Una stanza per due

di
genere
etero

Presenziare a quella convention di Firenze era una grossa opportunità per far carriera, su questo non c’era alcun dubbio. Non mi era chiaro come mai in filiale avessero scelto proprio me tra i tanti “Junior” disponibili, ma non osavo lamentarmene; anzi. Sarebbe stata una settimana intensa, infernale, soprattutto gli ultimi tre giorni, ma avevo già dato prova di non cedere sotto pressione e credo di essere stato scelto soprattutto per questo. In questi mesi ho dato prova di tenacia e caparbietà; sanno che se mi metto in testa un obbiettivo farò di tutto per portarlo al termine. Non a caso mi sono guadagnato l’appellativo di “toro”… La cosa mi ha sempre fatto sorridere e, lo ammetto, inorgoglire, essere accomunato all’immagine stessa di Wall Street è motivo di vanto per un broker come me. Il mondo dell’alta finanza non è certo posto per pusillanimi: ci vuole tempra. Ma la mia storia non parlerà di questo, non parlerà della convention. Quest’ultima era appena giunta al termine quando accadde ciò di cui sto per scrivere. È passato un po’ di tempo, ma cercherò di essere il più preciso possibile. A quanti si aspettano una storia piccante senza capo né coda posso assicurare che hanno sbagliato racconto. Sicuramente su questo sito troverete qualcos’altro molto più adatto a voi. Agli altri dico che i fatti sono questi, senza fronzoli, senza esagerazioni pretenziose. Non ho bisogno di indorare la pillola. Questa storia comincia proprio alla fine della giornata più bella e intensa della mia breve carriera nel mondo della finanza italiana, alle sei del pomeriggio, quando abbiamo scoperto che a causa del maltempo il nostro volo di ritorno era stato cancellato.

Quelli dell’aeroporto Leonardo da Vinci erano stati categorici: nessun volo sarebbe partito da e per Milano fino alla fine di quella che, a detta di molti, aveva tutte le carte per essere la tempesta del secolo. Qualcuno osò fare qualche allusione all’alluvione del ’66 ma, come accade spesso nel nostro mondo, venne subito zittito per evitare un inflessione del clima di “fiducia”; cosa quanto mai deleteria per i mercati. Molti dei miei colleghi, specie quelli con famiglia, avevano optato per il treno; quelli non li fermano neanche le cannonate, solo i ritardi di Trenitalia, ma avevano dovuto abbandonare la convention quattro ore prima della fine. Non era per nulla professionale. La mia banca aveva già provveduto ad una sistemazione di emergenza per chi, come me, fosse rimasto incastrato nella convention fino alla fine e non aveva potuto provvedere ad un mezzo di trasporto alternativo. Eravamo rimasti in pochi, c’è da dirlo, ma Firenze quel giorno era invasa dai turisti e trovare una camera, visto che le nostre le avevamo già dovute lasciate quella mattina, fu un impresa a dir poco titanica. Giulia, la nostra stagista, era stata costretta a passare più di sei ore, dico ben sei ore al telefono con le reception di vari alberghi e B&B per trovare una sistemazione adatta a tutti, ma la fatica aveva dato i suoi frutti. Terminata la convention non avrei dovuto far altro che dirigermi direttamente all’Hotel assegnatomi e procedere alla registrazione. Un’impresa da poco, potreste pensare, ma sbagliereste. Quella sera, infatti, sembrava che persino il cielo stesse cadendo a grosse secchiate e di taxi, in giro, non ce n’era neppure uno. Perciò a un certo punto mi rassegnai a farmela a piedi, sotto la pioggia, e con l’ombrello rotto dal vento forte. Contavo di comprarne un altro una volta raggiunto il centro ma, a quanto pare, quella pioggia aveva fatto desistere anche il più tenace dei venditori ambulanti, perciò, ricapitolando: ero stato costretto a farmela a piedi, senza ombrello e sotto una pioggia gelida e torrenziale che faceva invidia a quelle che si vedono nei documentari sulla foresta amazzonica. Raggiunsi l’hotel che ero ormai fradicio. Mi registrai sgocciolando mezzo litro d’acqua ghiacciata sul tappeto della reception, cosa che indispettì non poco il concierge, anche se fece di tutto per dissimulare. Finalmente ottenni la tanto sospirata scheda elettronica. Ad essere sincero non vedevo l’ora di entrare in camera e buttarmi sotto un getto d’acqua; calda stavolta, gettandomi alle spalle tutta quella assurda faccenda. Ma avevo fatto i conti senza l’oste. L’ascensore si arrestò sobbalzando un po’, non doveva certo essere una suite prestigiosa, ma per una sola notte sarebbe andata più che bene. In camera trovai le luci accese, un soprabito beige sopra il letto matrimoniale, e il suono dell’acqua scrosciante dalla porta del bagno, da cui si levava una densa nube di vapore. La cosa mi lasciò interdetto per qualche minuto, ma mai quanto la visione che mi colpì poco dopo. Sola, circondata da una nube di vapore e nuda come la Venere del Botticelli mentre sorge dalle acque, la mia collega, Alba, comparve all’improvviso dalla porta del bagno, intenta a sistemarsi un asciugamano attorno ai folti capelli ondulati; ignara che in quella camera ci fosse un intruso. Un velo di goccioline ricopriva quel suo costume adamitico, imperlando i rosei capezzoli turgidi e il folto boschetto riccioluto che ne copriva il monte di venere. Una venere di Milo, senza alcun velo a coprirne pudicamente le grazie, intenta a sistemarsi le ultime ciocche ribelli mentre fischiettava un motivetto allegro: un’immagine che difficilmente uscirà dalla mia testa. L’urlo che cacciò quando mi notò lì, ancora sull’uscio, con le valige in mano e il soprabito grondante di pioggia avrebbe svegliato l’intero vicinato.

- Che cazzo ci fai qui? – mi chiese con tono visibilmente alterato
- Questa è la mia camera – risposi sibillino distogliendo a fatica lo sguardo
- Avrai voglia di scherzare – protestò lei mentre si affrettava a ricoprirsi con un accappatoio di spugna bianca trovato in bagno – credevo che avrei dormito da sola.
- Anch’io – le dissi prima di chiederle se adesso potessi girarmi.
- Non che prima tu mi abbia chiesto il permesso – replicò lei piccata
- A mia discolpa posso dire di non essere stato messo al corrente della tua presenza qui.
