I capezzoli dicevano tutto di me
di
Evablu
genere
prime esperienze
I capezzoli mi si inturgidivano al solo vederlo, formavano piccoli rigonfiamenti scomodi e curiosi sui seni, indossassi camicie, magliette o puĺlover, portassi o meno intimo, quei due bottoncini simmetrici erano evidenti e mi imbarazzavano terribilmente, anche perché nasconderli era praticamente impossibile, in classe i compagni si davano di gomito, ridevano, mi sfottevano, qualcuno ogni tanto me li pizzicava, mi palpava il culo, sghignazzando e irridendomi con cattiveria. E io avevo paura, una paura matta, soffocante, che si sapesse in giro di me e dei miei inconfessabili e certo inappropriati desideri intimi.
Se con gli altri non legavo, avevo invece un bel rapporto con Giovanni, mi piaceva ridere e scherzare con lui, adoravo quella sua aria strafottente, spregiudicata, di quello che la sa lunga, mi piaceva stringermi a lui e farmi stringere, con la scusa di sfidarlo a fare la lotta. Era più alto e forte, perdevo sempre ma io lo facevo per immaginare la sua intimità, la sua nudità, mi chiedevo quanto lo avesse lungo, grosso, di che colore avesse la cappella, quanto fossero ruvidi i suoi coglioni, quanto fosse esteso il suo pelo, tra pube e gambe. Rosse le labbra, dolci i lineamenti nonostante gli orribili occhiali di tartaruga da astigmatico, poi i capelli sempre arruffati e la pelle bianchissima: mi piaceva tantissimo ma ero un timido patologico, non riuscivo a esprimermi e in più io mi sentivo di una bruttezza inguaribile, il viso un po' quadrato, anch'io con un tremendo paio di occhiali da miope, i capelli portati forse troppo lunghi, per i gusti di mio padre; soprattutto qualche chiletto in più, una vera ossessione. Mi dicevo che non sarei mai piaciuto alle ragazze e soprattutto - purtroppo - nemmeno a lui.
Nella nostra scuola con i due sessi accuratamente tenuti a distanza le femmine erano merce rara e io - che nell'intimo femmina mi ci sentivo - mi trovavo a disagio, perché avevo fantasie spesso spinte e quei bottoncini ritti al centro dei piccoli seni svelavano tanto di me e turbavano non solo me. I capezzoli mi si inturgidivano per lui ma nonostante il bel rapporto Giovanni sembrava non accorgersi di me: così ci volle un fatto sconvolgente e coinvolgente, per svegliarlo. Durante la ricreazione, un giorno, andai in bagno, sculettando come mio solito, ormai non me ne rendevo più conto, così come non mi accorsi di essere seguito e anche atteso: non appena entrai qualcuno chiuse la porta principale alle mie spalle e in cinque, sei, sette - sinceramente non so dirlo - mi salirono letteralmente di sopra, circondandomi e stringendosi tutti a me, chi mi toccava le tette, chi il culo, chi mi metteva una mano tra le cosce, provai a gridare ma puntuale arrivò la mano sopra la bocca, uno mi strinse da dietro il braccio intorno al collo, in una canea pazzesca, "è frocio, è frocio", "finocchio, guarda come gli piace", mentre i capezzoli mi si erano drizzati all'unisono, "guarda, ha le minne", strillavano e mi costringevano a toccare gli uccelli a tutti, qualcuno stava pure provando a denudarsi, fino a quando non si sentì una voce estranea a quel maledetto agguato.
"Che state facendo? Smettetela!".
Era lui, era in uno dei gabinetti e rovinò l'effetto sorpresa. In un istante, disordinatamente, quei delinquenti mollarono la presa e in pochi secondi il capannello che mi aveva ghermito si dissolse, lasciandomi con i vestiti in disordine e soprattutto in lacrime. Tremavo, cominciai a singhiozzare.
"Frocetti!", si sentì da fuori dei gabinetti, ma era un commento di delusione, stizzito.
Non dissi niente ai prof né al preside, non feci la spia. Giovanni volle assolutamente che nel pomeriggio andassi a casa sua, "per parlare un po'" e io accettai con qualche perplessità: mai mi aveva invitato a casa sua ma ne fui comunque felice, anche perché lui mi accolse con un sorriso e un abbraccio lungo, intenso. Mi condusse nella sua stanza, "non c'è nessuno in casa", sussurrò ma lo stesso chiuse la porta e diede un giro di chiave.
