Ragazza immagine - . La compravendita

di
genere
etero

Chiusa in questo camerino, sola, senza niente altro addosso che il reggiseno e questa minigonna. Mi guardo e cerco di immaginare tutti gli outfit possibili. Ci passo le mani sopra e mi trasmette il benessere e la sensazione del lusso. Luis Vuitton-Chiara Ferragni. Che binomio da fashion victim. Finirò come Martina. Del resto somaticamente siamo così diverse, qualcosa in comune dovrà pur esserci. Chissà se me la chiederà in prestito. Guardo ancora lo specchio e per la prima volta mi rendo conto che ne dovrò dire di cazzate per giustificarla, soprattutto con lei. Mi guardo e penso a cosa ho fatto per averla.

Ciao, sono Annalisa e sono una puttana. Tecnicamente, intendo, non così per dire. Ok, forse non sono una puttana incallita ma il senso è quello: mi sono venduta, ho dato il mio corpo in cambio di soldi. Mi era già successo, in precedenza. Anzi, diciamolo senza ipocrisie, senza far finta che certe cose si dimentichino. Mi è successo già due volte di ritrovarmi con la borsa piena di banconote dopo avere fatto sesso. Ma così mai. Non ho mai pattuito prima. Né il quanto né che ci dovesse essere un pagamento. Stavolta sì.

Mi piacerebbe dire che non so cosa sia successo. Invece lo so benissimo.

Mi piacerebbe dire che non so il perché, ma so anche quello.

Mi piacerebbe dire che sono pentita, ma in realtà non proprio. E' una sensazione strana, un po' mi faccio paura.

Sabato sera sono stata al locale in cui lavoro, una volta alla settimana, come ragazza immagine. Si tratta di ballare, farsi vedere, intrattenere i clienti, cercare di farli spendere il più possibile. Stop. E' sempre stato così le altre volte. Sì, è vero, tra noi ragazze, siamo in quattro, ce n'è una che fa la puttana, che va con i clienti. Le altre due no, sono un po' strane ma non sono di quel tipo lì. Lei invece dire che arrotonda è poco. Anzi, viste le sue tariffe si può proprio dire che il suo lavoro sia quello. Non mi piace, Tina, e non solo perché è una troia. Non mi piace proprio a pelle. E non mi piace nemmeno Arma, il capo, al quale non dispiacerebbe per niente che la mignotta la facessi pure io, o Olivia, o Pam. In fondo saremmo una attrazione in più per il locale, no? Una bella squadra di troie take away. Comunque né Tina né Arma in questa storia c'entrano niente.

Me lo sentivo che non sarebbe stata una serata normale. Non sapevo bene cosa sarebbe successo ma me lo sentivo. Se passi una settimana da nevrastenica come l'avevo passata io è facile che poi le cose non vadano come sempre.

Dal lunedì mattina al venerdì notte ero rimasta in attesa di un messaggio di Giancarlo. Che cretina che sono. "Ti chiamo presto", mi aveva detto. E io ci avevo pure creduto. E, avendoci creduto, non era passata ora di quella settimana in cui non avessi dato un'occhiata al telefono. E non dico ogni volta che lo facevo, ma spesso, ripensavo al suo dito che mi frugava dentro mentre diceva ai suoi amici "lo sapevo che non portava le mutandine, come la volta che l'ho conosciuta".

Comunque, Giancarlo non si era fatto vivo e io ero sostanzialmente impazzita. Non so perché mi mandi fuori di testa così. E' più di un uomo adulto, fatto e finito. E' proprio un oggetto proibito del desiderio. Non ha praticamente mai permesso che lo toccassi ma, ogni volta che si fa vivo, è come se mi portasse via un pezzo di cervello.

