Ragazza immagine - 8 - Solo mia
di
Browserfast
genere
etero
Johnny ha mangiato la foglia. Non ha detto nulla, ma non è scemo, avrà capito che la Bianca che mi faccio dare da lui prima di andare al locale non è per un'altra ragazza. Secondo me l'aveva capito anche prima che gli chiedessi di non dirlo a Serena, per favore. Me l’ha detto il suo sguardo che l’aveva capito.
Me lo ripeto mentre mi rialzo e mi guardo allo specchio. E' strano, ma non ho paura. Pensavo che un po' sì, ne avrei avuta. Invece no, niente. Mi piaccio, vestita così. Quasi mi rivedo nel camerino della boutique, qualche giorno fa. A differenza di allora ho una t-shirt bianca di Etro da quasi centocinquanta euro, ma la minigonna è quella. Pelle Vuitton marrone chiaro, con i loghetti appena accennati. Sono giorni che ci passo le mani sopra, che la indossi o meno. Sono giorni che provo quasi un piacere fisico a farlo. Lo stesso piacere che provavo mentre le mani di Wes e JJ mi facevano rotolare sul letto. Sì, ho fatto la puttana per avere questa gonna, mi sono venduta a due ragazzi. E alla fine ho anche chiesto a Wes di riprendersi il cash e di comprarmela sul telefono. Sono proprio tornata a casa sua quel pomeriggio. Era solo, JJ non c'era: "Se ti ridò i soldi puoi comprarmela online?". Ero troppo distrutta per piegarmi su di lui e ringraziarlo, ma se me l’avesse chiesto forse uno sforzo l’avrei fatto. Anzi, quasi certamente. Quando ero sulla porta mi ha detto "sai che ora che vai via potrei annullare l'operazione?". "So che non lo farai", gli ho risposto.
Non l'ha fatto. Ritiro in boutique. Molto più discreto che presentarsi con quel mazzo banconote.
Mi sembra di risentire ancora le parole della commessa, passata in un attimo dal “lei” al “tu” - come in un negozio di lusso di quel tipo non si usa - quando ha visto chi era la destinataria di quell’oggetto così costoso pagato da un altro, da uno straniero. “Va bene? Sei soddisfatta?”, con quel sorriso e con quel tono indecifrabile, ma comunque un po’ irridente. Come se mi domandasse “cosa hai fatto per averla, ragazzì?”. Come se sapesse, o immaginasse. Avrà avuto quarant’anni, poteva benissimo essere un’ex modella. Poteva benissimo essere una che la sa lunga, che certe cose le capisce al volo. Anzi, secondo me lo era.
“La puoi mettere con i tacchi ma anche con gli anfibi, con o senza calze...”. E sopra? “Secondo me qualcosa di molto semplice...”. Una t-shirt bianca, ok. O anche con una camicetta nera, quella semitrasparente. Sì, ma con o senza le mutandine? Questo è il problema. Mentre me la provavo me le sono tolte, mi sono tolta tutto per la verità. La commessa avrà capito anche gli usi sconci che mi sono immaginata? Mani che si intrufolano sotto, che frugano, una voce che ti sussurra all’orecchio “quanto sei bagnata...”. La pelle che ti scivola sulle cosce e sulle natiche fino a scoprirti completamente, vestita e nuda allo stesso tempo, un blocco di carne irrigidita che risponde all’invito implicito del tuo corpo, della tua postura.
Sarebbe stato curioso, eccitante, parlare di questo con lei, no? Anche tu fai di questi pensieri? Anche a te piace farlo vestita? E cosa posso usare per pulire le macchie di sperma?
Aveva capito tutto, ci scommetto. E non mi sono vergognata per niente, anzi. Così come non mi vergogno ora, dopo avere tirato. Mi guardo e sono pronta, sono bella, sono una strafiga. E sono in vendita.
Tra le ragazze solo Olivia ha commentato il mio outfit. "Come sei bella così, sai che è anche troppo? - mi ha detto - in un posto come questo non credo che saranno in molti a capire quanta classe c'è dietro la tua semplicità". Ha usato proprio queste parole, squadrandomi e accarezzando la gonna, ammiccando di approvazione. "Forse il reggiseno me lo sarei messo...", mi ha sussurrato. "Si vede?". "mmm... un po'". "Ahahahahah... meglio, no?". "Non lo so, ne farai arrapare tanti, ma nessuno che ti meriti davvero", ha risposto enigmatica, dall'alto della sua bellezza austera, quasi respingente.
Ma se l'effetto sarà questo certo che è meglio, mi dico. E' chiaro, dovrò sapermi gestire. Non voglio fare la figura di quella zoccola di Tina, che ha il cartellino del prezzo stampato sulla fronte. Posso permettermi di accettare o rifiutare, posso addirittura permettermi di scegliere chi mi piace e chi no. Di sicuro non mi metterò mai a contrattare. Devo solo trovare il modo di far capire che attendo offerte.
Adesso che l’effetto della tirata sta salendo devo anche dire un’altra cosa. Che non solo attendo offerte, ma che spero ardentemente di riceverle. Non è solo questione di soldi. Ho voglia, ho proprio voglia che uno sconosciuto mi faccia ululare e mi dica quanto sono mignotta. Ho voglia di essere scopata e di essere sporcata. Quanto può valere tutto questo, in termini di denaro? E voi quanto sareste disposti ad offrire?
- Ammazza che gambe, biondì!
Mi volto perché so che ce l'ha con me. E poi la voce ha qualcosa di familiare, la riconosco. Magari in un altro posto no, ma qui dentro la riconosco, mi dice qualcosa. E' Gabriele, il coattone della prima sera con cui ho speso un po’ di tempo a chiacchierare, bere, ballare. Quello che a buon diritto posso considerare il mio primo "cliente". Gli sorrido istintivamente.
Come allora è in compagnia di due uomini più giovani e di una donna. Uno dei due lo riconosco, il secondo no e sono certa che l’altra volta non c’era: è un moretto ben messo, faccia da schiaffi ma carino, mi piace. Pure la donna, anche di questo sono sicura, è un'altra. In comune con quella della prima sera ha la stessa espressione tra l'assente e l'imperturbabile. Ma il mio interesse per i tre svanisce subito, io e Gabriele ci facciamo le feste come se fossimo due vecchi amici che non si vedono da tanto tempo.
- Hai continuato allora, come va sto lavoro? Fica sta gonna, hai fatto i sordi, eh?
- Ahahahah, sto lavoro va come quello di una studentessa che si fa il culo sui libri tutta la settimana e il sabato sera, invece di divertirsi...
- Se sapevo che stavi ancora qui manco lo prenotavo il privè, te pijavo e te portavo a ballà tutta la sera.
- Che te ne frega, andiamo lo stesso! - gli faccio prendendolo per mano e provando a trascinarlo verso la pista. Una parola, è come cercare di spostare un'escavatrice.
- Noooo... scherzavo - mi fa ridendo - sò troppo vecchio.
- E annamo Gabriè!
Sarà certamente l'effetto dell'additivo che ho tirato su poco fa, ma ballando e cazzeggiando con lui mi sento quasi leggera. Per un po' è davvero come se avessi incontrato un vecchio amico incastrato nelle fattezze di questo uomo adulto, massiccio, con i boccoli che gli scendono lungo il collo taurino, ridicoli per la sua età. Un coattone da sub urbia fatto e finito, camuffato dentro un vestito di pregio e la camicia bianca aperta sul petto. Più andiamo avanti, però, più mi ricordo del mio ruolo: io qui dentro ci lavoro, mica sono una cliente.
