Convergenze letterarie
di
PabloN
genere
etero
PREMESSA: Questo racconto è di pura fantasia. Nasce da un gioco tra Yuba e me. In fondo siamo colleghi, in luoghi diversi ma colleghi. Così, quando mi ha chiesto di scrivere un racconto in cui fossimo entrambi presenti ho accettato. Una sfida. Che c’è di meglio di una sfida per stimolare la fantasia letteraria? Anche se, Yuba, io te lo dico: hai scelto il meno erotico degli imbrattacarte qui presenti. Se lo hai fatto avrai avuto le tue buone ragioni. Per cui bando alle ciance e si dia inizio alla sfida.
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Gli indizi c’erano. Infermiera. Come me. Lavora in Ospedale. Anche io. In Piemonte. Cazzo, due indizi fanno una prova, qui abbiamo superato il requisito minimo. Si comincia così no? Con la curiosità. Perché virtuale va bene, ma vuoi mettere incontrarsi? Non vi viene mai la curiosità di scoprire quanto di vero c’è dietro le parole? A me si, spesso. Non parlo di doppi fini. Per vedere quanto siamo onesti e quante balle raccontiamo a noi, per primi, e agli altri. Sapremo reggere il personaggio che ci siamo costruiti? Domande. Senza risposta per altro.
Ma se lei lavora nel tuo stesso ospedale? Quante probabilità ci sono che due scribacchini abbiano in comune il luogo di lavoro? Poche vero? Già. Ci è voluto un po’ per capirlo. All’inizio ci siamo tenuti sul vago, al riparo. Alla fine però è stato chiaro ad entrambi. Troppe coincidenze. Da quel momento il gioco è scivolato sempre più fuori dall’angusto spazio del virtuale. Ha preteso di calarsi nella realtà. Fino ad oggi. Fino a questa sera.
Nei giorni passati ho guardato ogni collega incontrata nei corridoi chiedendomi se fosse lei. Bastava poco per accendere la curiosità: colore degli occhi, i capelli. Uno sguardo mantenuto più a lungo scatenava mille interrogativi. Va bene, lo ammetto. Anche le tette erano un indizio. Lo ha scritto lei, no, che il suo è un seno importante? Basta già per escludere un certo numero di potenziali candidate. Lo so, non appartiene al gentiluomo che mi piace apparire sul sito occhieggiare le tette alle colleghe. Ma è una buona causa. Almeno credo.
Ora però saprò. Anche lei saprà. Chissà se anche lei mi avrà cercato tra tutti i colleghi incontrati nei corridoi. Se curiosa come dice direi di si. Ci siamo dati appuntamento all’uscita. Sembra che entrambi oggi lavoriamo al pomeriggio. Usciremo alle 23. Tardi, si. In fondo è solo un primo uscire allo scoperto. Qualsiasi ora andava bene.
Ecco. Ci siamo. Il turno è finito. Ho atteso che uscissero tutti. Non voglio che ci vedano. Per carità, non è nulla di male. Ma sapete, l’ambiente ospedaliero è oltremodo pettegolo. Chissà che si inventerebbero ci vedessero insieme.
Yuba. Chissà perché Yuba. Glielo chiederò questa sera. Magari vorrà sapere perché Pablo. Un buon inzio no? Ok, calmati. Inutile negare che sono nervoso. Esco dal reparto, lasciandomi alle spalle gli odori e i suoni che mi hanno accompagnato nelle ultime otto ore. Mi tolgo la divisa. Forse è meglio una doccia. Ho ancora un po’ di tempo, perché no. Prendo l’asciugamano che tengo nell’armadietto, mi tolgo tutto ed entro nel locale docce, attiguo allo spogliatoio. A quest’ora ci sono solo io, tutti i colleghi del pomeriggio se ne sono andati da tempo.
Apro la porta e mi accoglie il suono dell’acqua scrosciante. Oh cazzo, qualcun altro si è attardato? Cerco di pensare cosa sia meglio fare. L’ambiente è caldo, l’aria resa nebbiosa dai vapori che provengono dal box doccia. Strano però. L’odore del doccia schiuma mi sembra un po’ troppo dolce per un uomo. Sono ancora indeciso sul da farsi quando sulla parete di plexiglass ondulata un dito inizia a tracciare, lento, quasi metodico, delle lettere. Una alla volta.Y, seguita da U, poi B ed infine A. Resto impietrito. Le voci corrono più di quello che si creda. Voci di chi? Nessuno sapeva nulla, a parte lei e me. Io non ne ho fatto parola con nessuno. Ne avrà parlato con qualcuno in reparto? Comunque, questo doccia schiuma è davvero un po’ troppo dolce.