Non sono stata fortunatissima con il parcheggio, ma quando sono scesa dalla macchina mi sentivo ugualmente potentissima. Un paio di ore prima erano passati da me Johnny e Serena. "Johnny, c'è una mia amica che sta un po' giù e vorrebbe farsi un paio di strisce per stasera...". "Un'amica, eh?". Non credo che l'abbiano bevuta, Serena mi ha pure lanciato un'occhiata strana". In fin dei conti, perché qualcuno dovrebbe venire a chiedere della roba proprio a me? Ma sticazzi, in fondo. Non era nemmeno tanta, un paio di botte. La prima me la sono fatta proprio prima di uscire di casa e vi assicuro che la mia disposizione d'animo era cambiata da così a così. Di certo quella sera non sarei stata sotto a nessuno.

E in effetti almeno all'inizio le cose sono andate lisce, più o meno. Giusto qualche intoppo, diciamo così, professionale. Ero un po' troppo esaltata per essere, come raccomanda sempre Arma, gentile e disponibile con tutti. Per esempio ho sostanzialmente sfanculato un mezzo bavoso di una cinquantina d'anni che dopo avermi offerto da bere mi aveva chiesto (non ricordo le parole precise) "se prendo un privè per noi due cosa mi debbo aspettare?". "Cosa è, serata cringe?", gli ho risposto. Non ha capito, mi sono messa a ridere e me ne sono andata. Che io sappia, non ha protestato. Qualcuno ha invece lo ha fatto per un altro paio di cosette, nulla che non si potesse risolvere con delle scuse o con l'intervento di un cameriere ma, diciamo la verità, sarebbe stato meglio evitare. Un cliente si è lamentato perché dopo avergli detto "torno subito" lo avevo mollato per un altro che mi pareva più interessante. Ad altri che non sapevo proprio chi fossero ho urtato il tavolino facendo un casino che la metà basta e avanza con i loro bicchieri ancora quasi pieni. Arma non mi ha nemmeno rimproverata più di tanto: "Che c'hai stasera?". "Ho avuto l'influenza, sono ancora un po' giù". Chissenefrega, ho pensato. Immediatamente dopo mi sono detta che era il caso di andarmi a fare un altro paio di strisce. E beh, non c'è che dire, ti tira proprio su. Pure troppo.

Ho avuto subito una forte sensazione di fame. No, il cibo non c'entra. Intendo fame di sesso. Con Stefania, appena una settimana prima, era stato fantastico, ma io e lei ci vogliamo troppo bene per non scivolare nel gioco, nelle confidenze, nelle romanticherie, nelle cose che ti potresti aspettare da una coppia. Non avrei voluto quel tipo di sesso allegro e giocoso. Mi era venuta proprio voglia di essere sbattuta per bene e senza tanti scrupoli. Chiaramente con questa voglia avrei dovuto conviverci per tutta la sera, ho pensato, però mi sono sentita davvero accesa. E per la prima volta lì dentro - a parte l'episodio con Giancarlo - ho rischiato di fare il patatrac.

E' stato quando sono stata quasi bloccata da un ragazzo, obiettivamente un bel tipo, che mi ha chiesto di fargli compagnia al bar. Non capivo cosa volesse, lo avevo già notato e lo avevo già depennato. Era lì con un gruppo di amici, ragazzi e ragazze, chiaramente autosufficienti. Non avevano bisogno né di me né delle mie colleghe. Lui tra l'altro era con una che sembrava proprio una fidanzata o giù di lì. La sua richiesta mi ha colta di sorpresa, è vero, ma mi sentivo capace di dominare il mondo, figuriamoci lui.

E' un dentista in erba ma fortunato, Enrico, nel senso che lo studio del padre lo aspettava praticamente da quando era nato. Aveva l'aria di essere un po' farfallone, ma forse non lo era. Ed era anche incuriosito dal fatto che una come me lavorasse lì dentro. Quando gli dissi che per certe spese personali i soldi non mi facevano schifo credo che abbia capito male. Per me era solo una risposta standard, la verità è che non lo so nemmeno io perché ho accettato di lavorare nel locale di Arma.

- Ma cosa fate in particolare? - ha domandato.

- Beh, balliamo, tiriamo su il tono del locale, no? Ahahahah.... scherzo, cioè no, anche quello... se a qualcuno va di ballare o di avere un po' di compagnia, fare due chiacchiere. E' ciò che sto facendo con te, più o meno.