Sabato scorso, con Wes e JJ, era stato tutto molto più facile, quasi naturale. Un po' come se mi avessero rimorchiata. Non ero mica stata io a introdurre l'argomento passa-la-notte-con-noi-e-ti-facciamo-un-bel-regalo. Ma adesso? Con uno come Gabriele, per esempio, è chiaro che se aspetto che ci pensi lui sto fresca. Per lui sono una ragazzina che qui alza qualche spiccio ballando e facendo la carina con i clienti. Come faccio a fargli capire che sono una di quelle, e di studentesse ce ne saranno tante, pronte a vendersi il sabato sera perché "qualche spiccio" non basta? L'ha detto lui, fica questa minigonna. Beh, ne voglio altre, voglio di più. Voglio comprarmi cose belle, voglio mettere da parte i soldi per un viaggio, voglio non dovermi rivolgere più a Johnny per la polverina, voglio portare Serena a Venezia in un albergo a cinque stelle, voglio regalare a Stefy un coordinato da trecento euro e poi dirle "adesso vediamo come stai senza".
E quindi la domanda è: come faccio? Come si fa a saltare il fosso? A diventare una mignotta, almeno, semi-professionista? A non aspettare le offerte ma a provocarle? All'atto pratico, come si fa? Voglio dire, non è che non sappia lanciare dei segnali, eh? Non è che non sappia far capire a qualcuno "ehi, lo sai che mi piacerebbe fare roba con te?". Il problema è passare allo step successivo: farei roba con te ma ci sono dei soldi di mezzo...
Gabriele non è il mio tipo, è chiaro, ma non è nemmeno ripugnante. E' simpatico, in fondo. Potrei quasi dire che mi fido. E poi, ne ho avuto la prova sia la prima volta che stasera, è uno che per le mignotte qualche spesa la mette nel conto. Come quella specie di manichino della Rinascente che si è portato appresso qualche settimana fa. Come la finta-rossa che ora aspetta nel privè con gli altri due. Come me. E io sarò meglio, no? Molto ma molto meglio. Il fatto è che più ci penso meno mi sento leggera. E' come se avessi una cappa sopra la testa che mi spinge giù. Gabriele non capisce ma se ne accorge.
- Che c'hai biondì? Stanca?
- Ahahahah, guarda che quello che ti stanchi sei tu - gli faccio in modo completamente artificiale - però... però berrei qualcosa, è vero.
Torniamo nel privè lentamente. Come la prima volta, mi cinge per le spalle con fare quasi paterno e io faccio la brava ragazza ancora per un po'. Quando superiamo lo zig-zag dei separè la scena è in fondo quella che mi aspettavo di trovare. I due amici di Gabriele stanno pomiciando insieme, e pesantemente, la finta-rossa. Mani sulle cosce e sulle tette. E' chiaro che di lì a poco un seno finirà per saltare fuori dal vestito. E chiaro che lì a poco un paio di mutandine, posto che le abbia, saranno scavalcate. La cosa che mi colpisce di più è però l'espressione di questa ragazza un po' avanti con gli anni. Completamente neutra. Non dico che non mostri apprezzamento, figuriamoci, ma nemmeno un briciolo di partecipazione.
Sul tavolo, tra i bicchieri e un paio di bottiglie, sono apparecchiate tre strisce con una cannuccia. Mi sgancio da Gabriele e mi avvicino, mi piego.
- Posso vero? - domando senza nemmeno aspettare la risposta.
Faccio appena in tempo a intercettare una sua occhiata di disapprovazione. Sticazzi. Così comincia a farsi qualche idea diversa su di me, no? Ma quasi subito smetto di essere l'attrazione principale. Adesso la scena se la prende il terzetto. O meglio la voce di uno dei tre che fa “allora?”. Mi volto anche io mentre finisco di tirare. Ha una mano sulla zip dei suoi pantaloni e l’altra sulla nuca della finta-rossa.
- Ahò, maschi, annatece piano... - fa Gabriele. E per me, completamente all'opposto delle sue intenzioni, è come un segnale.
- Ma no, lascia... - gli sorrido indulgente portandomi la sua mano su un fianco - in fondo sto posto... è anche fatto per questo, no?
Mi guarda un po' sorpreso. Direi che non si aspettava qualcosa di così diretto. Così come non si aspettava che mi facessi quella striscia. Gli sussurro "non mi dire che non ti è mai passato per la mente", e la sua mano me la porto su una tetta, ce la stringo sopra. Dovrei stupirmi di quanto sono mignotta mentre gli sussurro ancora "non vuoi provare?" e invece no, non avverto niente.
- Fai ste cose qui dentro, biondì? - chiede con uno stupore nella voce molto ben dissimulato. Un po' mi diverte sapere che ho spiazzato uno che pensa di saperne (e probabilmente ne sa) molto più di me.
- Non con tutti, chiaramente... - gli sorrido.
- E perché con me sì? - domanda.
- Beh, tu mi sei simpatico... - rispondo facendo muovere la sua mano sul mio seno, come in un massaggio morbido.
Gabriele si sgancia e si allontana, si va a sedere su un divanetto.
- Sei molto sciolta con quelli che ti stanno simpatici... - dice con un certo sarcasmo.
- Ahahahah... sempre stata - gli faccio avvicinandomi e cercando di superare la frustrazione del suo rifiuto - e a quelli che mi stanno proprio simpatici-simpatici posso fare anche offerte speciali... oltre che immorali.
L'ultima frase la pronuncio a bassa voce, ma quello di cui davvero non mi capacito, nemmeno a posteriori, è come mi sia scappata fuori questa cosa della "offerta speciale". Agghiacciante, volgare. Molto più volgare delle parole e dei suoni che sento arrivare alle mie spalle: un "daje troia" e un mugolio. Con la coda dell'occhio vedo la donna spinta per la testa tra le gambe di uno degli amici di Gabriele. L'altro, quello ancora in piedi, quello che mi piace, ridacchia: "Capo, poi la zoccoletta ce la passi?". Sento la contrazione, una piccola eccitazione che, nonostante tutto, fino a questo momento non c'era stata mai. Sono assolutamente focalizzata su Gabriele, è vero, ma per un attimo non posso fare a meno di farmi un film sul moretto che mi si fa in piedi, faccia al muro, ringhiandomi all'orecchio che sono solo una zoccola. E questo mi eccita ancora di più, mi dà la spinta definitiva per attaccare Gabriele, accucciarmi tra le sue gambe, passargli una carezza sul pacco.
- Davvero Gabriè, non vuoi provare? - sussurro guardandolo negli occhi.
A dispetto della reazione che comincia a avere lì in mezzo, resta praticamente immobile. Non fa nulla per agevolarmi né per incoraggiarmi. Non si ritrae nemmeno, è vero. Accetta la mia mano che lo percorre leggera proprio lì, che gli slaccia la cintura. Ma resta rigido e io stessa sento che c'è qualcosa che non va. E per la prima volta stasera mi domando "ma che cazzo sto facendo?". Forse però è troppo tardi per tirarsi indietro.
- Hai finito?
La sua domanda mi arriva come uno sganassone. Alzo lo sguardo. Direi che non ha proprio la faccia di uno che si aspetta una risposta tipo “veramente non ho nemmeno cominciato”. E’ tra l’incazzato e il severo. Forse anche un po’ deluso, ma penso che abbia troppo orgoglio per manifestare la sua delusione.
