Una vecchia amica
di
Vandal
genere
etero
UNA VECCHIA AMICA
Lei, Gloria, taglia forte, non grassa, occhi viola, capelli scuri tagliati corti. Ci siamo conosciuti anni prima durante una partita D&D. Lei giocava una monaca guerriera, con sangue celestiale. Mi piaceva come giocava e mi piaceva lei. Glielo dissi una sera, durante una pausa di gioco. Lei aveva sorriso e stornato con una scrollata di spalle. Si vedeva già con qualcuno e io ci rimasi un po’ male. Lei mi aveva afferrato la mano e se l’era portata al petto “Mi piaci anche tu. Avremmo dovuto incontrarci prima”
E io, lì al buio, con le zanzare che fischiavano nelle orecchie e un’erezione quasi imbarazzante, con la sua mano poggiata sul suo petto appena al di sopra del suo seno “Diavolo, non me ne va mai bene una” ma lei aveva tenuto la mia mano ferma nel solito posto, tanto che, i nostri occhi si erano guardati troppo a lungo e, senza che ce ne rendessimo conto, le nostre labbra erano lì, premute le une contro le altre, le lingue timide, che si muovevano appena, come due serpi che si contendevano e si studiavano.
E li a baciarci, senza preoccuparci che qualcuno degli altri giocatori uscisse dalla cantina e ci sorprendesse. Poi, lei aveva abbassato la mano che stringeva la mia e, aveva sfiorato la mia erezione, ora prepotente e si era messa a ridere “Ti faccio così tanto effetto?”
“Solo a starti vicina mi viene duro..Scusa, troppo volgare”
“No, va bene” aveva sorriso lei “Baci bene. Non sei invadente”
“Sì, ho questo problema con la lingua” ero quasi imbarazzato “Non so, mi mette i brividi, quasi di repulsione”
“Sì, ho lo stesso problema”
“Due cose in comune”
“La prima qual è?”
“Amiamo i giochi di ruolo”
“Già”
La porta si era aperta e Luca, uno dei nostri giocatori, fece capolino fuori “Marco è uscito dal bagno. Si ricomincia?”
“Pronta ad uccidere qualche goblin?”
“Al diavolo i goblin, voglio qualcosa di più grosso”
E lì, la mia mente maliziosa, aveva sorriso per quell’involontario doppio senso. Se n’era accorta anche lei. Mentre rientrava, le avevo sfiorato la schiena con le dita.
Quella partita durò altre quattro sessioni. Poi, una sera, davanti ad un paio di birre, lei mi disse che stava per lasciare il paese. Il moroso era un cuoco che lavorava in un albergo dell’Oltrepo’ pavese “Nella zona di Rocca Susella: la Corte dell’Uva”
E mi torna in mente quella sera, quei lunghi baci, la mia erezione, la mia mano sul suo petto “Non riesco a pensare a senza te”
Ci siamo baciati con un unico bacio, nella penombra di un muretto e la promessa di tenerci in contatto. La rividi dieci anni dopo. Lei, ad un certo punto, aveva seguito il moroso in America. Ci era rimasta per qualche anno prima di tornare in Italia.
Il moroso lasciato in terra d’America. Lei era tornata per riprendersi l’albergo ristorante tra le colline. Mi ha sorpresa la sua chiamata “Ciao, ti va di venire a trovarmi?”
L’albergo l’hanno costruito in fondo ad uno sterrato in mezzo ad un piccolo bosco. Più un cottage che altro. Ha una bella vista su una vallata al cui centro spicca un piccolo borgo, con le casette tutte ammassate le une sulle altre e un campanile quadrato che svetta su tutte. Uno dei borghi più belli d’Italia, con le sue vie strette fatte di ciottoli, gli androni che collegano altri viottoli o si affacciano su cortili, coi balconi sempre fioriti e la sua chiesetta millenaria ai piedi della salita che porta verso i resti del castello e alla chiesa principale.
Sono qui da un paio di giorni. Dopo i primi saluti formali, lo scambio di sguardi imbarazzati, abbiamo rotto il ghiaccio. Ci siamo messi a parlare del tempo perduto, di quello che si era fatto, di come siamo. “Dieci anni di fidanzamento e poi, per far carriera, regala l’uccello ad una ricca imprenditrice. Vecchia ma ricca. E io che ho fatto? Nel cestino” sospirò “E tu?”