- Sì, ma non mi sembra che tu ti sia precipitato a far notare la tua presenza
- Ero troppo scioccato per reagire – replicai io sornione
- Addirittura – replicò lei con tono canzonatorio, distendendo quella situazione a dir poco imbarazzante. Per fortuna Alba era una di quelle poche colleghe con cui avevo già avuto la fortuna di lavorare. Ci conoscevamo abbastanza bene, dove quell’abbastanza sta per aver collaborato per tre mesi ad un progetto comune.
- Che vogliamo fare? - Mi chiese lei dopo essersi assicurata che il nodo all’accappatoio fosse ben fissato
- Contatto la reception e li informo del disguido. Troveranno sicuramente una soluzione.
- Ma quale soluzione vuoi che trovino alle dieci di sera? Lo sai anche tu che non c’è posto e che la povera Giulia è quasi impazzita per trovare a tutti una sistemazione.
- Tentar non nuoce – replicai io
- Ah già, dimenticavo che ho a che fare col “Toro” – mi disse lei con tono rassegnato scuotendo la testa – Fa pure, - disse poi sospirando - Tanto devo fare una telefonata anch’io.

La conversazione con il concierge non servì proprio a nulla. Anche se mi scocciava ammetterlo, Alba aveva ragione: quella era l’unica camera disponibile e, visto che la situazione era abbastanza complicata, l’azienda non si era fatta problemi a riservare per noi una camera matrimoniale anziché una doppia. Ero ancora lì che chiedevo spiegazioni alla reception quando il tono di Alba si era fatto decisamente più forte. Riagganciai. L’alterco telefonico non durò molto, e si risolse con una brusca chiusura da parte di lei, ma ero lo stesso indeciso sul come reagire.

-Tutto bene? – Le chiesi notando il suo stato alterato
- Sì, cioè, più o meno… ah – sospirò – Non va bene per niente. Era mio marito. Si è incazzato con me perché stasera non riesco a tornare a casa.
- Gli hai spiegato che non è dipeso da noi?
- Sì, ma non ha voluto sentir ragioni.
- Gli hai detto dell’episodio di poco fa?
- Sei pazzo? Vuoi che corra fin qui in preda alla gelosia? No, gli ho detto che divido la camera con un’altra collega, con Carla dell’ufficio prestiti, era inutile gettare benzina sul fuoco. Tu hai avuto successo?
- Macché! Un buco nell’acqua! Siamo stati fortunati che Giulia sia riuscita a recuperare questa camera, o ci sarebbe toccato dormire in aeroporto seduti su quelle sedie scomodissime. Solo che non capisco come mai ci abbiano messo in camera insieme. – aggiunsi mentre mi liberavo del pesante soprabito completamente zuppo. Il sollievo fu immediato: la stoffa aveva assorbito tanta di quell’acqua che toglierlo voleva dire liberarsi di almeno cinque chili - Sarei potuto stare ancora con Sergio, quello dell’ufficio acquisizioni – suggerii lanciando il soprabito sulla mia valigia - dopotutto abbiamo diviso la camera fino a stamattina…!
- Sergio è stato uno dei primi ad aver lasciato la convention - replicò Alba posando su di me uno sguardo obliquo – Credo abbia raggiunto la sua famiglia in villeggiatura. Non sono tutti stacanovisti come noi due, mio caro… “toro”.
Qualcosa l’aveva distratta mentre mi liberavo della giacca del mio splendido Armani nero, pagato un occhio della testa, e di cui speravo in una pronta sistemazione da parte della tintoria. Il suo sguardo si posò infatti sulla mia Trussardi bianca, in Oxford di puro cotone, che la pioggia aveva reso pressoché trasparente facendola aderire al mio corpo come una specie di seconda pelle. Pensavo si sarebbe fermato sui miei addominali scolpiti (sì, lo so, sono parecchio fissato) ma giunse più in basso di quanto immaginassi.
- Ti piace proprio chiamarmi in questo modo, non è vero? – Replicai mentre disfacevo la valigia in cerca di indumenti asciutti – Ecco, lo sapevo!
- Eh? Che è successo? – mi chiese lei come risvegliatasi da una trance.
- Tutto zuppo. La pioggia è penetrata attraverso la stoffa della cerniera e adesso è tutto fradicio nonostante la mia sia una di quelle valigie a guscio duro “A prova di infiltrazioni”, o almeno così millantava la pubblicità. Chi l’ha progettata non ha tenuto conto della pioggia torrenziale lì fuori.
- Diciamo che fa acqua da tutte le parti – riprese lei divertita prima di adombrarsi di nuovo. Si vedeva lontano un miglio che stava ancora rimuginando sulla sfuriata avuta poco prima col marito.
- Sai cosa penso? – dissi mentre mi avvicinavo al bagno per infilarmi un accappatoio e, magari, farmi una bella doccia calda.
-Cosa?
- Che tuo marito è un completo idiota se non ti permette di sfoggiare quel bel sorriso ogni istante della tua vita
- Dici?
-Dico – replicai ancora mentre chiudevo la porta del bagno per buttarmi nella cabina in cui penzolava un doccino mezzo sbeccato. Alba non mi rispose. Forse avevo fatto male a dire quel che pensavo. In vita mia mi era capitato un sacco di volte di trovarmi nei pasticci a causa della mia lingua; ma non avevo ancora imparato a tacere.

Mi disfai dei boxer neri, si potevano strizzare per quanto erano bagnati, e lasciai che l’acqua calda della doccia distendesse i miei muscoli intirizziti. Per un paio di minuti non ci fu che questo ad affollare i miei pensieri, questo e la viva immagine di assoluta perfezione di quel corpo statuario che, fino a qualche minuto prima, avevo ammirato in tutta la sua magnificenza. Immediatamente qualcosa, lì sotto, cominciò a muoversi, mentre il rewind di quella visione affollava la mia testa fasciata dal caldo flusso d’acqua. Minchia se era bona! Perché non l’avevo vista prima? Non che potessi farci nulla: che l’avessi notata o meno, restava il fatto che Alba era pur sempre sposata; ma la visione del suo corpo perfetto, di quei suoi seni prominenti, delle cosce tornite che racchiudevano un delizioso boschetto di peli rossicci, mi mandava in estasi come non mai. Le areole rosee, né troppo grandi, né troppo piccole, che circondavano un paio di capezzoli turgidi come chiodini, i fianchi larghi, sotto un vitino da vespa, mi mandavano letteralmente in visibilio. Che ve lo dico a fare? Mi diventò duro come il marmo e non accennava a calmarsi. Un bel problema se pensate che a pochi passi da quel bagno la mia collega, quella fregna assurda di cui fino ad allora avevo ignorato l’esistenza, continuava a bisticciare al telefono col marito. Il suo umore non era certo dei migliori per presentarsi con “argomenti” del genere; come minimo ci avrei guadagnato un cinquino in faccia, o, peggio, una denuncia penale per molestie. Non c’era altra soluzione: dovevo convincere il mio cazzo ad ammosciarsi. Ero lì sul punto di voltare il miscelatore verso la tanto temuta acqua fredda quando la voce di Alba mi colse alle spalle.