"Dai, non fare così - disse riprendendo a stringermi a sé, mentre io cominciavo a nutrire qualche dubbio - in fondo, per fortuna, non è successo niente. Hai avuto molta paura?". Mentre mi parlava come probabilmente avrebbe fatto con una ragazza, notai che da ragazza mi stava trattando: aveva fatto scivolare una mano lungo il mio fondoschiena, la teneva più o meno su una mia chiappa e non mollava la presa.
"Giovi - adoravo chiamarlo così - ho avuto paura, sì. Ma stacchiamoci, dai".
"E' che tu sei così carino - sospirò ignorando quel che gli avevo appena detto e stringendomi ancora a sé - in una classe di mostri e senza femmine ci sta, che qualcuno faccia cattivi pensieri ...".
Quella situazione, l'abbraccio prolungato, il contatto tra i nostri due corpi avevano svegliato i bottoncini: i capezzoli mi si erano drizzati, praticamente impazziti, stavano incollati al suo torace, duri come palline da calcio balilla, lui li sentì e mi strinse ancora di più. Contemporaneamente avvertii un gonfiore all'altezza del pube: doppio, perché si era eccitato lui e mi stavo eccitando anche io.
"Giovanni, non dobbiamo...", dissi a fatica, provando a scollarmi da lui ma Giovi non mollò la presa, anzi la mano che prima sembrava quasi fosse lì per caso cominciò a toccarmi il culo con convinzione e l'altra la insinuò fra me e lui, prendendomi il seno e iniziando a massaggiarmelo con maestria, pizzicandomi i capezzoli.
"No, ti prego", provai ancora a oppormi.
"Che bel seno che hai - disse con un filo di voce - non condivido la violenza ma hai due minne stupende, grosse... che misura porti? Sono veramente conturbanti, eccitanti, belle, belle veramente... come ho fatto a non accorgermene prima?" e queste parole, pronunciate sottovoce a pochi millimetri dalle mie orecchie e mentre le sue mani erano riuscite a trovare una strada sotto mia maglietta, palpeggiandomi la carne nuda, viva, calda, ebbero su di me un effetto dirompente, mi tolsero il fiato, i massaggini sul seno mi fecero andare in bambola, la lieve strizzatina delle punte dei capezzoli nudi (ipersensibili, proprio come quelli delle donne) mi stava facendo letteralmente morire.
"Giovanni, per favore...". Non riuscii a finire la frase, non sapendo come impedirmi ogni opposizione approfittò della vicinanza estrema per poggiare le labbra sulle mie, sentii lo schiocco del bacio e istintivamente chiusi gli occhi, che stava succedendo? Subito sentii un altro schiocco, uno smack stavolta più insistito e poi avvertii il sibilo della sua lingua che si faceva strada dentro la mia bocca, accolta dalla mia lingua, che lasciò che si attorcigliassero, si legassero e allacciandosi si scambiassero le salive. Era il primo bacio della mia vita, non avrei mai pensato di darlo a un ragazzo e giusto al ragazzo che amavo, ma me la cavai benissimo, nonostante l'emozione. Fu un bel bacio, lungo, coinvolgente, sensuale, passionale, intenso. Lui gradì e alla fine nello staccarsi da me mi guardò negli occhi, mi premiò con una sola parola.
"Troia".
Mi sfilò la maglietta, si spogliò pure lui, di sopra, e mi propose di sedermi sopra di lui: sì, lassù, sul suo uccello visibilmente eretto, trattenuto a stento dai jeans. Io cominciai ad arrossire violentemente, ci avevo messo dentro una serie di no, ma dai, dici sul serio, smettila, per favore, talmente tante obiezioni che dopo qualche secondo ero seduta sul suo cazzo, con lui che mugolava compiaciuto e il mio culetto letteralmente spalancato a gustarsi il contatto tra la punta del suo sesso (grossa, consistente, soprattutto durissima) e il mio sfinterino vergine, protetto ma non troppo da jeans e mutandine, suoi e miei. Seduta su di lui, le tette al vento ghermite dalle sue mani, mi toccava finalmente, anche in modo ufficiale, il ruolo della femmina e iniziai a muovermi delicatamente, mentre lui, spostando il bacino avanti e indietro, su e giù, e manovrando il mio corpo tenendomi per le minne, mi guidava in modo da dettarmi movimenti in sincronia perfetta con i suoi.
"Giovi, amore, ma se entra qualcuno?".
"Non entra nessuno - mugolò sottovoce -. Roberto, Roberta, Robertina, posso chiamarti Robertina?".
