nemmeno mi ha toccata e già mi sto eccitando. Potere della mente.
La Sua mano si appoggia delicata sul mio viso. Il Suo contatto mi provoca innumerevoli sensazioni, ma quella che più sovrasta è la pace. Pace dei sensi, pace del corpo e pace della mente.
Da quel momento non devo più pensare a nulla che non sia ciò che succede. Non esiste un passato o un futuro. Non esistono problemi o ansie. Esiste solo Lui ed io. I suoi ordini e il mio desiderio di soddisfarli nella totalità. Il presente.
La sua mano mi accarezza il viso ed il collo. So che sente la mia pelle vibrare sotto i Suoi polpastrelli e so che gli piace.
La fa scendere dal viso alla figa con una tranquillità nei movimenti che mi lasciano sempre esterrefatta.
Le Sue dita toccano le mie grandi labbra e capiscono immediatamente che l’effetto voluto è già stato scatenato.
Infila un dito dentro di me e un lieve mugolio esce dalla mia bocca.
“Vedo che come sempre, sei un lago” mi sussurra nell’orecchio.
La Sua voce. Adoro quella voce così calda e tranquilla. Finalmente la sento. L’ho desiderata così a lungo. Il Suo odore ed il respiro leggero e caldo che accompagna quelle parole mi stordiscono ulteriormente. Mi sento pervasa da una sensazione calda ed infinitamente piacevole.
Si allontana da me e sento che si dirige verso un lato della stanza.
I momenti in cui non mi è vicino sono gli unici che mi permettono di riprendere un attimo il controllo del mio corpo permettendomi così di respirare normalmente.
Momenti brevi perché non sta mai troppo lontano da me. Lo sento armeggiare ma ovviamente non guardo. Non è necessario perché capisco immediatamente cosa sta per succedere.
Odio quel rumore. Quello sfiatare leggero della pompetta mi provoca sempre una reazione incontrollata. Odio quella pompetta. Odio la sensazione che mi provoca e odio quando sento le Sue mani infilarla dentro di me.
Lui sa bene quello che mi provoca. Ogni volta che la fa sgonfiare leggermente, prima d’inserirla nella vagina, mi suscita un breve attacco di sconforto.
La testa cade in avanti e con lei anche le mani e le braccia s’inarcano leggermente. Pessima reazione la mia.
Sento bruciare le natiche subito dopo. “Stai dritta” mi ordina.
Riprendo subito il controllo del corpo anche se il dolore è bello acuto. Il Suo amato frustino aveva voglia di assaggiare la mia pelle.
Si mise davanti a me di nuovo.
“Apri bene le gambe” disse.
Piccoli movimenti fanno ulteriormente divaricare le mie cosce.
Lo sento piegarsi leggermente e sento la punta di silicone che inizia a farsi strada dentro di me.
Quel momento in cui entra dentro la mia figa. Quello è il momento in cui mi sento persa. In cui abbandono ogni inibizione.
La spinge con attenzione dentro di me e spinge a fondo. Una volta accertato che sia totalmente inserita, la inizia a gonfiare.
Ogni aumento di dimensione mi fa impazzire. Questa volta però ha gonfiato di più e il piacere si mischia al dolore che si mischia di nuovo al piacere.
Dopo aver provocato piacere alla mia figa, inizia a dedicare le sue attenzioni ai miei seni.
Attacca quelle pinzette ai capezzoli ed inizia a picchiettare con un qualcosa che non so esattamente cosa sia ma che provoca molto dolore.
Ogni colpo inferto mi fece sobbalzare per il bruciore.
Ma insieme al dolore il piacere, che arrivava subito dopo. Senza contare il fatto che ad ogni sobbalzo il mio corpo si muoveva facendo muovere con esso quella pompetta infilata dentro di me.
Insomma, era un misto di dolore e piacere che crea il connubio perfetto.
Continuò a sollazzarsi con i miei seni finché il dolore che provavo interiormente fosse ben visibile sulla pelle.
Vedendo i segni lasciati sul mio seno s’intenerì e mi abbraccio.
Sadico! L’abbraccio non era assolutamente voluto per lenire il mio dolore, bensì per aumentarlo stringendosi a me e schiacciando quelle dannate pinzette che ancora erano attaccate ai miei capezzoli. Lo sentivo stringersi a me.
Nonostante la voglia di sentirmi abbracciata da Lui fosse alta, lo era di più la voglia di spingerlo via.
Cazzo che male!! Mentre mi stringeva a sé, disse “che non si dica che non sono attento ai tuoi bisogni. Ti abbraccio pure, hai visto?”.
Mi venne da sorridere ascoltando quelle parole. Ha sempre la capacità di farmi sorridere anche in momenti in cui soffro o in cui vorrei reagire.
segue 2/2
Dall’altra l’assoluta ignoranza della pratica mi spaventava.
