L'adulterio di Franco bianchi - Ep.5 "Mi dispiace... devo andare"
di
Joe Cabot
genere
tradimenti
Dormire con Norma Calisso gli era parso più strano che scoparci.
Dopo il loro ultimo rabbioso rapporto l’aveva spinta via, abbandonandola lasciva e soddisfatta sul letto. A quel punto era andato al bagno e solo dopo essersi rinfrescato, mentre tornava in camera, Franco si era sentito nudo.
Nel frattempo anche lei si era tolta la lingerie e si era messa una camicetta da notte color malva. Gli era sfilata accanto, anche lei diretta al bagno, con un sorrisetto consapevole del fatto che nonostante l’avesse appena presa in tutti i modi, le sue forme continuavano ad attirarne lo sguardo. Quando Norma era tornata, Franco aveva ormai recuperato le mutande e la canotta, e pareva confuso. Se ne stava coi pantaloni in mano, indeciso su cosa fare, se rivestirsi e andarsene, o rimanere. Lei lo trovò buffo, così perso in quella situazione così nuova per lui. Poco prima leone, ora così coglione: forse, ora che aveva le palle ben svuotate, stava realizzando che era sempre stato lui la preda, il pesce grosso caduto nella rete tessuta da lei fin dal giorno in cui si era rivisti durante la prima lezione. Gli andò incontro come una gattina, gli tolse i pantaloni di mano e li buttò su una sedia, poi prese le sue mani e se le posò sui fianchi.
«Dove vai a quest’ora, stupidotto?»
Quindi lo aveva baciato, con dolcezza, come una vecchia amica, cercando la sua lingua senza fretta. Lo baciò a lungo, piena di riconoscenza per il piacere che le aveva dato.
Norma era sicura del fatto suo. Aveva imparato da ragazza che non era una bellezza di quelle che piacevano a tutti, ma che ad alcuni faceva perdere la testa e sapeva che Franco era uno di quelli. Ma sapeva di lui anche un’altra cosa, e tutto sommato le andava bene così. Anche mentre lo sentiva rilassarsi, abbandonarsi alle sue carezze e ai suoi baci. Anche mentre la sollevava per poi posarla a letto e stenderlesi accanto per continuare con baci e le carezze, sapeva che tra loro era finito tutto quello che poteva esserci. E lo sapeva ben da prima.
Un’altra donna avrebbe potuto far durare quella loro cosa per mesi, o anni. Avrebbe potuto continuare a irretirlo e rosolarlo, a stuzzicarlo ed eluderlo fino a concedersi poco alla volta, a vendere la pelle a caro prezzo. Ma lei non era quel tipo di donna. Se l’era preso e portato a letto, si era fatta sbattere e se l’era goduto, ma neanche per un attimo aveva creduto di entrare davvero in lui. Lei sapeva, e neanche quando l’aveva preso dentro di sé nel modo più profondo ne aveva dubitato, che lui era un uomo che amava una donna, ma quella donna non era lei. Lo sapeva dal primo aperitivo che avevano preso assieme, nel bar di fronte alla scuola, dalla prima volta in cui le aveva raccontato con orgoglio e ammirazione chi era sua moglie, che lavoro faceva, quanto era in gamba. Lei poteva attrarlo tra le sue cosce, persino essergli amica, ma la sua compagna di vita era quella.
Mentre si baciavano, sentì che le carezze di Franco si facevano di nuovo audaci, ma anche forzate, come se lui pensasse che doveva di nuovo prenderla, e doveva perché erano lì, distesi a letto uno di fronte all’altra, e non sapeva che altro fare. Allora Norma gli prese le mani, raccogliendole da sotto la sua camicia da notte, e gliele baciò, se le strinse al petto. Poi gli diede un altro bacetto e gli sussurrò la buona notte. Senza mollargli le mani si voltò, mettendosi di schiena, avvolta tra le sue braccia. E così accoccolata, dopo che sculettando si era accomodata il pene duro di lui nel solco del sedere, Norma Calisso si addormentò beata.
Franco Bianchi restò basito, incerto su cosa fare di quell’erezione, che ora gli pareva fuori luogo. Ci mise un po’ ad abbandonarsi alla piacevole sensazione di tenere tra le braccia quel profumato piccolo corpo così ben fatto. Anche la sensazione del pene duro contro quel culo morbido, bastava a se stessa e non c’era bisogno di fare altro. Avrebbero fatto di nuovo l’amore, l’indomani? Non ne aveva idea. Di sicuro non sarebbe stata una questione di calze e pizzo. Ma sarebbe stato bello se lei per colazione avesse avuto del pane nero, burro di malga e della marmellata d’arance. Con questo pensiero si addormentò.
Quando la sveglia suonò, non c’erano ad aspettarlo pane nero e marmellata d’arance, ma l’odore del caffè e del pane tostato era invitante lo stesso.
Norma Calisso lo aspettava in cucina. Aveva una vestaglia e ciabatte di lana cotta. Era carina, un po’ spettinata e senza trucco, e vedendolo arrivare con la sua andatura da orso imbarazzato che si sente in bocca l’inferno, gli diede amichevolmente il buon giorno. Lui ricambiò e si sedette. Fecero colazione ascoltando alla radio Caterpillar AM. Dopo il caffè, dopo aver mangiato qualcosa, Franco si alzò e rimise a posto la sedia, mentre Norma si spalmava un’altra fetta di pane.
