Surfin' - 8

di
genere
etero

Gretchen capirà, e nel caso non capisse leggerà il mio wa sul telefono. Le avevo detto che sarei passata a prenderla alla fine della lezione e che saremmo tornate insieme all'ostello, ma non ce la faccio. Mi sento distrutta e ho un assoluto bisogno di farmi una doccia, chiudere gli occhi per almeno un paio d'ore e, nel mezzo, masturbarmi. Troppe cose succedono, troppe. Nell'impossibilità di trovare qualcuno che mi metta a posto, dovrò pensarci da sola.

Non si dorme bene in due in un letto singolo, ma per la seconda notte di fila io e lei l'abbiamo fatto. L'ho lasciata lì stamattina, prima di uscire. L'ultimo bacio e l'ultima passata di lingua sulle labbra. Il bacio su quelle di sopra, la lingua su quelle di sotto, veloce e beffarda. Uno scherzo, non una richiesta. Eppure avrebbe ricominciato, la troia. Era evidente da come ha mosso le gambe, dal gemito che ha fatto quando l'ho lappata, da come ha allungato la mano sorridendo e cercando ti trattenermi. "E' tardi, non riesco nemmeno a fare colazione", le ho sussurrato prima del goodbye kiss.

Sarei rimasta. O forse no, non lo so dire. La notte è stata bella, soprattutto dal punto di vista mentale. Cioè, mi è piaciuto scopare con Gretchen, farla godere dolcemente tra le mie braccia. E' stato però anche meglio, prima, condurla per mano, quasi insegnarle a riversare su di me lo stesso piacere che io davo a lei. Mi sono sentita potente, ma per la verità non è stato difficile, ha esitato poco. Se ci ripenso mi scappa anche da ridere: onestamente non mi aspettavo che avrebbe risposto “yes, I’m a shitty lesbian” prima di rituffarsi a leccarmela. Il senso dell’umorismo non le manca, devo riconoscerlo.

Mi sento un po’ ingenerosa a dire che Gretchen non mi basta. Tuttavia desidero altro. O meglio, desidero anche altro. Oggi non so nemmeno dare un nome o un volto a questo desiderio. E' come una febbre, è come se volessi tutto, sono un filo dell’alta tensione. Ci pensavo nel viaggio verso la spiaggia, ci pensavo mentre guardavo la figlia del German daddy parlare con il nostro istruttore, Patrick. Che fisici pazzeschi, mi sono detta. A differenza di Patrick, la ragazza è davvero bella anche nei lineamenti del viso, attraente nel suo atteggiamento quasi sempre imbronciato, annoiato. E quando dico “attraente” uso un eufemismo pesante. Se in quel momento avessi dovuto dare due nomi alle mie voglie avrei dato i loro, Patrick e Schatzi. O almeno così la chiamano, il suo vero nome non lo so.

Vi va di sentire una bugia? Durante la mattinata i miei pensieri su Gretchen, Patrick, Schatzi hanno indirizzato i miei comportamenti inconsapevolmente verso la modalità “zoccola”. Invece no, “inconsapevolmente” manco per il cazzo, lo so benissimo cosa ho fatto e me ne rendevo conto mentre lo facevo. E poiché con la tedesca ho capito da quel dì che non ho speranze, ho puntato Patrick. Non da “teaser”, credetemi, proprio da zoccoletta invaghita. A cominciare dalle pose oscene che gli ho sciorinato davanti durante lo stretching fino alla lagna “oggi è un disastro non ho fatto colazione” pur di farmi consolare da lui. Fino a chiedere in modo ossessivo e piagnucoloso il suo intervento su ogni cosa: fammi vedere meglio, dimmi come devo stare, correggi la mia postura. Cioè mettimi proprio le mani addosso. In pratica, la stessa cosa che gli ho chiesto di fare a lezione finita, lamentandomi di non riuscire a togliermi la muta. L’ha fatto, è stato carino. Se fossi stata al posto suo mi sarei annegata da sola per la noia di avere a che fare con una gatta morta come me. Eh sì, le gatte morte le odio, ma le so imitare benissimo. Patrick mi ha dato però poca soddisfazione, perché in pubblico fa quello serio e professionale. Ma sbaglia a farlo con me. Come se non sapessi che insieme a Felipe, un altro istruttore, si è bombato Gretchen a Capodanno.