Un pensiero mi attraversa. Se fosse lei? Nella doccia dico. Se avesse capito chi sono? Eppure sono stato attento. Almeno così credo. Se fosse lei? Sulla parete plastica vedo avvicinarsi una sagoma. I contorni deformati dall’acqua e dai disegni in rilievo. Sembra una donna. Forse mi sbaglio. Di certo mi sbaglio. Invece no. Appoggia il seno alla lamina, si vede chiaramente. Seni pieni. Deglutisco. Cazzo, è lei. E ora? Che faccio? Non riesco a formulare pensieri coerenti. Qualunque cosa avessi pensato di questo incontro si sta sgretolando.
La porta del box si apre appena, lasciando fuoriuscire uno sbuffo di vapore leggero. Devo prendere una decisione. Mi avvicino un po’. Il fatto di esser nudo in questo momento non rientra nelle mie preoccupazioni. Forse dovrebbe. Voglio dire, no so chi sia e il nostro primo incontro avviene senza abiti addosso. Non dopo cena, come avviene di norma. No. Saltati convenevoli, subito nudi. A dire il vero non avevo pensato nemmeno ad una cena con seguito erotico. Solo un incontro. Ma sono, anzi siamo, qui. Ha forzato la mano, i tempi. Ora la palla è nel mio campo. Intendo giocarla.
Giungo alla porta del box e lo apro. Mi investe il calore profumato del suo interno. La nebbiolina mi offusca per qualche secondo la vista. La vedo. Rimango bloccato. Non avrei mai pensato potesse essere lei. Non che non risponda alle descrizioni. Tutto veritiero. E’ una bella donna. Se ci avessi pensato con più attenzione lo avrei capito. Solo non pensavo potesse scrivere racconti erotici. D’altra parte chi direbbe che li scriva io? Pensa la faccia dei colleghi lo sapessero. Ora è li, nuda davanti a me. Il corpo solcato da rivoli d’acqua che scivolano sulle sue forme.
Ci guardiamo per un momento. I suoi grandi occhi nocciola nei miei, verdi. Le mani si allungano appena, a sfiorarsi. Le dita si intrecciano. Restiamo muti. Le parole sono già state dette e scritte.
Difficile dire se sia lei che mi attrae a sé o il contrario. Forse entrambi ripetiamo lo stesso gesto. La distanza tra i i corpi si riduce, fino ad annullarsi. Posso sentire la pelle calda di lei, la morbidezza dei suoi seni appoggiati al mio petto. Il pube che preme sulla mia erezione. Il mondo virtuale si è dissolto, unico nascondiglio la nebbia che ci avvolge. Protegge il nostro incontro. Ci lascia nudi allo sguardo dell’altro. Le labbra si sfiorano. Poi si appoggiano. Infine si aprono. Due mondi che si conoscono. Si esplorano a vicenda, cercandosi. Sapori nuovi che si fondono.
I gesti ripercorrono i racconti. Ci dipingiamo con le mani, le stoffe cadono, siamo spettatori al di la della vetrina, sonnambuli. Siamo i lavavetri, i corpi a sfiorare la plastica, apparizioni fugaci prima di scomparire nuovamente nella bruma calda. Diventa Cleopatra, il calore dell’acqua e il suo fluire a ricordare le notti sul Nilo. Assaggiamo i nostri corpi, perdiamo i confini e la nozione del tempo. È la donna del treno, distesa sul fondo del Sand Creek, la prima sul prato in montagna, siamo insieme sul bus. Ci inondiamo a vicenda, fino ad esaurirci.
Sfiniti ci guardiamo. Chiude l’acqua, ci asciughiamo l’un la’ltra prolungando il contatto. Apro la porta del box, osservando cauto. Usciamo e ci rivestiamo. Torniamo nei nostri panni abituali prima di uscire dallo spogliatoio e prendere la via del parcheggio esterno.