- Non ti va? - domando. In realtà non so cosa pensare.
- Biondì, ma tu davero voi finì come quella? - chiede facendo un cenno con il capo.
Mi volto a guardare la finta-rossa che sta succhiando uno dei due, mentre l’altro le sta frugando sotto la gonna del vestito. Mi sembra una scena eccitante e squallida allo stesso tempo, soprattutto se penso all’espressione assente che aveva lei. Probabilmente ce l'ha anche in questo momento. Ritorno con lo sguardo agli occhi di Gabriele, che mi guarda dall'alto in basso.
- Ragazzina, smettila, piantala. Piantala proprio di fare ste stronzate, che poi le paghi tutte... Te sei in gamba, ti laurei, lascia perdere... scopa co' chi te pare e divertite, ma no così, non è cosa per te.
Resto per qualche secondo attonita. Con l’indice mi dà due colpetti sul naso, continuando a guardarmi con aria di rimprovero.
- Pure sta roba… ma che cazzo stai a fa? Credi che quanno ballavamo non si vedeva che sei fatta? E mò l’hai ripresa pure? Nun fa’ cazzate, nun fa’ cazzate! Fattelo dì da uno che è ‘scito da questa – dice dandosi lui stavolta dei colpetti sull’incavo del gomito – se te voi divertì ‘na vorta ‘gni tanto vabbene, ma nun fa’ cazzate…
Continuo ad osservarlo intontita, non so che dire e non so che fare. Ho un senso di vergogna che mi sale su nemmeno troppo vago. E anche di mortificazione, perché mi ha appena detto “non lo puoi fare, non lo sai fare”, anche se intendeva “è meglio che non lo fai”. E non si ferma qui: mi afferra la mascella con la mano, stringe e fa male, mi scuote la testa. Mi fa anche un po’ paura.
- Prometti… prometti!
- Sì… ok… promesso – balbetto senza avere consapevolezza di ciò che dico.
- Viè qua.
Si dà una manata su una gamba e mi fa salire sulle sue ginocchia. Mi stringe come se volesse consolarmi, ma in realtà continua a sussurrarmi cose che io, dopo un po’, nemmeno ascolto più. E’ difficile dire se sia merito suo o se io stessa non aspettassi altro che una scenata del genere per fermarmi. Mi divincolo, lo guardo in faccia. Gli ripeto “promesso”, poi abbasso lo sguardo. Lui ripete per l’ennesima volta “nun fa’ cazzate”. Scappo via piangendo, mi rifugio al bagno e mi chiudo dentro guardandomi allo specchio. Ripeto a me stessa, ma con uno stato d'animo completamente trasformato, "ma che cazzo sto facendo? che cazzo sto facendo???". E' un urlo silenzioso, ma è un urlo.
Mi risistemo un po' ed esco dal bagno. Con l'impulso immediato di scappare via. All'inizio non so nemmeno dove. Poi sì, ma certo: casa, casa, cuccia. Rannicchiata e a cuccia. Incrocio Olivia che mi lancia uno sguardo interrogativo, un muto "che succede?". "Me ne vado, mi sono rotta il cazzo", rispondo sbrigativa. Mi allontano a passi rapidi. Mi blocco solo perché dopo pochi metri mi rendo conto che, se davvero voglio andare via, lo stanzino dove ho lasciato borsa e giaccone è dalla parte opposta. "Lo sapevo che non reggevi, non è il posto per te...". Mi volto, è Olivia che mi ha seguita. Da come mi osserva, capisco che non è tanto il caso di fare le finte tonte. Le lancio una smorfia di laconica approvazione, lei mi fa un mezzo sorriso e mi tende la mano: "Vieni, andiamoci a fare una sigaretta di fuori, ho bisogno di una pausa anch'io".
- Non ce la posso fare... - dico appoggiata al muro proprio accanto all'ingresso dopo avere sbuffato via il primo tiro.
Olivia mi osserva in silenzio, a lungo. Fumiamo più di metà delle nostre sigarette praticamente in silenzio. Dovrei gelare qui fuori, solo con una maglietta indosso. Ma quasi non lo sento. Ogni tanto mi passa una mano consolatoria sulla spalla.
- Tutte ci vendiamo qui dentro... - dice all'improvviso - quella zoccola di Tina, quella deficiente di Pamela, anche se è troppo stupida per ammetterlo persino con se stessa... tu no, l'ho capito appena ti ho vista, tu non sei fatta per venderti. Cioè, lo puoi fare una volta - dice passando le dita sulla mia mini - e magari ne vale pure la pena... ma questa roba non è per te.
- Tu lo fai? Non ci credo! - le dico sorpresa dalla sua confessione.
- Solo in casi molto particolari - risponde.
- Che significa?
- Significa che ho gusti molto particolari.
Accompagna la sua risposta con un sorriso. Senza partecipazione emotiva, senza particolari imbarazzi. Quella che è in imbarazzo sono io, in verità. Sento di avere sbagliato tutto. E non avete idea di come possa farmi incazzare e mortificarmi al tempo stesso quando qualcuno mi fa notare un errore. E non avete nemmeno idea di come possa incazzarmi con me stessa.
- Comunque poiché tutti si vendono in un modo o nell'altro - prosegue - ti venderai anche tu, non ti preoccupare. Magari venderai la tua intelligenza, e scommetto che la pagheranno anche bene...
Non capisco cosa mi voglia dire, anche perché sono sintonizzata proprio su un'altra frequenza. Vorrei parlare, spiegarmi, giustificarmi. Lei invece è, in tutta evidenza, già oltre. Quando le dico "Olivia, io...", mi zittisce poggiandomi un dito sulle labbra. E soprattutto con gli occhi, sempre più vicini ai miei.
- ... la tua bellezza invece la regalerai a chi se la merita... e io sarò molto felice di prenderla.
Non faccio quasi in tempo a capire cosa mi ha detto che le sue labbra si poggiano sulle mie. E' come se la sorpresa spazzasse via per incanto tutta la rabbia che ho accumulato. E' persino fin troppo chiaro, adesso. come ho fatto a non capirlo prima. La sua bellezza altera, sprezzante. Con tutti, soprattutto con le altre, e mai con me. I suoi modi così placidi e, allo stesso tempo, così definitivi. Resto completamente imbambolata per i pochi attimi che dura quel bacio. E anche dopo, con la bocca socchiusa, gli occhi fissi sulle sue labbra, come se ne chiedessi un altro. Che arriva subito dopo, e stavolta è un bacio di conquista. La sua lingua che guizza sulla mia mi dà un brivido, sento la scossa sulla schiena.
- Hai la macchina?
- Sì - rispondo, anche se così su due piedi non capisco cosa c'entri.
- Non manca tanto, ti va di aspettarmi? Non mi va proprio di prendere un taxi. Con Armando ci parlo io, ti faccio pure pagare la serata.
- Non ti preoccupare, non è che...
- Shhht... perché rinunciare? Allora, mi aspetti?
E' una domanda, ma stavolta sono io a interpretarla in modo diverso. Non la prendo come una richiesta ma come un'asserzione. E' come se dopo il suo bacio fossi entrata in modalità "non so perché lo faccio". Non ho piena coscienza delle mie azioni, ma non posso nemmeno tirami indietro, non ci riesco. Annuisco, forse sussurro pure "sì, ti aspetto".