Nonostante non sia una Sua abitudine anticipare ciò che avrebbe fatto nella sessione, dettato dal fatto che non segue una scaletta, mi anticipò questo Suo desiderio.
Ero eccitata!
Leggere che aveva in mente di usare questa pratica su di me era una cosa che attirava tutta la mia attenzione e la mia curiosità, che si sa, è femmina.
Arrivò il giorno della convocazione. Solita prassi da seguire.
Parcheggiai la macchina ma a differenza delle altre volte, la voglia di vederlo mi fece anticipare i tempi.
“Quando hai parcheggiato scrivimi e aspetta” mi scrisse.
E feci in parte quello che mi era stato chiesto.
Girai parecchio tempo per riuscire a trovare posto che non si riusciva mai a trovare vicino all’albergo. Gli scrissi e nel frattempo a piedi m’incamminai verso l’entrata dell’hotel.
Mentre camminavo e mentre aspettavo un Suo messaggio o una Sua chiamata lo stomaco iniziava a contorcersi.
Cercavo di distrarmi guardando con attenzione tutte quelle macchine che mi passavano a fianco.
Immaginavo la vita di ogni conducente. Chissà dove vanno. Chissà che cosa hanno fatto o stanno per fare. Sicuramente nessuno di loro può guardare me ed immaginare che tra non molto sarò al cospetto del mio Padrone.
Nessuno può sapere che sto per consegnarmi nelle mani che più bramo.
Tutti questi pensieri mi servivano ad allentare un po’ la tensione, ma più il cervello cercava di divagare più la distanza tra me e l’hotel si accorciava.
Mi trovai troppo velocemente davanti all’entrata.
Perché non anticipare ancora e nel frattempo superare l’ostacolo della hall pensai. Così feci.
Lungo respiro e passo veloce, ma non troppo, per arrivare velocemente da Lui.
L’ascensore aveva le porte aperte ed entrai subito dentro.
Appena le porte si chiusero dietro di me, arrivò il messaggio. “Stanza 711. Entra, spogliati e mettiti in posizione” scrisse.
Leggere quelle parole innescarono in me forte ed incontrollabile agitazione. La mente iniziò come sempre ad annebbiarsi.
Arrivai al piano 7. Le porte si aprirono davanti a me e uscii dalla gabbia di metallo. Non cercai subito la stanza, restai un po’ di tempo lì sul pianerottolo.
Lo feci più che altro perché non volevo essere troppo in anticipo e non sapevo se Lui fosse nella stanza oppure no.
Lunghi, lunghissimi respiri per aiutare il cervello ad incamerare più ossigeno possibile e m’incamminai.
Corridoio a destra. Passi nervosi e respiro corto erano gli unici rumori che mi accompagnavano in quei secondi che mi dividevano da Lui.
711. Porta semichiusa. Mano sulla maniglia.
Ultimo respiro, azzeramento della personalità e varco la soglia.
Questa volta, a differenza dell’ultima, guardai immediatamente se fosse nella stanza.
Era lì, seduto sulla poltroncina.
Appena i miei occhi riconobbero la Sua figura nella penombra iniziarono a mandare impulsi ad ogni parte del mio corpo provocando un’agitazione mista ad eccitazione che è difficile da descrivere.
Nel silenzio assoluto iniziai a spogliarmi. Ormai stava diventando una pratica conosciuta.
So che mi guarda e non riesco nemmeno per un secondo a dirigere lo sguardo verso di Lui.
Occhi sempre bassi e movimenti sempre impacciati mi accompagno in questi brevi minuti.
I miei oggetti di piacere appoggiati sul letto, come sempre.
Nuda ed agitata mi metto in posizione. Gambe larghe, mani dietro la nuca e braccia ben aperte.
Lui sta lì fermo e aspetta. Nessun ordine, nessuna parola. Odio quel momento.
M’imbarazza moltissimo. Mi mette in una condizione di assoluta impotenza. Il mio cervello vorrebbe pensare ma non lo fa. La mia bocca vorrebbe parlare ma tace. I miei occhi vorrebbero guardare ma lo sguardo è sempre verso il basso. Le mie mani vorrebbero toccare ma restano sempre ben salde dietro la testa.
Attimi interminabili. Cosa fa? Cosa guarda? Cosa pensa?
Ucciderei per avere almeno una risposta ad una di queste domande ed invece. Ferma.
Finalmente decide di muoversi.
Si alza e la mia pelle inizia a bruciare, le gambe cedono lievemente e il respiro si ferma.
Si mette davanti a me a pochissimi centimetri di distanza. Inizio ad agitarmi.