- Anche sedersi ai tavoli? Metti che qualcuno ti voglia esibire per fare colpo su... boh, un amico, un cliente...

- E beh, sì, anche... - ho risposto.

- E cos'altro fate per mettere a loro agio i clienti?

- Queste cose qui, te l'ho detto. Non è che c'è molto altro da fare, è un lavoro facile... tu che pensavi?

- Dai che l'hai capito cosa pensavo...

Per una strana congiunzione astrale, era esattamente quello che desideravo. Un'allusione molto volgare da parte di una persona non volgare. Qualcosa che mi suonasse come "non lo chiederei a nessun'altra, lo chiedo a te perché è evidente che fai la cagna qui dentro". O la puttanella, come mi chiamava Giancarlo.

- Lo vuoi sapere per curiosità personale, vero? - ho contrattaccato - non sei qui con la tua ragazza?

- A lei piace ballare - ha risposto volgendo lo sguardo verso la gente che si dimenava una decina di metri più in là - a me non particolarmente, ho un'altra idea di divertimento.

- Penso di avere capito quale - ho sorriso.

- Se te lo chiedessi? Se per esempio ti chiedessi un pompino? Chissà quante volte ti sarà capitato...

Mi sono sentita quasi in apnea, ero eccitatissima. Per un istante ho preso anche in considerazione la proposta, confesso. In realtà a farmi sbroccare non era tanto l'idea di tirarglielo fuori dai suoi eleganti pantaloni grigi Principe di Galles, per quello avrei potuto anche aspettare. Stavo andando fuori di testa perché, senza che io gliene avessi dato motivo, aveva cominciato a darmi della troia. Perché pensava che lo fossi davvero. Avrei voluto non avere messo il reggiseno sotto il mio vestitino nero, avrebbe certamente notato la reazione dei miei capezzoli. Avrei anche voluto che fossimo seduti, per accavallare le gambe e fargli vedere che avevo le autoreggenti. A guardarlo meglio, non era davvero male. Pure belle spalle, di chi ha fatto dello sport, più che palestra. Un tipico figlio dei quartieri fighi un po' viziato e un po' sbruffone, ma tutto sommato privo di cattiveria.

- Qui no di certo - ho risposto con un sorrisino ironico - ma ho un numero di telefono e... una certa predisposizione per gli apericena.

- Ho fatto una gaffe, scusa... - ha sorriso anche lui senza apparire per nulla contrito - la cosa vale anche se ho una ragazza?

- Pensi che sia gelosa?

- Tu non ce l'hai un ragazzo?

- Vuoi per caso chiedergli il permesso?

Ho aggiunto un divertito "sai che sei proprio un bel figlio di puttana?" prima di dargli il mio contatto. Cosa che in teoria, e anche in pratica, non è assolutamente consigliabile fare con i clienti. Ma si trattava di un caso diverso. Ha promesso che mi avrebbe chiamata in settimana. Ho rinunciato a rispondergli che l'ultima volta che me l'avevano detto non era andata benissimo. Gli ho fatto solo "ok, vedremo, ma senza impegno, eh?". L'ho salutato con un ultimo sorriso, come un cliente qualsiasi. Male che andasse, avevo rimediato qualcuno che mi facesse l'igiene dentale.

Avevo bisogno di una sigaretta. Sono andata da Olivia e le ho detto che mi prendevo una pausa di cinque minuti. Mi ha chiesto "cos'hai?". "Nulla, perché? Voglio solo farmi una sigaretta". Però mi sono domandata cosa abbia visto di strano in me.

Stavo per rientrare quando si sono avvicinati due ragazzi. Un cristone nero e il suo amico, bianco. Non piccoletto, ma in confronto all’altro chiunque avrebbe fatto la figura del piccoletto. Per la verità erano incuriositi dal locale, non sapevano se entrare. E' stato il bianco a parlare, chiedendo che tipo di posto fosse. "Un club, si beve, si balla", ho risposto. Aveva un accento inglese, o americano. "Ti aspetta qualcuno dentro?". "Io ci lavoro, qui dentro". Il bianco ha tradotto, l'amico ha risposto "non può essere un brutto posto". Erano americani. Wesley, il gigante, e JJ. Mi hanno chiesto anche loro quale fosse il mio lavoro e gliel'ho spiegato. "Quindi possiamo passare la serata con te? Bere, ballare... e...". "Bere e ballare, anche parlare volendo", ho riso incantando Wesley, entusiasta di parlare in inglese.