- Sono autoreggenti quelle, vero?
Annuisco ancora, anche se un'altra volta non capisco il senso della domanda. Forse in un altro momento ci sarei arrivata prima, ma adesso no.
- E le mutandine le hai? - domanda ancora Olivia.
Annuisco.
- Dammele - dice con voce piana.
- Qui? - piagnucolo combattendo contro una contrazione improvvisa, contro la sensazione netta di sentirmi schiudere laggiù.
Fa un cenno con la testa e si avvia, la seguo nel locale, fin dentro al bagno, dove un po' dobbiamo aspettare perché entrambi gli ambienti sono occupati. Non scambiamo una parola, lei mi fissa con un mezzo sorriso benevolo, io in realtà non so dove guardare. L'unico pensiero che mi attraversa la mente è "dio mio come mi sono bagnata", perché l'umido nell'intimo lo sento anche troppo bene. Mi volto verso lo specchio ma anziché dalla mia faccia un po' stravolta la mia attenzione è catturata dai miei capezzoli evidentissimi e svettanti sotto la costosa t-shirt. Incrocio il suo sguardo sorridente, puntato esattamente lì come se volesse ricordarmi "te lo dicevo che dovevi metterti il reggiseno". Entriamo quando uno dei due box si libera, io a mia volta mi libero delle mutandine, un perizoma di pizzo abbastanza minuscolo per il quale avevo immaginato ben altra sorte. Glielo consegno, lo annusa. Mi sorprende perché penso che se lo nasconderà nella scollatura, invece lo ripiega facendolo diventare un piccolo triangolino, alza la gonna del vestito rivelandomi delle culotte nere, di seta. Lo conserva lì dentro e, per un attimo, ho l'impressione che se lo asciughi direttamente sulla pelle. Non lo so se succede davvero, fatto sta che avvampo, vengo letteralmente avvolta dal calore. Olivia fa tutto questo senza cambiare espressione, mantenendo quel sorriso che potrebbe sembrare complice ma che complice non è per nulla. Sa benissimo di avermi fatta prigioniera, legata e sé. E lo so bene pure io.
- Domattina voglio svegliarmi con te... - mi dice all'orecchio.
Mi bacia un'altra volta, ma piano, passandomi la lingua sulle labbra. Così come con delicatezza passa ancora le mani sulla mia mini, la solleva, carezza le natiche. Ho la pelle d'oca, le offro la bocca e il seno, spinto contro il suo. Ho un attacco di voglia pauroso. Lei se ne accorge.
- Calma piccolina - sussurra - ho ancora un po' da lavorare. Aspettami al bar e... attenta a quando accavalli queste gambe.
Anche lo schiaffetto che mi dà sul sedere potrebbe apparire bonario e complice. In realtà è una specie di marchio, o almeno io lo avverto come tale. Mi sento confusa, disorientata e sopraffatta dal desiderio. E' stato tutto così veloce, inatteso, fuori da ogni previsione.
Mi faccio due mojito di fila. Il secondo dico a Stefano, il bartender, di farmelo con parecchio rum. Non sarebbe l'ora, ma i suoi sono speciali. "Serataccia Annalì?", chiede guardandomi. "Abbastanza, sto qui solo perché Olivia mi ha chiesto se le do un passaggio". Allontano due tipi che ci vogliono provare. Li odio, in questo momento li odio tutti, odio il tempo che non passa mai. Avrei voglia di rinchiudermi nella toilette e di tirare ancora, ma ho finito la roba. Accolgo come una liberazione l'orario di chiusura e Olivia che arriva dopo avere recuperato anche le mie cose. Andiamo. Mi cinge il fianco che non siamo ancora uscite per strada. Ho il giaccone pesante a coprirmi, fuori fa freddo, non può essere una stretta così intima, no? Possiamo, ecco, possiamo sembrare al massimo due amiche. Ma io so, lo sento, che tra quelli che ci guardano - le altre ragazze, le cameriere, i camerieri, lo stesso bartender - ce n'è almeno uno che sa, che ha capito, che pensa "Olivia ha colpito ancora". Forse più di uno. Non ho idea di chi sia ma lo so. Eppure non me ne importa nulla. Mi sento come presa in una ragnatela e non vedo l'ora di essere sbranata. Camminiamo per la strada deserta, arrivate alla macchina mi ferma, come se volesse impedirmi di andare al posto di guida. Mi sospinge piano, mi fa appoggiare la schiena allo sportello. Il suo viso si avvicina al mio con lo stesso imperturbabile sorriso che aveva prima, che ha sempre avuto.
Mi bacia, e anche stavolta è un bacio delicato. Identica a prima è la scossa che sento su per la schiena. Ma invece di pensare a ciò che avviene nella mia schiena dovrei pensare a quello che succede davanti, alla sua mano che tira giù la zip del giaccone, che lo apre completamente. L'aria fredda irrompe, i miei capezzoli protetti da un sottile strato di cotone reagiscono subito al gelo. La mano che passa sulla mia gonna prima e sulla pelle delle mie cosce poi, però, è calda. Risale su, cercandomi una tetta, stringendola, e poi ancora più su, tra i capelli. A scompigliarli, a stringerli, a fermarmi la testa in una morsa e tenermi bloccata nel suo bacio. Che adesso sì è predatore, profondo. Cerco anche io il suo seno, ma il cappotto la protegge troppo. Mentre mi saccheggia la bocca con la lingua la sua mano torna giù, stavolta senza esitazioni, dritta laggiù dove in questo momento sto vivendo davvero. La gonna si alza lasciandomi la fica scoperta, esposta, maledettamente impazzita, dannatamente bagnata. Il suo dito non fa nemmeno un po' di fatica a scivolarmi dentro, non ci mette nulla a farmi miagolare.
"Siamo in mezzo alla strada...". Olivia nemmeno mi risponde, ma fa slittare con dolcezza quel dito zuppo sul grilletto. Vengo assalita da un'onda di brividi e riesco a malapena a dire qualche sconnesso "no...", "non qui", "ti prego...", "fermati". Ma lei non si ferma. Perché non vuole fermarsi e perché sa che non lo voglio nemmeno io. Non voglio fermare le sue dita che diventano due e che ora mi infilzano sicure ed esperte, non voglio fermare il mio piacere, la mia oscenità quando apro un po' di più le gambe e mi offro a lei in modo indecente, lasciando che mi scopi sul marciapiede, celando i miei gemiti tra il bavero del cappotto e l'incavo della sua spalla.
- Olivia... no... dio... godo, così mi fai... oddio sì, sì! ve... ngooooh... aaaah... aaah...
Cedo in preda ai brividi, le tremo addosso non so per quanto. So però che se non mi sostenesse cadrei sul marciapiede. Tra la sua faccia e la mia compare d'un tratto la sua mano inzaccherata. La luce del lampione più vicino illumina i filamenti che uniscono le sue dita. Le porta alla bocca, le succhia, mi sorride ancora. Poi la sua mano gira, diventa una piccola conca.
- E' meglio se mi dai le chiavi e guido io, ok?
Tiro fuori le chiavi dalla borsa e gliele consegno, la sento salire in macchina mentre a me sembra di non riuscire nemmeno ad aprire lo sportello. Quando entro mi passa una mano sulla coscia.
- Andiamo a casa e dormiamo, sono stanca - mi sussurra - ma domattina sarai solo mia.
