Pomiciata di classe con happy end

di
genere
trans

Soffrivo tantissimo la mia incompletezza e l'impossibilità di essere compresa, ma alla prima occasione decisi che non mi bastava più travestirmi nei rari fine settimana in cui restavo completamente sola in casa. Complice un periodo di freddo non tanto consueto, alle mie latitudini, chiesi a mamma se potevo mettere i collant sotto i jeans. Lei mi guardò stranita, mai le erano venuti sospetti su di me, era proprio cieca o era una forma di autodifesa, poi mi disse va bene e mi cedette un paio di sue vecchie calze elasticizzate. Sotto indossai - di nascosto - le brasiliane, le gambe le avevo perfettamente depilate e le unghie erano smaltate, poi misi su la mia corazza maschile e andai a scuola.
Lo feci per un giorno, due, tutta la settimana in cui durò quel freddo anomalo.
Poi il freddo smise e allora optai per un paio di vecchie autoreggenti di mia sorella. Che, al contrario dei collant, potenzialmente erano più visibili all'esterno: "Ma tanto - dicevo tra me con un pizzico di rammarico - chi mi deve scoprire?. Così col passare dei giorni non ci feci più caso e in effetti non successe nulla fino a quando, una mattina, non arrivai in ritardo e dovetti riparare all'ultimo banco, dove ci stavano i poco di buono. Il mio segreto era dentro di me, sotto di me, comunque invisibile - almeno lo credevo - e non feci caso al fatto che venne a sedersi al mio fianco un compagno ripetente, molto più grande di me e quel giorno ancora più in ritardo di me. La lezione era noiosissima, la professoressa di scienze vecchia e mezza cieca, non la seguiva nessuno, tranne quelli dei primi banchi. Il mio nuovo compagno di banco era alto, molto più di me, spalle larghe e capelli lunghi, tenuti su da un cerchietto. Qualche brufolo, naso pronunciato, mascella squadrata, occhi chiari, bocca carnosa. Insomma, un pezzo di bono, veniva considerato dal pubblico femminile. Ma le classi erano rigidamente separate: noi eravamo tutti maschi.
"Ma che, ti sei messo le autoreggenti?".
Le parole che il compagno belloccio - Paolino, mi pare si chiamasse - mi aveva bisbigliato all'orecchio mi fecero trasalire. Istintivamente buttai l'occhio verso il basso e in effetti, attraverso i jeans, si notava la parte elasticizzata delle calze femminili, che fasciava e ingrossava le cosce all'altezza dell'inguine. Diventai verde, rossa e blu, tenni lo sguardo dritto di fronte a me e feci finta di non sentire ma quello, imperterrito, mi passò la mano sulle gambe ed ebbe la conferma.
"Minchia, le autoreggenti!" e lo sentii ridere sommessamente ma di gusto. Sentii il colore del mio viso farsi violetto, il sangue pulsava alle tempie e dietro le orecchie sentivo di essere diventata rosso porpora.
"C'è freddo", farfugliai come per scusarmi.
"Freddo? Oh, ma non ti devi giustificare - sussurrò -. Ti stanno bene, hai un bel culo, sai?".
Lo sentii di nuovo ridacchiare e contemporaneamente insinuare una mano sotto i miei glutei. Feci resistenza, cercai di schiacciargliela per impedirgli di toccarmi ma lui era più forte, mi aveva colta di sorpresa ed ebbe facilmente la meglio.
"Smettila", balbettai, ma era quasi un'implorazione, mentre lui si era infilato come un serpente e mi stava liberamente palpeggiando le natiche e in mezzo alle natiche, insinuando un paio di dita all'altezza del buchino. E toccandomi intimamente ebbe la seconda conferma devastante.
