Per le lacrime
di
RunningRiot
genere
etero
Molto, molto fragile. A vedermi sì, lo si direbbe. A conoscermi, non tanto. Ma sì, a volte è così. Molto, molto fragile.
Questo è uno dei momenti in cui non lo direste. Direste piuttosto: ma come cazzo fai a non romperti?
Non lo so, mi viene così. Mi è sempre venuto così. Magari non sono l’unica. In altre circostanze vi confesserei pure che mi piace da matti.
Ho i quasi ottanta e più chili di carne e muscoli di Luca sul mio esile petto, sulle mie piccole mele, sulle mie costole che non si vedono ma si sentono se appena ci passi un dito. Lui, che in confronto al mio ha un petto che se si presenta a Fiumicino ci fanno atterrare gli Airbus. Il petto è stata la prima cosa che ho toccato di lui, con la schiena. In piedi, appoggiandomici su una spiaggia al tramonto e tenendo in mano un long drink.
Il suo peso si scarica su due punti del mio corpo, ma in particolare sull’ampia baia tra le mie tettine. I movimenti leggeri ne accentuano la pressione secondo un ritmo lento e cadenzato.
Mi schiaccia, mi taglia il fiato, riduce la mia voce a un sospiro.
Lo fa perché lo sa. Lo sa che mi piace. “Mi piace quando mi schiacci”, gliel’ho detto talmente tante volte che non c’è nemmeno più bisogno di dirlo.
Adesso non è che non mi piace. Mi piace, ma ho la testa altrove. Il cuore è qui, il mio corpo sostiene il peso del suo, ma la mente è altrove.
E’ dentro di me. Lo sento, come sempre. Avanza e arretra piano. Lullaby.
Come sempre, il mio sesso ha spalancato le braccia all’invasore, gli ha aperto le porte, gli ha dato le chiavi della città.
Non è che non mi piace. Mi piace, ma ho la testa altrove. Il cuore è qui, la mia vagina lo avvolge, ma la mente è altrove. Le mie gambe restano aperte, ripiegate. Non si chiudono sulla sua schiena a invocare una penetrazione maggiore, a chiamare il galoppo.
Il suo viso affonda nel cuscino, accanto al mio. Con una mano gli accarezzo la nuca. Non mi sussurra parole oscene, non gli strillo parole oscene. In realtà non parlo, ansimo leggermente, qualche gemito, non gli dico nemmeno “sì”. Sono con lui, ma ho la mente altrove.
Dove, non lo so. Chissà, quando facciamo l’amore così, dove vanno a finire i nostri pensieri. Quando ci mettiamo corpo e sentimento ma non riusciamo a connetterci con loro.
E’ un po’ che facciamo così. In realtà ultimamente non lo facciamo nemmeno tanto spesso. Di certo sono state più le sere e le notti che ho passato rannicchiata nel suo abbraccio per sentirmi protetta, a dormire o a chiedergli se tutto andrà bene piuttosto che a stargli sotto a gambe aperte.
Non vorrei essere fraintesa: non sto accogliendo le sue smanie virili, non sto soggiacendo a un sottotesto che recita “sei la mia ragazza e ti prendo, me la dai anche se non ti va”. Ma nemmeno per sogno. A parte il fatto che non è il tipo, a parte il fatto che lo farei pure…
Sono stata io che gliel’ho chiesto senza chiederlo, è stato il mio corpo che l’ha invitato a passare da baci, carezze e coccole a questo. Impercettibilmente e inconsapevolmente, forse, ma sono stata io. Credo che desiderassi questo, che gli abbracci diventassero questo.
E lui ha risposto alla mia richiesta. Non so se solo il suo corpo o anche la sua mente, ma sarei pronta a scommettere entrambi. Slow and gentle. Che differenza con la furia che conosciamo e che ci siamo sempre scambiati.
Non mi sto lamentando, tutt’altro. Non avevo voglia di furia.
Sto scomoda. Mi tiro un po’ su la camicia da notte ma sto sempre scomoda.
- Vuoi che mi spogli? – gli domando.
Lui fa cenno di sì con un sorriso e, mentre mi denudo, si toglie la maglietta del pigiama. Come lui preferisce. Invece a me spesso non dispiace restare con qualcosa addosso. L’abitudine a un sesso rapace che adesso non so nemmeno dove sia finito.
Mi sarebbe piaciuto che non uscisse, ma abbiamo fatto tutti e due movimenti troppo bruschi.
Mi passa le mani sul petto, sul seno. Una lunga pressante carezza. Sento il brivido, ma se devo essere sincera mi dà più piacere il gesto che il contatto. E’ un gesto che sa di ammirazione, di “adoro te e il tuo corpo”. Ma è anche un gesto che sa di “sono qui e non ti lascio”.