- Ale ti dispiace se entro?
- Eh, cosa? – chiesi da dietro il vetro appannato della cabina.
- Posso entrare? Ti dispiace?
- C-Certo… fa pure. – le risposi imbarazzato. Per fortuna il vetro era così appannato che era impossibile vedere attraverso, o sarebbe stato impossibile per me nascondere l’erezione.
- Devo prendere la crema contorno occhi che ho lasciato nel beauty – mi disse lei avvicinandosi allo specchio del bagno – O domattina finirò per assomigliare alla versione rossiccia di un panda, e abbiamo quella video call con Berlino…
- Ah già. Me n’ero quasi dimenticato – le risposi io un po’ più a mio agio. Parlare di lavoro mi rilassava, e sapere che non si vedesse nulla mi rilassava ancora di più.
- Ti dispiace se me la metto qui? Ho rotto lo specchietto da viaggio che avevo in borsa e…
- No, dai, hai rotto lo specchio?
- Sì, perché?
- Sono sette anni di sfortuna non lo sai?
- Più sfortuna di quella di questa sera?
- Beh effettivamente… - risposi io cominciando ad insaponarmi – tu e tuo marito avevate già fatto programmi per stasera? -
- Nulla di che: una seratina tranquilla in famiglia.
- Beh allora è stato proprio un gran peccato che tu te la sia persa… sai che palle!
Mi morsi la lingua. Mannaggia a me e alla mia bocca sfacciata! Ma come cavolo me ne sono uscito? Per fortuna Alba scoppiò a ridere. Una risata allegra, argentina, come una ventata d’aria fresca nell’umido tepore vaporoso del bagno.
- Scusa, non intendevo offenderti. – le borbottai poco dopo, ma lei sembrò non averci dato peso.
- Tranquillo – mi rispose poco dopo – la vita da sposati non è poi così eccitante come dicono; alla fine ci si abitua.
- Ci si abitua a cosa?
- Alla routine – sospirò – alla dannata routine. Effettivamente questo imprevisto è stata una piacevole variazione sul tema al solito tran tran quotidiano.
- Litigio a parte?
- Litigio a parte – ripeté lei sorridendomi attraverso lo specchio.
Un fulmine mi colpì a ciel sereno: se io potevo vedere il suo viso attraverso il vetro voleva dire che… Le mie mani corsero subito a coprire il mio membro ormai a riposo. Che stupido ero stato. Dopo essermi risciacquato avevo chiuso l’acqua, ignaro che fosse proprio quest’ultima a mantenere appannati i vetri della cabina, ed ora quel sottile velo di maya si era dissolto del tutto, lasciandomi esposto agli sguardi incuriositi della mia avvenente collega. Rosso come un peperone, mi allungai per prendere un grosso telo bianco di spugna che avvolsi intorno alla vita, uno di quelli appesi accanto al box doccia, premurandomi di non mostrare altro oltre ai fianchi. Alba notò l’imbarazzo sul mio volto, quel mio mezzo sorriso stentato, e mi strizzò l’occhio complice.
- Ti… ti aspetto di là – le dissi guadagnando la porta. Credevo che l’imbarazzo, una volta fuori da quel bagno sarebbe cessato lì; ma mi sbagliavo.

- Cosa c’è? – mi chiese Alba notando la mia faccia una volta uscita dal bagno. – Qualcosa non va?
- È tutto bagnato. Ogni cosa: calze, pantaloni, magliette… persino il pigiama!
- Anche la mia valigia vessa nelle stesse condizioni – disse lei indicandomela – Non mi è rimasto più neanche uno slip; ma per fortuna ci sono accappatoi e asciugamani in abbondanza. – e detto questo controllò ancora una volta che il nodo della cintura di spugna tenesse per bene.
– Già… - commentai io sovrappensiero
– Che altro c’è? – Mi chiese lei indispettita.
– Non ti sembra che cominci a fare davvero caldo?
- Dici? – Disse lei avvicinandosi al termostato sulla parete. – Effettivamente… Dannazione! – imprecò
- Che cosa c’è?
- Questo dannato coso è rotto. Ruoto la manopola ma sembra stia girando a vuoto.
- Sei sicura?
- Ne ho uno uguale a casa, ma se credi di riuscire a fare di meglio accomodati pure – mi rispose lei piccata.
- Non volevo offenderti - replicai io maledicendo il giorno e l’ora in cui avevo deciso di aprir bocca
- Intanto chiamo la reception e vedo se possono fare qualcosa! – aggiunse lei – ma dubito che possano fare miracoli a quest’ora. Di solito ci cambierebbero la camera… ma sono in overbooking… eh sì, pronto? – Disse poi rivolgendosi alla cornetta - Chiamo dalla camera 421… - la sua voce aveva assunto un tono stranamente distaccato; professionale, come se si trattasse di una telefonata di lavoro più che di un reclamo per un disservizio.
- Come sarebbe a dire che non sapete cosa fare. Non potete far venire nessuno? Sì, ci abbiamo già provato ma non si riesce neppure a spegnere… Va bene attendiamo!
- Dicono di non disperarsi – aggiunse una volta posata la cornetta - e che faranno salire qualcuno della manutenzione… speriamo bene!