Quel suo "solo mia" mi esplode nel cervello. Rispondo con un piccolo gemito. L'ultima violenta contrazione, una scossa mi fa accasciare sul sedile, una scarica calda. Come pulirò la mia gonna nuova da me stessa?
FINE
Me lo ripeto mentre mi rialzo e mi guardo allo specchio. E' strano, ma non ho paura. Pensavo che un po' sì, ne avrei avuta. Invece no, niente. Mi piaccio, vestita così. Quasi mi rivedo nel camerino della boutique, qualche giorno fa. A differenza di allora ho una t-shirt bianca di Etro da quasi centocinquanta euro, ma la minigonna è quella. Pelle Vuitton marrone chiaro, con i loghetti appena accennati. Sono giorni che ci passo le mani sopra, che la indossi o meno. Sono giorni che provo quasi un piacere fisico a farlo. Lo stesso piacere che provavo mentre le mani di Wes e JJ mi facevano rotolare sul letto. Sì, ho fatto la puttana per avere questa gonna, mi sono venduta a due ragazzi. E alla fine ho anche chiesto a Wes di riprendersi il cash e di comprarmela sul telefono. Sono proprio tornata a casa sua quel pomeriggio. Era solo, JJ non c'era: "Se ti ridò i soldi puoi comprarmela online?". Ero troppo distrutta per piegarmi su di lui e ringraziarlo, ma se me l’avesse chiesto forse uno sforzo l’avrei fatto. Anzi, quasi certamente. Quando ero sulla porta mi ha detto "sai che ora che vai via potrei annullare l'operazione?". "So che non lo farai", gli ho risposto.
Non l'ha fatto. Ritiro in boutique. Molto più discreto che presentarsi con quel mazzo banconote.
Mi sembra di risentire ancora le parole della commessa, passata in un attimo dal “lei” al “tu” - come in un negozio di lusso di quel tipo non si usa - quando ha visto chi era la destinataria di quell’oggetto così costoso pagato da un altro, da uno straniero. “Va bene? Sei soddisfatta?”, con quel sorriso e con quel tono indecifrabile, ma comunque un po’ irridente. Come se mi domandasse “cosa hai fatto per averla, ragazzì?”. Come se sapesse, o immaginasse. Avrà avuto quarant’anni, poteva benissimo essere un’ex modella. Poteva benissimo essere una che la sa lunga, che certe cose le capisce al volo. Anzi, secondo me lo era.
“La puoi mettere con i tacchi ma anche con gli anfibi, con o senza calze...”. E sopra? “Secondo me qualcosa di molto semplice...”. Una t-shirt bianca, ok. O anche con una camicetta nera, quella semitrasparente. Sì, ma con o senza le mutandine? Questo è il problema. Mentre me la provavo me le sono tolte, mi sono tolta tutto per la verità. La commessa avrà capito anche gli usi sconci che mi sono immaginata? Mani che si intrufolano sotto, che frugano, una voce che ti sussurra all’orecchio “quanto sei bagnata...”. La pelle che ti scivola sulle cosce e sulle natiche fino a scoprirti completamente, vestita e nuda allo stesso tempo, un blocco di carne irrigidita che risponde all’invito implicito del tuo corpo, della tua postura.
Sarebbe stato curioso, eccitante, parlare di questo con lei, no? Anche tu fai di questi pensieri? Anche a te piace farlo vestita? E cosa posso usare per pulire le macchie di sperma?
Aveva capito tutto, ci scommetto. E non mi sono vergognata per niente, anzi. Così come non mi vergogno ora, dopo avere tirato. Mi guardo e sono pronta, sono bella, sono una strafiga. E sono in vendita.
Tra le ragazze solo Olivia ha commentato il mio outfit. "Come sei bella così, sai che è anche troppo? - mi ha detto - in un posto come questo non credo che saranno in molti a capire quanta classe c'è dietro la tua semplicità". Ha usato proprio queste parole, squadrandomi e accarezzando la gonna, ammiccando di approvazione. "Forse il reggiseno me lo sarei messo...", mi ha sussurrato. "Si vede?". "mmm... un po'". "Ahahahahah... meglio, no?". "Non lo so, ne farai arrapare tanti, ma nessuno che ti meriti davvero", ha risposto enigmatica, dall'alto della sua bellezza austera, quasi respingente.
Ma se l'effetto sarà questo certo che è meglio, mi dico. E' chiaro, dovrò sapermi gestire. Non voglio fare la figura di quella zoccola di Tina, che ha il cartellino del prezzo stampato sulla fronte. Posso permettermi di accettare o rifiutare, posso addirittura permettermi di scegliere chi mi piace e chi no. Di sicuro non mi metterò mai a contrattare. Devo solo trovare il modo di far capire che attendo offerte.
Adesso che l’effetto della tirata sta salendo devo anche dire un’altra cosa. Che non solo attendo offerte, ma che spero ardentemente di riceverle. Non è solo questione di soldi. Ho voglia, ho proprio voglia che uno sconosciuto mi faccia ululare e mi dica quanto sono mignotta. Ho voglia di essere scopata e di essere sporcata. Quanto può valere tutto questo, in termini di denaro? E voi quanto sareste disposti ad offrire?
- Ammazza che gambe, biondì!
Mi volto perché so che ce l'ha con me. E poi la voce ha qualcosa di familiare, la riconosco. Magari in un altro posto no, ma qui dentro la riconosco, mi dice qualcosa. E' Gabriele, il coattone della prima sera con cui ho speso un po’ di tempo a chiacchierare, bere, ballare. Quello che a buon diritto posso considerare il mio primo "cliente". Gli sorrido istintivamente.
Come allora è in compagnia di due uomini più giovani e di una donna. Uno dei due lo riconosco, il secondo no e sono certa che l’altra volta non c’era: è un moretto ben messo, faccia da schiaffi ma carino, mi piace. Pure la donna, anche di questo sono sicura, è un'altra. In comune con quella della prima sera ha la stessa espressione tra l'assente e l'imperturbabile. Ma il mio interesse per i tre svanisce subito, io e Gabriele ci facciamo le feste come se fossimo due vecchi amici che non si vedono da tanto tempo.
- Hai continuato allora, come va sto lavoro? Fica sta gonna, hai fatto i sordi, eh?
- Ahahahah, sto lavoro va come quello di una studentessa che si fa il culo sui libri tutta la settimana e il sabato sera, invece di divertirsi...
- Se sapevo che stavi ancora qui manco lo prenotavo il privè, te pijavo e te portavo a ballà tutta la sera.
- Che te ne frega, andiamo lo stesso! - gli faccio prendendolo per mano e provando a trascinarlo verso la pista. Una parola, è come cercare di spostare un'escavatrice.
- Noooo... scherzavo - mi fa ridendo - sò troppo vecchio.
- E annamo Gabriè!
Sarà certamente l'effetto dell'additivo che ho tirato su poco fa, ma ballando e cazzeggiando con lui mi sento quasi leggera. Per un po' è davvero come se avessi incontrato un vecchio amico incastrato nelle fattezze di questo uomo adulto, massiccio, con i boccoli che gli scendono lungo il collo taurino, ridicoli per la sua età. Un coattone da sub urbia fatto e finito, camuffato dentro un vestito di pregio e la camicia bianca aperta sul petto. Più andiamo avanti, però, più mi ricordo del mio ruolo: io qui dentro ci lavoro, mica sono una cliente.
