Confessioni di una madre frustrata - Capitolo 5

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incesti

Capitolo 5

Punizione e salvezza

Nei mesi successivi a quella scoperta non avvenne granché di interessante.

Mio marito viaggiava e continuava a stare via per settimane, Angelo cresceva e studiava. Io iniziavo a convincermi che fosse stato tutto uno strano sogno. I video che guardava, le parole chiave che utilizzava per le sue ricerche Google.

L’unico a ricordarmi che non fosse stato un sogno era mio marito. Quando tornava a casa riusciva a mantenere una notevole tranquillità con nostro figlio e trattandolo affettuosamente, come al solito.

Quando eravamo soli, mi guardava con un cenno di intesa e mi chiedeva, un po' imbarazzato, se ci fossero novità su “quella cosa del Computer”.

La mia risposta era sempre la stessa: “ancora non ci ho parlato, diamogli tempo, vedrai.”

A queste mie parole annuiva frettolosamente e rispondeva solo “ma certo, diamogli tempo”, chiudendo il discorso.

In quei mesi né io né mio marito provammo ad avere approcci sessuali. Non so le sue ragioni (forse era solo stanco, poteva capitare). Ma devo confessarmi le mie: temevo che, prima dell’orgasmo, i miei pensieri potessero portarmi a immaginare di fare sesso con mio figlio.

Il computer era sempre lì, inerte e quasi insinuante. Anche se adesso sapevo come utilizzarlo, la prospettiva di poter guardare la cronologia di mio figlio mi sembrava irrispettosa verso la sua privacy di giovane uomo.

In compenso, passavamo tanto tempo assieme. Dopo la scuola e il pranzo, facevamo solitamente un giro assieme in città.

Alternavamo visite a luoghi di suo interesse a giorni dedicati a me e ai miei svaghi.

Di solito non facevamo strappi a questi turni ma ogni tanto gli concedevo un turno “bonus”.

Una volta, mentre mio marito era in trasferta, dissi ad Angelo: “tesoro dove vuoi andare questo pomeriggio? biblioteca? libreria? museo?”

Vidi che gli brillarono gli occhi e rispose gongolando “no mà oggi è il tuo turno, dove vuoi andare?”

Sorrisi e gli risposi: “questa settimana hai un bonus, scegli tu se giocartelo oggi.”

Ridendo mi rispose: “in effetti ho saputo che in centro c’è un’esposizione di statue antiche che vorrei tanto vedere.”

“Aggiudicato!”

Misi un vestitino aderente e un po' scollato di colore bianco; mi piaceva molto perché mi sembrava mettesse in risalto il colore scuro del mio seno e misi sulle labbra un rossetto rosso acceso del tipo che non lascia macchie; vidi mio figlio guardarmi attentamente, in religioso silenzio.

Ridendo, gli diedi un bacio sulla guancia e uscimmo a braccetto per le vie del centro.

L’esposizione era quasi deserta. C’era da aspettarselo, era un pomeriggio di un giorno feriale.

Meglio così, il silenzio era quello che mi serviva per ordinare le idee.

Vidi mio figlio iniziare ad aggirarsi interessato, leggendo le didascalie e guardando le sue amate statue.

C’erano molte riproduzioni di statue greche e romane. Non sono un’esperta ma quello che mi ha sempre affascinato delle statue classiche è il fatto che sembrano fissarti in maniera divertita, sorniona.

Pare quasi che sappiano leggere i tuoi pensieri e non intendano giudicarti; vogliono solo ridere delle tue vacue preoccupazioni e dei segnali che ti manda il tuo fragile corpo.

In quel silenzioso giardino di pietra iniziai a pensare alle fantasie di mio figlio.

Com’era possibile che sotto quell’apparenza rispettosa, affettuosa e un po' impacciata si nascondessero morbose idee incestuose? Forse erano solo fantasie, senza che nella realtà influenzassero in alcun modo la sua idea di me.

Sovrappensiero mi fermai a guardare una delle statue femminili. Credo fosse la statua di Venere. Lessi di sfuggita la didascalia “Venere Callipigia: la dea solleva la veste sul retro e osserva le sue forme”.

In effetti aveva proprio un bel corpo, con dei bellissimi seni turgidi e delle natiche davvero scultoree.