Effettivamente la risposta fu tempestiva. Non eran’ passati che una manciata di minuti dalla nostra telefonata quando qualcuno bussò alla nostra porta. Era un valletto, inviato dalla direzione, e ci invitava a usufruire dell’impianto termale al piano interrato mentre qualcuno si sarebbe premurato di risolvere la situazione. Di solito l’ingresso all’impianto termale era a pagamento, ma la direzione, per scusarsi dell’inconveniente, ci invitava ad usufruire della struttura a nostro piacimento. Guardai Alba indeciso sul da farsi, ma ce l’aveva stampato in faccia che fremeva dalla voglia di provare sia la sauna che il bagno turco, così accettammo, consapevoli che vi ci saremmo dovuti recare con solo quel che avevamo addosso. Come ben sapete, infatti, indossavamo reciprocamente: un accappatoio e un telo doccia ma, vista la situazione, la struttura fu disposta a chiudere un occhio.
Dopotutto nella sauna - soggiunse una delle inservienti che ci accolse al nostro arrivo - è severamente vietato l’ingresso con qualunque tipo di indumento che non sia di puro cotone; specie i costumi da bagno che, contenendo materiali plastici e date le temperature elevate, tendono a rilasciare sostanze pericolose nell’ambiente. La cosa ci rincuorò non poco, ma sollevava un altro dubbio: come fare durante le immersioni nelle vasche presenti?
- Senti – mi disse Alba fissandomi negli occhi – sono anni che cerco di convincere mio marito ad accompagnarmi in una di queste spa; non ci sono mai riuscita. Francamente non voglio perdermi un’occasione del genere. Sei con me?
- Ma come la mettiamo con…
- Se fossi stato con Sergio dell’ufficio acquisizioni, come in questi giorni del resto, ti saresti fatto dei problemi?
- No… ma che c’entra?
- Lo stesso farei io se fossi qui con Martina, la segretaria di filiale.
- Che cosa vuoi dire?
- Voglio dire che si vive una volta sola cavolo, ed io non rinuncio a un ingresso gratuito in questa spa da sogno solo per la remota possibilità che tu possa vedermi le tette. Facciamo così: da questo momento tu sei la mia Martina, ed io il tuo Sergio. Ci stai?
- C-che… cosa? – le chiesi imbarazzato
- Dai “toro” che hai capito; allora ci stai?
.
Lo so cosa state pensando: fossi stato al suo posto non c’avrei pensato due volte! Lasciate che vi dica che vi ricredereste dopo aver passato almeno otto ore della vostra vita a seguire seminari incentrati sul cat-calling e sullo scongiurare le molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Vi ricordo che Alba era una mia collega e un’eventuale indagine interna per molestie, dopo essere stato denunciato da lei perché ha frainteso qualche mio atteggiamento, poteva davvero rovinarmi la carriera.
-Va… va bene – le risposi titubante.
- Dai Martina – riprese lei prendendomi scherzosamente sotto braccio – andiamo a provare la sauna!

Il centro termale vantava una struttura degna dei migliori alberghi europei, e comprendeva: sauna, bagno turco, docce emozionali, percorso knepp, frigidarium, caldarium e tiepidarium; nonché qualche vasca con delle acque particolari come quella all’ozono e quella ai Sali del mar morto. Il tutto si disponeva in un grande ambiente dalle luci soffuse, con nuvolette di vapore nebulizzato che si addensavano sul soffitto e musica ambientale sussurrata dai grigliati degli altoparlanti. Una piccola cascata posticcia riversava continuamente acqua nella vasca all’ozono, disposta proprio al centro della sala, facendone tracimare teatralmente i bordi in un grigliato che correva tutto intorno. Il resto delle “attrazioni” era disposto tutto intorno alla vasca, in modo che le varie sezioni si riflettessero sulla placida superficie a specchio di quest’ultima e creassero giochi di luce accattivante. Alba osservava tutto con sguardo rapito, estasiato, come una bambina che si rechi a Disneyland per la prima volta; le si parò sulle guance un sorriso che le era impossibile trattenere, e fremeva dalla voglia di farsi cullare dai soffici spruzzi delle docce emozionali.
- Allora… andiamo?
- Vai Sergio, - le risposi faceto – fai strada!

Per prima cosa provammo proprio le docce emozionali, premurandoci di dare ognuno le spalle all’altra mentre si faceva accarezzare dai soffici getti d’acqua calda e fredda. Anche se, a dirla tutta, una sbirciatina a quel suo bel culetto a mandolino, mentre mi dava le spalle, gliela diedi comunque. Poi fu la volta del bagno turco di cui, sinceramente, posso raccontare ben poco visto che c’era una nebbia che si tagliava col coltello. I caldi vapori, ad oltre 50°C, distesero del tutto i miei muscoli, rattrappiti per il freddo e la pioggia, molto meglio di quanto non avesse già fatto la doccia di poco prima. Intravedevo la silhouette di Alba nella lattiginosa foschia dell’hammam, ne intuivo le forme, una mera macchia rosata tra nubi di vapore, e a giudicare dalla percentuale di rosa, giurerei che si fosse liberata dell’accappatoio, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Quel vedo non vedo, ad ogni modo, mi mandò in visibilio. Sarà stato lo stare lì con quella donna avvenente, sarà stato il calore e i vapori profumati dell’hammam, sta di fatti che qualcosa lì sotto cominciò a richiamare la mia attenzione, imperlando la mia fronte di sudore molto più di quanto non avesse già fatto il bagno turco. Usciti da lì ci dirigemmo al frigidarium, e nel percorso dovetti controllare più volte che dall’accappatoio non si intravedesse nulla. Una grossa vasca di granito rosa, molto scenografica, tracimante acqua fredda ci aspettava ad un angolo della sala. L’impatto con i 4°C dell’acqua fu traumatico, ma sortì il suo effetto su parti che avrei preferito mantenere nascoste. Alba mi dette rispettosamente le spalle, pretendendo il medesimo trattamento quando sarebbe toccato a lei. Da parte mia posso dire di aver fatto di tutto per tener fede al patto stabilito, ma non avevo messo in conto il suo riflesso sulla superficie d’acqua ghiacciata del frigidarium. Era lì che immergeva le belle gambe slanciate nella vasca, quando la visione inconfondibile di quel suo bel boschetto rossiccio e riccioluto balenò nelle mie pupille per una manciata di secondi; un’immagine che difficilmente mi sarei tolto dalla testa nelle prossime ore. Dopo il Frigidarium fu la volta della sauna vera e propria; un’elegante cabina in legno di cedro in cui si raggiungevano 95°C di caldo secco. L’aria era abbastanza sopportabile, per lo meno all’inizio. Sono sicuro che se lì dentro avessimo avuto la stessa umidità presente nell’hammam avrei abbandonato quel comodo sedile di cedro meno di due secondi dopo essere entrato, ma per fortuna non fu così. L’aria era calda, torrida per certi versi, ma abbastanza secca da essere sopportabile. Le inservienti ci avevano raccomandato di passare lì dentro un massimo di quindici minuti per evitare di affaticare cuore e polmoni, ma era da un bel po’ che se n’erano andate per lasciarci apprezzare il centro benessere in completa intimità. L’idea che ci avessero creduto una coppia mi balenò in testa, devo essere sincero, ma fu Alba la prima a sottolinearlo. Mi sbirciava di sottecchi, mentre continuava a sventolarsi al collo col bavero dell’accappatoio. Nel farlo, si era dimenticata di mostrare molto più di quanto fosse lecito ad una donna felicemente sposata. Non che me ne lamentassi, ci mancherebbe… ne approfittai per dare una sbirciatina fugace a quei bei capezzoli rosei, sebbene il movimento fu così rapido che difficilmente avrei potuto dire con certezza di aver visto qualcosa. Era un gioco di vedo non vedo, un dannatissimo ed eccitantissimo gioco di gesti e di sguardi che risvegliava ancora una volta la mia libido, donandomi un durello difficile da gestire.