Sabato scorso, con Wes e JJ, era stato tutto molto più facile, quasi naturale. Un po' come se mi avessero rimorchiata. Non ero mica stata io a introdurre l'argomento passa-la-notte-con-noi-e-ti-facciamo-un-bel-regalo. Ma adesso? Con uno come Gabriele, per esempio, è chiaro che se aspetto che ci pensi lui sto fresca. Per lui sono una ragazzina che qui alza qualche spiccio ballando e facendo la carina con i clienti. Come faccio a fargli capire che sono una di quelle, e di studentesse ce ne saranno tante, pronte a vendersi il sabato sera perché "qualche spiccio" non basta? L'ha detto lui, fica questa minigonna. Beh, ne voglio altre, voglio di più. Voglio comprarmi cose belle, voglio mettere da parte i soldi per un viaggio, voglio non dovermi rivolgere più a Johnny per la polverina, voglio portare Serena a Venezia in un albergo a cinque stelle, voglio regalare a Stefy un coordinato da trecento euro e poi dirle "adesso vediamo come stai senza".
E quindi la domanda è: come faccio? Come si fa a saltare il fosso? A diventare una mignotta, almeno, semi-professionista? A non aspettare le offerte ma a provocarle? All'atto pratico, come si fa? Voglio dire, non è che non sappia lanciare dei segnali, eh? Non è che non sappia far capire a qualcuno "ehi, lo sai che mi piacerebbe fare roba con te?". Il problema è passare allo step successivo: farei roba con te ma ci sono dei soldi di mezzo...
Gabriele non è il mio tipo, è chiaro, ma non è nemmeno ripugnante. E' simpatico, in fondo. Potrei quasi dire che mi fido. E poi, ne ho avuto la prova sia la prima volta che stasera, è uno che per le mignotte qualche spesa la mette nel conto. Come quella specie di manichino della Rinascente che si è portato appresso qualche settimana fa. Come la finta-rossa che ora aspetta nel privè con gli altri due. Come me. E io sarò meglio, no? Molto ma molto meglio. Il fatto è che più ci penso meno mi sento leggera. E' come se avessi una cappa sopra la testa che mi spinge giù. Gabriele non capisce ma se ne accorge.
- Che c'hai biondì? Stanca?
- Ahahahah, guarda che quello che ti stanchi sei tu - gli faccio in modo completamente artificiale - però... però berrei qualcosa, è vero.
Torniamo nel privè lentamente. Come la prima volta, mi cinge per le spalle con fare quasi paterno e io faccio la brava ragazza ancora per un po'. Quando superiamo lo zig-zag dei separè la scena è in fondo quella che mi aspettavo di trovare. I due amici di Gabriele stanno pomiciando insieme, e pesantemente, la finta-rossa. Mani sulle cosce e sulle tette. E' chiaro che di lì a poco un seno finirà per saltare fuori dal vestito. E chiaro che lì a poco un paio di mutandine, posto che le abbia, saranno scavalcate. La cosa che mi colpisce di più è però l'espressione di questa ragazza un po' avanti con gli anni. Completamente neutra. Non dico che non mostri apprezzamento, figuriamoci, ma nemmeno un briciolo di partecipazione.
Sul tavolo, tra i bicchieri e un paio di bottiglie, sono apparecchiate tre strisce con una cannuccia. Mi sgancio da Gabriele e mi avvicino, mi piego.
- Posso vero? - domando senza nemmeno aspettare la risposta.
Faccio appena in tempo a intercettare una sua occhiata di disapprovazione. Sticazzi. Così comincia a farsi qualche idea diversa su di me, no? Ma quasi subito smetto di essere l'attrazione principale. Adesso la scena se la prende il terzetto. O meglio la voce di uno dei tre che fa “allora?”. Mi volto anche io mentre finisco di tirare. Ha una mano sulla zip dei suoi pantaloni e l’altra sulla nuca della finta-rossa.
- Ahò, maschi, annatece piano... - fa Gabriele. E per me, completamente all'opposto delle sue intenzioni, è come un segnale.
- Ma no, lascia... - gli sorrido indulgente portandomi la sua mano su un fianco - in fondo sto posto... è anche fatto per questo, no?
Mi guarda un po' sorpreso. Direi che non si aspettava qualcosa di così diretto. Così come non si aspettava che mi facessi quella striscia. Gli sussurro "non mi dire che non ti è mai passato per la mente", e la sua mano me la porto su una tetta, ce la stringo sopra. Dovrei stupirmi di quanto sono mignotta mentre gli sussurro ancora "non vuoi provare?" e invece no, non avverto niente.
- Fai ste cose qui dentro, biondì? - chiede con uno stupore nella voce molto ben dissimulato. Un po' mi diverte sapere che ho spiazzato uno che pensa di saperne (e probabilmente ne sa) molto più di me.
- Non con tutti, chiaramente... - gli sorrido.
- E perché con me sì? - domanda.
- Beh, tu mi sei simpatico... - rispondo facendo muovere la sua mano sul mio seno, come in un massaggio morbido.
Gabriele si sgancia e si allontana, si va a sedere su un divanetto.
- Sei molto sciolta con quelli che ti stanno simpatici... - dice con un certo sarcasmo.
- Ahahahah... sempre stata - gli faccio avvicinandomi e cercando di superare la frustrazione del suo rifiuto - e a quelli che mi stanno proprio simpatici-simpatici posso fare anche offerte speciali... oltre che immorali.
L'ultima frase la pronuncio a bassa voce, ma quello di cui davvero non mi capacito, nemmeno a posteriori, è come mi sia scappata fuori questa cosa della "offerta speciale". Agghiacciante, volgare. Molto più volgare delle parole e dei suoni che sento arrivare alle mie spalle: un "daje troia" e un mugolio. Con la coda dell'occhio vedo la donna spinta per la testa tra le gambe di uno degli amici di Gabriele. L'altro, quello ancora in piedi, quello che mi piace, ridacchia: "Capo, poi la zoccoletta ce la passi?". Sento la contrazione, una piccola eccitazione che, nonostante tutto, fino a questo momento non c'era stata mai. Sono assolutamente focalizzata su Gabriele, è vero, ma per un attimo non posso fare a meno di farmi un film sul moretto che mi si fa in piedi, faccia al muro, ringhiandomi all'orecchio che sono solo una zoccola. E questo mi eccita ancora di più, mi dà la spinta definitiva per attaccare Gabriele, accucciarmi tra le sue gambe, passargli una carezza sul pacco.
- Davvero Gabriè, non vuoi provare? - sussurro guardandolo negli occhi.
A dispetto della reazione che comincia a avere lì in mezzo, resta praticamente immobile. Non fa nulla per agevolarmi né per incoraggiarmi. Non si ritrae nemmeno, è vero. Accetta la mia mano che lo percorre leggera proprio lì, che gli slaccia la cintura. Ma resta rigido e io stessa sento che c'è qualcosa che non va. E per la prima volta stasera mi domando "ma che cazzo sto facendo?". Forse però è troppo tardi per tirarsi indietro.
- Hai finito?
La sua domanda mi arriva come uno sganassone. Alzo lo sguardo. Direi che non ha proprio la faccia di uno che si aspetta una risposta tipo “veramente non ho nemmeno cominciato”. E’ tra l’incazzato e il severo. Forse anche un po’ deluso, ma penso che abbia troppo orgoglio per manifestare la sua delusione.
- Non ti va? - domando. In realtà non so cosa pensare.