Torna a stendersi su di me, a schiacciarmi. Pelle su pelle, calore su calore, respiro su respiro. Il mio grottino si apre ancora alla sua verga. E’ grossa e dura, entra piano come prima. Ma la sento più di prima, scivola su mucose e lubrificazione vaginale come un serpente che non finisce mai di intrudere lento. Lo accoglie un gemito più alto della mia voce di almeno un’ottava.
- Luca…
Mentre è dentro di me sussurra parole di una verità indiscutibile, sussurra “io ti amo così tanto”.
Lo so perché lo dice. Nelle parole “ti amo” dovrebbe esserci già tutto eppure riesce a metterci qualcosa in più, tanto di più.
E’ tutto talmente lui, è tutto così incredibilmente diverso dal solito e bello, ora.
Mi viene da piangere.
Piango.
Prima sono poche lacrime, poi ho gli occhi bagnati, poi frigno proprio come una bambina. Breakdown.
Piango per come sono fatta, perché non vorrei essere così ma lo sono. Molto, molto fragile a volte.
Piango perché il mondo è una merda e l’orrore umano ci sovrasta. E come se non bastasse, dove non arriva l’orrore umano arrivano la stupidità, la bassezza, il degrado delle menti. Perché abbiamo la capacità di rendere futile, inutile, indesiderabile tutto il bello di cui siamo capaci. Piango perché gli animali che ci osservano pensano che siamo una specie senza onore.
E forse piango il mio lamento, la deplorazione di me stessa, piango perché non me lo merito, Luca. Non merito né lui né la sua consolazione. Tantomeno il suo amore.
Piango e lo abbraccio più forte. Mi abbraccia anche lui, asciuga le lacrime con i baci. Non è più tempo dei “cosa hai?”, quello l’abbiamo trascorso, sviscerato.
- Non avere paura.
E invece io ho paura. In primo luogo di me stessa e della mia debolezza. E ho anche paura di abituarmi a tutto, perché lentamente ci si abitua a tutto. Mi sto già abituando e non vorrei farlo. Non mi sembra giusto.
Piango ed è un bene piangere. Perché piangere impedisce che mi succeda di peggio. Come una valvola che fa sfogare la pressione, come la chiusa di una diga che si apre.
In fondo si può piangere per tanti motivi, infiniti. E anche il sesso si può fare per tanti motivi. Io ne conosco un numero che qualcuno considererebbe eccessivo. Alcuni lodevoli e altri meno. Ma questo non l’avevo mai esplorato.
Per le lacrime, è per questo che sto facendo l’amore.
Questo è uno dei momenti in cui non lo direste. Direste piuttosto: ma come cazzo fai a non romperti?
Non lo so, mi viene così. Mi è sempre venuto così. Magari non sono l’unica. In altre circostanze vi confesserei pure che mi piace da matti.
Ho i quasi ottanta e più chili di carne e muscoli di Luca sul mio esile petto, sulle mie piccole mele, sulle mie costole che non si vedono ma si sentono se appena ci passi un dito. Lui, che in confronto al mio ha un petto che se si presenta a Fiumicino ci fanno atterrare gli Airbus. Il petto è stata la prima cosa che ho toccato di lui, con la schiena. In piedi, appoggiandomici su una spiaggia al tramonto e tenendo in mano un long drink.
Il suo peso si scarica su due punti del mio corpo, ma in particolare sull’ampia baia tra le mie tettine. I movimenti leggeri ne accentuano la pressione secondo un ritmo lento e cadenzato.
Mi schiaccia, mi taglia il fiato, riduce la mia voce a un sospiro.
Lo fa perché lo sa. Lo sa che mi piace. “Mi piace quando mi schiacci”, gliel’ho detto talmente tante volte che non c’è nemmeno più bisogno di dirlo.
Adesso non è che non mi piace. Mi piace, ma ho la testa altrove. Il cuore è qui, il mio corpo sostiene il peso del suo, ma la mente è altrove.
E’ dentro di me. Lo sento, come sempre. Avanza e arretra piano. Lullaby.
Come sempre, il mio sesso ha spalancato le braccia all’invasore, gli ha aperto le porte, gli ha dato le chiavi della città.
Non è che non mi piace. Mi piace, ma ho la testa altrove. Il cuore è qui, la mia vagina lo avvolge, ma la mente è altrove. Le mie gambe restano aperte, ripiegate. Non si chiudono sulla sua schiena a invocare una penetrazione maggiore, a chiamare il galoppo.
Il suo viso affonda nel cuscino, accanto al mio. Con una mano gli accarezzo la nuca. Non mi sussurra parole oscene, non gli strillo parole oscene. In realtà non parlo, ansimo leggermente, qualche gemito, non gli dico nemmeno “sì”. Sono con lui, ma ho la mente altrove.