- Sì sta proprio bene, non credi? – Mi chiese mentre continuava a farsi aria con la mano.
-Che ne dici se dopo proviamo la vasca ai Sali del mar morto?
- Non chiedo di meglio – risposi io con la testa che cominciava a girarmi per il troppo calore (sì, diciamo che fosse per quello) – comincia a fare davvero caldo!
- Oh questo calore fa bene alla pelle – disse mentre chiudeva gli occhi per godersi al meglio la sauna norvegese. – peccato solo doverla fare in accappatoio.
- Sì, un vero peccato… -
- Sapevi che in Scandinavia la sauna la fanno tutti nudi?
- Sì, l’ho letto da qualche parte, ma non ricordo di preciso dove.
- Marta, la stagista che era con noi qualche anno fa, mi ha raccontato della sua esperienza col marito: durante il viaggio di nozze; è da non credersi quanto la gente possa essere di ampie vedute in paesi come quelli! Ah – sospirò – credo che prima o poi vorrò provarlo anch’io. Potrebbe essere salutare, non credi?
- Infatti… - risposi imbarazzato. La testa cominciò davvero a girarmi parecchio. Avvertivo un forte senso di vertigine, mentre il cuore batteva all’impazzata.
- Hai notato anche tu che ci hanno lasciati da soli?
- Forse ci hanno scambiato per una coppia e hanno preferito lasciarci da soli.
- Ma se la moretta che ci ha dato gli accappatoi nuovi non ha smesso un attimo di mangiarti con gli occhi; non faceva altro che squadrarti gli addominali scolpiti.
- Davvero? Non me ne sono accorto!
- E lo credo bene! È da quando siamo in camera che sei strano. Va tutto bene?
- Alla grande – mentii io mentre cercavo di resistere alla vertigine che andava facendosi via via sempre più intensa.
- Ne sei sicuro? Mi sembri un po’accaldato - mi disse lei avvicinandosi a controllarmi col dorso della mano la fronte imperlata di sudore. Nel farlo l’accappatoio cominciò ad aprirsi mettendo in mostra sempre più l’incavo tra i suoi seni. All’improvviso mi trovai a guardarle spudoratamente le tette, in parte ancora nascoste dalla soffice spugna bianca dell’accappatoio. Dallo scollo del bavero, infatti, cominciava a intravedersi il bordo rosaceo delle areole: non oltre qualche millimetro; ma tanto bastava a peggiorare ancora di più la mia situazione.
- Sicuro di stare bene? Non hai una bella cera!
- Sto bene – risposi cercando di darmi un tono con tutte le forze.
- Secondo me è meglio che ti liberi di quel coso – disse indicando l’accappatoio – o finirai per svenire qui dentro.
Detto questo cominciò ad armeggiare col nodo della mia cintura.
- Ma… Alba!
- Shh, niente “ma”; o dovrò raccoglierti col cucchiaino.
La donna mi allargò l’accappatoio dalle spalle, sfilandomelo dalle braccia. La soffice spugna di cotone cadde pesantemente sulle mie gambe, lasciandomi a torso nudo.
- E se qualcuno…
- Non c’è nessuno oltre me, ricordi? Non ci sono neppure Alba e Alessandro. Qui ci sono solo Sergio e Martina e loro due non si fanno di questi problemi. Giusto?
-N-no, però…
- Però niente. Forse è davvero ora di immergerci nella vasca ai Sali del mar morto. Vieni con me?
- S-Sì

Detto questo fummo subito fuori. L’aria esterna, fresca e leggera, mi fece subito sentire meglio. Alba mi guardava, sembrava divertita.
- Certo che non l’avrei mai detto che sarebbe bastata una sauna per metterti KO.
- Ah ah ah, divertente. – risposi piccato
- Dai, “Toro”, proviamo quella vasca.
- Ti piace proprio quel soprannome vero?
- Diciamo che adesso mi è chiaro il motivo per cui te l’hanno dato.
- In che senso?

Alba non mi rispose. Dandomi le spalle si liberò dell’accappatoio, che fece scivolare languidamente lungo i fianchi fino a che non fu a terra. La visione di quel suo culetto a mandolino raddrizzò ciò che le vertigini di poco prima avevano sopito. Sempre dandomi le spalle si immerse nella vasca fino alla vita, facendo scomparire quel culo mozzafiato tra la bianca spuma lattiginosa e, dopo essersi piegata per restare immersa fino al collo, si voltò a guardarmi divertita.

- Allora che fai? Non vieni?
- Ma, ma…
- Se non ti conoscessi bene, Martina, direi che ti stai facendo un sacco di problemi per nulla. Te lo ripeto: siamo sole.
Capii a cosa volesse alludere. Facendole cenno di voltarsi mi liberai anch’io dell’accappatoio; raggiungendola nella vasca subito dopo. Il mio cazzo svettava come una banderuola appesa ad una staffa. Fu quando vide il livello dell’acqua alzarsi che Alba decise di tornare a voltarsi per guardarmi.
- Va meglio?