"Minchia, hai le mutande delle femmine!". La cosa sembrò eccitarlo molto, il tocco sotto il mio culo si fece decisamente energico e sensuale, la pressione di medio e anulare mi stava costringendo ad allargare le cosce, dovetti farlo e rilassarmi per evitare che mi facesse male: cominciò a palpeggiarmi con decisione, sentivo non due ma tre dita spingere sul mio buchino. Non potevo negare che lasciarmi andare iniziava a piacermi.
"Ti prego, smettila, se ci vede la professoressa?", mi resi conto dopo averlo detto che stavo ammettendo che l'unico problema era essere visti dalla prof, che invece, cieca come una talpa, si era pure tolta gli occhiali per leggere meglio, tenendo il libro a pochi centimetri dal naso. Mi guardai allora intorno, temevo che ci notassero i compagni ma nessuno guardava verso di noi, io peraltro stavo fermissima non solo per non essere notata ma perché mi stava decisamente piacendo, e intanto quel porco stava approfittando di me. Cominciavo a provare strane sensazioni.
"Ma guarda, ti è cresciuto il pistolino - continuò infatti irridente quel bullo del cavolo, mettendomi un dito sul gonfiore, modesto ma evidente, che si iniziava a stagliare dal pube - quindi ti piace, frocetto". In effetti il dito infilato nel culo stimola la prostata e l'erezione, l'avevo letto da qualche parte ma non potevo negare che sì, mi stava proprio coinvolgendo.
"Anche a me è cresciuto, solo che il mio non è un cazzetto come il tuo", mi si era accostato fianco a fianco, si era incollato a me e rudemente mi aveva preso il polso destro, indirizzando la mia manina curata e morbida sul palo che aveva fra le cosce, a stento trattenuto da mutande e pantaloni.
"Caz-zo", bofonchiai nel sentire dimensioni che mi sembrarono enormi e il membro che reagiva al mio tocco, con una spinta verso l'alto frenata, ma non troppo, dagli indumenti. Mi resi conto soltanto dopo un minuto abbondante che glielo toccavo, che non mi stava affatto costringendo a palparlo, lo stavo tastando in piena libertà, muovendo la mano in lungo e in largo, in su e in giù, indovinavo i contorni della cappella e dell'asta nodosa, grossa e lunga. E anche il mio cazzetto era partito in una convinta erezione.
"Porti pure il reggiseno, piccola troia?", balbettò lui, non insensibile a quelle mie carezze intime: respirava infatti con un certo affanno.
"No", dissi a mia volta ansimando e sentendo una sua mano che stava controllando se dicessi la verità, palpeggiandomi il seno sinistro e pizzicandomi il capezzolo, pronto a drizzarsi e indurirsi, reagendo alla sua carezza irresistibile come, un attimo dopo, il destro. Ora la situazione era più che imbarazzante, per me era la prima pomiciata della vita, per lui credo di no, forse era la prima con un altro maschietto, ma la mano che mi passò fra i capelli profumati e il bacio che posò lì in mezzo, fra le ciocche ben pettinate, mi fecero capire che maschio non mi considerava proprio.
Ci fermò la campanella, d'un tratto la classe si ridestò e noi ci staccammo come se avessimo preso la scossa: io guardai il suo cazzo enorme, a stento nascosto sotto il banco, lui il mio culo rotondo e la camicia stropicciata all'altezza del seno, ma ci rimettemmo ognuno sulla sua sedia, a distanza di sicurezza. La prof di scienze non si era accorta di niente e nemmeno i compagni. La prof della lezione successiva ritardava sempre.
"Vado in gabinetto - disse lui alzandosi -. Vieni, puttanella".
Il modo con cui mi aveva chiamato mi indispose un pochino ma al tempo stesso mi turbò: in quale altro modo si sarebbe potuto definire il mio comportamento di quell'ora di lezione? Così, come obbedendo a una forza invisibile, mi alzai e lo seguii.
