Che fig..a!
di
Cla85
genere
comici
Qualche anno fa…
Le stanze invase dalla luce del mattino, l’aria fresca che già profuma di primavera, l’odore di bagnoschiuma e dopobarba, i Doors che escono a palla dalle casse, niente sveglie, lo smartphone dimenticato in un angolo: ecco la mia domenica mattina! Improvviso un balletto in intimo sulle note di “Love me two times” davanti all’armadio cercando cosa indossare. Tra poco più di un’ora abbiamo appuntamento in un agriturismo non molto distante da casa per festeggiare con un bel pranzo il compleanno di un amico.
Continuando ad ancheggiare a ritmo di musica contemplo il guardaroba e come spesso accade non so cosa mettere, pertanto procedo per esclusione. Una cosa è certa, oggi vorrei indossare un abito: inizio scartando quelli da sera, via tutti quelli con strass, lustrini o trasparenze; via quelli dai colori sgargianti, vorrei essere sobria, niente fantasie, niente verde, senape e no, nemmeno il rosso; via quelli lunghi, voglio scoprire le gambe; restano gli abiti neri, che inutile dire, sono i miei preferiti ma insomma non è che posso vestirmi sempre di nero e…aspetta, accidenti mi ero dimenticata di questo carinissimo tubino grigio! Una sciccheria, stile basic, tessuto morbido, aderente, leggermente arricciato sulle spalle, scollatura quadrata che valorizza perfettamente il mio seno e le clavicole (si, una volta un tipo mi ha detto che avevo delle clavicole sexy) e lunghezza ideale, poco sopra il ginocchio. Lo trovai in un negozietto del centro, fu un ottimo acquisto - poca spesa tanta resa. Ho deciso: lui è il prescelto! Lo appoggio sul letto intanto indosso i collant neri leggerissimi, poi prendo le scarpe e le calzo sostenendomi con una mano al muro accanto alla porta del bagno, mentre sollecito la mia cara metà a darsi una mossa.
“Amore, posso entrare a lavarmi i denti?”.
Lui apre la porta mentre, in equilibrio precario su un tacco, sto cercando di infilare l’altro.
“Wow… vieni così?”
“Si, che dici, ti piace?”
Allaccia l’orologio al polso, si avvicina e guardando il reggiseno sussurra:
“Toglierei ancora qualcosa”
“Spiacente, i capezzoli turgidi non stanno bene sotto l’abito che indosserò”
“Che peccato!”
Dopo quindici minuti sono vestita, truccata e con i capelli in ordine. Chiudo la zip laterale e il tessuto avvolge perfettamente le mie forme, come se mi fosse stato cucito addosso; sono pienamente soddisfatta, peccato averlo indossato così poche volte!
Prima di uscire mi accorgo che il tempo è cambiato e si è scatenato un nubifragio. Prendo uno scialle con cui mi copro la testa per cercare di non rovinare la messa in piega, so già che sarà inutile, l’umidità è incontenibile. Riesco a salire in auto senza bagnarmi troppo. Oh, non pioveva da secoli, proprio oggi doveva ricominciare?
“Clara ma non è un po’ troppo corto sto’ vestito?”.
Abbasso gli occhi e mi rendo conto che l’abito è salito vertiginosamente. Ed è in quel preciso istante che mi ricordo perché avevo smesso di indossarlo, cazzo!
“Nooo, ecco che problema aveva questo vestito! Sale troppo quando cammino e in modo scandaloso quando mi siedo! Senti, ormai andiamo, non ho tempo di cambiarmi, cercherò di starci un po’ attenta”.
Inarco la schiena, sollevo i glutei e cerco di far scendere il tessuto, ottenendo la copertura di almeno mezza coscia.