“Un matrimonio durato quattro anni. Un mezzo fidanzamento durato due” eravamo seduti ad un tavolino, con la vista sul borgo “Libero”
“Giochi ancora?”
“Ho smesso da qualche anno. Però mi manca tessere storie”
“Io ho ancora Firema” ride “Gelosamente custodita in una cartelletta dentro un cassetto, insieme a gomma, matita e i miei dadi”
“Il tuo dado venti color fucsia” risi
“Il tuo d20 rosso marmorizzato” rise
“Diavolo” mi volto a guardarla. Le luci soffuse di una luce al neon catturano la brillantezza dei suoi occhi “Ripenso ancora quella sera, sai?”
“Anche io”
“Perché mi hai chiamato dopo tutto questo tempo?”
“Perché mi mancavano quei baci”
Salimmo su per le scale mano nella mano, come due fidanzatini alle prime armi. Ci baciammo iniziando dalla soglia, poi ci spostammo verso il letto spogliandoci in una specie di danza. Ci sedemmo sul letto, quasi nudi, rimanendo solo con boxer e mutandine, le stoffe premute contro.
Lei, con quel corpo solido, muscoloso, da valchiria, non era ingrassata di una virgola. E le sue tette, morbide e grandi come meloni che io non ho mai potuto né vedere, né toccare. Seduti, uno di fronte all’altra, vicini, a guardarci, ad ascoltare il nostro respiro. Lei che rideva, le labbra che si avvicinavano. La lingua che usciva piano e si studiava reciprocamente, le mani che rimanevano pudicamente appoggiate sulle spalle e sui fianchi. Ci baciamo a lungo, anelando ogni respiro, ogni battito di cuore, ogni contatto della nostra pelle “Mi sembra un sogno” dico prendendo fiato
“Un sogno da cui non vorrei risvegliarmi” dice lei riprendendo a baciarmi
In un tempo dilatato, in cui non ti accorgi che il tempo trascorre.
Via l’intimo. Ora nudi uno di fronte all’altro, senza fretta, ancora baci, i nostri sessi che premono. “Così” lei che abbassa la mano e me lo afferra, guidandolo dentro di me. Io che assecondo e spingo per entrare, sofficemente. Lei che mi chiede “Rimani fermo, per favore” le sue labbra sul mio collo, sulla mia bocca. Avrei voluto che non finisse.
Io che comincio a muovere il bacino e lei che asseconda i miei movimenti. Facciamo sesso così. Le braccia rigide e in appoggio dietro per entrambi, lei che dischiude leggermente le sue gambe, io che mi muovo dentro e fuori. Stringe i denti, si morde il labro, mugugna poco. Io mi affanno, ce la metto tutta, il piacere si dilata.
L’orgasmo arriva tempo dopo, liberatorio. Lei si sdraia, umida, io accanto a lei l’abbraccio, la bacio su una spalla. “Sai, penso che potrebbe piacermi” dico
“Potrebbe?”
Mi stringo ancora di più a lei e lascio che il tepore e la morbidezza del suo corpo mi ristori “Il tempo che mi ripigli e poi possiamo tentare un secondo round”
“Io non tento” dice lei girandosi verso di me e baciandomi “Io faccio” abbassa la mano sinistra in cerca del mio sesso, ancora umido dei nostri umori. Stiamo così per un po’, baciandoci, coccolandoci, con lei che mi massaggia là sotto. E io, che non pensavo di recuperare così veloce, mi ritrovo a scivolare sopra di lei, dentro di lei e a far l’amore con lentezza, lasciando che lei mi accolga nuovamente
Le luci dell’alba ci accolgono avvolti in un piumone, seduti sul balconcino della mia camera. Siamo nudi e felici, abbracciati a guardare il sole che spunta dalle colline e incendia il paesaggio “Quanto rimani qui?” chiede lei
“Per tutto il tempo che vorrai” rispondo
“Allora resta qui”
Ci abbracciamo e rimaniamo lì, a fissare quel tramonto che, lentamente, si trasforma in giorno.
