La seconda e più difficile volta
di
Evablu
genere
gay
Avevo giurato e spergiurato che non sarebbe successo mai più, che tutto sarebbe rimasto rinchiuso nello strettissimo recinto della mia e della sua memoria, che nemmeno avrei mai condiviso con lui o con altri quel ricordo fin troppo intimo, proprio per evitare di ricascarci. E invece, nemmeno un mese dopo, mi ritrovai a casa di Giovanni, pronta a coricarmi con lui. Sì, addirittura dovevamo coricarci tutti e due nello stesso letto, nella sua stanza, in una piazza e mezza scarsa, diciamo che uno ci stava comodo, due strettini. Era estate, ormai, dopo la nostra prima volta - e mica era successo di notte in un letto - stavo ancora cercando di rimuovere, affare quanto mai complicato. Da quel pomeriggio a casa mia quasi non ci eravamo parlati, avevo giurato che non lo avrei fatto più e che non ne avrei più parlato, nemmeno con lui. E invece gli era bastato avvicinarsi con quel suo odore irresistibile di maschio latino, "ti va di farmi compagnia stasera, i miei non ci sono", e dopo circa sei sette secondi di profonda e macerante esitazione avevo accettato.
Per andare da lui mi ero vestita in un modo fin troppo succinto, canottiera bianca che evidenziava le mie forme generose e shorts corti color crema, Snickers ai piedi, i capelli raccolti in un toupè, insomma con un'aria fin troppo sexy e provocante. Lo avevo fatto forse perché, specie dopo la prima volta, i capezzoli mi si inturgidivano al solo vederlo da lontano, diventando fastidiosi bottoncini evidenti sulla stoffa di camicie e magliette. Lui non so se ne accorgeva, gli altri sì ed era una sofferenza essere sfottuta.
Mi accolse sorridendo in quel suo modo delizioso, accattivante, quello che in fondo mi aveva conquistata. Assieme a tutto il resto. Quella sera indossava un bermuda scuro e una maglietta sgargiante, si tirava continuamente su gli occhiali da intellettuale, il capello rossastro era più increspato del solito, la pelle bianca bianca faceva tanto latte candido. Sensuale.
Quando la porta si richiuse alle spalle dei suoi genitori che uscivano, tutti tirati a lucido, arrossii violentemente di fronte al suo sguardo intenso. Provai una strana sensazione di possesso e di smarrimento. Stavo per ricascarci, lo sentivo. Anzi ne ebbi la certezza quando feci per prendere lo smartphone.
"No, niente chat stasera", disse Giovi, come lo chiamavo io, nel togliermelo e nel mettere il suo e il mio in modalità aereo.
Inghiottii. Mi rividi a casa mia, quelle sensazioni confuse di respiri sovrapposti, di fiati affannosi, di movimenti nervosi e convulsi, di mani che cercavano, di dita che trovavano, di pelle che si denudava, di carne che si offriva, di baci umidi che si posavano, ebbi un attimo di smarrimento e pensai di rifugiarmi verso la play station.
Lui sovrappose le mani alle mie, mi tolse il joystick, lo posò.
"Sono molto stanco. Mettiamoci a letto, dai".
"Ma non sono nemmeno le nove".
"Dai, Robertina: andiamo a letto"
*
Rimanemmo distesi qualche minuto, l'uno accanto all'altra, in un silenzio assoluto. Ripensavo al modo in cui mi aveva chiamata, Robertina. Soprattutto pensavo al fatto che non mi fossi ribellata, che avessi accettato di essere chiamata al femminile. C'era penombra, vedevo i poster di Dylan Dog e di Batman alle pareti, l'altissimo armadio che arrivava al tetto, la scrivania accanto alla quale mi aveva toccata mille volte.
"Sei bona", disse all'improvviso tirandosi un po' su sui gomiti e guardandomi dritto negli occhi: la capacità di guardarci in quel modo mi aveva fatto scoprire che il nostro non era, non poteva essere un rapporto ordinario, normale. Era un'amicizia profonda ma insopportabile, dato che io lo amavo da impazzire.
