Roberta va a farfalle - presa per il culo ma non si ride

di
genere
trans

Non dormii per tre notti, altro che semplice mal di pancia: quando andavo in bagno mi sembrava di liberarmi di milioni, miliardi di farfalle che brulicavano dentro il mio stomaco. Cazzo, lo amavo: amavo lui e il suo cazzo, forse amavo proprio il cazzo ma impazzivo per lui, me lo vedevo davanti di notte, di giorno, a occhi aperti e chiusi. Mamma - sempre molto apprensiva - non capiva cosa avessi, mi vedeva pallida, emaciata, gli occhi cerchiati di nero e le mamme hanno sempre intuizioni giuste, anche se con me azzeccare fino in fondo non era facile.
"Robertino - mi disse dopo un paio di giorni - ma ti sei innamorato?".
Sì, cazzo, sì! Sono innamorato, anzi no: SONO INNAMORATISSIMA, ma perché tu che mi hai partorito mi chiami ancora Robertino? Non vedi il mio aspetto, i capelli lunghi ("Tagliateli, che tuo padre non li sopporta"), l'abbigliamento che scelgo, magliette e pantaloni spesso trafugati alle sorelle, le gambe depilate, il visetto glabro e le tette, ho persino le tette! Come fai a non vedere la mia sofferenza, il mio abitare in un corpo diverso da quello che sento di volere, il seno che mi cresce in modo naturale, i fianchi larghi, il culo rotondo, la natura che pare assecondare le mie vere inclinazioni, l'eccitazione che provo solo a pensare o a parlare di Giovanni, figurarsi quando in classe lo vedo da lontano, perché siamo seduti distanti e mentre la prof si affanna a spiegare Dante e il suo cavolo di Inferno io l'inferno ce l'ho dentro, perché non riesco a dire a nessuno - nemmeno a mia mamma - chi sono veramente io.
Ho ingoiato il suo seme, gli ho fatto un pompino che lui ha giudicato meraviglioso, dopo avere goduto nella mia bocca è stato lì ad accarezzarmi il capo, i capelli lisci e lunghi, ho temuto che si fosse pentito di esserselo fatto succhiare da un frocetto come me, mi ha insultata ma anche blandita ("Che magnifica troia sei") ma non mi ha maltrattata, quando sono andata via da casa sua mi ha anche baciata teneramente su una guancia - non in bocca, anche se io lo avrei voluto, lo desideravo tanto - e io l'ho abbracciato, gli ho gettato le braccia al collo e l'ho stretto, lui si è fatto stringere ma dopo un poco si è staccato, non voleva che qualcuno ci vedesse. Nei giorni a seguire è stato freddo, mi aspettavo chissà quale entusiasmo e invece niente, a stento mi salutava. Mentre gli altri, Superman, il Molosso, il resto della combriccola sessista e omofoba della classe mi canzonava più del solito: e di nuovo il terrore, la paura che lui mi tradisse, che andasse in giro a raccontare tutto, di qui altri miliardi di farfalle e però pure la voglia irrefrenabile di rivederlo, di stare ancora in intimità con lui. Ma Giovanni non mi invita e al mio invito a casa mia risponde ancora una volta freddamente: non può, ha impegni, deve studiare e con me non ci riesce. Unica concessione: nel dire questo mi schiaccia l'occhiolino.
Giovanni, io ti amo, vorrei scrivergli ma non ce la faccio e così spunto a sorpresa di pomeriggio da lui, busso alla porta - il portiere mi annuncia al citofono col solito "c'è la tua compagna", non ho mai capito se lo dica perché ingannato dal mio aspetto o per disprezzo - e mi apre lui, è disorientato, che fai qui, mi dice con gli occhi e mi guida nella sua stanza, "non sono solo", mette le mani avanti come la volta precedente mi aveva subito detto che avevamo la casa libera fino alle otto di sera.
"Giovanni - gli dico sottovoce quando siamo soli - io sono distrutta, tu chissà cosa penserai di me, dopo l'altra volta ma io..." e mi blocco, non so come andare avanti né indietro, sono del tutto impallata, lui mi guarda con occhi comprensivi ma preoccupati.
"Roberto - esordisce in maniera sbagliata ma si corregge all'istante - Roberta, anch'io ci ho pensato molto, è stato molto bello, mi è piaciuto da matti ma..." e anche lui si ferma, non si muove più e allora io lo accarezzo, gli passo delicatamente una mano sul viso, vorrei baciarlo ma non si può, tra l'altro si sente movimento nelle altre stanze, la porta si apre all'improvviso e vorrei quasi tagliarmi la mano che avevo sulla sua guancia, è sua mamma.
