Libertango
di
PabloN
genere
sentimentali
La notte cala su questa piazza deserta. Amo la luce gialla dei lampioni Amo questi ciottoli bagnati, lucidi, arrotondati, lenti che deformano i riflessi scomponendoli in onde morbide. Amo questa nebbia densa e gelida che ammorbidisce i contorni degli oggetti. Gli alberi spogli, le panchine tristi e vuote, i tavolini dei locali chiusi.. Amo che mi nasconda in questo angolo protetto, appoggiato al muro scrostato di un vecchio edificio ottocentesco. La sigaretta tra le dita brilla nell’ombra umida, mescolando le volute di fumo alle gocce sospese della bruma.
Le finestre di queste vecchie case sono occhi accesi sul mondo velato che mi circonda. Come una bocca spalancata, una di esse è aperta. Un suono dolce proviene da quella fessura che unisce l’intimità di un’abitazione a questo mondo indefinito. Una chitarra. Anonimo musicista che batte il quattro quarti di un tango famoso.
Ritmo sensuale, liquido, picchiettante. La melodia si mescola con le voci che provengono da una delle vie che si immettono nella piazza. Voce di uomo, voce di donna. Risate, parole. Che si diranno? Saranno felici? Amanti forse. Clandestini protetti da questo grigio lenzuolo algido. Devono aver sentito la musica. Si fermano, guardandosi. Lei si allontana dandogli le spalle, facendo scivolare la stola che ne ricopre le spalle a terra. Lui attende, carezzando con lo sguardo le forme sinuose di lei.
In accordo con la musica i suoi tacchi percuotono il selciato, le punte scivolano lungo rette invisibili. Avanza decisa, slanciata e regale. Sicura, nel suo abito nero, tenue velo contro il gelo che scende inesorabile. Capelli raccolti in una coda che ondeggia, corvini, lucidi e lisci. Ride, e lui la guarda come si guarda un’apparizione. Con quel misto di stupore e ammirazione. Poi si ferma, si volta di scatto roteando su un piede. I capelli slanciati a descrivere un arco che fende l’aria d’attorno.
Lui la segue, raccoglie il tessuto impregnato del suo profumo, la raggiunge. Una mano si protende, incontra il calore dell’altra e le dita si avvinghiano. La tira a sé. Lei si lascia trasportare, docile ma non remissiva. Un braccio ne cinge i fianchi. Lo guarda. Occhi accesi, fissi nei suoi. Lo spazio tra i corpi si annulla. Contatto di mondi diversi, attratti come astri celesti, separati e uniti da invisibili forze.
Ora è danza. Scivolare sensuale dei piedi. Le gambe intrecciate, colonne mobili e forti. La pelle si scopre, il vestito rivela quanto dapprima occultava. Volteggi, discese vertiginose lungo le sue cosce tese, risalite seguendo la linea morbida dei fianchi. La musica incalza e loro non si sottraggono. Si piega all’indietro, lui la sostiene scendendo fin quasi a baciare le rotondità del suo petto. L’abbraccia alle spalle, contatto caldo e sensuale. La sua virilità appoggiata alle forme di lei. Scivola, trascinata. Vola, sospesa dalle sue braccia. Sembra voler fuggire, ma sempre ritorna ad esse. Non si cura del disvelarsi della sua intimità, coperta dall’effimero baluardo di un nero tessuto.
Amplesso verticale, danzato davanti gli occhi di un anonimo spettatore che li guarda rapito. La piazza è solo loro. Sono poco più di un albero spoglio ai loro occhi.
La musica scema. Danzando, attraversano lo spazio. Come apparsi, scompaiono. Li inghiotte la nebbia, l’oscurità li avvolge mentre fianco a fianco si inabissano nel vicolo. Risate, parole. Lasciano un velo di profumo di donna, l’aria smossa dai loro corpi. Lasciano un uomo appoggiato al muro scrostato di una vecchia casa, il baluginare di una sigaretta tra le sue labbra la luce gialla dei lampioni, alberi spogli nella nebbia e riflessi deformi su ciottoli lucidi.
Le finestre di queste vecchie case sono occhi accesi sul mondo velato che mi circonda. Come una bocca spalancata, una di esse è aperta. Un suono dolce proviene da quella fessura che unisce l’intimità di un’abitazione a questo mondo indefinito. Una chitarra. Anonimo musicista che batte il quattro quarti di un tango famoso.
Ritmo sensuale, liquido, picchiettante. La melodia si mescola con le voci che provengono da una delle vie che si immettono nella piazza. Voce di uomo, voce di donna. Risate, parole. Che si diranno? Saranno felici? Amanti forse. Clandestini protetti da questo grigio lenzuolo algido. Devono aver sentito la musica. Si fermano, guardandosi. Lei si allontana dandogli le spalle, facendo scivolare la stola che ne ricopre le spalle a terra. Lui attende, carezzando con lo sguardo le forme sinuose di lei.
In accordo con la musica i suoi tacchi percuotono il selciato, le punte scivolano lungo rette invisibili. Avanza decisa, slanciata e regale. Sicura, nel suo abito nero, tenue velo contro il gelo che scende inesorabile. Capelli raccolti in una coda che ondeggia, corvini, lucidi e lisci. Ride, e lui la guarda come si guarda un’apparizione. Con quel misto di stupore e ammirazione. Poi si ferma, si volta di scatto roteando su un piede. I capelli slanciati a descrivere un arco che fende l’aria d’attorno.
Lui la segue, raccoglie il tessuto impregnato del suo profumo, la raggiunge. Una mano si protende, incontra il calore dell’altra e le dita si avvinghiano. La tira a sé. Lei si lascia trasportare, docile ma non remissiva. Un braccio ne cinge i fianchi. Lo guarda. Occhi accesi, fissi nei suoi. Lo spazio tra i corpi si annulla. Contatto di mondi diversi, attratti come astri celesti, separati e uniti da invisibili forze.
Ora è danza. Scivolare sensuale dei piedi. Le gambe intrecciate, colonne mobili e forti. La pelle si scopre, il vestito rivela quanto dapprima occultava. Volteggi, discese vertiginose lungo le sue cosce tese, risalite seguendo la linea morbida dei fianchi. La musica incalza e loro non si sottraggono. Si piega all’indietro, lui la sostiene scendendo fin quasi a baciare le rotondità del suo petto. L’abbraccia alle spalle, contatto caldo e sensuale. La sua virilità appoggiata alle forme di lei. Scivola, trascinata. Vola, sospesa dalle sue braccia. Sembra voler fuggire, ma sempre ritorna ad esse. Non si cura del disvelarsi della sua intimità, coperta dall’effimero baluardo di un nero tessuto.
Amplesso verticale, danzato davanti gli occhi di un anonimo spettatore che li guarda rapito. La piazza è solo loro. Sono poco più di un albero spoglio ai loro occhi.
La musica scema. Danzando, attraversano lo spazio. Come apparsi, scompaiono. Li inghiotte la nebbia, l’oscurità li avvolge mentre fianco a fianco si inabissano nel vicolo. Risate, parole. Lasciano un velo di profumo di donna, l’aria smossa dai loro corpi. Lasciano un uomo appoggiato al muro scrostato di una vecchia casa, il baluginare di una sigaretta tra le sue labbra la luce gialla dei lampioni, alberi spogli nella nebbia e riflessi deformi su ciottoli lucidi.
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