- Decisamente
Ed era vero. Il contatto con quella poltiglia bianca e pastosa iper-concentrata di sale aveva un effetto tonificante. La soluzione era così densa che era impossibile riuscire a sbirciare qualcosa dei nostri corpi nudi nonostante fossimo a meno di mezzo metro di distanza. La vasca, in realtà una specie di trincea di marmo piena zeppa di sale, era alta poco più di un metro e ottanta, mentre il livello del liquido non superava il metro e sessanta. Alba mi sorrideva. Una volta immerso anch’io si era subito fatta avanti per guardarmi negli occhi. Avvertii il tocco della sua mano sul mio braccio destro; invisibile in quel mare di denso liquido lattiginoso. Era delicato, quasi impercettibile, e andava allungandosi lungo il braccio per poi sfiorarmi la spalla. Il suo volto assunse un’espressione dispettosa, come una bimba colta con le mani nel vasetto della marmellata. Le sue dita continuavano a sfiorare la mia pelle, allungandosi sul petto e sulle pieghe dei miei addominali scolpiti. Non abbiamo spiccicato parola. Ci limitavamo a guardarci intensamente negli occhi mentre i suoi polpastrelli si avventuravano sempre più in basso, sempre più a fondo, ed erano oramai giunti a sfiorare il fianco destro e una gamba. Incoraggiato dalla cosa, anch’io cominciai a sfiorarle il braccio sinistro per poi raggiungerne i morbidi fianchi da ninfa. Il contatto della mia mano le strappò un brivido, a cui seguì una risata divertita; ancora la sua risata argentina. Le mie dita si fecero sempre più ardite, seguendo il dolce profilo dei fianchi sino alle piccole e morbide spalle da dea. Alba non la smetteva di sorridermi, ma i suoi occhi azzurri trasmettevano una passione a cui era impossibile resistere, mi si fece sempre più vicina, sempre più complice. Il mio cazzo svettava in alto in cerca di attenzioni, ma le mie mani erano troppo impegnate a sfiorarne la pelle morbida e rosea per prendersene cura. Ad un tratto la punta del mio cazzo sfiorò qualcosa, credo fosse la sua pancia, mentre avvertivo le sue dita spostarsi sui miei fianchi fino a raggiungere la base della mia asta. C’eravamo quasi. Ancora qualche millimetro. Le dita della mia mano destra corsero lascive lungo la sua schiena, a sfiorare quel trionfo di femminilità che avrebbe fatto sfigurare anche la venere del Canova, mentre la mia sinistra era intenta a risalire il fianco per sfiorare quelle belle tette sode. Ancora qualche millimetro… non chiedevo altro.
-Signori il centro termale è in chiusura.
La voce dell’inserviente ci ridestò come da un lungo sonno. Eravamo ancora lì, l’una negli occhi dell’altro, a un millimetro dal toccarci veramente; ma qualcosa era cambiato. Repentina Alba ritrasse la mano e si allontanò da me. Avevo aspettato troppo. Fossi stato più audace sono sicuro che avremmo potuto sfruttare la cosa a nostro piacimento. Dare ad ognuno ciò di cui, a quanto pare, aveva assurdamente bisogno; ma ero stato troppo lento, troppo cauto, ed avevo perso la mia occasione. Alba mi sorrideva ancora, anche quando si sollevò per indossare ancora una volta l’accappatoio di spugna. Nel farlo mi diede ancora una volta una perfetta visione del suo culetto marmoreo, ma nulla più. Infilatasi l’accappatoio si diresse subito alle docce e, liberatasi dagli ultimi residui di sale, si diresse decisa verso il corridoio che conduceva alle camere. Io tentennai ancora un po’, indeciso se mostrare all’inserviente ciò che Alba aveva solo tentato di sfiorare un attimo prima. La ragazza mi guardò incuriosita e, compreso il mio imbarazzo, si sporse per allungarmi un asciugamani pulito che subito adoperai per cavarmi d’impaccio. Non so se i suoi occhi mi abbiano sbirciato l’asta dura e tesa, e francamente poco m’importava; non poteva certo competere con quel tripudio di grazia appena andato via. Mi sciacquai alla bell’e meglio sotto il caldo getto della doccia, lasciando l’inserviente a prendersi cura delle ultime pulizie con aria trasognante. Io e Alba avevamo un discorso in sospeso.
Al mio rientro in camera la trovai già sotto le lenzuola, illuminata dalla lampada sul comodino, che parlava al telefono col marito.
- Ma no ti dico, siamo solo io e Martina. Chi vuoi che sia rimasto fino a tardi per conto dell’azienda? Solo noi povere sceme.
Notai l’accappatoio adagiato distrattamente sullo schienale di una poltrona, rendendomi conto all’improvviso che la mia avvenente collega, durante la mia assenza, aveva ben pensato di dormire nuda sotto le candide lenzuola di cotone. Ero lì che mi apprestavo a prepararmi un giaciglio di fortuna per terra, quando Alba, col lenzuolo saldamente ancorato al corpo, mi fece segno di raggiungerla nel letto matrimoniale. Era ancora intenta a discutere col marito, ma lo sguardo obliquo che mi rivolse mi lasciò stranito.
Indeciso sul da farsi, mi infilai sotto le lenzuola indossando ancora l’accappatoio, mentre la mia avvenente collega aveva appena ripreso a discutere col marito. Per ingannare l’attesa cominciai a fare zapping col televisore in camera, un vecchio tubo catodico che aveva sicuramente visto tempi migliori. Non che avessi molta voglia di guardare la tv, decisamente no, ma se serviva a distrarmi da quel trionfo di bellezza intenta a parlare fitto fitto al telefono, andavano bene anche le televendite dei materassi. Non che avessi avuto molta fortuna: in tv, nei pochi canali a disposizione, non c’era praticamente nulla se non, per l’appunto, una di quelle tristi televendite di robot da cucina azionati a molla, o su quegli stracci in fibra di bamboo con cui ripulire qualsiasi cosa. La conversazione non accennava a una tregua, anzi, credo che fosse appena giunta nel suo punto più vivo… e forse era meglio così. Spensi la tv e mi voltai su di un fianco per mettermi a dormire, lasciando Alba a tener testa a quel grande ottuso di suo marito. Non so ancora per quanto ne ebbero, mi ero quasi appisolato quando la sentii riattaccare prima di spegnere nervosamente la luce.
- Non è andata bene ,eh?
