Anna
di
PabloN
genere
masturbazione
Anna era una bibliotecaria. Non faceva, la bibliotecaria, lo era. Amava i libri sopra ogni altra cosa.
Nei libri tutto era ordinato, comprensibile. Ogni accadimento era diretta conseguenza di uno che lo precedeva. Le parole, come le briciole di Pollicino, disegnavano sentieri che, seguiti, avrebbero ricondotto a casa. Si poteva anche, nei libri, giocare d’anticipo. Leggere magari un finale e poi riprendere la strada dall’inizio. Si sarebbe persa gran parte della suspense ma si sarebbe anche evitata un’inutile ansia. Nei libri tutto descriveva un arco nel quale era possibile ritrovare un senso. Ogni cosa aveva un inizio, uno svolgersi e una fine. Di certo poi aveva un fine.
Anche l’amore, nei libri, sembrava, seppur turbolento, poter essere domato e riportato alla ragione. A saper leggere si poteva dire, fin dalle prime pagine, chi avrebbe amato chi, quali storie sarebbero durate e quali, al contrario, fossero destinate al naufragio.
Non così nella vita reale. Almeno non in quella di Anna. La vita era il regno del caos. Nulla si poteva prevedere. Di certo non l’amore. Le storie di Anna erano tutte finite senza che lei ne comprendesse davvero il motivo. L’amore, più di ogni altra cosa, era, per lei, un magma incandescente pronto ad eruttare coprendo e distruggendo ogni cosa al suo passaggio. Senza lasciare scampo, senza preavviso. Quando tutto sembrava tranquillo, ecco, quello era il momento peggiore. Come i terremoti, che colpiscono nel sonno, quando più si è indifesi, così la fine delle storie d’amore di Anna l’avevano travolta nel momento in cui meno se lo sarebbe aspettato.
Per questo si era innamorata dei libri. Fedeli, pazienti, silenziosi compagni delle sue giornate. Dedicava ogni cura a loro. Li catalogava, dividendoli per argomento, autore e casa editrice. Li spolverava, godendo di quel contatto, dell’odore della carta stampata.
In particolare, amava l’archivio, in cui erano conservate copie di libri antichi, rari, comunque non disponibili al pubblico se non con apposita richiesta e autorizzazione.
Anna, però, era anche una donna di 43 anni. Bella, se non avesse mortificato la sua bellezza con abiti che di certo non la facevano risaltare. Con esigenze intime, se così possiamo dire. Esigenze che non trovavano soddisfazione a casa, dove nessuno la attendeva se non un gatto ormai anziano e pigro che la salutava al suo ritorno con un timido miao e una strusciata sulle gambe.
Anna non era donna da sesso occasionale. Non che non avesse avuto esperienze simili in passato. Era giovane, aveva giocato come tutte a quella età. Ma ora, no. Non era quello che cercava. A dire il vero non cercava nulla. O forse nemmeno lei sapeva esattamente cosa stesse cercando. Fatto sta che ad un certo punto un’idea fastidiosa le era nata nella testa e, poco per volta, aveva fatto breccia fino a trasformarsi in una pratica che, periodicamente, Anna metteva in atto.
Attendeva che tutti i colleghi se ne fossero andati, scendeva nell’archivio sotterraneo dei libri preziosi, estraeva dalla borsa un libro nel quale avesse letto una descrizione erotica che l’avesse in qualche modo eccitata e lo poneva su di un leggio, aperto alla pagina galeotta. Quindi, dalla stessa borsa, faceva come per magia apparire un dildo realistico e, mentre leggeva, simulava con quello ogni atto descritto a parole. La cosa la faceva sentire protagonista di incontri bollenti, eccitandola come se realmente vivesse le vicende descritte.