Dei due, quello che vive in Italia è JJ. Studia all'università americana che sta a Trastevere. Ne ho dedotto che deve essere un somaro. Ci insegna il mio tutor di inglese, in quella università, mi ha spiegato molte cose. Wesley invece è venuto a trovarlo per le vacanze di Natale. Ha una ragione per essere così alto e piazzato. Il padre, mi ha detto è stato un giocatore della Nba. Questo più o meno quello che mi hanno detto di loro. In compenso erano molto simpatici, apparentemente due cazzoni dotati di senso dell'umorismo e anche un po' ingenui. Ma a soldi stanno bene, anche se non avrei mai immaginato cosa mi avrebbero domandato dopo che ci eravamo scolati un paio di shot a testa di vodka. Poiché avevo visto liberarsi un privè prima del previsto gli ho chiesto se volevano prenderlo. Gli ho spiegato il suo uso ufficiale. Non, per esempio, quello che ogni tanto ci fa Tina. Volevo semplicemente farli bere e divertirmi un po' alle loro spalle.

Wesley mi ha ribattezzata Blondie, troppo difficile pronunciare Annalisa. JJ si è adeguato, io non ho avuto nulla da obiettare. Da quel momento in poi i Blondie si sono sprecati. Soprattutto a sproposito, come quando mi hanno chiesto di alzare le chiappe e portare loro altro da bere. "Non sono la cameriera, Wes, sono una che cerca di mettervi a vostro agio". Loro però avevano una idea del tutto particolare di cosa significasse mettersi a proprio agio.

- Non sai dove si possa trovare qualcosa di più... forte? – ha domandato JJ.

L’ho guardato interrogativa, lui ha fatto il gesto di tirare su con il naso. Ho risposto no, d'istinto. Poi ci ho pensato meglio. "Posso fare un tentativo, devo fare una telefonata", ho detto. Mi sono alzata per andare a recuperare il telefono, la mano di Wesley mi ha raggiunta con uno schiaffetto sul sedere. Era la prima volta che uno dei due mi toccava. Mi sono voltata con un sorriso di rimprovero, ma in realtà mi era piaciuta la sua, diciamo così, confidenza. A parte una montatura degli occhiali davvero orribile, era il più bello dei due. Non bellissimo, ma mi sovrastava. Mi intimidiva, quasi. Mi faceva cadere ogni difesa.

Ho mandato un messaggio a Johnny. Era passata l'una. Difficile che dormisse, il rischio piuttosto era che lui e Serena stessero scopando e non sentisse l'alert. Invece ha richiamato quasi subito. "Ho due clienti che cercano", gli ho detto. E gli ho detto anche che erano disposti a spendere fino a 300-400 euro. "La madonna, che devono fare, un binge?". "Non ne ho idea". L’ho atteso sul marciapiede, fingendo di essere uscita a fumare un'altra sigaretta. Wesley e JJ mi aspettavano dentro, avevano voluto festeggiare la notizia con l'ennesimo giro di shot e con una bottiglia di Tanqueray. Cominciavo a essere un po' brilla.

Johnny si è presentato con Serena, sono entrambi scesi dalla macchina. Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma ho chiarito con loro che io non ci guadagnavo nulla, era solo un favore fatto a due americani in cerca di emozioni forti. Serena mi ha detto "sei strafiga stasera" e mi ha baciata. Sapeva di sperma e in quel momento l’ho desiderata tanto. Anzi, per un momento ho desiderato proprio che mi portassero via con loro. L’ho trattenuta nel bacio un po' a lungo, le ho sussurrato "così mi fai venire voglia". Mi ha risposto "ho un bel po' di idee...". Quando li ho salutati ero di nuovo eccitata.

