Lavoretto di bocca nella tendina canadese
di
Evablu
genere
prime esperienze
Come mi ritrovai in quella tendina canadese, col suo uccello in bocca, sinceramente non so dirlo. Fu una cosa molto porca, senza dubbio, ma anche tanto, troppo confusa. Ricordo nitidamente il materassino in gommapiuma che occupava l'intero catino della tenda, escluso l'abside, dove avevamo cacciato alla rinfusa le nostre cose. Nitidamente ricordo pure l'odore tipico della canadese, l'orrenda puzza di piedi sudati che si sentiva non appena mettevi il naso dentro. E poi Fabrizio che dormiva nudo, adagiato sul sacco a pelo ma senza starci dentro, respirando pesantemente quando era nel primo sonno e poi russando proprio, molto rumorosamente. Era, eravamo ragazzini, allora, ma mentre io ero insignificante e poco sviluppata, lui aveva un fisico da bronzo di Riace steso per terra, una statua su un morbido giaciglio. Le prime notti avevo deciso di ignorarlo: quel modo di fare, il mostrarsi senza veli, sia pure nella penombra della notte nel campeggio, mi pareva un misto di ottuso esibizionismo da ragazzino qual era. In realtà quelle nudità erano in un certo qual modo conturbanti, attaccato al pube aveva una specie di idrante, un coso di una ventina di centimetri - a riposo - che lasciava senza fiato, si stagliava grosso e nodoso da un cespuglio di peli, un piccolo tronco che emergeva dal sottobosco, non ti lasciava indifferente anche perché emanava un odore forte, sensuale e intenso, sgradevole e sporco al punto giusto, quel misto di afrore e animalità che ti ispirava pensieri sconci, alimentati anche dalla scomoda valvola del ricordo, che si apriva sotto l'effetto di quell'enorme cazzo.
Glielo guardavo, non posso negarlo: per quanto tentassi di sfuggire col pensiero a quella situazione intrigante ma tanto imbarazzante, l'occhio cadeva proprio lì, come irresistibilmente calamitato da quel magnete di carne. E il ricordo, il ricordo...
Glielo presi in bocca la terza notte, mi pare: lui non me lo aveva chiesto, non apertamente, ma io continuavo a guardarglielo, il mio atteggiamento era un implicito invito nei suoi confronti. Steso sul materassino, le mani incrociate dietro la nuca, con aria solo in apparenza indifferente mi aveva detto che gli misurava venti centimetri a riposo e se avessi voluto vederlo eccitato mi sarei dovuta dare da fare, perché poteva crescere ancora, raggiungendo almeno i 25-26. Gli avevo risposto che innanzitutto non capivo perché mi parlasse al femminile (lo facevo soltanto io, dentro di me e per me) e poi di lasciarmi stare. A quel punto Fabrizio aveva cominciato a ridere di gusto e mentre io ero un attimo distratta mi aveva presa con violenza per il collo e per la nuca, attirandomi verso il suo cazzo; io avevo resistito qualche istante, poi mi ero ritrovata con la bocca pigiata su quella piccola proboscide di carne, avevo aperto le labbra per protestare e in un battibaleno lui me lo aveva ficcato su per il palato, gli era diventato duro mentre io digrignavo i denti, ma tirandomi rudemente i capelli mi aveva impedito di stringere e di fargli male e così, nel breve volgere di qualche istante, mi ero ritrovata a ciucciargli l'uccello, mi aveva domata con l'odore di sesso e di sperma e col sapore di sale e urina, senza dire niente mi ero presa quel palo di carne, riuscendo a tenere fra le labbra la cappella nuda e violacea, il prepuzio duro da cui faceva capolino il buchino del cazzo, slinguettavo come una vera troia sul suo glande, venendo guidata nel movimento, su e giù, giù e su, dalle sue dita affondate fra i capelli.