Feci per sollevarmi e per alzarmi ma mi bloccò, posandomi un bacio su una guancia, ma non un bacio normale, un qualsiasi bacetto, proprio un bacio umido, mezzo con la lingua, a cui ne seguì un altro e di nuovo mi tuffai nei ricordi, le mie mani che impugnavano il suo cazzo, quella spada di carne che si faceva enorme fra le mie dita, la sua mano che dolcemente affondava tra i miei capelli, spingendo leggermente la testa verso il basso, io docile che scendevo, scendevo...
"Robertina, amore - disse - ho voglia che tu mi faccia un altro pompino".
Me lo disse così, chiaro, senza esitare oltre. Era riuscito anche a sollevarmi la canottiera, che a pensarci bene doveva essere di una mia sorella, maschile non pareva proprio, mi stava palpeggiando il seno con quel suo tocco delizioso, avevo le tette che si ingrossavano per l'eccitazione, quei capezzoli che si indurivano già solo a guardarlo impazzirono nel sentirsi titillare dai suoi polpastrelli vogliosi.
Senza dire altro mi curvai sul suo ventre, pure il cazzo se l'era tirato fuori senza farsi notare, diversamente dalla prima volta, quando invece si era fatto aiutare da me. Glielo scappucciai tirando la pelle verso il basso e strappandogli un urletto: la volta precedente se lo era denudato lui, il prepuzio, vista la mia inesperienza, ma l'odore del glande nudo - meraviglioso - era rimasto uguale, sperma misto a pipì, afrore di maschio voglioso, anche il sapore trovai identico, sale confuso con urina e seme di uomo, affondai i colpi progressivamente, decisi di non spingermelo in gola, perché col primo pompino avevo rischiato di soffocare, lo tirai fuori dalla bocca, togliendomi la canotta e rimanendo mezza nuda, slinguettai la punta del suo uccello, ingoiai la sua pre-eiaculazione.
"Troia, puttana", glielo strappai proprio, l'insulto: e del resto lo ero veramente.
"Porco, maiale", replicai ma di nuovo me lo cacciò in bocca, stavolta in gola perché era già tutto lubrificato, anche dalla mia saliva, e scivolò dritto dritto. Ebbi un conato, dovetti staccarmi e riprendere fiato.
"Scusa", sussurrò chinandosi su di me, premuroso. Ricominciai il lavoro di bocca, istintivamente mi stavo toccando i seni, lui se ne accorse.
"Sei veramente una gran mignotta", disse Giovi sovrapponendo una mano alla mia, gli lasciai lo spazio e mi feci tastare le minne.
"Le tue minne mi hanno conquistato subito, come potevo resistere?", sussurrò.
Pensai che stesse cercando una sorta di giustificazione per il nostro rapporto, mi sollevai per guardarlo negli occhi.
"Solo le minne?".
"Mi piaci tutta, piccola bocchinara" e nel dirlo mi ricacciò la testa sul suo cazzo, perché proseguissi. Stavolta il bocchino stava durando, non era venuto subito come la prima volta, tutto nella mia gola, peraltro.
"Stai imparando - ansimò - stasera mi dai pure il culo, abbiamo tutto il tempo".
Mi tirai su.
"No, non sono pronta, amore".
"Ma come ti devi preparare - parve irritarsi -. Se scopi con la bocca, scopi pure col culo".
Mi alzai dal letto, mollai il suo uccello, feci per scappare ma non avevo molte vie di fuga: mi raggiunse in un attimo, si incollò alla mia schiena, aveva ancora l'uccello duro, nudo, mi fece piegare in avanti, a novanta gradi.
"Anch'io ti voglio bene, sul serio", disse appiccicato al mio orecchio, di nuovo la sensazione del suo cazzo che aderiva al mio culetto, le mani mi presero entrambi i seni.
"Il culo no, però, ti prego Giovi": mi rimisi in posizione eretta, poggiai la schiena sul suo torace, girai la testa, spostai la bocca, subito sentii le sue labbra farsi grandi grandi e vicine alle mie, sentii che si poggiavano sulla mia bocca e istintivamente aprii leggermente e sentii la sua lingua che dolcemente si intrufolava e si allacciava alla mia, facendo un giro tutto intorno e poi succhiando delicatamente la mia saliva. Contemporaneamente sentii una sua mano sul seno e l'altra fra le cosce. Fu il nostro primo bacio e fu lungo, la mia saliva entrò nella sua bocca e io assaporai la sua, sapeva di Colgate, si era ben preparato per ricevere la fidanzata.