Wes e JJ non hanno perso tempo, hanno steso un po' di strisce e me l’hanno offerta. L’ho sentita salire dopo un po', la stanchezza è scomparsa lasciando il posto all'euforia. Abbiamo cazzeggiato moltissimo e, in modo poco professionale, li ho anche assecondati nel bere.

Non hanno voluto ballare. O meglio, hanno voluto farlo con me, ma lì dentro, come se fosse un gioco. Che piano piano è diventato qualcosa di più, finché mi sono ritrovata stretta tra i loro corpi, a muoverci in sincronia. Nulla più di questo, ma davvero sensuale. Era un po' come se la loro forza, la loro sicurezza e esuberanza si trasferissero a me e viceversa. Se qualcuno ci avesse osservato avrebbe detto che non stavo facendo molto di più del mio lavoro. Forse avevo giusto oltrepassato di un po' il confine, ma non tanto. In quel momento però al lavoro non ci pensavo. Volevo essere corteggiata, ammirata, desiderata. Non come una ragazza del locale ma come Annalisa. Quella che esattamente una settimana prima era stata rimbalzata da Giancarlo, che si era illusa.

Seduta di fronte a Wes, a finire i nostri gin tonic, non mi sono accorta di JJ che mi era venuto alle spalle. Ha infilato le mani dentro la scollatura del vestito e dentro il reggiseno. Non sono riuscita a reprimere un gemito di piacere, non l'ho nemmeno voluto fare. Anzi l'ho quasi ostentato, fissando Wes di fronte a me. Non mi dispiacevano per nulla le mani di JJ, ma avrei tanto voluto dirgli "perché non ci hai pensato tu?". Wes sorrideva guardandomi fremere, mentre l'amico spadroneggiava con le mie tette e mi passava la lingua sul collo. Mi ci è voluto un po' di tempo prima di fermarlo e dirgli "no, non si può".

- Sarebbe bello passare la notte tutti e tre insieme – ha detto JJ dandomi un'ultima strizzata ai capezzoli - quando chiudete qui?

- Non manca molto - ho risposto indecisa - non è un posto che chiude all'alba. Ma io poi devo andare.

- Abbiamo la medicina, da me abbiamo anche da bere... - ha insistito JJ.

- No, davvero, non posso...

- Qualcuno ti aspetta a casa?

- No, non è quello, è che... - non sapevo nemmeno cosa dire.

Wesley mi ha presa e mi ha fatta sedere sulle sue ginocchia. Mi ha messo una mano sulla coscia. Gli ho tolto per un momento gli occhiali e gli ho detto "stai molto meglio senza, sai?". Effettivamente era vero, mi piaceva molto. Mi sarebbe piaciuto anche che avesse infilato la mano tra le mie gambe, anziché tenerla lì.

- Non c'è un regalo che vorresti?

- Non sono una puttana - ho risposto ridendo. La sua domanda era esplicita, anche se edulcorata. Ma non me la sono presa per nulla.

- Non ho detto questo - mi ha risposto Wes - ho chiesto solo se c'è un regalo che ti piacerebbe.

- Sì, ma costa troppo ahahahahah...

- Fammelo vedere - mi ha detto porgendomi il suo telefono.

A casa di JJ ci siamo andati con la mia macchina, abita praticamente tra il lungotevere e via Giulia. Forse una delle residenze dell’università, non ho domandato. Le ragazze non mi avevano vista andare via con loro, ma Arma sì. Mi ha guardata senza fare una piega, a me sono tornate in mente le sue parole quando cercava di convincermi ad accettare il lavoro che mi offriva: “Qui dentro una come te diventa milionaria”.