E’ andata meglio con Patrick che con la tedeschina, comunque. Non so spiegare bene cosa mi provoca quella ragazza ma, qualunque cosa sia, me la provoca ogni volta che si toglie la muta e resta in costume. Ogni volta. Rimango imbambolata a guardarla. Sfortunatamente ignora, credo che faccia finta di ignorare, i miei sguardi. E’ successo sin dal primo giorno, tutti i giorni. Impossibile che non mi abbia mai notata. Sto seriamente cominciando a pensare che la voglia di trasformare in una vacanza da troia, qui a Corralejo, quella che doveva essere una cosa mooolto più tranquilla me l’abbia scatenata lei con la sua presenza, con la sua indifferenza.

Dopo la lezione mi sono fermata a riscaldarmi al sole, al bar della spiaggia. Qui non ci siamo mai state. Di solito con Gretchen andavamo a mangiucchiare in un altro posto sulla spiaggia perché è ghiotta di nachos e lì sono una specie di consumazione obbligata. Poiché i nostri corsi ora sono separati e io ho una fame che mi si porta via, resto qui, visto che sembrano essere veloci e abbondanti nelle porzioni.

Va bene, lo confesso, è vero che ho fame ma il motivo principale non è questo. Resto qui perché è il posto dove si fermano a mangiare e a riscaldarsi quelli che surfano con me. E infatti pochi metri più in là vedo di nuovo la ragazza tedesca, è seduta a mangiare con il padre. Io non capisco proprio come non si rendano conto. Lo so che sembra ridicolo detto da me, ma sono osceni. Tutto nei gesti, nella postura, nel body language della ragazza, evidenzia un atteggiamento non proprio filiale. Nulla di eccessivo o di artefatto, anzi le viene estremamente naturale ma proprio per questo scandaloso. E ancora più scandaloso è il padre, che la asseconda, lascia fare perché non se ne accorge. Oddio, almeno lo spero, nemmeno lui è un santo. Il modo in cui ha tradito la moglie portandosi Gretchen in un albergo non testimonia certo della sua natura integerrima. Va bene che la mia amica aussie gliel'ha sventolata in faccia, però...

Io tuttavia non sono qui per la ragazza. Sono arrivata prima di loro, non avevo nemmeno idea che lei e il padre sarebbero venuti qui. Sono qui perché questo è anche il posto dove in genere si fermano gli istruttori, anche se per il momento non vedo nessuno e probabilmente ho fatto un buco nell'acqua.

- A guardarti sembra impossibile che mangi così...

L'accento francese di Patrick alle mie spalle mi fa sobbalzare. Ok, non ho fatto un buco nell'acqua. Mi volto, è alle mie spalle in piedi con un barattolo in mano. Sorriso ironico e quasi strafottente, gli occhi fissi sul mio piatto spazzolato: uova fritte, salsicce, pomodori e fagioli. In verità sarebbe una colazione, ma se lo mangiassi appena alzata ci potrei anche morire. Adesso mi sembra addirittura poco.

Io invece osservo bene il mio istruttore, in un modo e per un lasso di tempo che qualcuno potrebbe giudicare sconveniente. E' in pieno sole, con i capelli ancora arricciati dall'acqua e dal sale, una larga t-shirt della scuola di surf, un costume di quelli lunghi quasi al ginocchio, verde fluo. Sarà che sto come sto, sarà che so cosa cela quella maglietta, ma vorrei avere accanto a me qualsiasi ragazza e qualsiasi donna della spiaggia, e non solo della spiaggia, per domandarle "sii sincera, come fai a non pensare di fartelo uno così, come fai a non pensare di farti stendere da qualche parte e dirgli adesso fammi tutto il cazzo che ti pare?".