Nel tragitto mi devo assolutamente fermare a prelevare contanti, devo restituirli a Debora che si è presa la briga di comprare il regalo. Chiedo a Marco di fermarsi nel parcheggio della banca. Lui accosta nel punto più vicino alle strisce pedonali. Per raggiungere l’Atm della filiale devo attraversare la strada, quindi mi preparo ad affrontare la tempesta con scialle e ombrello. Tre…due…uno…via!
Per fortuna non c’è molto traffico, riesco ad attraversare senza attendere troppo, il vento rischia di portarmi via l’ombrello un paio di volte. Arrivo al bancomat mezza fradicia e molto incazzata. Prendo la tessera, i soldi, saluto cortesemente il ragazzo dopo di me e di nuovo mi preparo ad affrontare la tempesta. Ombrello, scialle, testa bassa, aspetto che la strada sia libera e via! Corro, che con i tacchi e la pioggia è tutto un dire, ma cerco di fare il più velocemente possibile, attraverso la strada, evito due pozzanghere, schivo la siepe zuppa, apro lo sportello, chiudo l’ombrello e mi butto in auto richiudendo la portiera.
“Che tempo di merda!” esclamo mentre appoggio l’ombrello accanto ai piedi e penso che prima sembrava esserci meno spazio tra il seggiolino e il cruscotto.
Sollevo lo sguardo e qualcosa non mi torna.
Mi volto alla mia sinistra e vedo un uomo e…no, non è Marco: ha gli occhi sulle mie gambe che, come ho il dispiacere di constatare, sono completamente scoperte, il vestito risulta non pervenuto. Sono quasi sicura che dalla sua prospettiva si intraveda pure l'intimo. Lo guardo di nuovo, lui solleva lo sguardo poi lo abbassa, poi ancora mi guarda negli occhi ma ogni tanto un'occhiata cade giù e per un attimo rimaniamo così: io che guardo lui, lui che mi guarda tra le gambe. Ma ecco che sento una voce, in lontananza, oltre il picchiettare della pioggia, oltre il rombo dei tuoni, una voce profonda, familiare, che mi urla:
“Clara, ma che cazzo fai??”
Le stanze invase dalla luce del mattino, l’aria fresca che già profuma di primavera, l’odore di bagnoschiuma e dopobarba, i Doors che escono a palla dalle casse, niente sveglie, lo smartphone dimenticato in un angolo: ecco la mia domenica mattina! Improvviso un balletto in intimo sulle note di “Love me two times” davanti all’armadio cercando cosa indossare. Tra poco più di un’ora abbiamo appuntamento in un agriturismo non molto distante da casa per festeggiare con un bel pranzo il compleanno di un amico.
Continuando ad ancheggiare a ritmo di musica contemplo il guardaroba e come spesso accade non so cosa mettere, pertanto procedo per esclusione. Una cosa è certa, oggi vorrei indossare un abito: inizio scartando quelli da sera, via tutti quelli con strass, lustrini o trasparenze; via quelli dai colori sgargianti, vorrei essere sobria, niente fantasie, niente verde, senape e no, nemmeno il rosso; via quelli lunghi, voglio scoprire le gambe; restano gli abiti neri, che inutile dire, sono i miei preferiti ma insomma non è che posso vestirmi sempre di nero e…aspetta, accidenti mi ero dimenticata di questo carinissimo tubino grigio! Una sciccheria, stile basic, tessuto morbido, aderente, leggermente arricciato sulle spalle, scollatura quadrata che valorizza perfettamente il mio seno e le clavicole (si, una volta un tipo mi ha detto che avevo delle clavicole sexy) e lunghezza ideale, poco sopra il ginocchio. Lo trovai in un negozietto del centro, fu un ottimo acquisto - poca spesa tanta resa. Ho deciso: lui è il prescelto! Lo appoggio sul letto intanto indosso i collant neri leggerissimi, poi prendo le scarpe e le calzo sostenendomi con una mano al muro accanto alla porta del bagno, mentre sollecito la mia cara metà a darsi una mossa.
