Cecilia e Alessandro

di
genere
incesti

Roma, il Pantheon

la notte passò con Giovanni che, fra sogno e sonno, si voltava per poi allontanarsi e si rigirava e si avvicinava, il mio nome proferiva confuso e flebile, la sua mano scorreva sulle mie rotondità a cercare se c'ero. Per del tempo non dormii, me lo guardavo non sazia, poi un pensiero si formò rapido:

che diamine! potevi tornare a Roma un anno prima! no?! potevi, accidenti a te, dirmi che ti piacevo?!
invece no! sei fuggito a Firenze, per non correre rischi ti sei pure sposato subito; e mi dispiace pure per quella povera donna; ma ecco che la bambina appena nata ha bisogno di una mamma, tu di corsa che fai? vieni da me a Roma, bimba in braccio, mi dici: "ti amo da quando sei nata, aiutami a crescerla insieme" macché ti fai un nuovo matrimonio; etuttisanti!

Stolta che sono, posso offrire solo il mio corpo e, non ho titoli, né denari, né terre, tanto meno potere, quello è ancora fresco ma si guasta come il vino all'aria.
Meglio che dorma, Alessandro mi dovrà vedere riposata.

mi voltai verso la finestra, dandogli le spalle e coprii le mie nudità col lenzuolo.
Non tardò molto ad avvicinarsi e sentii il suo corpo, nudo, contro il mio; un suo braccio s'insinuò sotto il mio collo, in una lunga carezza, l'altro poggiato al mio fianco con la mano sospesa a mezz'aria; la sfiorai con la mia e presa, delicatamente, l'accompagnai sul mio seno; fra i capelli il suo caldo respiro; un movimento ancora e il sentore delle sue cosce sulle mie si fece reale, scaldandomi; fra lui e me nessun filo d'aria solo un piccolo, crescente, intruso. I nostri piedi s'incrociarono, completando quell'abbraccio a figura intera, fusi due corpi in unica statua.

La mattina ci sorprese esattamente in quel modo: uniti; lui, riverso su di me, dormiva beato, io con l'appiccicaticcio tra le cosce e il desiderio di pulirmi.
Mi alzai, ma non volevo svegliarlo, in cuore mio volevo restasse con me; ma il diavolo è buono solo a far marmitte.

Si alzò e si vestì in fretta, non feci nemmeno in tempo ad affettare il pane che disse "devo scappare", mi dette un bacio con un piede fuori la porta e ancora un: "torno presto". Dalla finestra lo guardai prendere una carrozza da nolo che veniva da palazzo Borghese.

In ventiquattro ore avevo perso due amori.

Vidi Perla che usciva mezza assonnata dalla sua stanza e dissi:
"vediamo il lato positivo, Nina...",
"kalimera, di che parli piccola mia?"
chiese stiracchiandosi,
"kalimera un corno! fase amore già finita, non ne sono degna... si torna a lavoro. Ora mi lavo e vado da Alessandro. Al ritorno rimettiamo il cuscino sul davanzale!"
dissi con un'amarezza unica,
"due amori impossibili non dicono certo che non ne sei degna, arriverà quello giusto..."
obbiettò,
"macché! di qui solo già sposati son passati"
dissi in un misto di rabbia e rassegnazione,
"Antonio non è sposato e ti vuole bene"
mi abbracciò cercando di consolarmi,
"non mi sposerebbe mai e poi vuol bene alle mie mele non a me!"
scoppiai a piangere, mi consolò e mi lavò come una mamma sua figlia, una volta vestita mi ripresi,
"a dopo Nina, vado e gli porto i tuoi saluti".

Uscii in strada, al molo i miei soliti amici a manovrare le loro chiode con i loro gesti e urli; vidi un paio di famigliole coi figlioli intente a salire sulla barcaccia per attraversare il Tevere e, con due baiocchi, passar giornata a qualche osteria ai prati, un velo d'invidia bagnò i miei occhi. Proseguii sulla strada di casa mia fino a Sant'Eustachio, di li in via palombella; Alessandro mi aspettava affacciato, forse per sbaglio, e aveva già un bicchiere in mano, dissi a mezza voce: "oggi prevedo ciucca".