"Giovi, io sto uscendo - solo in questo momento si accorge di me -. Ah, c'è anche Roberto, ciao tesoro".
"Buongiorno... buonasera signora", ci si emoziona sempre davanti alle suocere.
"Mi raccomando, fate i bravi, siete soli, torniamo stasera".
Richiude la porta della stanza, ci guardiamo un attimo, contiamo i secondi fino a quando non sentiamo la porta di casa che si richiude alle spalle della signora, poi scattiamo in piedi e mentre lui sta fermo come un palo io lo abbraccio, passa qualche istante e mi risponde, anche lui mi stringe, ora siamo avvinghiati forte forte, lui mi mette le mani sul culo, io - che sono più bassina di lui - lo sbaciucchio tutto, guance, collo, petto, lui è diretto, non vuole perdere tempo, trova uno spazio e infila una mano nei miei pantaloni, mi tocca la carne nuda e soda del culo, i glutei, mette le dita nel solco che li separa, mi sfiora il buchetto senza la barriera di jeans e mutandine, come era stato invece la volta scorsa.
"Sì, toccami, toccami!", mi allargo la cintura, sbottono il jeans - sempre quello di mia sorella, unisex ma non troppo - ora lui mette dentro entrambe le mani, mi ghermisce le natiche nude e le allarga, io gli cerco il cazzo, lo tocco, lo sento indurirsi sotto i pantaloni mentre lui mi tira via la polo, sempre quella dell'altra sorella, di un colore rosa tenue da finocchio, precipitiamo sul letto - io sotto, seminuda, lui sopra - e sento un cazzo sodo, enorme, pressare sul mio basso ventre, anch'io mi sono indurita, lui si libera della maglietta della solita squadra di calcio e delle scarpe da tennis ma libera anche me, mi strappa le Snickers e in un attimo pure il jeans unisex che addosso a me pare ed è da frocetto, rimango in mutande, le cosce lunghe perfettamente depilate, da modella.
"Cazzo, sei proprio una gran fica", commenta nel togliersi pure lui i pantaloni e gli slip, rimane nudo, il suo pene è in erezione ancora a metà, mi sembra che acquisisca consistenza sotto il mio sguardo, me lo offre e glielo prendo subito in bocca, un odore e un sapore pazzeschi, specie dopo che se lo scappuccia e mi accarezza il viso mentre gli faccio il pompino, mi tiene per i capelli, stavolta già sciolti, sento il suo sapore, lui vede il mio pistolino gonfio sotto le mutandine, me lo palpa e io gli tasto i coglioni ruvidi e pelosi, belli, sodi, rotondi, la punta del suo cazzo mi arriva in gola, col naso gli sfioro il pube, com'è che non soffoco? Sono veramente innamorata, mi dico tra me, ma lui ha un'altra tesi.
"Sei una bocchinara nata, una gran troia", mi insulta e mi pizzica i capezzoli, tira fuori il cazzo dalla mia bocca e me lo sbatte sulle tette. Sono in piena sottomissione, sono felice.
"Che seno, ma ti fai di ormoni?". Scuoto la testa, è natura ma non glielo dico e glielo riprendo fra le labbra avide, mi prendo le tette fra le mani, le avvicino alle sue gambe pelose, penso a una spagnola ma lui non vuole venire subito come l'altra volta, mi stacca da sé e mi spinge all'indietro sul letto, poi mi sfila le mutandine e io docile e pienamente sottomessa lo lascio fare, rimango nuda e però mi vergogno ancora, istintivamente metto le mani a coprirmi il pistolino.
"Devi portare mutandine da donna, quando devi incontrare me - mi ingiunge, quasi - e mettere anche il reggiseno". Delicatamente mi scosta prima una, poi l'altra mano, mi vede il cazzetto in tiro, si china e mi bacia la pancia, il seno, i capezzoli, ciuccia e lecca che è una favola, mamma sto per venire ma lui è come se lo avesse capito, mi prende la punta del piccolo membro fra due dita, la stringe, mi reprime e spezza l'orgasmo incipiente.
"Non è ancora il momento", dice e tenendomi per le cosce mi fa ruotare su me stessa, mettendomi a pancia in giù. Sono nuda, realizzo solo in un secondo momento cosa possa accadere stando in una posizione del genere, sento le sue mani che mi lisciano la schiena, i polpacci, le cosce. Non riesco a stare schiacciata sul ventre, ce l'ho duro, punto le ginocchia strette e tengo il bacino un po' sollevato, mi rendo conto che per lui è una situazione troppo allettante, inizio a sentire caldo e umido fra i glutei, non afferro immediatamente ma mi sta leccando il buchino.