Assorta in questi pensieri non notai mio figlio che mi fissava a pochi metri, quasi rapito e dicendo “mà lasciatelo dire, non hai niente da invidiare a quella Venere! Lo sapevi, si chiama Venere Callipigia da kalli.. belle.. e pygos, ossia sedere. Lei è solo una signora con delle belle chiappe, tu la superi in tutto; dovresti esserci tu su quel piedistallo!”

In altri tempi avrei riso di cuore per un complimento del genere, tipico di Angelo.

Adesso mi venne spontaneo pensare che mio figlio mi aveva pur sempre immaginato su un piedistallo, mentre gli mostravo oscenamente il mio sedere, il mio corpo nudo.

Le sue fantasie incestuose avevano un legame con la realtà? Dovevo scoprirlo.

Via libera, museo deserto.

Sorrisi in maniera maliziosa e lo fissai negli occhi: “grazie ometto, vedo che stai imparando come si fanno i complimenti a una donna” e gli presi delicatamente il mento tra le dita con le mie unghie laccate di rosso, avvicinandomi in maniera estremamente lenta al suo viso con le mie labbra socchiuse, di un rosso acceso.

Per un secondo, sembrò quasi che ci dovessimo baciare sulla bocca. Poi sollevai leggermente la traiettoria delle labbra.

Gli schioccai, quasi al rallentatore, un bacio proprio sulla punta del naso e iniziai a ridacchiare.

Non disse nulla; lo vidi sbarrare gli occhi, arrossire e balbettare parole sconnesse sull’origine della statua e la sua datazione.

Non ascoltai affatto le sue parole; ero impegnata a guardare la sua erezione, piuttosto evidente sotto ai pantaloni e il suo sguardo, fisso sulla mia scollatura.

Era questa la differenza tra la realtà e la fantasia?

Non credevo di esercitare, nella realtà, questo ascendente su di lui anche da un punto di vista sessuale e la cosa mi sconvolse e mi lusingò allo stesso tempo.

Il mio bambino era cresciuto e anche le dinamiche tra di noi avrebbero dovuto evolversi.

Avevo già deciso che avrei rispettato severamente il confine tra realtà e fantasia; perciò, non avrei fatto nulla per “svezzarlo” dal punto di vista sessuale.

Però, la fantasia era tutta un’altra cosa.

Tutto sommato non mi dispiaceva affatto che, anche nella realtà, mio figlio mi desiderasse e provasse questo interesse morboso nei miei riguardi e ammisi tra me e me che, forse, tale morbosità era ricambiata dalla sottoscritta.

Dopotutto che c’era di male? Non facevo danno a nessuno e mi sentivo amata, desiderata come mai prima d’ora.

E mi sarei sdebitata, a mio modo, con la solita cura maniacale per lui e – soprattutto - dandogli alcuni innocenti spunti per le sue giovani fantasie.

Pensai che la prossima ricerca Google sarebbe stata “Madre figlio sesso museo”. Tesoro mio, credo proprio che non troverai nulla a riguardo, temo dovrai attendere che mamma si inventi qualcosa di nuovo.

E poi non potevo continuare a negare attenzioni alla mia vagina né a mio marito, sarebbe stato sconveniente.

Quindi decisi che avrei potuto permettermi, di tanto in tanto, discretamente, di godere di una fantasia incestuosa durante i rapporti sessuali con mio marito o mentre mi masturbavo.

Prendendo questa decisione mi sentii finalmente libera da un peso. Era stata un’ottima giornata.

Almeno fino a quel momento.

Quando tornammo a casa ricevetti una telefonata dal datore di lavoro di mio marito. Mentre mio marito riposava in Hotel, dopo una giornata di lavoro, era stato colto da un infarto e non c’era stato nulla da fare.

Era il 2019. Non avevo ancora 39 anni ed ero vedova. Mio figlio ne aveva 15 ed era orfano.

Il mondo ci cadde addosso.

Credo che questa non sia la sede giusta per raccontarvi nel dettaglio quei giorni di lutto. Però potete immaginare il dolore e le lacrime di quei giorni.

Trascorremmo i giorni successivi al funerale in uno stato di profonda prostrazione.

Con il passare dei mesi, il dolore di quei giorni divenne meno vistoso, direi quasi strisciante.

In apparenza tiravamo avanti; mio figlio studiava e leggeva come al solito.