"Chiamami Roby, come mi hai sempre chiamato".
"Ecco, Robertina, Roby, muoviti così...".
Io non riuscivo a dire più una parola, emettevo gemiti sempre più rumorosi, ormai l'autocontrollo era bello e andato, ero decisamente fuori di me, in una sorta di trance sessuale, non avevo mai fatto cose del genere con le ragazze ma trovarmi mezza nuda in mano a un ragazzo, il ragazzo per il quale avevo preso una cotta spaventosa, una sbandata paurosa, mi intrigava da morire, cavalcavo il suo cazzo in un visibile stato di estasi e contemporaneamente lui mi palpava i seni e il cazzetto e con la bocca mi leccava e mordeva collo e spalle.
All'unisono, quasi incastrati per il cazzo e per il culo, lui spingeva e io sculettavo allo stesso ritmo, praticamente lo stavo segando con i glutei, la posizione era scomoda e i pantaloni addosso non ci agevolavano, però quando iniziò anche lui a segarmi, fu come se stessi ammattendo.
"Giovanni, Giovi, no, no, non così, no... così...".
"Vieni? - completò lui -. Anch'io...", e nel sentire che anche lui stava per godere mi lasciai definitivamente andare, accelerai i su e giù con il bacino, sentii che quella specie di ariete di carne che aveva tra le cosce stava quasi sfondando i suoi e i miei jeans, le sue e le mie mutandine, sentii però un bisogno profondo, la mezza penetrazione che stavo subendo mi intrippava al punto che, con una torsione del busto degna di un'artista da circo riuscii ad avvicinare la bocca alla sua, lui non se lo fece dire due volte e mi infilò di nuovo la lingua in bocca, mentre lo baciavo sentii che ero finalmente femmina al cento per cento, mi strizzò i capezzoli, tutti e due insieme, da farmi un male cane, ma non lo diedi a vedere, iniziai a ululare e ansimare e lui dietro di me, sentii umido sia sotto che sopra di me, perché eravamo venuti in simultanea, con un'esplosione di ormoni e sperma che ci aveva letteralmente allagati, nelle parti intime, inumidendo i suoi e miei pantaloni, per me davanti e dietro, al punto che oltre all'odore del suo seme sentii distintamente il buchetto del culo bagnato.
"Sei proprio una puttanella, una gran mignotta", mi disse.
"La tua puttana, però" e girandomi tornai a baciarlo con foga, con la lingua. Nell'abbandonarmi all'indietro, sopra di lui, fui però assalita da un dubbio inquietante.
"Ma ora non è che vai a raccontarlo in giro?".
Vidi la sua espressione furbesca, quasi divertita.
"Perché no?".
Se con gli altri non legavo, avevo invece un bel rapporto con Giovanni, mi piaceva ridere e scherzare con lui, adoravo quella sua aria strafottente, spregiudicata, di quello che la sa lunga, mi piaceva stringermi a lui e farmi stringere, con la scusa di sfidarlo a fare la lotta. Era più alto e forte, perdevo sempre ma io lo facevo per immaginare la sua intimità, la sua nudità, mi chiedevo quanto lo avesse lungo, grosso, di che colore avesse la cappella, quanto fossero ruvidi i suoi coglioni, quanto fosse esteso il suo pelo, tra pube e gambe. Rosse le labbra, dolci i lineamenti nonostante gli orribili occhiali di tartaruga da astigmatico, poi i capelli sempre arruffati e la pelle bianchissima: mi piaceva tantissimo ma ero un timido patologico, non riuscivo a esprimermi e in più io mi sentivo di una bruttezza inguaribile, il viso un po' quadrato, anch'io con un tremendo paio di occhiali da miope, i capelli portati forse troppo lunghi, per i gusti di mio padre; soprattutto qualche chiletto in più, una vera ossessione. Mi dicevo che non sarei mai piaciuto alle ragazze e soprattutto - purtroppo - nemmeno a lui.