- No. – mi rispose torva – Quando fa così mi fa incazzare al punto…
Lasciò cadere lì la frase, e si abbandonò ad un lungo sospiro distensivo. Si vedeva lontano un miglio quanto non le piacesse discutere, ma a quanto pare quel mentecatto del marito non aspettava altro. La sentii agitarsi nervosamente nel letto, come per trovare una posizione comoda nonostante il nervosismo addosso. Di quel barlume d’alchimia scoppiato tra noi due nella vasca non c’era più alcuna traccia, perciò mi rassegnai a passare la notte più lunga della mia vita: accanto a una venere pandemia che non osavo sfiorare per evitare che si contrariasse; nuda, bellissima, ed a un passo da me. Tantalo avrebbe saputo descrivere meglio di chiunque altro la mia situazione, mi ci rivedevo parecchio, e come il re di Lidia m’apprestavo a una sete che non avrei mai potuto dissetare.
-Dormi? - Mi chiese all’improvviso Alba voltandosi a guardarmi di lato.
No – le dissi prima di riaccendere il lume sul mio comodino e voltarmi a guardarla a mia volta. Aveva un braccio sotto la testa, il gomito saldamente affondato nel bianco cuscino, l’altro un po’ più in basso, all’altezza dei seni, per evitare che sbucassero da sotto la stoffa delle lenzuola. Aveva gli occhi tristi e sono sicuro che se non fossi stato lì sarebbe di certo scoppiata a piangere.
- Ti ho già detto che ogni minuto passato senza un tuo sorriso è un minuto sprecato?
Ne accennò timidamente uno, sbilenco, decisamente triste.
- Puoi fare di meglio – suggerii facendole l’occhiolino.
- Com’è che ti si scioglie la lingua quando non sei più nella sauna?
- Sarà perché non mi stanno cuocendo a fiamma vivace su un lettino di cedro – le risposi piccato. La sua risata argentina riempì la stanza. Era ancora più bella quando rideva.
- Grazie – disse poi – ne avevo proprio bisogno.
- Non ce di che. Puoi vedermi asfissiare quando vuoi – ripresi faceto
- Esagerato! Per dieci minuti di Sauna finlandese. – disse lei tirandomi un buffetto sulla spalla coperta dalla stoffa dell’accappatoio.
- Ma non hai caldo con quel coso addosso?
- Sì, ma se me lo tolgo poi sotto non mi resta più niente.
- Ed è un problema?
- Beh…
- No perché lo sono anch’io.
- Anche tu cosa?
- Nelle stesse condizioni.
- In che senso?
- È inutile che fai finta di non capire caro mio, hai capito eccome! – riprese lei divertita – ma credo che ti piaccia che io lo dica in maniera esplicita. E va bene ti accontento. – e avvicinandosi, sempre stando attenta che le lenzuola restassero ben salde sul suo corpo mi sussurrò: - sono nuda
Non saprei: sarà stata davvero la frase, sarà stato il tono languido con cui era stata pronunciata, o forse solo il soffio caldo del suo alito sul mio orecchio, ma il mio amico lì sotto scattò sull’attenti neanche fosse sotto le armi, reclamando per l’ennesima volta una pace che non potevo procurargli.
- Se le cose stanno così, allora conviene che me lo tolga dissi prima di mettermi a sedere per sfilarmi l’accappatoio dall’alto. Alba continuava a fissare rapita i miei addominali scolpiti, ma ben presto il suo sguardo si posò sulla canadese svettante sotto le mie lenzuola.
-S-sarà meglio che ci mettiamo subito a dormire – disse all’improvviso voltandosi per darmi le spalle – domani sarà una giornata lunga ed è sempre meglio affrontarla quando si è riposati.
Che ne fosse consapevole o meno, le sue spalle sporgevano abbondantemente da fuori le lenzuola, lasciando intravedere persino la parte alta dei suoi glutei.
-Buonanotte – mi disse prima di coprirsi del tutto.
Buonanotte… e chi cazzo dormiva più.
Con tutte le forze mi voltai dall’altra parte per spegnere la luce, conscio come non mai che non sarebbe bastata una semplice sega per liberarmi da tutta la tensione sessuale che avevo accumulato. Oramai ero sempre più deciso a voltarmi, a piantare il cazzo duro tra quelle chiappe meravigliose; a scoparmela come se non ci fosse stato un domani. Volevo stringere tra le mani quelle belle tette sode, possederla alla pecorina mentre la sentivo ripetere il mio nome in mezzo ai singulti; con gran voluttà. Lo desideravo ardentemente. Ma avrei fatto meglio a darmi pace e decidermi una buona volta a mettermi a dormire.
Ero lì che pensavo a mille modi in cui avrei potuto possederla proprio su quel letto, quando sentii qualcosa di ghiacciato sfiorarmi la gamba.
-Oh, scusa – mi disse – ero sovrappensiero e non volendo ti ho sfiorato la gamba in modo da riscaldarmi i piedi. Con mio marito lo faccio sempre, solo che lui si arrabbia ogni volta.
- Non preoccuparti, fa pure.
-Sicuro che non ti dia fastidio?
- Certo che no. Hai freddo per caso?
- Solo ai piedi.
- Ci penso io
Mi allungai a prenderne uno con le mani, cominciando un lungo e lento massaggio.
- D-Dove ai imparato? – mi chiese Alba trattenendo a stento un sospiro – sei bravissimo.
- Diciamo che ho le mie doti nascoste – le risposi cercando a tentoni l’altro piede per tentare di scaldarlo.
- Un uomo dalle mille sorprese – riprese lei trasognante mentre cominciava a sfiorarmi i fianchi col tallone del piede appena scaldato. Il suo piede raggiunse la mia asta marmorea
- Decisamente…
Immediatamente il piede lasciò il posto ad una delle sue mani. Fu così che la mia avvenente collega cominciò a segarmi, con mano ferma e polso morbido, cominciando un andirivieni lento e inesorabile a cui era impossibile resistere. Ormai sicure, le mie mani si fiondarono sulle sue belle tette, sode e turgide al punto giusto. Con una mano andai a sfiorare i riccioli del suo monte di venere, strappandole un gemito di approvazione non appena il mio dito medio ne penetrò la bella figa bagnata. Era fradicia di umori, sembrava non attendesse altro da tutta la serata. In men che non si dica le nostre mani cominciarono ad esplorare l’una il corpo dell’altro, spegnendo quella curiosità bruciante che ci aveva accompagnato per tutta la durata del nostro soggiorno. Sentivo le sue dita sfiorarmi gli addominali, i pettorali, i bicipiti e persino i glutei, mentre io ne approfittavo per strizzare un capezzolo mentre continuavo a penetrarle dolcemente il bel boschetto imperlato di piacere.