"Vedo che gradisci", disse staccandosi e ansimando lievemente, nel constatare che tra le mie gambe quelle effusioni avevano avuto successo.
Mi tirò giù il pantaloncino succinto ed essenziale, non opposi resistenza, rimasi con le mutandine da cui sporgeva un piccolo ma evidente gonfiore. Non mi aveva ancora toccato il cazzetto nudo, a casa mia mi aveva fatta venire senza spogliarmi, infilò la mano e lo impugnò, era piccolo ma durissimo.
"Aaaah!" ululai e subito lui cercò di tirarmi giù gli slip. Sentii la punta del suo cazzo nudo premere sulla stoffa che copriva il mio buchino.
"No, ti prego!" e riuscii a girarmi verso di lui, ora eravamo l'uno di fronte all'altra, con gli uccelli nudi e in tiro, si tuffò sui capezzoli: come la prima volta, leccava come un dio dell'Olimpo, sentii la sua lingua aderire come una ventosa alle mie areole punteggiate da due bottoncini scuri e turgidi, si ingrossarono a dismisura dentro la sua bocca, roteava la lingua attorno alle punte, mordeva le rotondità del mio piccolo ma sensibilissimo seno.
"Ti rendi conto di quello che stiamo facendo?", lo rimproverai.
"Sì, sei una femminuccia meravigliosa - disse riprendendomi in mano il cazzetto - sei una splendida troietta puttana. Mettiti in ginocchio".
Obbedii, me lo cacciò di nuovo in bocca. Anche a casa mia glielo avevo succhiato in ginocchio.
"Ti piace, troietta?".
"Certo, minchione - sussurrai. Nomen omen, pensai -. Giovanni, sei un cazzone in tutti i sensi, il tuo cazzo enorme mi piace da matti, me lo sogno la notte, ma io ti amo, ti amo, cazzo".
La cosa lo inorgoglì.
"Ami più me o il mio cazzo?".
Non risposi. Ripresi il pompino, affondai una mano tra i suoi coglioni, spremendoli lievemente, contemporaneamente allungai l'altra manina morbida tra le mie cosce. Il suo cazzo duro, grosso, nodoso, lungo, bello come la prima volta, mi esplose letteralmente in gola e mentre ingoiavo - di nuovo - il suo seme fino all'ultima goccia, venni anch'io.
Per andare da lui mi ero vestita in un modo fin troppo succinto, canottiera bianca che evidenziava le mie forme generose e shorts corti color crema, Snickers ai piedi, i capelli raccolti in un toupè, insomma con un'aria fin troppo sexy e provocante. Lo avevo fatto forse perché, specie dopo la prima volta, i capezzoli mi si inturgidivano al solo vederlo da lontano, diventando fastidiosi bottoncini evidenti sulla stoffa di camicie e magliette. Lui non so se ne accorgeva, gli altri sì ed era una sofferenza essere sfottuta.
Mi accolse sorridendo in quel suo modo delizioso, accattivante, quello che in fondo mi aveva conquistata. Assieme a tutto il resto. Quella sera indossava un bermuda scuro e una maglietta sgargiante, si tirava continuamente su gli occhiali da intellettuale, il capello rossastro era più increspato del solito, la pelle bianca bianca faceva tanto latte candido. Sensuale.
Quando la porta si richiuse alle spalle dei suoi genitori che uscivano, tutti tirati a lucido, arrossii violentemente di fronte al suo sguardo intenso. Provai una strana sensazione di possesso e di smarrimento. Stavo per ricascarci, lo sentivo. Anzi ne ebbi la certezza quando feci per prendere lo smartphone.
"No, niente chat stasera", disse Giovi, come lo chiamavo io, nel togliermelo e nel mettere il suo e il mio in modalità aereo.