Ci accoglie la notte. La luna ci osserva, discreta e benigna spettatrice. Ci dirigiamo alle nostre auto, in silenzio. Assorti in mille pensieri. I corpi scossi da quanto provato. Ci guardiamo ancora una volta. Domani torneremo scrittori, Yuba e Pablo.
Ora siamo noi, nascosti dalla notte senza poter più nasconderci.
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Gli indizi c’erano. Infermiera. Come me. Lavora in Ospedale. Anche io. In Piemonte. Cazzo, due indizi fanno una prova, qui abbiamo superato il requisito minimo. Si comincia così no? Con la curiosità. Perché virtuale va bene, ma vuoi mettere incontrarsi? Non vi viene mai la curiosità di scoprire quanto di vero c’è dietro le parole? A me si, spesso. Non parlo di doppi fini. Per vedere quanto siamo onesti e quante balle raccontiamo a noi, per primi, e agli altri. Sapremo reggere il personaggio che ci siamo costruiti? Domande. Senza risposta per altro.
Ma se lei lavora nel tuo stesso ospedale? Quante probabilità ci sono che due scribacchini abbiano in comune il luogo di lavoro? Poche vero? Già. Ci è voluto un po’ per capirlo. All’inizio ci siamo tenuti sul vago, al riparo. Alla fine però è stato chiaro ad entrambi. Troppe coincidenze. Da quel momento il gioco è scivolato sempre più fuori dall’angusto spazio del virtuale. Ha preteso di calarsi nella realtà. Fino ad oggi. Fino a questa sera.
Nei giorni passati ho guardato ogni collega incontrata nei corridoi chiedendomi se fosse lei. Bastava poco per accendere la curiosità: colore degli occhi, i capelli. Uno sguardo mantenuto più a lungo scatenava mille interrogativi. Va bene, lo ammetto. Anche le tette erano un indizio. Lo ha scritto lei, no, che il suo è un seno importante? Basta già per escludere un certo numero di potenziali candidate. Lo so, non appartiene al gentiluomo che mi piace apparire sul sito occhieggiare le tette alle colleghe. Ma è una buona causa. Almeno credo.
Ora però saprò. Anche lei saprà. Chissà se anche lei mi avrà cercato tra tutti i colleghi incontrati nei corridoi. Se curiosa come dice direi di si. Ci siamo dati appuntamento all’uscita. Sembra che entrambi oggi lavoriamo al pomeriggio. Usciremo alle 23. Tardi, si. In fondo è solo un primo uscire allo scoperto. Qualsiasi ora andava bene.
Ecco. Ci siamo. Il turno è finito. Ho atteso che uscissero tutti. Non voglio che ci vedano. Per carità, non è nulla di male. Ma sapete, l’ambiente ospedaliero è oltremodo pettegolo. Chissà che si inventerebbero ci vedessero insieme.
Yuba. Chissà perché Yuba. Glielo chiederò questa sera. Magari vorrà sapere perché Pablo. Un buon inzio no? Ok, calmati. Inutile negare che sono nervoso. Esco dal reparto, lasciandomi alle spalle gli odori e i suoni che mi hanno accompagnato nelle ultime otto ore. Mi tolgo la divisa. Forse è meglio una doccia. Ho ancora un po’ di tempo, perché no. Prendo l’asciugamano che tengo nell’armadietto, mi tolgo tutto ed entro nel locale docce, attiguo allo spogliatoio. A quest’ora ci sono solo io, tutti i colleghi del pomeriggio se ne sono andati da tempo.
Apro la porta e mi accoglie il suono dell’acqua scrosciante. Oh cazzo, qualcun altro si è attardato? Cerco di pensare cosa sia meglio fare. L’ambiente è caldo, l’aria resa nebbiosa dai vapori che provengono dal box doccia. Strano però. L’odore del doccia schiuma mi sembra un po’ troppo dolce per un uomo. Sono ancora indeciso sul da farsi quando sulla parete di plexiglass ondulata un dito inizia a tracciare, lento, quasi metodico, delle lettere. Una alla volta.Y, seguita da U, poi B ed infine A. Resto impietrito. Le voci corrono più di quello che si creda. Voci di chi? Nessuno sapeva nulla, a parte lei e me. Io non ne ho fatto parola con nessuno. Ne avrà parlato con qualcuno in reparto? Comunque, questo doccia schiuma è davvero un po’ troppo dolce.