Io continuavo a portare avanti la casa, senza preoccupazioni economiche. Appresi che mio marito aveva lasciato i conti in perfetto ordine e disponevamo inoltre di una rendita in grado di garantirci una vita tranquilla.

La notte era il momento peggiore.

Dopo avergli dato la buonanotte ed essermi messa a letto, spesso lo sentivo piangere e singhiozzare.

Sarei voluta ripassare a calmarlo ma ero a mia volta preda dello stesso dolore e non volevo mostrargli che stavo piangendo, sola nel lettone vuoto.

In quelle nottate iniziai a chiedermi se non fosse tutta colpa mia. Una sorta di punizione divina contro i miei pensieri impuri, le mie azioni un po’ spregiudicate.

Quello stesso giorno in cui era morto mio marito, avevo deciso che mi sarei masturbata più volte pensando a mio figlio. Avevo deviato dal mio ruolo di madre. Forse ero stata punita per questo. Presi una decisione altrettanto drastica.

Giurai che avrei dedicato tutto il tempo della mia vita ad accudire Angelo, anche a scapito di attività “frivole” come masturbarsi o vestire provocante. Sul momento, non mi sembrò una grande perdita a confronto del dolore che provavo.

La privazione fu il primo passo e ammetto di essermi sentita rassicurata dall’aver deciso qualcosa di importante in un momento così delicato.

Fu mio figlio ad aiutarmi a fare il secondo passo per uscirne.

Quel giorno mi ero seduta sul divano a guardare un film in Tv, quando mi raggiunse Angelo che si stese sul divano, con la testa appoggiata sul mio grembo. Non ricordo nemmeno quale film stessimo guardando, però ricordo bene che a un certo punto mio figlio iniziò a parlarmi: “mà, pensi che esista un Karma? Secondo te tutti hanno quello che si meritano? Alle persone cattive accadono cose brutte e alle buone solo cose belle?”

Restai confusa ma gli risposi di getto: “mi piace pensare che sia così, tesoro. Sarebbe bello pensare che ognuno abbia quello che si meriti, però penso che una buona parte di quello che succede nel mondo sia regolato dal caso e dalla fortuna”.

Lo vidi rattristarsi e rispondermi: “pensi che forse in qualche modo siamo stati puniti? Non so, per qualcosa che ho fatto, che ho pensato?”

Mio figlio aveva i miei stessi pensieri. E i miei stessi tormenti. Non potevo consentire che si colpevolizzasse, dovevo spezzare questo cerchio di colpe, risposi: “tesoro, nessuno conosce il tuo animo e i tuoi pensieri meglio di me. Anche se esistesse un Karma, niente che tu possa aver mai fatto giustificherebbe mai una simile punizione. Dobbiamo convivere con il fatto che a volte le cose accadono senza una ragione e non sempre siamo pronti ad affrontarle.”

Appoggiò la testa verso il basso e iniziò a piangere sulle mie gambe.

Lo lasciai piangere per un po', finché non riuscì a rialzare la testa e a dire: “e ora che faremo?”

Gli accarezzai i capelli castani. Erano lisci, morbidi e stavano diventando piuttosto lunghi. Bellissimi.

Sfoderai il sorriso più rassicurante che riuscii a trovare e gli risposi: “ora viene il bello. Dobbiamo uscirne. Pensala come un’avventura. Siamo stati finora dentro a un burrone, ognuno a piangere per conto suo. Possiamo uscirne, ma dobbiamo stare uniti. Il nostro legame è l’unica possibilità che abbiamo di salvarci. Io posso contare sul mio angioletto e lui può contare sulla sua mamma. Il resto non conta”.

Notavo che mi stava ascoltando, pensieroso, silenzioso.

Avevo parlato con il cuore ed ero rimasta impassibile per tutto il discorso, però dentro di me ribollivo di amore. Avrei fatto di tutto per convincerlo e rassicurarlo, pensai rapidamente anche di baciarlo, ma avevo seriamente paura a lasciarmi andare.

Nelle condizioni mentali in cui mi trovavo, anche un semplice bacio poteva trascendere in ben altro; quindi, continuai ad accarezzargli i capelli e il viso, quando finalmente interruppe il proprio silenzio: “mamma, non voglio più che tu dorma da sola. Vorrei che dormissimo assieme d’ora in poi. Non saremo più soli. Iniziamo a uscire da questo burrone, una notte alla volta”.



scritto il
2023-08-11
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