Inghiottii. Mi rividi a casa mia, quelle sensazioni confuse di respiri sovrapposti, di fiati affannosi, di movimenti nervosi e convulsi, di mani che cercavano, di dita che trovavano, di pelle che si denudava, di carne che si offriva, di baci umidi che si posavano, ebbi un attimo di smarrimento e pensai di rifugiarmi verso la play station.
Lui sovrappose le mani alle mie, mi tolse il joystick, lo posò.
"Sono molto stanco. Mettiamoci a letto, dai".
"Ma non sono nemmeno le nove".
"Dai, Robertina: andiamo a letto"
*
Rimanemmo distesi qualche minuto, l'uno accanto all'altra, in un silenzio assoluto. Ripensavo al modo in cui mi aveva chiamata, Robertina. Soprattutto pensavo al fatto che non mi fossi ribellata, che avessi accettato di essere chiamata al femminile. C'era penombra, vedevo i poster di Dylan Dog e di Batman alle pareti, l'altissimo armadio che arrivava al tetto, la scrivania accanto alla quale mi aveva toccata mille volte.
"Sei bona", disse all'improvviso tirandosi un po' su sui gomiti e guardandomi dritto negli occhi: la capacità di guardarci in quel modo mi aveva fatto scoprire che il nostro non era, non poteva essere un rapporto ordinario, normale. Era un'amicizia profonda ma insopportabile, dato che io lo amavo da impazzire.
Feci per sollevarmi e per alzarmi ma mi bloccò, posandomi un bacio su una guancia, ma non un bacio normale, un qualsiasi bacetto, proprio un bacio umido, mezzo con la lingua, a cui ne seguì un altro e di nuovo mi tuffai nei ricordi, le mie mani che impugnavano il suo cazzo, quella spada di carne che si faceva enorme fra le mie dita, la sua mano che dolcemente affondava tra i miei capelli, spingendo leggermente la testa verso il basso, io docile che scendevo, scendevo...
"Robertina, amore - disse - ho voglia che tu mi faccia un altro pompino".
Me lo disse così, chiaro, senza esitare oltre. Era riuscito anche a sollevarmi la canottiera, che a pensarci bene doveva essere di una mia sorella, maschile non pareva proprio, mi stava palpeggiando il seno con quel suo tocco delizioso, avevo le tette che si ingrossavano per l'eccitazione, quei capezzoli che si indurivano già solo a guardarlo impazzirono nel sentirsi titillare dai suoi polpastrelli vogliosi.
Senza dire altro mi curvai sul suo ventre, pure il cazzo se l'era tirato fuori senza farsi notare, diversamente dalla prima volta, quando invece si era fatto aiutare da me. Glielo scappucciai tirando la pelle verso il basso e strappandogli un urletto: la volta precedente se lo era denudato lui, il prepuzio, vista la mia inesperienza, ma l'odore del glande nudo - meraviglioso - era rimasto uguale, sperma misto a pipì, afrore di maschio voglioso, anche il sapore trovai identico, sale confuso con urina e seme di uomo, affondai i colpi progressivamente, decisi di non spingermelo in gola, perché col primo pompino avevo rischiato di soffocare, lo tirai fuori dalla bocca, togliendomi la canotta e rimanendo mezza nuda, slinguettai la punta del suo uccello, ingoiai la sua pre-eiaculazione.
"Troia, puttana", glielo strappai proprio, l'insulto: e del resto lo ero veramente.
"Porco, maiale", replicai ma di nuovo me lo cacciò in bocca, stavolta in gola perché era già tutto lubrificato, anche dalla mia saliva, e scivolò dritto dritto. Ebbi un conato, dovetti staccarmi e riprendere fiato.
"Scusa", sussurrò chinandosi su di me, premuroso. Ricominciai il lavoro di bocca, istintivamente mi stavo toccando i seni, lui se ne accorse.
"Sei veramente una gran mignotta", disse Giovi sovrapponendo una mano alla mia, gli lasciai lo spazio e mi feci tastare le minne.
"Le tue minne mi hanno conquistato subito, come potevo resistere?", sussurrò.