Nella nostra scuola con i due sessi accuratamente tenuti a distanza le femmine erano merce rara e io - che nell'intimo femmina mi ci sentivo - mi trovavo a disagio, perché avevo fantasie spesso spinte e quei bottoncini ritti al centro dei piccoli seni svelavano tanto di me e turbavano non solo me. I capezzoli mi si inturgidivano per lui ma nonostante il bel rapporto Giovanni sembrava non accorgersi di me: così ci volle un fatto sconvolgente e coinvolgente, per svegliarlo. Durante la ricreazione, un giorno, andai in bagno, sculettando come mio solito, ormai non me ne rendevo più conto, così come non mi accorsi di essere seguito e anche atteso: non appena entrai qualcuno chiuse la porta principale alle mie spalle e in cinque, sei, sette - sinceramente non so dirlo - mi salirono letteralmente di sopra, circondandomi e stringendosi tutti a me, chi mi toccava le tette, chi il culo, chi mi metteva una mano tra le cosce, provai a gridare ma puntuale arrivò la mano sopra la bocca, uno mi strinse da dietro il braccio intorno al collo, in una canea pazzesca, "è frocio, è frocio", "finocchio, guarda come gli piace", mentre i capezzoli mi si erano drizzati all'unisono, "guarda, ha le minne", strillavano e mi costringevano a toccare gli uccelli a tutti, qualcuno stava pure provando a denudarsi, fino a quando non si sentì una voce estranea a quel maledetto agguato.
"Che state facendo? Smettetela!".
Era lui, era in uno dei gabinetti e rovinò l'effetto sorpresa. In un istante, disordinatamente, quei delinquenti mollarono la presa e in pochi secondi il capannello che mi aveva ghermito si dissolse, lasciandomi con i vestiti in disordine e soprattutto in lacrime. Tremavo, cominciai a singhiozzare.
"Frocetti!", si sentì da fuori dei gabinetti, ma era un commento di delusione, stizzito.
Non dissi niente ai prof né al preside, non feci la spia. Giovanni volle assolutamente che nel pomeriggio andassi a casa sua, "per parlare un po'" e io accettai con qualche perplessità: mai mi aveva invitato a casa sua ma ne fui comunque felice, anche perché lui mi accolse con un sorriso e un abbraccio lungo, intenso. Mi condusse nella sua stanza, "non c'è nessuno in casa", sussurrò ma lo stesso chiuse la porta e diede un giro di chiave.
"Dai, non fare così - disse riprendendo a stringermi a sé, mentre io cominciavo a nutrire qualche dubbio - in fondo, per fortuna, non è successo niente. Hai avuto molta paura?". Mentre mi parlava come probabilmente avrebbe fatto con una ragazza, notai che da ragazza mi stava trattando: aveva fatto scivolare una mano lungo il mio fondoschiena, la teneva più o meno su una mia chiappa e non mollava la presa.
"Giovi - adoravo chiamarlo così - ho avuto paura, sì. Ma stacchiamoci, dai".
"E' che tu sei così carino - sospirò ignorando quel che gli avevo appena detto e stringendomi ancora a sé - in una classe di mostri e senza femmine ci sta, che qualcuno faccia cattivi pensieri ...".
Quella situazione, l'abbraccio prolungato, il contatto tra i nostri due corpi avevano svegliato i bottoncini: i capezzoli mi si erano drizzati, praticamente impazziti, stavano incollati al suo torace, duri come palline da calcio balilla, lui li sentì e mi strinse ancora di più. Contemporaneamente avvertii un gonfiore all'altezza del pube: doppio, perché si era eccitato lui e mi stavo eccitando anche io.
"Giovanni, non dobbiamo...", dissi a fatica, provando a scollarmi da lui ma Giovi non mollò la presa, anzi la mano che prima sembrava quasi fosse lì per caso cominciò a toccarmi il culo con convinzione e l'altra la insinuò fra me e lui, prendendomi il seno e iniziando a massaggiarmelo con maestria, pizzicandomi i capezzoli.
"No, ti prego", provai ancora a oppormi.
"Che bel seno che hai - disse con un filo di voce - non condivido la violenza ma hai due minne stupende, grosse... che misura porti? Sono veramente conturbanti, eccitanti, belle, belle veramente... come ho fatto a non accorgermene prima?" e queste parole, pronunciate sottovoce a pochi millimetri dalle mie orecchie e mentre le sue mani erano riuscite a trovare una strada sotto mia maglietta, palpeggiandomi la carne nuda, viva, calda, ebbero su di me un effetto dirompente, mi tolsero il fiato, i massaggini sul seno mi fecero andare in bambola, la lieve strizzatina delle punte dei capezzoli nudi (ipersensibili, proprio come quelli delle donne) mi stava facendo letteralmente morire.