- Biondì, ma tu davero voi finì come quella? - chiede facendo un cenno con il capo.
Mi volto a guardare la finta-rossa che sta succhiando uno dei due, mentre l’altro le sta frugando sotto la gonna del vestito. Mi sembra una scena eccitante e squallida allo stesso tempo, soprattutto se penso all’espressione assente che aveva lei. Probabilmente ce l'ha anche in questo momento. Ritorno con lo sguardo agli occhi di Gabriele, che mi guarda dall'alto in basso.
- Ragazzina, smettila, piantala. Piantala proprio di fare ste stronzate, che poi le paghi tutte... Te sei in gamba, ti laurei, lascia perdere... scopa co' chi te pare e divertite, ma no così, non è cosa per te.
Resto per qualche secondo attonita. Con l’indice mi dà due colpetti sul naso, continuando a guardarmi con aria di rimprovero.
- Pure sta roba… ma che cazzo stai a fa? Credi che quanno ballavamo non si vedeva che sei fatta? E mò l’hai ripresa pure? Nun fa’ cazzate, nun fa’ cazzate! Fattelo dì da uno che è ‘scito da questa – dice dandosi lui stavolta dei colpetti sull’incavo del gomito – se te voi divertì ‘na vorta ‘gni tanto vabbene, ma nun fa’ cazzate…
Continuo ad osservarlo intontita, non so che dire e non so che fare. Ho un senso di vergogna che mi sale su nemmeno troppo vago. E anche di mortificazione, perché mi ha appena detto “non lo puoi fare, non lo sai fare”, anche se intendeva “è meglio che non lo fai”. E non si ferma qui: mi afferra la mascella con la mano, stringe e fa male, mi scuote la testa. Mi fa anche un po’ paura.
- Prometti… prometti!
- Sì… ok… promesso – balbetto senza avere consapevolezza di ciò che dico.
- Viè qua.
Si dà una manata su una gamba e mi fa salire sulle sue ginocchia. Mi stringe come se volesse consolarmi, ma in realtà continua a sussurrarmi cose che io, dopo un po’, nemmeno ascolto più. E’ difficile dire se sia merito suo o se io stessa non aspettassi altro che una scenata del genere per fermarmi. Mi divincolo, lo guardo in faccia. Gli ripeto “promesso”, poi abbasso lo sguardo. Lui ripete per l’ennesima volta “nun fa’ cazzate”. Scappo via piangendo, mi rifugio al bagno e mi chiudo dentro guardandomi allo specchio. Ripeto a me stessa, ma con uno stato d'animo completamente trasformato, "ma che cazzo sto facendo? che cazzo sto facendo???". E' un urlo silenzioso, ma è un urlo.
Mi risistemo un po' ed esco dal bagno. Con l'impulso immediato di scappare via. All'inizio non so nemmeno dove. Poi sì, ma certo: casa, casa, cuccia. Rannicchiata e a cuccia. Incrocio Olivia che mi lancia uno sguardo interrogativo, un muto "che succede?". "Me ne vado, mi sono rotta il cazzo", rispondo sbrigativa. Mi allontano a passi rapidi. Mi blocco solo perché dopo pochi metri mi rendo conto che, se davvero voglio andare via, lo stanzino dove ho lasciato borsa e giaccone è dalla parte opposta. "Lo sapevo che non reggevi, non è il posto per te...". Mi volto, è Olivia che mi ha seguita. Da come mi osserva, capisco che non è tanto il caso di fare le finte tonte. Le lancio una smorfia di laconica approvazione, lei mi fa un mezzo sorriso e mi tende la mano: "Vieni, andiamoci a fare una sigaretta di fuori, ho bisogno di una pausa anch'io".
- Non ce la posso fare... - dico appoggiata al muro proprio accanto all'ingresso dopo avere sbuffato via il primo tiro.
Olivia mi osserva in silenzio, a lungo. Fumiamo più di metà delle nostre sigarette praticamente in silenzio. Dovrei gelare qui fuori, solo con una maglietta indosso. Ma quasi non lo sento. Ogni tanto mi passa una mano consolatoria sulla spalla.
- Tutte ci vendiamo qui dentro... - dice all'improvviso - quella zoccola di Tina, quella deficiente di Pamela, anche se è troppo stupida per ammetterlo persino con se stessa... tu no, l'ho capito appena ti ho vista, tu non sei fatta per venderti. Cioè, lo puoi fare una volta - dice passando le dita sulla mia mini - e magari ne vale pure la pena... ma questa roba non è per te.
- Tu lo fai? Non ci credo! - le dico sorpresa dalla sua confessione.
- Solo in casi molto particolari - risponde.
- Che significa?
- Significa che ho gusti molto particolari.
Accompagna la sua risposta con un sorriso. Senza partecipazione emotiva, senza particolari imbarazzi. Quella che è in imbarazzo sono io, in verità. Sento di avere sbagliato tutto. E non avete idea di come possa farmi incazzare e mortificarmi al tempo stesso quando qualcuno mi fa notare un errore. E non avete nemmeno idea di come possa incazzarmi con me stessa.
- Comunque poiché tutti si vendono in un modo o nell'altro - prosegue - ti venderai anche tu, non ti preoccupare. Magari venderai la tua intelligenza, e scommetto che la pagheranno anche bene...
Non capisco cosa mi voglia dire, anche perché sono sintonizzata proprio su un'altra frequenza. Vorrei parlare, spiegarmi, giustificarmi. Lei invece è, in tutta evidenza, già oltre. Quando le dico "Olivia, io...", mi zittisce poggiandomi un dito sulle labbra. E soprattutto con gli occhi, sempre più vicini ai miei.
- ... la tua bellezza invece la regalerai a chi se la merita... e io sarò molto felice di prenderla.
Non faccio quasi in tempo a capire cosa mi ha detto che le sue labbra si poggiano sulle mie. E' come se la sorpresa spazzasse via per incanto tutta la rabbia che ho accumulato. E' persino fin troppo chiaro, adesso. come ho fatto a non capirlo prima. La sua bellezza altera, sprezzante. Con tutti, soprattutto con le altre, e mai con me. I suoi modi così placidi e, allo stesso tempo, così definitivi. Resto completamente imbambolata per i pochi attimi che dura quel bacio. E anche dopo, con la bocca socchiusa, gli occhi fissi sulle sue labbra, come se ne chiedessi un altro. Che arriva subito dopo, e stavolta è un bacio di conquista. La sua lingua che guizza sulla mia mi dà un brivido, sento la scossa sulla schiena.
- Hai la macchina?
- Sì - rispondo, anche se così su due piedi non capisco cosa c'entri.
- Non manca tanto, ti va di aspettarmi? Non mi va proprio di prendere un taxi. Con Armando ci parlo io, ti faccio pure pagare la serata.
- Non ti preoccupare, non è che...
- Shhht... perché rinunciare? Allora, mi aspetti?
E' una domanda, ma stavolta sono io a interpretarla in modo diverso. Non la prendo come una richiesta ma come un'asserzione. E' come se dopo il suo bacio fossi entrata in modalità "non so perché lo faccio". Non ho piena coscienza delle mie azioni, ma non posso nemmeno tirami indietro, non ci riesco. Annuisco, forse sussurro pure "sì, ti aspetto".
- Sono autoreggenti quelle, vero?
Annuisco ancora, anche se un'altra volta non capisco il senso della domanda. Forse in un altro momento ci sarei arrivata prima, ma adesso no.