La prima cosa che ha fatto Wes, una volta a casa, è stata stendere altre tre striscette mentre JJ tirava fuori le birre dal frigo. Eravamo tutti molto allegri. JJ si è messo a canticchiare qualcosa, coinvolgendomi in una danza improvvisata. Non saprei nemmeno dire come il mio vestito sia scivolato per terra. Però ridevo e a un certo punto sono anche rimasta a ballare seminuda per loro. Mi sembrava tutto assolutamente normale. Wes mi ha fatto vedere i soldi prima di mettermeli in borsa. “Sono per il tuo regalo, io non saprei dove comprarlo”. Solo in quel momento mi sono sentita davvero una puttana, ho avvertito il colpo. Nonostante i loro tentativi di minimizzare quello che stavo facendo, ero una mercenaria. Non vendevo solo il mio corpo, stavo vendendo anche le mie voglie, visto che con JJ magari mi sarei moderata, ma Wes me lo sarei fatto anche gratis.

Però in quel momento mi sono detta che sarei stata realmente in grado di dominarla, quella sensazione. Sentivo che sarei stata capace di gettarla alle spalle, scrollarmela di dosso, non pensarci. Ed è stato esattamente ciò che ho fatto, anche se quanto volontariamente o per merito della roba non saprei.

Wes è stato il primo a parlare, a rompere quella specie di momento sospeso.

- Io amo i pompini, Blondie - ha detto guardandomi in modo furbastro.

JJ è esploso in una clamorosa risata, io stessa mi sono messa a ridere. Mancava poco che mi dicessi "beh, ma se è così facile...".

- Non te l'hanno mai fatto un pompino, Wes - mi sono avvicinata sorridendo.

Si è tolto scarpe, pantaloni e mutande. E per fortuna anche gli occhiali. Calippo maxi, decisamente. Quando mi sono inginocchiata tra le sue gambe è come se fosse scomparso tutto. Il loro considerarmi una puttana, l'ipocrisia del regalo, gli stessi soldi. Mi andava, mi andava terribilmente. Sentivo il bisogno quasi fisico di accoglierlo nella mia bocca e, allo stesso tempo, quello mentale di condurre il suo piacere. E' cominciata così ed è andata avanti ben oltre l'alba, quando le strisce sono finite e anche le nostre forze. Wes mi ha fatto ricordare come ci si possa sentire allargata da un cazzo di quelle dimensioni. L'uccello e le dita di JJ si sono presi tutto, anche il culo. C’è stato un momento in cui Wes ha esclamato stravolto “che bellissima puttana che sei”. C’è stato un momento in cui ho pensato che si sarebbe voluti togliere lo sfizio da video porno della doppia penetrazione e che mi avrebbero scopata davanti e dietro insieme. C’è stato un momento in cui mi sono chiesta come avrei fatto a sopportare la sodomia di Wes e del suo arnese. Ma questi estremi non ci sono stati. E’ stata a tratti una cosa molto hard ma mi è piaciuta. Ho goduto e urlato, li ho maledetti e li ho amati. Non hanno mai pensato solo a loro nonostante mi avessero pagata per farmi sbattere. Sono stati gentili e rispettosi quando, molto tardi nella mattinata, mi hanno detto che stavano uscendo ma che avrei potuto restare lì quanto volevo, fare ciò che volevo. In realtà me ne sono andata poco dopo di loro, portandomi appresso la mia scia di doloretti. E anche i soldi. Avevo il telefono con due chiamate di mamma, tre di Serena e una ciascuna di Lapo e Adriano. Chissà cosa cazzo vuole Adriano, mi sono detta. Cioè, lo immaginavo cosa volesse, era strano che mi avesse cercata di sabato notte. Mi sono messa a ridere. Avrei richiamato, avrebbero richiamato. Avevo solo voglia di fare una doccia e stendermi.

Adesso però mi osservo nello specchio e mi piaccio. Non mi sembra di essere tanto diversa dal solito. Forse il mio solito è davvero essere una mignotta e lo scopro solo adesso. Forse mi piace. Come mi piace questa minigonna sulla quale non smetto di passare le mani. E’ stato tutto così facile, penso. E’ bastato un po’ di alcol, è bastata un po’ di roba. Chissà quanti capricci potrei soddisfare.

Sì, mi faccio davvero un po’ paura.


CONTINUA

scritto il
2021-07-09
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