Pensai che stesse cercando una sorta di giustificazione per il nostro rapporto, mi sollevai per guardarlo negli occhi.
"Solo le minne?".
"Mi piaci tutta, piccola bocchinara" e nel dirlo mi ricacciò la testa sul suo cazzo, perché proseguissi. Stavolta il bocchino stava durando, non era venuto subito come la prima volta, tutto nella mia gola, peraltro.
"Stai imparando - ansimò - stasera mi dai pure il culo, abbiamo tutto il tempo".
Mi tirai su.
"No, non sono pronta, amore".
"Ma come ti devi preparare - parve irritarsi -. Se scopi con la bocca, scopi pure col culo".
Mi alzai dal letto, mollai il suo uccello, feci per scappare ma non avevo molte vie di fuga: mi raggiunse in un attimo, si incollò alla mia schiena, aveva ancora l'uccello duro, nudo, mi fece piegare in avanti, a novanta gradi.
"Anch'io ti voglio bene, sul serio", disse appiccicato al mio orecchio, di nuovo la sensazione del suo cazzo che aderiva al mio culetto, le mani mi presero entrambi i seni.
"Il culo no, però, ti prego Giovi": mi rimisi in posizione eretta, poggiai la schiena sul suo torace, girai la testa, spostai la bocca, subito sentii le sue labbra farsi grandi grandi e vicine alle mie, sentii che si poggiavano sulla mia bocca e istintivamente aprii leggermente e sentii la sua lingua che dolcemente si intrufolava e si allacciava alla mia, facendo un giro tutto intorno e poi succhiando delicatamente la mia saliva. Contemporaneamente sentii una sua mano sul seno e l'altra fra le cosce. Fu il nostro primo bacio e fu lungo, la mia saliva entrò nella sua bocca e io assaporai la sua, sapeva di Colgate, si era ben preparato per ricevere la fidanzata.
"Vedo che gradisci", disse staccandosi e ansimando lievemente, nel constatare che tra le mie gambe quelle effusioni avevano avuto successo.
Mi tirò giù il pantaloncino succinto ed essenziale, non opposi resistenza, rimasi con le mutandine da cui sporgeva un piccolo ma evidente gonfiore. Non mi aveva ancora toccato il cazzetto nudo, a casa mia mi aveva fatta venire senza spogliarmi, infilò la mano e lo impugnò, era piccolo ma durissimo.
"Aaaah!" ululai e subito lui cercò di tirarmi giù gli slip. Sentii la punta del suo cazzo nudo premere sulla stoffa che copriva il mio buchino.
"No, ti prego!" e riuscii a girarmi verso di lui, ora eravamo l'uno di fronte all'altra, con gli uccelli nudi e in tiro, si tuffò sui capezzoli: come la prima volta, leccava come un dio dell'Olimpo, sentii la sua lingua aderire come una ventosa alle mie areole punteggiate da due bottoncini scuri e turgidi, si ingrossarono a dismisura dentro la sua bocca, roteava la lingua attorno alle punte, mordeva le rotondità del mio piccolo ma sensibilissimo seno.
"Ti rendi conto di quello che stiamo facendo?", lo rimproverai.
"Sì, sei una femminuccia meravigliosa - disse riprendendomi in mano il cazzetto - sei una splendida troietta puttana. Mettiti in ginocchio".
Obbedii, me lo cacciò di nuovo in bocca. Anche a casa mia glielo avevo succhiato in ginocchio.
"Ti piace, troietta?".
"Certo, minchione - sussurrai. Nomen omen, pensai -. Giovanni, sei un cazzone in tutti i sensi, il tuo cazzo enorme mi piace da matti, me lo sogno la notte, ma io ti amo, ti amo, cazzo".
La cosa lo inorgoglì.
"Ami più me o il mio cazzo?".
Non risposi. Ripresi il pompino, affondai una mano tra i suoi coglioni, spremendoli lievemente, contemporaneamente allungai l'altra manina morbida tra le mie cosce. Il suo cazzo duro, grosso, nodoso, lungo, bello come la prima volta, mi esplose letteralmente in gola e mentre ingoiavo - di nuovo - il suo seme fino all'ultima goccia, venni anch'io.
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