- Te l'ho detto che non ho avuto il mio breakfast stamattina. E poi non sono una che mangia poco - rispondo con un tono di voce neutro. Direi che basta il mio sorrisino a dirgli che mi fa piacere rivederlo.

Le sedie al mio tavolino sono tutte libere, le ignora con un distacco dichiarato, direi quasi ostentato, per sedersi a quello accanto. Butta giù un sorso del suo energy drink, lo imito bevendo il mio. Guarda il mare, lo guardo anch’io: la giornata è uno spettacolo, luminosa, la più calda da quando sono qui. Ma poi torno a posare lo sguardo su di lui. Più che toccarlo vorrei esserne toccata, la voglia è identica a quella che avevo prima. Anche la pulsazione lo è. E' solo un attimo ma invidio fortemente Gretchen: non vorrei, ma non posso fare a meno di chiedermi come deve essere stato farsi prendere da lui e da Felipe che, detto per inciso, è anche più figo, più bello.

- Stai meglio adesso? - domanda - stamattina eri molto strana...

Mi fissa, lo so che non allude alle mie performance surfistiche, è un non-detto abbastanza evidente. Ma io faccio lo stesso la finta tonta.

- Strana perché?

- Lo sai - mi fa eludendo la mia domanda e continuando a fissarmi.

Se da una parte il suo sguardo e il suo tono di voce contribuiscono a farmi squagliare definitivamente, dall'altra mi spingono a pensare che forse è meglio mettere le carte in tavola. Beh, oddio, "pensare" è un po' eccessivo, non sono poi così lucida per pensare. Diciamo che agisco di impulso senza calcolare le possibili conseguenze. C'è una lunga fila di secondi in cui gli restituisco lo sguardo, recuperando a mia volta da chissà dove un po' di ironia nel mio sorriso.

- Patrick, se ti chiedo una cosa mi prometti che rispondi con sincerità? - gli dico.

- Dipende...

- A te piace solo Gretchen?

C'è un nuovo, lungo, intervallo di secondi in cui i nostri occhi si puntano. Patrick fa una smorfia, sogghigna, poi fa qualcosa che non mi aspetto assolutamente: si alza e se ne va senza dire una parola, lasciandomi interdetta. Ho giocato, ho perso, penso. E lo penso anche con una certa stizza. Mi rimetto ad osservare la ragazza tedesca con il padre. Nello sguardo di lei c'è qualcosa di torbido, come fa l'uomo a non accorgersene? Non sono io a vedere cose che non esistono, ne sono certa. E' vero però che da qualche giorno sto esagerando. In pensieri, parole e opere.

Seguendo le mie associazioni mentali passo in rassegna la follia fatta con il portoghese sulla barca e risento la sua voce ansimante che mi dà della puttana mentre ho appena finito di ingoiare il suo sperma. Il flirt silenzioso e sfacciato con Erik, il ragazzo danese, sulla terrazza dell'ostello. E poi la festa di Capodanno: il pompino fatto a quel ragazzino venuto troppo in fretta, Thiago che mi incula chiedendomi se mi piace e io che addirittura gli rispondo di sì e gli dico di non fermarsi. E il giorno dopo ancora Erik, che un attimo dopo essersi scaricato dentro di me si è già rivestito per ritornare dalla sua fidanzata. Gretchen che stanotte si lasciava leccare via il mio succo dal viso mentre la scopavo con le dita. Tutto di nuovo come prima, la solita troia. Forse anche peggio. Non mi ero ripromessa di starmene tranquilla?