"Che... fai?", dico sollevandomi sui gomiti ma lui mi rimanda giù senza troppi complimenti e riprende il lavoro di lingua, semplicemente divino, meno male che mi lavo sempre con grande cura, con le mani separa i glutei meglio che può, il mio sfintere vergine è a sua completa disposizione, lo lecca con cura, con amore, me lo insaliva che mi sento colare qualcosa verso le palline e pure dentro il retto, lecca e lecca da dio, "ma lo sai che sei un gran porco?", gli dico con un filo di voce, sento che potrei venire da un momento all'altro, anche se il cazzetto non tocca più e non si sfrega sul materasso morbido, perché lui mi tiene inarcata, quasi alla pecorina per affondare meglio i colpi di lingua.
Dura un po', poi mi gira e mi offre di nuovo il cazzo in bocca, si è un tantino ammosciato e ha bisogno della mia, di lingua, per tirarlo di nuovo su e lubrificarlo, ora si staglia che è un piacere, il suo cazzo proprio lo adoro, lo venero, perché è suo, non so se saprei succhiarne altri, forse sì ma non con questa passione, io amo Giovanni e il suo sesso e mentre lo penso mi rimette a pancia in giù, dà un paio di altri colpetti di lingua, sento che si sputa sul glande e poi lo sento.
"Che... che... che cazzo fai?".
La sua cappella è poggiata all'ingresso del mio corpo, si accosta all'ano ma non riesce ad affondare: sono vergine, stretta stretta, il buchetto non è mai stato violato, non mi sono mai nemmeno fatta mezzo ditalino, non conosco il piacere anale e quella situazione mi intriga ma mi terrorizza.
"No, Giovanni, stiamo esagerando... no, non adesso, no...", ma la mia resistenza (minima) pare essere una sollecitazione a penetrarmi, per lui. E' durissimo, vuole avermi, possedermi, prendermi tutta: il suo cazzo che entra nel mio culo mi sembra una conseguenza inevitabile del desiderio incontenibile che proviamo l'uno per l'altra. Ma non riesce a penetrarmi, mi fa e si fa male, sebbene io stia provando a sculettare come durante la prima pomiciata, a casa mia, quando avevamo solo mimato l'amplesso.
"AAAH! - grido perché mi fa male - ahi, piano, ti prego", mordo la coperta, trovo il cuscino e addento pure quello ma mi fa veramente male, la lubrificazione salivare su una verginella come me non fa tanto effetto. Pure il pistolino ne risente, sento che si sta ammosciando e intanto mi spuntano le lacrime per il dolore: la cappella è entrata solo per qualche millimetro, fa capolino all'ingresso, l'elasticità del buchetto non è sufficiente, lui non trova la strada per unire il suo corpo al mio, per impadronirsi del culo dopo essersi preso tutto il resto. Giovanni lo capisce - sento, credo, spero che mi ami anche lui, un briciolo di quanto io amo lui mi basterebbe - mi prende per le tette, mi sento una pecorella da mungere, sono alla pecorina in verità, poi mi infila una, due, tre dita già umide in bocca, le ha leccate prima lui e le fa ciucciare a lungo pure a me, ora sento qualcosa di più contenuto che pressa sul mio ano, le falangi entrano con meno difficoltà, viola la mia intimità prima con la punta, poi il dito va più dentro, fa avanti e indietro e trova la strada, uno, due, tre centimetri, ora lo sento tutto, mi sta penetrando con un dito, poi con due, entrano insieme, sembra un piccolo cazzo, mi fa il ditalino per un po' e provo una sensazione mai avuta prima, come se l'uretra mi tirasse e il cazzo torna subito durissimo.
"Giovanni, amore - fatico a parlare, ansimo - sto per venire... godi con me, ti prego... io ti amo, ti amo da impazzire".
Tira fuori il dito, sento di nuovo la cappella, ma stavolta non cerca di sfondarmi, mi mette proprio a quattro zampe, mi tiene per le tette, spreme dolcemente i capezzoli e struscia il cazzo nel solco formato dai glutei, sento il tronco duro masturbarsi sul mio culo aperto, lui comincia a ululare e poi uno schizzo, il primo, potentissimo, mi scavalca, lascia per strada qualche goccia calda sulla mia testa e il grosso va a stamparsi sulla sponda del letto sopra di me, poi gli altri via via riducono la gittata, sento il suo sperma dolce e bollente tra i capelli, sulla schiena, l'ultimo si deposita sul coccige. E io? Io sono venuta subito, prima che lui iniziasse a irrorarmi, ho insozzato tutta la coperta del suo letto, mi affloscio sul mio stesso seme, esausta e con la piena convinzione di essere diventata ancora più troia della volta precedente.
Ma so anche di amarlo alla follia e che non basta essere porca per scopare bene.

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scritto il
2022-12-22
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