Leccava il dildo con la stessa voluttà, lo stesso desiderio ed eccitazione che immaginava nella lei del momento, succhiandolo ed accogliendolo nella bocca quasi si fosse trattato di un pene vero, strusciandolo sui seni o in mezzo ad essi. Avrebbe voluto sentirne il calore, sentire quanto la sua lingua lo stimolasse e questi rispondesse alla sua dedizione gonfiandosi tra le sue guance. Suppliva immaginando. Immaginando i gemiti di lui, le sue parole rivolte a lei, quando l’autore o autrice non si fossero premurati di scriverle essi stessi. Immaginando il sapore del suo orgasmo, la sensazione dei fiotti che le avrebbero riempito la bocca.
E mentre si dedicava al suo immaginario compagno una mano suppliva alla carenza di attenzioni per la sua vulva. Si accarezzava dapprima sulla stoffa dello slip, spingendola a volte tra le labbra tumide, fino poi a spostarla per immergersi decisamente nella profondità della vagina ormai pronta, luccicante di umori.
Quando, finalmente, la lettura portava all’unione dei due protagonisti, allora introduceva il dildo dentro di sé, spingendolo con al ritmo delle parole. Almeno fino al momento in cui sentiva il piacere salire come una marea. Allora abbandonava ogni lettura e proseguiva il viaggio a modo suo, aumentando e diminuendo spinta e velocità come piaceva a lei o abbandonandosi alla volontà dell’immaginario maschio che l’avrebbe posseduta con decisione e intensità. Così raggiungeva l’orgasmo, scossa da fremiti, appagata ma anche mancante della sensazione del piacere di lui che le avrebbe allagato il ventre con fiotti potenti mitigando il calore che sentiva tra le cosce.
Molto mancava, in realtà. Odori, sapori. Le braccia, le labbra, i respiri. La sensazione di appartenenza, la complicità. Anna lo sapeva, e queste mancanze le percepiva. Ma aveva paura. Troppe delusioni, troppi dolori.
Così, alla fine, richiudeva il libro, ripuliva il dildo luccicante del suo piacere, li riponeva nella borsa. Dopo essersi ricomposta lasciava la sala, salutava gli amati libri, unici testimoni delle sue solitarie imprese autoerotiche, e usciva. Tornava in quel mondo reale al quale non poteva sfuggire.
Così avvenne, fino a quel giorno. Ma di questo parleremo un’altra volta.
Nei libri tutto era ordinato, comprensibile. Ogni accadimento era diretta conseguenza di uno che lo precedeva. Le parole, come le briciole di Pollicino, disegnavano sentieri che, seguiti, avrebbero ricondotto a casa. Si poteva anche, nei libri, giocare d’anticipo. Leggere magari un finale e poi riprendere la strada dall’inizio. Si sarebbe persa gran parte della suspense ma si sarebbe anche evitata un’inutile ansia. Nei libri tutto descriveva un arco nel quale era possibile ritrovare un senso. Ogni cosa aveva un inizio, uno svolgersi e una fine. Di certo poi aveva un fine.
Anche l’amore, nei libri, sembrava, seppur turbolento, poter essere domato e riportato alla ragione. A saper leggere si poteva dire, fin dalle prime pagine, chi avrebbe amato chi, quali storie sarebbero durate e quali, al contrario, fossero destinate al naufragio.
Non così nella vita reale. Almeno non in quella di Anna. La vita era il regno del caos. Nulla si poteva prevedere. Di certo non l’amore. Le storie di Anna erano tutte finite senza che lei ne comprendesse davvero il motivo. L’amore, più di ogni altra cosa, era, per lei, un magma incandescente pronto ad eruttare coprendo e distruggendo ogni cosa al suo passaggio. Senza lasciare scampo, senza preavviso. Quando tutto sembrava tranquillo, ecco, quello era il momento peggiore. Come i terremoti, che colpiscono nel sonno, quando più si è indifesi, così la fine delle storie d’amore di Anna l’avevano travolta nel momento in cui meno se lo sarebbe aspettato.
Per questo si era innamorata dei libri. Fedeli, pazienti, silenziosi compagni delle sue giornate. Dedicava ogni cura a loro. Li catalogava, dividendoli per argomento, autore e casa editrice. Li spolverava, godendo di quel contatto, dell’odore della carta stampata.