-Finalmente – la sentii gemere al mio orecchio sottovoce. - È tutta la sera che non aspetto altro.
-Davvero?- le chiesi mentre continuavo lo speciale massaggio alla sua clitoride.
-S-Sì! – mugolò trasognante mentre la penetravo sempre più profondamente. – è da quando ho visto che bell’arnese nascondevi in mezzo alle gambe che non riesco a pensare ad altro.
- Ma quando…
-Durante la doccia – mi disse prendendo a scappellarmelo con dolcezza – cavolo che bella mazza.
- Ti piace?
-Siiiii
Alba cominciò a mugolare sempre meno sommessamente, muovendo la vulva avanti e dietro per assecondare i miei movimenti; la sua figa era un lago. Colto da un impeto di passione mi portai su di lei e, piantata la cappella all’ingresso della sua vagina, cominciai a penetrarla lentamente, molto lentamente.
-Oh…oh…sì… oh mio Dio sì!
Alba continuava a gemere di piacere, spalancando oscenamente le cosce per permettere al mio cazzo di penetrare sempre più in profondità. Aggrappandosi al mio collo cominciò ad assecondare i miei affondi, guardandomi con occhi da porca per tutto quanto il tempo. I miei affondi si fecero sempre più intensi, sempre più veloci; cazzo se era stretta quella figa!
- Sì… continua… mi stai facendo impazzire… Sì, siiii…. Vengo!!!
All’improvviso Alba lasciò la presa dal mio braccio e, inarcandosi spasmodicamente sulla schiena, si lasciò andare ad un intenso orgasmo liberatorio.
Ma io non ero per niente sazio. Senza pensarci su due volte e senza aspettare che si riprendesse del tutto, la voltai a quattro zampe e puntandole il cazzo in quella bella figa, gonfia e grondante di umori, cominciai a scoparmela alla pecorina, alternando affondi lenti e profondi, ad una serie di colpi più veloci in cui sentivo letteralmente le sue cosce sbattere contro le mie. Alba riprese a mugolare sempre più forte. I suoi guaiti divennero un lamento confuso e indistinto intervallato da qualche grido di piacere. Con la mano destra si contorceva ad accarezzarmi i capelli dietro la nuca, mentre io ne approfittavo per palparle il gonfio seno prosperoso.
In men che non si dica si accasciò in avanti in preda ad un altro violentissimo orgasmo, mentre tremava dalla testa ai piedi in preda agli spasmi. A quella visione il mio cazzo non ne potette più e, approfittando di quel bel culo a mandolino gonfio al punto giusto, strofinai il cazzo in mezzo alle sue chiappe, sborrando copiosamente sulla sua schiena e su quel culo che era tutto un programma. Alba mi rivolse uno sguardo estasiato. I lunghi capelli rossi le si erano incollati sulla fronte madida di sudore, ma si vedeva lontano un miglio che era pienamente soddisfatta. La mia erezione, nonostante l’orgasmo appena passato, non aveva alcuna intenzione di andare via e così, approfittando di un momento di distensione, voltai ancora una volta Alba verso di me, puntandole direttamente verso la bocca la mia grossa cappella arrossata e ancora sporca di sperma. La mia collega non si fece pregare più di tanto e, avvicinandosi per stare più comoda, cominciò a leccarmi il cazzo, ripulendomelo per bene. Fu uno di quei pompini difficile da dimenticarsi, uno di quelli in cui le immagini scorrono ancora vive e al rallentatore mentre le scrivi. Alba si accucciò a gattoni tra le mie gambe, succhiando e leccando la mia nerchia come se fosse un chupa chupa. Cazzo quanto era brava… Faceva saettare la punta della lingua lì sulla fessura del mio glande, stuzzicando il frenulo con incredibile maestria. A questi tocchi vivaci della punta alternava delle grosse e lente leccate in cui con la bocca risaliva lungo l’asta per poi cominciare a succhiare famelica. Il suo sguardo era puntato su di me; i suoi occhi fissi nei miei. Nel silenzio della camera l’unica cosa udibile era il suono gutturale del suo risucchio, una musica celestiale a cui sapevo di non saper tener testa. Prendendosi la mia mano e portandosela in mezzo alle gambe, a toccare ancora una volta quella sua bella figa imperlata di umori, mi fece intendere più che esplicitamente quanto fosse pronta ad un nuovo rapporto. Non mi feci pregare due volte. Ero lì che m’accingevo a infilarle il cazzo dentro quando Alba alzò una gamba per fermarmi. Non voleva essere scopata ancora alla missionaria, voleva di più. Portandosi su di me e voltandosi per darmi una perfetta visione di quel suo culo da favola, la mia avvenente collega cominciò a saltare sul mio cazzo a smorza candela, aggrappandosi alle mie gambe per non scivolare. I movimenti erano secchi, decisi, quasi violenti. Un impeto di passione pervadeva entrambi ed echeggiava nel paf- paf continuo del suo culo sul mio basso ventre. Alba inarcò la schiena, le sue mani lasciarono la salda presa sulle mie gambe per contorcersi e allungarsi a sfiorare i miei addominali. Le sue tette marmoree svettavano leggere come cime innevate, sballottando su e giù per il ritmo con cui, non mi faccio alcuna vergogna a dirlo, mi stava scopando. Sì, era lei a scopare me, la cosa era anche fin troppo ovvia… e mi piaceva da matti. Un ultimo, violento orgasmo, la sconquassò dalla testa ai piedi, mentre lottava con tutta se stessa per soffocare un grido liberatorio.
- Sìììì
Fu tutto ciò che riuscì a dire prima di mordersi le labbra. A quella visione il mio corpo non ne potette più e, alzandomi per avvicinare la mia nerchia al suo viso, finii per venirle un po’ in bocca e un po’ tra i lucidi capelli rossi, madidi di sudore. Uno spettacolo ineguagliabile, bellissimo e di cui porterò sempre il vivido ricordo.
Da quel giorno non c’è stata più occasione per me e la mia avvenente collega di passare un po’ di tempo insieme. Ma conto di replicare la cosa al prossimo convegno. Tifate per me.
scritto il
2023-02-20
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