Fu così. Come entrai in casa notai subito il soqquadro: pila di piatti unti sul tavolo, quattro bicchieri abbandonati sulla credenza, un altro sul tavolino, sul davanzale il basilico assetato e, sul pavimento, le sue cianfrusaglie per dipingere rovesciate; per lo meno tutte le tre finestre erano aperte e odoraccio non c'era; appollaiate sullo schienale di una sedia tre camice che non vedevano acqua e ferro da almeno una decina di giorni

"Alessandro! che è successo qui?!!",
"non me lo dire! ho Lucia coi figlioli a Bracciano da due settimane...",
"si vede..."
dissi guardandomi in giro con malcelato disgusto,
"non mi riesce son cialtrone! ti va un bicchiere? è di Montefiascone, quello che portano al Papa!"
versandosi del vino,
"e tu come... ah! lascia stare, non me lo dire! uno solo..."
acconsentii,
"allora Cecilina mia, il disegno... ecco, il bozzino... dovrebbe essere... eppure... mannaggia l'ho fatto ieri... ",
dopo avermi versato il vino scartabellò intorno,
"a proposito la tua Cecilia? è più di un mese che non vedo la tua piccina... mmh, però è buono! ne hai ancora?"
dissi porgendo il bicchiere vuoto,
"eeh! ci credo questo è est est est! ...dicevo la piccina... eccolo! si è questo ...la piccina ha una buona mano guarda che disegnino m'ha fatto!?!",
mi porse un abbozzo su tela di Bacco e Arianna con Afrodite intenta ad incoronare la piangente, e il quadretto col ritratto di una ragazzina che parla con un vecchietto in quattro colori poco sfumati, esclamai:
"questo è bellissimo, e pensare che ha solo sette anni... buon sangue non mente! vedi, te l'ho detto che la barba ti invecchia!",
"la taglio, la taglio, per domattina non c'è più",
"invece sto scarabocchio dovrei essere io??"
dissi comicamente risentita, e lui:
"no! è solo per l'insieme... aaah! ti do pure retta!..."

dalla strada un urlio:
"ah orbe'!... ah turchi'i!!... affaccete!!",
"che c'è??!!"
rispose sporgendosi,
"cala er cesto te devo de da l'abbacchio, tu moje m'ha detto co'r macello novo de datte 'n pezzo",
"grazie, ti devo un quadro!"
disse tirando su il canestro,
"'un importa, famo che me offri da beve pe' tre sere! oh! salutame 'a Cecilia che 'o so che sta su!",
"certo!",
"Marcello! stasera all'osteria trentuno, offro io a tutt'e due!"
gridai affacciandomi,
"Cecile'!! ce sarò... m' anvedi sto culato de 'mbratta tele!",

"due bicchieri e cominciamo!"
disse,
"te, orbe', mi guasti il fegato",
"te, ceci', mi guasti qualcos'altro... allora, siediti su quella panchetta che ora arriva la luce e scopri le spalle...",
"fin sotto le puppe?",
"come preferisci, braccio destro alzato, brava..
con la mano tira su un po' di stoffa come per asciugare le lacri... ottimo! sinistro disteso lungo la coscia...",
"così?",
"mmhmm, no, meglio più sciolta, più allungata...",
"che dici scopro fino al ginocchio?",
"te mi vuoi male!",
"perché? solo un po' di pelle, mi hai vista nuda un sacco di volte da piccola",
"appunto, da piccola, Cecilia... tira giù quella gonna!",
"dai uno scherzetto...",
"allora!!! femma, guadda che poi peddo la pazienza...",
"mi fai ridere!!",
"eeeh no! dovresti almeno far finta però; dai basta, copriti!! ...alla fine finisce male...",
"che noia... la facciamo tutta nuda? ho un caldo...",
"Cecilia... dai rimettiti in posizione faccio il disegno a sanguigna e basta, promesso",
"e dopo?",
"eeeh dopo... dopo si vede. fammi il musino triste, per piacere!",
"senti quelle due camice te le lavo non le posso vedere",
"le pulisco da me, grazie. Ci stai ferma??!!! quasi fatto...",
"guarda!... ora la vedi.... e ora no.... ora si...",
"ma non sei seria! Cecilina, come dite a Firenze: eh tu mi turbi, eh tu mi fa' ringalluzzire! sta fermina!",
"va bene, babbino...",
"va', ora fa pure la maliziosa, te ne penti..."
disse continuando a tracciar linee sulla tela,
"babbino ma dormi qui?"
mi sporsi indietro e finii a gambe all'aria,
"Cec... fatta male?"
lanciò di lato il bastoncello rosso e venne da me, ma nel caos del pavimento inciampò finendomi addosso,
"fatta niente Ale, tu? comodo?"