In particolare, amava l’archivio, in cui erano conservate copie di libri antichi, rari, comunque non disponibili al pubblico se non con apposita richiesta e autorizzazione.
Anna, però, era anche una donna di 43 anni. Bella, se non avesse mortificato la sua bellezza con abiti che di certo non la facevano risaltare. Con esigenze intime, se così possiamo dire. Esigenze che non trovavano soddisfazione a casa, dove nessuno la attendeva se non un gatto ormai anziano e pigro che la salutava al suo ritorno con un timido miao e una strusciata sulle gambe.
Anna non era donna da sesso occasionale. Non che non avesse avuto esperienze simili in passato. Era giovane, aveva giocato come tutte a quella età. Ma ora, no. Non era quello che cercava. A dire il vero non cercava nulla. O forse nemmeno lei sapeva esattamente cosa stesse cercando. Fatto sta che ad un certo punto un’idea fastidiosa le era nata nella testa e, poco per volta, aveva fatto breccia fino a trasformarsi in una pratica che, periodicamente, Anna metteva in atto.
Attendeva che tutti i colleghi se ne fossero andati, scendeva nell’archivio sotterraneo dei libri preziosi, estraeva dalla borsa un libro nel quale avesse letto una descrizione erotica che l’avesse in qualche modo eccitata e lo poneva su di un leggio, aperto alla pagina galeotta. Quindi, dalla stessa borsa, faceva come per magia apparire un dildo realistico e, mentre leggeva, simulava con quello ogni atto descritto a parole. La cosa la faceva sentire protagonista di incontri bollenti, eccitandola come se realmente vivesse le vicende descritte.
Leccava il dildo con la stessa voluttà, lo stesso desiderio ed eccitazione che immaginava nella lei del momento, succhiandolo ed accogliendolo nella bocca quasi si fosse trattato di un pene vero, strusciandolo sui seni o in mezzo ad essi. Avrebbe voluto sentirne il calore, sentire quanto la sua lingua lo stimolasse e questi rispondesse alla sua dedizione gonfiandosi tra le sue guance. Suppliva immaginando. Immaginando i gemiti di lui, le sue parole rivolte a lei, quando l’autore o autrice non si fossero premurati di scriverle essi stessi. Immaginando il sapore del suo orgasmo, la sensazione dei fiotti che le avrebbero riempito la bocca.
E mentre si dedicava al suo immaginario compagno una mano suppliva alla carenza di attenzioni per la sua vulva. Si accarezzava dapprima sulla stoffa dello slip, spingendola a volte tra le labbra tumide, fino poi a spostarla per immergersi decisamente nella profondità della vagina ormai pronta, luccicante di umori.
Quando, finalmente, la lettura portava all’unione dei due protagonisti, allora introduceva il dildo dentro di sé, spingendolo con al ritmo delle parole. Almeno fino al momento in cui sentiva il piacere salire come una marea. Allora abbandonava ogni lettura e proseguiva il viaggio a modo suo, aumentando e diminuendo spinta e velocità come piaceva a lei o abbandonandosi alla volontà dell’immaginario maschio che l’avrebbe posseduta con decisione e intensità. Così raggiungeva l’orgasmo, scossa da fremiti, appagata ma anche mancante della sensazione del piacere di lui che le avrebbe allagato il ventre con fiotti potenti mitigando il calore che sentiva tra le cosce.
Molto mancava, in realtà. Odori, sapori. Le braccia, le labbra, i respiri. La sensazione di appartenenza, la complicità. Anna lo sapeva, e queste mancanze le percepiva. Ma aveva paura. Troppe delusioni, troppi dolori.
Così, alla fine, richiudeva il libro, ripuliva il dildo luccicante del suo piacere, li riponeva nella borsa. Dopo essersi ricomposta lasciava la sala, salutava gli amati libri, unici testimoni delle sue solitarie imprese autoerotiche, e usciva. Tornava in quel mondo reale al quale non poteva sfuggire.
Così avvenne, fino a quel giorno. Ma di questo parleremo un’altra volta.
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