Ancora una volta la voce di Patrick alle mie spalle mi fa sobbalzare. Una sola parola: "Seguimi". I pensieri dietro ai quali correvo, cominciando ad eccitarmi, scompaiono. Mi alzo e lo seguo, cammina rapido davanti a me. Adesso sì che sono in tumulto, mi muovo come un robot. Mi arresto solo quando lo vedo guardarsi intorno e fermarsi davanti alla porta di un capanno. La apre, si volta e mi fa cenno di entrare. Mi affretto, richiude la porta. E’ il posto dove tengono le tavole da surf. Pochi secondi di attesa per guardarmi intorno, tempo sospeso. Fa un passo verso di me, faccio un passo verso di lui. Nell’istante preciso in cui mi fermo sento distintamente la mia schiusa. Mi cinge, mi bacia. Un bacio diretto, senza esitazioni delle quali né io né lui sentiamo la necessità. Ci stacchiamo, prendiamo fiato, ci baciamo ancora. Ben presto le sue mani cominciano a viaggiare sul mio corpo. Schiena, sedere, tette. Mi tiene schiacciata contro di lui, contro quel corpo che ho radiografato abbondantemente. Mi sembra di essere appiccicata a un muro per quanto è tosto. Poi mi cerca e mi trova dentro i pantaloni della tuta, nemmeno indugia sopra il costume, si insinua subito dentro. Non sono sorpresa né impreparata. Se ne accorge, penso, perché mi riserva un insulto beffardo nella sua lingua: “salope”, più altre cose che non capisco. Gli sussurro “oui” appena prima che mi infilzi con un dito e subito dopo con un altro. Per un attimo vado via di testa, mi cedono le gambe e gli guaisco in bocca tenendogli la faccia ferma con le mani.

Nonostante tutto non ho un piano, una voglia precisa. Visto il modo improvviso in cui mi ha invasa, credo che mi lascerei sbattere in piedi come una troia di strada. Ma nei miei pensieri fanno irruzione le parole di Gretchen, il suo racconto. Nei miei occhi chiusi si definisce nettamente l'immagine di Felipe che la prende con la sua bestia sovradimensionata e lei che non riesce nemmeno a urlare perché ha in bocca quella di Patrick. Mi libero dalla scopata digitale ritrovandomi in ginocchio quasi senza rendermene conto, così come quasi senza rendermene conto gli abbasso il costume di forza, rinunciando a slacciare il cordino. Da questo momento lascio fare all’istinto, al talento, alla congenita troiaggine. Il sapore del sale sul suo cazzo, la sua voce che ripete "salope" mentre glielo inondo di saliva dopo avergli lappato i testicoli. Gnam.

La fine è già scritta: ingoio tutto guardandolo dal basso in alto, con un sorriso. Lo stesso sguardo insieme perverso e innocente con cui ho agganciato i suoi occhi prima di affondarmelo e arrivare con le labbra a toccare i suoi peli pubici. Lo stesso sorriso da zoccoletta impunita con il quale gli ho mostrato quanto del suo seme sono riuscita a trattenere in bocca, tenendogli il cazzo in mano come a dirgli “aspetta, devo finire, devo pulire per bene”. Peccato aver dovuto affrettare i tempi, ma il luogo lo imponeva. Peccato perché avrei voluto essere sensuale e provocante più a lungo, passare più a lungo le mani su quell'addome scolpito, farmi desiderare e farmi ammirare di più.