Negli orinatoi c'erano un paio di compagni, la solita puzza di piscio e di detersivo al medicinale, un mix disgustoso, umidità e freddo. Cercai di capire dove fosse Paolo e lo scoprii passando davanti a un bagno semiaperto: un braccio forte, una mano determinata mi tirò dentro. Mi ritrovai stretta stretta a lui.
"Troia", esordì baciandomi su una guancia. Tentai di sottrarmi, quei baci un poco mi imbarazzavano. "Troia, mignotta", insisté lui baciandomi anche l'altra guancia. Non sapevo che dire, che fare. Mi mise entrambe le mani sul seno, cercò di spogliarmi.
"Ci scoprono! Se entra qualcuno?", protestai.
"Non c'è nessuno - ansimò lui parlandomi in un orecchio - solo io e te", mentre sentivo il suo fiato caldo e profumato sul viso provai il tocco delle sue mani sulla pelle nuda, si era aperto una strada e mi stava palpando il seno, stuzzicava i capezzoli gonfi come le mie mammelle.
"Hai due minne da paura", e ci poggiò la lingua, le mordicchiò, succhiò i capezzoli. Aveva abbattuto tutte le mie barriere.
"Ma sei un vero maiale", sussurrai e andai a cercargli l'uccello. Rimasi sbalordita: lo aveva tirato fuori, la mia mano si posò sulla sua asta nuda.
"Porco, sudicio porco - ansimai nel prenderglielo in mano e cominciando a menarglielo - hai un cazzo enorme" e glielo guardai, sarà stato oltre venti centimetri. Lui si compiaceva del trattamento, aveva smesso di sbaciucchiarmi il seno e ora mi stava infilando un pollice in bocca. Iniziai a succhiarlo con voluttà.
"Brava, brava, succhia, piccola baldracca" e senza dire altro mi mise entrambe le mani sugli omeri, facendo una lieve ma decisa pressione verso il basso. Capii subito dove voleva andare a parare, ebbi paura, non sapevo se lasciarmi andare fino a quel punto. E poi lo avevo visto fare solo sui giornaletti porno, ma non avevo idea di come si facesse nella realtà. Scivolai piano lungo la parete, tenendo gli occhi fissi nei suoi, che trovai rassicuranti e invitanti, mi ritrovai accovacciata con i glutei poggiati sui talloni, il suo cazzo a pochi millimetri dal naso e dalla bocca. Un ultimo sguardo verso l'alto, lui mi aveva intanto messo entrambe le mani sulla nuca, mi spinse la cappella contro le labbra, le aprii, glielo presi in bocca, penetrò di slancio fino alla gola, mi sfiorò le tonsille e mi indusse un conato di vomito, lo tirò fuori e poi lo appoggiò alle mie guance.
"Piano, troietta", me lo offrì di nuovo, perfettamente scappucciato, leccai il prepuzio, mi feci coraggio e lo impugnai, menandolo avanti e indietro. Aveva un sapore strano, pipì e sperma, salato e dolciastro. Riaprii la bocca, presi solo la cappella, fasciandola con le labbra calde e con la lingua. Lui apprezzò parecchio.
"Ma sei una... bagascia! Quanti ne hai fatti, pompini?".
"E' il primo che faccio, coglione", protestai, e a proposito di coglioni - lo avevo visto fare sempre nei giornaletti - glieli presi nella mano fredda, facendolo sussultare ma anche esaltare.
"Vacca, troia" e cominciò a spingere con decisione avanti e indietro, avanti e indietro, fino a quando non sentii un primo schizzetto e poi un fiotto caldo, istintivamente mi allontanai ma lui me lo spinse di nuovo dentro e mugolando venne con tutto lo sperma che aveva in corpo, un'infinità, costringendomi con una spinta decisa sulla nuca a prenderlo tutto in gola, a inghiottirlo e a sputarne solo una piccola parte. Ero veramente una troia, mi dissi tra me, non aveva torto, nel chiamarmi così.

di
scritto il
2024-01-12
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