Lei, Gloria, taglia forte, non grassa, occhi viola, capelli scuri tagliati corti. Ci siamo conosciuti anni prima durante una partita D&D. Lei giocava una monaca guerriera, con sangue celestiale. Mi piaceva come giocava e mi piaceva lei. Glielo dissi una sera, durante una pausa di gioco. Lei aveva sorriso e stornato con una scrollata di spalle. Si vedeva già con qualcuno e io ci rimasi un po’ male. Lei mi aveva afferrato la mano e se l’era portata al petto “Mi piaci anche tu. Avremmo dovuto incontrarci prima”
E io, lì al buio, con le zanzare che fischiavano nelle orecchie e un’erezione quasi imbarazzante, con la sua mano poggiata sul suo petto appena al di sopra del suo seno “Diavolo, non me ne va mai bene una” ma lei aveva tenuto la mia mano ferma nel solito posto, tanto che, i nostri occhi si erano guardati troppo a lungo e, senza che ce ne rendessimo conto, le nostre labbra erano lì, premute le une contro le altre, le lingue timide, che si muovevano appena, come due serpi che si contendevano e si studiavano.
E li a baciarci, senza preoccuparci che qualcuno degli altri giocatori uscisse dalla cantina e ci sorprendesse. Poi, lei aveva abbassato la mano che stringeva la mia e, aveva sfiorato la mia erezione, ora prepotente e si era messa a ridere “Ti faccio così tanto effetto?”
“Solo a starti vicina mi viene duro..Scusa, troppo volgare”
“No, va bene” aveva sorriso lei “Baci bene. Non sei invadente”
“Sì, ho questo problema con la lingua” ero quasi imbarazzato “Non so, mi mette i brividi, quasi di repulsione”
“Sì, ho lo stesso problema”
“Due cose in comune”
“La prima qual è?”
“Amiamo i giochi di ruolo”
“Già”
La porta si era aperta e Luca, uno dei nostri giocatori, fece capolino fuori “Marco è uscito dal bagno. Si ricomincia?”
“Pronta ad uccidere qualche goblin?”
“Al diavolo i goblin, voglio qualcosa di più grosso”
E lì, la mia mente maliziosa, aveva sorriso per quell’involontario doppio senso. Se n’era accorta anche lei. Mentre rientrava, le avevo sfiorato la schiena con le dita.
Quella partita durò altre quattro sessioni. Poi, una sera, davanti ad un paio di birre, lei mi disse che stava per lasciare il paese. Il moroso era un cuoco che lavorava in un albergo dell’Oltrepo’ pavese “Nella zona di Rocca Susella: la Corte dell’Uva”
E mi torna in mente quella sera, quei lunghi baci, la mia erezione, la mia mano sul suo petto “Non riesco a pensare a senza te”
Ci siamo baciati con un unico bacio, nella penombra di un muretto e la promessa di tenerci in contatto. La rividi dieci anni dopo. Lei, ad un certo punto, aveva seguito il moroso in America. Ci era rimasta per qualche anno prima di tornare in Italia.
Il moroso lasciato in terra d’America. Lei era tornata per riprendersi l’albergo ristorante tra le colline. Mi ha sorpresa la sua chiamata “Ciao, ti va di venire a trovarmi?”
L’albergo l’hanno costruito in fondo ad uno sterrato in mezzo ad un piccolo bosco. Più un cottage che altro. Ha una bella vista su una vallata al cui centro spicca un piccolo borgo, con le casette tutte ammassate le une sulle altre e un campanile quadrato che svetta su tutte. Uno dei borghi più belli d’Italia, con le sue vie strette fatte di ciottoli, gli androni che collegano altri viottoli o si affacciano su cortili, coi balconi sempre fioriti e la sua chiesetta millenaria ai piedi della salita che porta verso i resti del castello e alla chiesa principale.
Sono qui da un paio di giorni. Dopo i primi saluti formali, lo scambio di sguardi imbarazzati, abbiamo rotto il ghiaccio. Ci siamo messi a parlare del tempo perduto, di quello che si era fatto, di come siamo. “Dieci anni di fidanzamento e poi, per far carriera, regala l’uccello ad una ricca imprenditrice. Vecchia ma ricca. E io che ho fatto? Nel cestino” sospirò “E tu?”