«Mi dispiace… devo andare» le disse.
Lei annuì.
-
continua...
Dopo il loro ultimo rabbioso rapporto l’aveva spinta via, abbandonandola lasciva e soddisfatta sul letto. A quel punto era andato al bagno e solo dopo essersi rinfrescato, mentre tornava in camera, Franco si era sentito nudo.
Nel frattempo anche lei si era tolta la lingerie e si era messa una camicetta da notte color malva. Gli era sfilata accanto, anche lei diretta al bagno, con un sorrisetto consapevole del fatto che nonostante l’avesse appena presa in tutti i modi, le sue forme continuavano ad attirarne lo sguardo. Quando Norma era tornata, Franco aveva ormai recuperato le mutande e la canotta, e pareva confuso. Se ne stava coi pantaloni in mano, indeciso su cosa fare, se rivestirsi e andarsene, o rimanere. Lei lo trovò buffo, così perso in quella situazione così nuova per lui. Poco prima leone, ora così coglione: forse, ora che aveva le palle ben svuotate, stava realizzando che era sempre stato lui la preda, il pesce grosso caduto nella rete tessuta da lei fin dal giorno in cui si era rivisti durante la prima lezione. Gli andò incontro come una gattina, gli tolse i pantaloni di mano e li buttò su una sedia, poi prese le sue mani e se le posò sui fianchi.
«Dove vai a quest’ora, stupidotto?»
Quindi lo aveva baciato, con dolcezza, come una vecchia amica, cercando la sua lingua senza fretta. Lo baciò a lungo, piena di riconoscenza per il piacere che le aveva dato.
Norma era sicura del fatto suo. Aveva imparato da ragazza che non era una bellezza di quelle che piacevano a tutti, ma che ad alcuni faceva perdere la testa e sapeva che Franco era uno di quelli. Ma sapeva di lui anche un’altra cosa, e tutto sommato le andava bene così. Anche mentre lo sentiva rilassarsi, abbandonarsi alle sue carezze e ai suoi baci. Anche mentre la sollevava per poi posarla a letto e stenderlesi accanto per continuare con baci e le carezze, sapeva che tra loro era finito tutto quello che poteva esserci. E lo sapeva ben da prima.
Un’altra donna avrebbe potuto far durare quella loro cosa per mesi, o anni. Avrebbe potuto continuare a irretirlo e rosolarlo, a stuzzicarlo ed eluderlo fino a concedersi poco alla volta, a vendere la pelle a caro prezzo. Ma lei non era quel tipo di donna. Se l’era preso e portato a letto, si era fatta sbattere e se l’era goduto, ma neanche per un attimo aveva creduto di entrare davvero in lui. Lei sapeva, e neanche quando l’aveva preso dentro di sé nel modo più profondo ne aveva dubitato, che lui era un uomo che amava una donna, ma quella donna non era lei. Lo sapeva dal primo aperitivo che avevano preso assieme, nel bar di fronte alla scuola, dalla prima volta in cui le aveva raccontato con orgoglio e ammirazione chi era sua moglie, che lavoro faceva, quanto era in gamba. Lei poteva attrarlo tra le sue cosce, persino essergli amica, ma la sua compagna di vita era quella.
Mentre si baciavano, sentì che le carezze di Franco si facevano di nuovo audaci, ma anche forzate, come se lui pensasse che doveva di nuovo prenderla, e doveva perché erano lì, distesi a letto uno di fronte all’altra, e non sapeva che altro fare. Allora Norma gli prese le mani, raccogliendole da sotto la sua camicia da notte, e gliele baciò, se le strinse al petto. Poi gli diede un altro bacetto e gli sussurrò la buona notte. Senza mollargli le mani si voltò, mettendosi di schiena, avvolta tra le sue braccia. E così accoccolata, dopo che sculettando si era accomodata il pene duro di lui nel solco del sedere, Norma Calisso si addormentò beata.
Franco Bianchi restò basito, incerto su cosa fare di quell’erezione, che ora gli pareva fuori luogo. Ci mise un po’ ad abbandonarsi alla piacevole sensazione di tenere tra le braccia quel profumato piccolo corpo così ben fatto. Anche la sensazione del pene duro contro quel culo morbido, bastava a se stessa e non c’era bisogno di fare altro. Avrebbero fatto di nuovo l’amore, l’indomani? Non ne aveva idea. Di sicuro non sarebbe stata una questione di calze e pizzo. Ma sarebbe stato bello se lei per colazione avesse avuto del pane nero, burro di malga e della marmellata d’arance. Con questo pensiero si addormentò.
Quando la sveglia suonò, non c’erano ad aspettarlo pane nero e marmellata d’arance, ma l’odore del caffè e del pane tostato era invitante lo stesso.
Norma Calisso lo aspettava in cucina. Aveva una vestaglia e ciabatte di lana cotta. Era carina, un po’ spettinata e senza trucco, e vedendolo arrivare con la sua andatura da orso imbarazzato che si sente in bocca l’inferno, gli diede amichevolmente il buon giorno. Lui ricambiò e si sedette. Fecero colazione ascoltando alla radio Caterpillar AM. Dopo il caffè, dopo aver mangiato qualcosa, Franco si alzò e rimise a posto la sedia, mentre Norma si spalmava un’altra fetta di pane.
«Mi dispiace… devo andare» le disse.
Lei annuì.
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