Peccato anche perché mi stava piacendo da matti. Come nei pompini più riusciti, ciò che lui può avere scambiato per generosità, se non sottomissione, è stata una avida e spontanea ricerca del mio personale piacere. Ciò che lui nella sua maschile sicumera avrà creduto essere provocati dalle sue spinte, erano i mugolii espressi dal mio personale godimento. Anche troppi e anche troppo sonori, qualcuno fuori potrebbe avere sentito. Ma non me ne frega nulla e in ogni caso non avrei potuto evitarli. Come non me ne frega nulla che lui ignori che sono stata io, secondo dopo secondo, a controllare e comandare la sua corsa verso il delirio finale, persino quando aveva la mia testa tra le mani e tirava e spingeva, tirava e spingeva. Avrà pensato che mi stava scopando la testa, ma certo, da vero maschio alfa. Che lo pensi pure, anzi ne sono felice. Io invece non pensavo a nulla, ho lasciato fare alla mia natura. Anche quando ho chiuso la partita: succhi, risucchi, affondi e colpi di lingua. Appena una quindicina di secondi dopo aver sentito il suo respiro farsi più affannato, i suoi glutei marmorei contrarsi sotto le mie mani, i suoi occhi socchiudersi. Così come, fatta eccezione per il primo spruzzo finito direttamente in gola, non posso dire di avere scelto di custodire per un po' nella mia bocca il suo premio. L'ho fatto e basta, accogliendo scarica dopo scarica l'agognato tesoro, quello che vorresti non finisse mai, mai. Mi ha guidata solo l'istinto o, se volete, l’incoscienza. Il primo pensiero, il primo gesto consapevole che ho fatto dopo averlo finito, è stato appunto quello di fargli vedere come il suo biancomangiare galleggiasse sopra la mia lingua. Richiudere, sorridere e buttare giù il succo di uomo. Lo vedi quanto sono "salope"? Perché non me lo dici ancora?

Il bocchino perfetto, se non fosse stato per il tempo tiranno sarebbe stato il bocchino perfetto. Dopo il quale ti domandi, guardando la sua faccia stravolta allo stesso modo di quella di tanti altri prima di lui, come sia possibile che non si renda conto che nei pochi minuti in cui siamo stati qui dentro sono stata io la sua padrona, la padrona di questo capanno semibuio, della spiaggia, dell'isola, del mondo intero. Di rado i maschi lo capiscono, e Patrick non fa eccezione, preferiscono illudersi di averti soggiogata, di averti imposto e dettato le loro voglie.

Adesso sì, semmai, adesso sì che dovrebbe farmi vedere chi comanda, usarmi. Adesso che la fica mi pulsa e ho quasi bisogno di essere stuprata. Sì, esatto, proprio così. Ho bisogno che la mia vagina si stringa attorno al suo cazzo per venirne sconfitta, picchiata, allargata. Ho bisogno di qualcosa di selvaggio, di essere retrocessa a oggetto di piacere. Lo imploro - “ti prego scopami” - strusciandomi il suo affare ormai quasi morbido sulla guancia. Lo so da sola che è un pio desiderio, eppure devo dirlo, lui deve sapere che sarei pronta a soddisfare qualunque richiesta. Se non posso esaudire i miei desideri devo almeno esprimerli. "Faccio tutto quello che vuoi", sussurro. Ho il costume inzuppato. Lo sento, se inspirassi a fondo potrei anche percepire il mio odore, mi basterebbe così poco per godere. Lui invece mi fa alzare, forse sa di non averne più per un po’ oppure, verosimilmente, pensa che sia pericoloso, che siamo rimasti chiusi qui dentro sin troppo. Mi fa cenno di uscire e, mentre afferro la maniglia della porta, mi da una pacca sul sedere che ingigantisce il rimpianto di non potere essere giustiziata qui, sul posto, come merito.

Esco alla luce, appena gli occhi si abituano vedo che intorno non c’è nessuno, tranne la ragazza tedesca che sente il rumore, si gira, mi osserva immobile. Faccio qualche passo verso di lei, finché non avverto alle mie spalle Patrick che esce a sua volta dal capanno. Gli occhi della ragazza passano da me a lui e poi ancora a me. So che ha capito, e se non ha proprio capito so cosa immagina. Per darle una conferma mi lecco un angolo della bocca, le sorrido sfrontata, oscena. Ma al contrario di lei sono consapevole di esserlo, voglio esserlo. E’ la mia vendetta per tutte le volte che ha ostentatamente ignorato i miei sguardi. Lei arrossisce diventando di brace, respira pesantemente un paio di volte e il suo grosso seno si muove sotto la maglietta. Dio che figa, mi dico. E mi dico anche che devo cambiarmi un’altra volta il costume.


CONTINUA


scritto il
2022-04-25
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