Un pensiero mi attraversa. Se fosse lei? Nella doccia dico. Se avesse capito chi sono? Eppure sono stato attento. Almeno così credo. Se fosse lei? Sulla parete plastica vedo avvicinarsi una sagoma. I contorni deformati dall’acqua e dai disegni in rilievo. Sembra una donna. Forse mi sbaglio. Di certo mi sbaglio. Invece no. Appoggia il seno alla lamina, si vede chiaramente. Seni pieni. Deglutisco. Cazzo, è lei. E ora? Che faccio? Non riesco a formulare pensieri coerenti. Qualunque cosa avessi pensato di questo incontro si sta sgretolando.
La porta del box si apre appena, lasciando fuoriuscire uno sbuffo di vapore leggero. Devo prendere una decisione. Mi avvicino un po’. Il fatto di esser nudo in questo momento non rientra nelle mie preoccupazioni. Forse dovrebbe. Voglio dire, no so chi sia e il nostro primo incontro avviene senza abiti addosso. Non dopo cena, come avviene di norma. No. Saltati convenevoli, subito nudi. A dire il vero non avevo pensato nemmeno ad una cena con seguito erotico. Solo un incontro. Ma sono, anzi siamo, qui. Ha forzato la mano, i tempi. Ora la palla è nel mio campo. Intendo giocarla.
Giungo alla porta del box e lo apro. Mi investe il calore profumato del suo interno. La nebbiolina mi offusca per qualche secondo la vista. La vedo. Rimango bloccato. Non avrei mai pensato potesse essere lei. Non che non risponda alle descrizioni. Tutto veritiero. E’ una bella donna. Se ci avessi pensato con più attenzione lo avrei capito. Solo non pensavo potesse scrivere racconti erotici. D’altra parte chi direbbe che li scriva io? Pensa la faccia dei colleghi lo sapessero. Ora è li, nuda davanti a me. Il corpo solcato da rivoli d’acqua che scivolano sulle sue forme.
Ci guardiamo per un momento. I suoi grandi occhi nocciola nei miei, verdi. Le mani si allungano appena, a sfiorarsi. Le dita si intrecciano. Restiamo muti. Le parole sono già state dette e scritte.
Difficile dire se sia lei che mi attrae a sé o il contrario. Forse entrambi ripetiamo lo stesso gesto. La distanza tra i i corpi si riduce, fino ad annullarsi. Posso sentire la pelle calda di lei, la morbidezza dei suoi seni appoggiati al mio petto. Il pube che preme sulla mia erezione. Il mondo virtuale si è dissolto, unico nascondiglio la nebbia che ci avvolge. Protegge il nostro incontro. Ci lascia nudi allo sguardo dell’altro. Le labbra si sfiorano. Poi si appoggiano. Infine si aprono. Due mondi che si conoscono. Si esplorano a vicenda, cercandosi. Sapori nuovi che si fondono.
I gesti ripercorrono i racconti. Ci dipingiamo con le mani, le stoffe cadono, siamo spettatori al di la della vetrina, sonnambuli. Siamo i lavavetri, i corpi a sfiorare la plastica, apparizioni fugaci prima di scomparire nuovamente nella bruma calda. Diventa Cleopatra, il calore dell’acqua e il suo fluire a ricordare le notti sul Nilo. Assaggiamo i nostri corpi, perdiamo i confini e la nozione del tempo. È la donna del treno, distesa sul fondo del Sand Creek, la prima sul prato in montagna, siamo insieme sul bus. Ci inondiamo a vicenda, fino ad esaurirci.
Sfiniti ci guardiamo. Chiude l’acqua, ci asciughiamo l’un la’ltra prolungando il contatto. Apro la porta del box, osservando cauto. Usciamo e ci rivestiamo. Torniamo nei nostri panni abituali prima di uscire dallo spogliatoio e prendere la via del parcheggio esterno.
Ci accoglie la notte. La luna ci osserva, discreta e benigna spettatrice. Ci dirigiamo alle nostre auto, in silenzio. Assorti in mille pensieri. I corpi scossi da quanto provato. Ci guardiamo ancora una volta. Domani torneremo scrittori, Yuba e Pablo.
Ora siamo noi, nascosti dalla notte senza poter più nasconderci.
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