- E le mutandine le hai? - domanda ancora Olivia.
Annuisco.
- Dammele - dice con voce piana.
- Qui? - piagnucolo combattendo contro una contrazione improvvisa, contro la sensazione netta di sentirmi schiudere laggiù.
Fa un cenno con la testa e si avvia, la seguo nel locale, fin dentro al bagno, dove un po' dobbiamo aspettare perché entrambi gli ambienti sono occupati. Non scambiamo una parola, lei mi fissa con un mezzo sorriso benevolo, io in realtà non so dove guardare. L'unico pensiero che mi attraversa la mente è "dio mio come mi sono bagnata", perché l'umido nell'intimo lo sento anche troppo bene. Mi volto verso lo specchio ma anziché dalla mia faccia un po' stravolta la mia attenzione è catturata dai miei capezzoli evidentissimi e svettanti sotto la costosa t-shirt. Incrocio il suo sguardo sorridente, puntato esattamente lì come se volesse ricordarmi "te lo dicevo che dovevi metterti il reggiseno". Entriamo quando uno dei due box si libera, io a mia volta mi libero delle mutandine, un perizoma di pizzo abbastanza minuscolo per il quale avevo immaginato ben altra sorte. Glielo consegno, lo annusa. Mi sorprende perché penso che se lo nasconderà nella scollatura, invece lo ripiega facendolo diventare un piccolo triangolino, alza la gonna del vestito rivelandomi delle culotte nere, di seta. Lo conserva lì dentro e, per un attimo, ho l'impressione che se lo asciughi direttamente sulla pelle. Non lo so se succede davvero, fatto sta che avvampo, vengo letteralmente avvolta dal calore. Olivia fa tutto questo senza cambiare espressione, mantenendo quel sorriso che potrebbe sembrare complice ma che complice non è per nulla. Sa benissimo di avermi fatta prigioniera, legata e sé. E lo so bene pure io.
- Domattina voglio svegliarmi con te... - mi dice all'orecchio.
Mi bacia un'altra volta, ma piano, passandomi la lingua sulle labbra. Così come con delicatezza passa ancora le mani sulla mia mini, la solleva, carezza le natiche. Ho la pelle d'oca, le offro la bocca e il seno, spinto contro il suo. Ho un attacco di voglia pauroso. Lei se ne accorge.
- Calma piccolina - sussurra - ho ancora un po' da lavorare. Aspettami al bar e... attenta a quando accavalli queste gambe.
Anche lo schiaffetto che mi dà sul sedere potrebbe apparire bonario e complice. In realtà è una specie di marchio, o almeno io lo avverto come tale. Mi sento confusa, disorientata e sopraffatta dal desiderio. E' stato tutto così veloce, inatteso, fuori da ogni previsione.
Mi faccio due mojito di fila. Il secondo dico a Stefano, il bartender, di farmelo con parecchio rum. Non sarebbe l'ora, ma i suoi sono speciali. "Serataccia Annalì?", chiede guardandomi. "Abbastanza, sto qui solo perché Olivia mi ha chiesto se le do un passaggio". Allontano due tipi che ci vogliono provare. Li odio, in questo momento li odio tutti, odio il tempo che non passa mai. Avrei voglia di rinchiudermi nella toilette e di tirare ancora, ma ho finito la roba. Accolgo come una liberazione l'orario di chiusura e Olivia che arriva dopo avere recuperato anche le mie cose. Andiamo. Mi cinge il fianco che non siamo ancora uscite per strada. Ho il giaccone pesante a coprirmi, fuori fa freddo, non può essere una stretta così intima, no? Possiamo, ecco, possiamo sembrare al massimo due amiche. Ma io so, lo sento, che tra quelli che ci guardano - le altre ragazze, le cameriere, i camerieri, lo stesso bartender - ce n'è almeno uno che sa, che ha capito, che pensa "Olivia ha colpito ancora". Forse più di uno. Non ho idea di chi sia ma lo so. Eppure non me ne importa nulla. Mi sento come presa in una ragnatela e non vedo l'ora di essere sbranata. Camminiamo per la strada deserta, arrivate alla macchina mi ferma, come se volesse impedirmi di andare al posto di guida. Mi sospinge piano, mi fa appoggiare la schiena allo sportello. Il suo viso si avvicina al mio con lo stesso imperturbabile sorriso che aveva prima, che ha sempre avuto.
Mi bacia, e anche stavolta è un bacio delicato. Identica a prima è la scossa che sento su per la schiena. Ma invece di pensare a ciò che avviene nella mia schiena dovrei pensare a quello che succede davanti, alla sua mano che tira giù la zip del giaccone, che lo apre completamente. L'aria fredda irrompe, i miei capezzoli protetti da un sottile strato di cotone reagiscono subito al gelo. La mano che passa sulla mia gonna prima e sulla pelle delle mie cosce poi, però, è calda. Risale su, cercandomi una tetta, stringendola, e poi ancora più su, tra i capelli. A scompigliarli, a stringerli, a fermarmi la testa in una morsa e tenermi bloccata nel suo bacio. Che adesso sì è predatore, profondo. Cerco anche io il suo seno, ma il cappotto la protegge troppo. Mentre mi saccheggia la bocca con la lingua la sua mano torna giù, stavolta senza esitazioni, dritta laggiù dove in questo momento sto vivendo davvero. La gonna si alza lasciandomi la fica scoperta, esposta, maledettamente impazzita, dannatamente bagnata. Il suo dito non fa nemmeno un po' di fatica a scivolarmi dentro, non ci mette nulla a farmi miagolare.
"Siamo in mezzo alla strada...". Olivia nemmeno mi risponde, ma fa slittare con dolcezza quel dito zuppo sul grilletto. Vengo assalita da un'onda di brividi e riesco a malapena a dire qualche sconnesso "no...", "non qui", "ti prego...", "fermati". Ma lei non si ferma. Perché non vuole fermarsi e perché sa che non lo voglio nemmeno io. Non voglio fermare le sue dita che diventano due e che ora mi infilzano sicure ed esperte, non voglio fermare il mio piacere, la mia oscenità quando apro un po' di più le gambe e mi offro a lei in modo indecente, lasciando che mi scopi sul marciapiede, celando i miei gemiti tra il bavero del cappotto e l'incavo della sua spalla.
- Olivia... no... dio... godo, così mi fai... oddio sì, sì! ve... ngooooh... aaaah... aaah...
Cedo in preda ai brividi, le tremo addosso non so per quanto. So però che se non mi sostenesse cadrei sul marciapiede. Tra la sua faccia e la mia compare d'un tratto la sua mano inzaccherata. La luce del lampione più vicino illumina i filamenti che uniscono le sue dita. Le porta alla bocca, le succhia, mi sorride ancora. Poi la sua mano gira, diventa una piccola conca.
- E' meglio se mi dai le chiavi e guido io, ok?
Tiro fuori le chiavi dalla borsa e gliele consegno, la sento salire in macchina mentre a me sembra di non riuscire nemmeno ad aprire lo sportello. Quando entro mi passa una mano sulla coscia.
- Andiamo a casa e dormiamo, sono stanca - mi sussurra - ma domattina sarai solo mia.
Quel suo "solo mia" mi esplode nel cervello. Rispondo con un piccolo gemito. L'ultima violenta contrazione, una scossa mi fa accasciare sul sedile, una scarica calda. Come pulirò la mia gonna nuova da me stessa?
FINE
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