Nemmeno mi ha toccata e già mi sto eccitando. Potere della mente.
La Sua mano si appoggia delicata sul mio viso. Il Suo contatto mi provoca innumerevoli sensazioni, ma quella che più sovrasta è la pace. Pace dei sensi, pace del corpo e pace della mente.
Da quel momento non devo più pensare a nulla che non sia ciò che succede. Non esiste un passato o un futuro. Non esistono problemi o ansie. Esiste solo Lui ed io. I suoi ordini e il mio desiderio di soddisfarli nella totalità. Il presente.
La sua mano mi accarezza il viso ed il collo. So che sente la mia pelle vibrare sotto i Suoi polpastrelli e so che gli piace.
La fa scendere dal viso alla figa con una tranquillità nei movimenti che mi lasciano sempre esterrefatta.
Le Sue dita toccano le mie grandi labbra e capiscono immediatamente che l’effetto voluto è già stato scatenato.
Infila un dito dentro di me e un lieve mugolio esce dalla mia bocca.
“Vedo che come sempre, sei un lago” mi sussurra nell’orecchio.
La Sua voce. Adoro quella voce così calda e tranquilla. Finalmente la sento. L’ho desiderata così a lungo. Il Suo odore ed il respiro leggero e caldo che accompagna quelle parole mi stordiscono ulteriormente. Mi sento pervasa da una sensazione calda ed infinitamente piacevole.
Si allontana da me e sento che si dirige verso un lato della stanza.
I momenti in cui non mi è vicino sono gli unici che mi permettono di riprendere un attimo il controllo del mio corpo permettendomi così di respirare normalmente.
Momenti brevi perché non sta mai troppo lontano da me. Lo sento armeggiare ma ovviamente non guardo. Non è necessario perché capisco immediatamente cosa sta per succedere.
Odio quel rumore. Quello sfiatare leggero della pompetta mi provoca sempre una reazione incontrollata. Odio quella pompetta. Odio la sensazione che mi provoca e odio quando sento le Sue mani infilarla dentro di me.
Lui sa bene quello che mi provoca. Ogni volta che la fa sgonfiare leggermente, prima d’inserirla nella vagina, mi suscita un breve attacco di sconforto.
La testa cade in avanti e con lei anche le mani e le braccia s’inarcano leggermente. Pessima reazione la mia.
Sento bruciare le natiche subito dopo. “Stai dritta” mi ordina.
Riprendo subito il controllo del corpo anche se il dolore è bello acuto. Il Suo amato frustino aveva voglia di assaggiare la mia pelle.
Si mise davanti a me di nuovo.
“Apri bene le gambe” disse.
Piccoli movimenti fanno ulteriormente divaricare le mie cosce.
Lo sento piegarsi leggermente e sento la punta di silicone che inizia a farsi strada dentro di me.
Quel momento in cui entra dentro la mia figa. Quello è il momento in cui mi sento persa. In cui abbandono ogni inibizione.
La spinge con attenzione dentro di me e spinge a fondo. Una volta accertato che sia totalmente inserita, la inizia a gonfiare.
Ogni aumento di dimensione mi fa impazzire. Questa volta però ha gonfiato di più e il piacere si mischia al dolore che si mischia di nuovo al piacere.
Dopo aver provocato piacere alla mia figa, inizia a dedicare le sue attenzioni ai miei seni.
Attacca quelle pinzette ai capezzoli ed inizia a picchiettare con un qualcosa che non so esattamente cosa sia ma che provoca molto dolore.
Ogni colpo inferto mi fece sobbalzare per il bruciore.
Ma insieme al dolore il piacere, che arrivava subito dopo. Senza contare il fatto che ad ogni sobbalzo il mio corpo si muoveva facendo muovere con esso quella pompetta infilata dentro di me.
Insomma, era un misto di dolore e piacere che crea il connubio perfetto.
Continuò a sollazzarsi con i miei seni finché il dolore che provavo interiormente fosse ben visibile sulla pelle.
Vedendo i segni lasciati sul mio seno s’intenerì e mi abbraccio.
Sadico! L’abbraccio non era assolutamente voluto per lenire il mio dolore, bensì per aumentarlo stringendosi a me e schiacciando quelle dannate pinzette che ancora erano attaccate ai miei capezzoli. Lo sentivo stringersi a me.
Nonostante la voglia di sentirmi abbracciata da Lui fosse alta, lo era di più la voglia di spingerlo via.
Cazzo che male!! Mentre mi stringeva a sé, disse “che non si dica che non sono attento ai tuoi bisogni. Ti abbraccio pure, hai visto?”.
Mi venne da sorridere ascoltando quelle parole. Ha sempre la capacità di farmi sorridere anche in momenti in cui soffro o in cui vorrei reagire.
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