“Un matrimonio durato quattro anni. Un mezzo fidanzamento durato due” eravamo seduti ad un tavolino, con la vista sul borgo “Libero”
“Giochi ancora?”
“Ho smesso da qualche anno. Però mi manca tessere storie”
“Io ho ancora Firema” ride “Gelosamente custodita in una cartelletta dentro un cassetto, insieme a gomma, matita e i miei dadi”
“Il tuo dado venti color fucsia” risi
“Il tuo d20 rosso marmorizzato” rise
“Diavolo” mi volto a guardarla. Le luci soffuse di una luce al neon catturano la brillantezza dei suoi occhi “Ripenso ancora quella sera, sai?”
“Anche io”
“Perché mi hai chiamato dopo tutto questo tempo?”
“Perché mi mancavano quei baci”
Salimmo su per le scale mano nella mano, come due fidanzatini alle prime armi. Ci baciammo iniziando dalla soglia, poi ci spostammo verso il letto spogliandoci in una specie di danza. Ci sedemmo sul letto, quasi nudi, rimanendo solo con boxer e mutandine, le stoffe premute contro.
Lei, con quel corpo solido, muscoloso, da valchiria, non era ingrassata di una virgola. E le sue tette, morbide e grandi come meloni che io non ho mai potuto né vedere, né toccare. Seduti, uno di fronte all’altra, vicini, a guardarci, ad ascoltare il nostro respiro. Lei che rideva, le labbra che si avvicinavano. La lingua che usciva piano e si studiava reciprocamente, le mani che rimanevano pudicamente appoggiate sulle spalle e sui fianchi. Ci baciamo a lungo, anelando ogni respiro, ogni battito di cuore, ogni contatto della nostra pelle “Mi sembra un sogno” dico prendendo fiato
“Un sogno da cui non vorrei risvegliarmi” dice lei riprendendo a baciarmi
In un tempo dilatato, in cui non ti accorgi che il tempo trascorre.
Via l’intimo. Ora nudi uno di fronte all’altro, senza fretta, ancora baci, i nostri sessi che premono. “Così” lei che abbassa la mano e me lo afferra, guidandolo dentro di me. Io che assecondo e spingo per entrare, sofficemente. Lei che mi chiede “Rimani fermo, per favore” le sue labbra sul mio collo, sulla mia bocca. Avrei voluto che non finisse.
Io che comincio a muovere il bacino e lei che asseconda i miei movimenti. Facciamo sesso così. Le braccia rigide e in appoggio dietro per entrambi, lei che dischiude leggermente le sue gambe, io che mi muovo dentro e fuori. Stringe i denti, si morde il labro, mugugna poco. Io mi affanno, ce la metto tutta, il piacere si dilata.
L’orgasmo arriva tempo dopo, liberatorio. Lei si sdraia, umida, io accanto a lei l’abbraccio, la bacio su una spalla. “Sai, penso che potrebbe piacermi” dico
“Potrebbe?”
Mi stringo ancora di più a lei e lascio che il tepore e la morbidezza del suo corpo mi ristori “Il tempo che mi ripigli e poi possiamo tentare un secondo round”
“Io non tento” dice lei girandosi verso di me e baciandomi “Io faccio” abbassa la mano sinistra in cerca del mio sesso, ancora umido dei nostri umori. Stiamo così per un po’, baciandoci, coccolandoci, con lei che mi massaggia là sotto. E io, che non pensavo di recuperare così veloce, mi ritrovo a scivolare sopra di lei, dentro di lei e a far l’amore con lentezza, lasciando che lei mi accolga nuovamente
Le luci dell’alba ci accolgono avvolti in un piumone, seduti sul balconcino della mia camera. Siamo nudi e felici, abbracciati a guardare il sole che spunta dalle colline e incendia il paesaggio “Quanto rimani qui?” chiede lei
“Per tutto il tempo che vorrai” rispondo
“Allora resta qui”
Ci abbracciamo e rimaniamo lì, a fissare quel tramonto che, lentamente, si trasforma in giorno.
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