Dove, non lo so. Chissà, quando facciamo l’amore così, dove vanno a finire i nostri pensieri. Quando ci mettiamo corpo e sentimento ma non riusciamo a connetterci con loro.
E’ un po’ che facciamo così. In realtà ultimamente non lo facciamo nemmeno tanto spesso. Di certo sono state più le sere e le notti che ho passato rannicchiata nel suo abbraccio per sentirmi protetta, a dormire o a chiedergli se tutto andrà bene piuttosto che a stargli sotto a gambe aperte.
Non vorrei essere fraintesa: non sto accogliendo le sue smanie virili, non sto soggiacendo a un sottotesto che recita “sei la mia ragazza e ti prendo, me la dai anche se non ti va”. Ma nemmeno per sogno. A parte il fatto che non è il tipo, a parte il fatto che lo farei pure…
Sono stata io che gliel’ho chiesto senza chiederlo, è stato il mio corpo che l’ha invitato a passare da baci, carezze e coccole a questo. Impercettibilmente e inconsapevolmente, forse, ma sono stata io. Credo che desiderassi questo, che gli abbracci diventassero questo.
E lui ha risposto alla mia richiesta. Non so se solo il suo corpo o anche la sua mente, ma sarei pronta a scommettere entrambi. Slow and gentle. Che differenza con la furia che conosciamo e che ci siamo sempre scambiati.
Non mi sto lamentando, tutt’altro. Non avevo voglia di furia.
Sto scomoda. Mi tiro un po’ su la camicia da notte ma sto sempre scomoda.
- Vuoi che mi spogli? – gli domando.
Lui fa cenno di sì con un sorriso e, mentre mi denudo, si toglie la maglietta del pigiama. Come lui preferisce. Invece a me spesso non dispiace restare con qualcosa addosso. L’abitudine a un sesso rapace che adesso non so nemmeno dove sia finito.
Mi sarebbe piaciuto che non uscisse, ma abbiamo fatto tutti e due movimenti troppo bruschi.
Mi passa le mani sul petto, sul seno. Una lunga pressante carezza. Sento il brivido, ma se devo essere sincera mi dà più piacere il gesto che il contatto. E’ un gesto che sa di ammirazione, di “adoro te e il tuo corpo”. Ma è anche un gesto che sa di “sono qui e non ti lascio”.
Torna a stendersi su di me, a schiacciarmi. Pelle su pelle, calore su calore, respiro su respiro. Il mio grottino si apre ancora alla sua verga. E’ grossa e dura, entra piano come prima. Ma la sento più di prima, scivola su mucose e lubrificazione vaginale come un serpente che non finisce mai di intrudere lento. Lo accoglie un gemito più alto della mia voce di almeno un’ottava.
- Luca…
Mentre è dentro di me sussurra parole di una verità indiscutibile, sussurra “io ti amo così tanto”.
Lo so perché lo dice. Nelle parole “ti amo” dovrebbe esserci già tutto eppure riesce a metterci qualcosa in più, tanto di più.
E’ tutto talmente lui, è tutto così incredibilmente diverso dal solito e bello, ora.
Mi viene da piangere.
Piango.
Prima sono poche lacrime, poi ho gli occhi bagnati, poi frigno proprio come una bambina. Breakdown.
Piango per come sono fatta, perché non vorrei essere così ma lo sono. Molto, molto fragile a volte.
Piango perché il mondo è una merda e l’orrore umano ci sovrasta. E come se non bastasse, dove non arriva l’orrore umano arrivano la stupidità, la bassezza, il degrado delle menti. Perché abbiamo la capacità di rendere futile, inutile, indesiderabile tutto il bello di cui siamo capaci. Piango perché gli animali che ci osservano pensano che siamo una specie senza onore.
E forse piango il mio lamento, la deplorazione di me stessa, piango perché non me lo merito, Luca. Non merito né lui né la sua consolazione. Tantomeno il suo amore.
Piango e lo abbraccio più forte. Mi abbraccia anche lui, asciuga le lacrime con i baci. Non è più tempo dei “cosa hai?”, quello l’abbiamo trascorso, sviscerato.
- Non avere paura.
E invece io ho paura. In primo luogo di me stessa e della mia debolezza. E ho anche paura di abituarmi a tutto, perché lentamente ci si abitua a tutto. Mi sto già abituando e non vorrei farlo. Non mi sembra giusto.
Piango ed è un bene piangere. Perché piangere impedisce che mi succeda di peggio. Come una valvola che fa sfogare la pressione, come la chiusa di una diga che si apre.
In fondo si può piangere per tanti motivi, infiniti. E anche il sesso si può fare per tanti motivi. Io ne conosco un numero che qualcuno considererebbe eccessivo. Alcuni lodevoli e altri meno. Ma questo non l’avevo mai esplorato.
Per le lacrime, è per questo che sto facendo l’amore.
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