era lì col mento fra i miei seni che mi guardava e tutto il suo corpo fra le mie cosce nude, racchiuso dalle sponde alte delle mie ginocchia flesse,
"non mi hai mai chiamato così"
disse con un bagliore negli occhi, mi morsi il labbro senza accorgermene maliziosa e brilla, guardandolo e muovendo appena il bacino sotto di lui, dissi piano:
"hai la barba che mi buca le poppe... Ale... che stai facendo?...",
cominciò a baciarmi i seni afferrandomi le tenere carni ai fianchi e con un pelo di voce:
"posso?",
iniziarono anche le sue mani a muoversi su di me mentre cercavo di sottrarmi senza però convinzione,
"smetti... Ale... dai, smeetti... noon si fa cosii..."
sospirai, ma il risultato fu un'eccitazione sua montante in quel mio muovermi, con una mano mi afferrò un polso e portò la mano sopra la mia testa, l'altra l'infilai fra i suoi capelli,
"sei così..."
sussurrò affogando fra i miei seni, con me che stavo ormai sorridendo e giocando nel finto rifiuto, iniziò anche la mia eccitazione e parole fluirono tremanti dalle mani e labbra:
"mi buchi... ma... le maani... a posto... dooove vaaii??...",
"sapessi quanto mi piaci..."
disse spingendosi più su e le sue labbra sfiorarono le mie, la sotto sentivo già la sua voglia prepotente,
"Aaleee!..."
gridai e la sua bocca tappò la mia per un istante,
"zitta e bacia... dio come sei.. che... che sapore che hai!"
di nuovo un assalto, un finto mio rifiuto, e la sua mano libera s'insinuò fra le mie gambe, un sospiro profondo ed improvviso uscì da me al tocco delle sue dita nella mia calda intimità,

"A... le, smetti... sei... sei un babbo... oohh... peer meee, leeva... la maano di lì... oohh... però ccosiì... uuhhh... non vaaleehh... noonn valee...",
"zitta! fatti baciare, lo sento che lo vuoi anche tu...",
"Al.e... mmhmm... ti... ...erò... uuhh!... aah... aspe... sii...",
"un sogno... mhmm... quan... sei be.la... ti comincia a piacere... sii brava... che maani... la voglia che mi fai...",
"toglia.mo... questi... che da.nno noia?….",
"oohoo si... ade.sso... megli.ooh... bimba mia....",
era duro, durissimo,
"dai.. che mi... spo... oohh.. glio, tirati su...",
"che dea sei... che vuoi fare?.… ooh... potrei... sve.nire... sii che l.aa.bbra calde... sii.. così così,
sii... prendilo... brava... senti il sapore, non smettere… quant... oohh... la ling.uu.a... le le... la.. la... labbrra... le maani... gooodo, sono in cielo...",
"ti piace?..."
sussurrai piano,

lo guardai gemere continuando a muovere le mani, vellutata sull'inguine e i delicati e decisa sul pieno turgore di quella sottile pelle, calda, bagnata dalla mia bocca, le sue mani accarezzarono il mio volto e premettero fra i miei capelli rossi:

"chiedi?... sei il mio sooogno che s'avvera..."
rispose senza voce fra i sospiri,
"mmhmm... all.ll.ll.ll.ora...",
"sii, do.o.lce... contin.uhu.a.aa... sent.ii.lo.. mo.oo.rdi.l.o... aa.nc.ooo.r.aaa... stringilo, stringilo... non ce la faccio... devo.. sto... oohoooo!!!",

non ebbi il tempo e il suo sapore irrorò la mia gola.