“Amore, posso entrare a lavarmi i denti?”.
Lui apre la porta mentre, in equilibrio precario su un tacco, sto cercando di infilare l’altro.
“Wow… vieni così?”
“Si, che dici, ti piace?”
Allaccia l’orologio al polso, si avvicina e guardando il reggiseno sussurra:
“Toglierei ancora qualcosa”
“Spiacente, i capezzoli turgidi non stanno bene sotto l’abito che indosserò”
“Che peccato!”
Dopo quindici minuti sono vestita, truccata e con i capelli in ordine. Chiudo la zip laterale e il tessuto avvolge perfettamente le mie forme, come se mi fosse stato cucito addosso; sono pienamente soddisfatta, peccato averlo indossato così poche volte!
Prima di uscire mi accorgo che il tempo è cambiato e si è scatenato un nubifragio. Prendo uno scialle con cui mi copro la testa per cercare di non rovinare la messa in piega, so già che sarà inutile, l’umidità è incontenibile. Riesco a salire in auto senza bagnarmi troppo. Oh, non pioveva da secoli, proprio oggi doveva ricominciare?
“Clara ma non è un po’ troppo corto sto’ vestito?”.
Abbasso gli occhi e mi rendo conto che l’abito è salito vertiginosamente. Ed è in quel preciso istante che mi ricordo perché avevo smesso di indossarlo, cazzo!
“Nooo, ecco che problema aveva questo vestito! Sale troppo quando cammino e in modo scandaloso quando mi siedo! Senti, ormai andiamo, non ho tempo di cambiarmi, cercherò di starci un po’ attenta”.
Inarco la schiena, sollevo i glutei e cerco di far scendere il tessuto, ottenendo la copertura di almeno mezza coscia.
Nel tragitto mi devo assolutamente fermare a prelevare contanti, devo restituirli a Debora che si è presa la briga di comprare il regalo. Chiedo a Marco di fermarsi nel parcheggio della banca. Lui accosta nel punto più vicino alle strisce pedonali. Per raggiungere l’Atm della filiale devo attraversare la strada, quindi mi preparo ad affrontare la tempesta con scialle e ombrello. Tre…due…uno…via!
Per fortuna non c’è molto traffico, riesco ad attraversare senza attendere troppo, il vento rischia di portarmi via l’ombrello un paio di volte. Arrivo al bancomat mezza fradicia e molto incazzata. Prendo la tessera, i soldi, saluto cortesemente il ragazzo dopo di me e di nuovo mi preparo ad affrontare la tempesta. Ombrello, scialle, testa bassa, aspetto che la strada sia libera e via! Corro, che con i tacchi e la pioggia è tutto un dire, ma cerco di fare il più velocemente possibile, attraverso la strada, evito due pozzanghere, schivo la siepe zuppa, apro lo sportello, chiudo l’ombrello e mi butto in auto richiudendo la portiera.
“Che tempo di merda!” esclamo mentre appoggio l’ombrello accanto ai piedi e penso che prima sembrava esserci meno spazio tra il seggiolino e il cruscotto.
Sollevo lo sguardo e qualcosa non mi torna.
Mi volto alla mia sinistra e vedo un uomo e…no, non è Marco: ha gli occhi sulle mie gambe che, come ho il dispiacere di constatare, sono completamente scoperte, il vestito risulta non pervenuto. Sono quasi sicura che dalla sua prospettiva si intraveda pure l'intimo. Lo guardo di nuovo, lui solleva lo sguardo poi lo abbassa, poi ancora mi guarda negli occhi ma ogni tanto un'occhiata cade giù e per un attimo rimaniamo così: io che guardo lui, lui che mi guarda tra le gambe. Ma ecco che sento una voce, in lontananza, oltre il picchiettare della pioggia, oltre il rombo dei tuoni, una voce profonda, familiare, che mi urla:
“Clara, ma che cazzo fai??”
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