"Giovanni, per favore...". Non riuscii a finire la frase, non sapendo come impedirmi ogni opposizione approfittò della vicinanza estrema per poggiare le labbra sulle mie, sentii lo schiocco del bacio e istintivamente chiusi gli occhi, che stava succedendo? Subito sentii un altro schiocco, uno smack stavolta più insistito e poi avvertii il sibilo della sua lingua che si faceva strada dentro la mia bocca, accolta dalla mia lingua, che lasciò che si attorcigliassero, si legassero e allacciandosi si scambiassero le salive. Era il primo bacio della mia vita, non avrei mai pensato di darlo a un ragazzo e giusto al ragazzo che amavo, ma me la cavai benissimo, nonostante l'emozione. Fu un bel bacio, lungo, coinvolgente, sensuale, passionale, intenso. Lui gradì e alla fine nello staccarsi da me mi guardò negli occhi, mi premiò con una sola parola.
"Troia".
Mi sfilò la maglietta, si spogliò pure lui, di sopra, e mi propose di sedermi sopra di lui: sì, lassù, sul suo uccello visibilmente eretto, trattenuto a stento dai jeans. Io cominciai ad arrossire violentemente, ci avevo messo dentro una serie di no, ma dai, dici sul serio, smettila, per favore, talmente tante obiezioni che dopo qualche secondo ero seduta sul suo cazzo, con lui che mugolava compiaciuto e il mio culetto letteralmente spalancato a gustarsi il contatto tra la punta del suo sesso (grossa, consistente, soprattutto durissima) e il mio sfinterino vergine, protetto ma non troppo da jeans e mutandine, suoi e miei. Seduta su di lui, le tette al vento ghermite dalle sue mani, mi toccava finalmente, anche in modo ufficiale, il ruolo della femmina e iniziai a muovermi delicatamente, mentre lui, spostando il bacino avanti e indietro, su e giù, e manovrando il mio corpo tenendomi per le minne, mi guidava in modo da dettarmi movimenti in sincronia perfetta con i suoi.
"Giovi, amore, ma se entra qualcuno?".
"Non entra nessuno - mugolò sottovoce -. Roberto, Roberta, Robertina, posso chiamarti Robertina?".
"Chiamami Roby, come mi hai sempre chiamato".
"Ecco, Robertina, Roby, muoviti così...".
Io non riuscivo a dire più una parola, emettevo gemiti sempre più rumorosi, ormai l'autocontrollo era bello e andato, ero decisamente fuori di me, in una sorta di trance sessuale, non avevo mai fatto cose del genere con le ragazze ma trovarmi mezza nuda in mano a un ragazzo, il ragazzo per il quale avevo preso una cotta spaventosa, una sbandata paurosa, mi intrigava da morire, cavalcavo il suo cazzo in un visibile stato di estasi e contemporaneamente lui mi palpava i seni e il cazzetto e con la bocca mi leccava e mordeva collo e spalle.
All'unisono, quasi incastrati per il cazzo e per il culo, lui spingeva e io sculettavo allo stesso ritmo, praticamente lo stavo segando con i glutei, la posizione era scomoda e i pantaloni addosso non ci agevolavano, però quando iniziò anche lui a segarmi, fu come se stessi ammattendo.
"Giovanni, Giovi, no, no, non così, no... così...".
"Vieni? - completò lui -. Anch'io...", e nel sentire che anche lui stava per godere mi lasciai definitivamente andare, accelerai i su e giù con il bacino, sentii che quella specie di ariete di carne che aveva tra le cosce stava quasi sfondando i suoi e i miei jeans, le sue e le mie mutandine, sentii però un bisogno profondo, la mezza penetrazione che stavo subendo mi intrippava al punto che, con una torsione del busto degna di un'artista da circo riuscii ad avvicinare la bocca alla sua, lui non se lo fece dire due volte e mi infilò di nuovo la lingua in bocca, mentre lo baciavo sentii che ero finalmente femmina al cento per cento, mi strizzò i capezzoli, tutti e due insieme, da farmi un male cane, ma non lo diedi a vedere, iniziai a ululare e ansimare e lui dietro di me, sentii umido sia sotto che sopra di me, perché eravamo venuti in simultanea, con un'esplosione di ormoni e sperma che ci aveva letteralmente allagati, nelle parti intime, inumidendo i suoi e miei pantaloni, per me davanti e dietro, al punto che oltre all'odore del suo seme sentii distintamente il buchetto del culo bagnato.
"Sei proprio una puttanella, una gran mignotta", mi disse.
"La tua puttana, però" e girandomi tornai a baciarlo con foga, con la lingua. Nell'abbandonarmi all'indietro, sopra di lui, fui però assalita da un dubbio inquietante.
"Ma ora non è che vai a raccontarlo in giro?".
Vidi la sua espressione furbesca, quasi divertita.
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