Ero rimasta a metà, e di voglia ne avevo tanta, ci giocai ancora per un po', procurandogli minuti di piacere, ma il magnifico vigore non si ripresentò.
"pranziamo?" chiesi dandogli le spalle e nel recuperare l'abito, caduto oltre la seduta del divano, mi protesi in avanti sulla spalliera, "si... dopo..." rispose,

s'era alzato e senza che lo vedessi mi afferrò per i fianchi, l'abito mi cadde di mano e sentii quello strumento dilatarmi le natiche, la voglia gli era tornata, forse ridestata dalla mia rotondità o dalla posizione o da entrambe, a me non era affatto passata e bastarono due tocchi soltanto per facilitare il suo ingresso, l'accolsi in un grido di piacere.

Non ci rivestimmo e il pranzo, gentilmente offerto da Marcello, ce lo gustammo in costume adamitico, stuzzicandoci a vicenda tutto il tempo, di vino vuotammo due fiaschi.
Il quadro era pronto per essere dipinto, ma Alessandro, fra le risa ubriache di entrambi, usò tinte e pennello su di me.

Il lenzuolo bianco su cui eravamo diventò una sindone di colore confusa che qualche giorno dopo incorniciò. Sua figlia Cecilia e il marito Giacinto, mio coetaneo pistoiese, la vollero come dono di nozze, ignari di cosa fosse; al banchetto Alessandro ed io ne ridemmo come due imbecilli, ma avevamo nomea di beoni e non ci fecero caso.

Dovevo rimanere dal mio amico solo il tempo della mattina, invece le campane del vespro ci sorpresero che ancora stavamo giocando ad incastro nella tinozza:

"chi esce prima?",
disse lui,
"bellino, io un'altra sciacquatina me la darei non ci sono un paio di secchi ancora?",
"si, ma ti devi alzare prima tu: sei sopra di me",
"sai che sono stata proprio bene?"
dissi mentre provavo a tirarmi su senza successo,
"anche io, bella, tanto; se magari metti le gambe entrambe dalla stessa parte...",
mi aiutò ad alzarne una per scavalcarlo, ma scivolai col sedere e la mia intimità lo sfregò sulla sua, nonostante il pomeriggio bellicoso riprese energia in quell'attimo fortuito, esclamai:
"heilà! qui si risveglia ancora!!",
"non sono sazio di te...",
"basta! mi arrendo, mi hai vinta e battuta...",
con un sorriso, e un leggero rimpianto, uscii dall'acqua, mi allontanai ma fece in tempo a prendermi la mano, mi tirò a sé e mi baciò il pube e, fugace, riassaggiò le labbra arrossate.

Presi i due secchi e mi risciacquai per bene, quel poco d'acqua avanzato lo usò lui mentre mi rivestivo, lo guardai vestirsi e mi resi conto che non sarebbe più stato il mio finto babbo, era un nuovo cliente esigente ma appagante.

"che si mangia al trentuno stasera?"
disse prendendo un sacchetto di monete,
"pesce?",
"birbante! andiamo",
scendemmo le scale e, una volta in strada, mi prese sottobraccio baciandomi il collo fino all'osteria in salita de'Crescenzi, Marcello era già lì, capello lungo moro, un po' ruvido ma tanto simpatico.
Restammo fino alla campana del coprifuoco e passai la notte da Alessandro.


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scritto il
2021-07-15
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