"Brava, così, brava, troia, avanti, piccola mignotta, avanti, vedi come ti piace? E non mi dire che è il primo che fai...". La situazione in sé era surreale: sulla carta anche io ero maschio ma gli stavo facendo un docile pompino, gli avevo impugnato l'asta e lo menavo su e giù, sapevo come fare, il ricordo delle prime volte riaffiorava mentre lui mi pizzicava i capezzoli nudi e ritti per l'eccitazione, "si vede che ti piace, a chilometri di distanza si vede, puttanella" e io continuavo a succhiarlo, durissimo e tanto eccitato e rivedevo la ragione per cui ero lì quella estate, quel ragazzino biondo che mi aveva fatto perdere la testa, che mi aveva corteggiata come si fa con le ragazze e che un giorno, mentre eravamo seduti accanto, a casa sua, per studiare, di punto in bianco mi aveva preso un seno e me lo aveva palpeggiato e subito dopo mi aveva fatta sollevare sulla sedia e mi aveva messo una mano sotto il culo. Poi, mentre io lo lasciavo fare in un silenzio incandescente, senza sapere come comportarmi, lui mi aveva baciata sulle labbra e un attimo dopo mi aveva infilato la lingua in bocca, arrotolandola alla mia con una tale dolcezza che quando, trascorso qualche minuto in cui ero rimasta completamente senza fiato, mi aveva chiesto sottovoce "mi piacerebbe che mi facessi un pompino", quasi fossi stata un robot mi ero inginocchiata fra le sue cosce divaricate, lui lo aveva tirato fuori e fissandolo negli occhi, a suggellare l'intesa complice e boccaccesca, lo avevo fatto godere, venire nella mia gola.
Ora anche Fabrizio, in quella canadese, mi stava scopando la bocca. Mugolava compiaciuto, sentii distintamente la pre-eiaculazione fare uno schizzetto in gola, continuai mentre lui mi carezzava i capelli e a un tratto accelerò la spinta sulla mia nuca, velocizzai il movimento e poi lui mi piantò entrambe le mani sulla testa e mentre diceva ululando "vengoooo" sentii, anzi risentii, il sapore caldo degli schizzi in gola, un fiotto dopo l'altro ingoiai tutto il suo seme e mi sentii ancora una volta una giovanissima gran puttana.
Glielo guardavo, non posso negarlo: per quanto tentassi di sfuggire col pensiero a quella situazione intrigante ma tanto imbarazzante, l'occhio cadeva proprio lì, come irresistibilmente calamitato da quel magnete di carne. E il ricordo, il ricordo...
Glielo presi in bocca la terza notte, mi pare: lui non me lo aveva chiesto, non apertamente, ma io continuavo a guardarglielo, il mio atteggiamento era un implicito invito nei suoi confronti. Steso sul materassino, le mani incrociate dietro la nuca, con aria solo in apparenza indifferente mi aveva detto che gli misurava venti centimetri a riposo e se avessi voluto vederlo eccitato mi sarei dovuta dare da fare, perché poteva crescere ancora, raggiungendo almeno i 25-26. Gli avevo risposto che innanzitutto non capivo perché mi parlasse al femminile (lo facevo soltanto io, dentro di me e per me) e poi di lasciarmi stare. A quel punto Fabrizio aveva cominciato a ridere di gusto e mentre io ero un attimo distratta mi aveva presa con violenza per il collo e per la nuca, attirandomi verso il suo cazzo; io avevo resistito qualche istante, poi mi ero ritrovata con la bocca pigiata su quella piccola proboscide di carne, avevo aperto le labbra per protestare e in un battibaleno lui me lo aveva ficcato su per il palato, gli era diventato duro mentre io digrignavo i denti, ma tirandomi rudemente i capelli mi aveva impedito di stringere e di fargli male e così, nel breve volgere di qualche istante, mi ero ritrovata a ciucciargli l'uccello, mi aveva domata con l'odore di sesso e di sperma e col sapore di sale e urina, senza dire niente mi ero presa quel palo di carne, riuscendo a tenere fra le labbra la cappella nuda e violacea, il prepuzio duro da cui faceva capolino il buchino del cazzo, slinguettavo come una vera troia sul suo glande, venendo guidata nel movimento, su e giù, giù e su, dalle sue dita affondate fra i capelli.
"Brava, così, brava, troia, avanti, piccola mignotta, avanti, vedi come ti piace? E non mi dire che è il primo che fai...". La situazione in sé era surreale: sulla carta anche io ero maschio ma gli stavo facendo un docile pompino, gli avevo impugnato l'asta e lo menavo su e giù, sapevo come fare, il ricordo delle prime volte riaffiorava mentre lui mi pizzicava i capezzoli nudi e ritti per l'eccitazione, "si vede che ti piace, a chilometri di distanza si vede, puttanella" e io continuavo a succhiarlo, durissimo e tanto eccitato e rivedevo la ragione per cui ero lì quella estate, quel ragazzino biondo che mi aveva fatto perdere la testa, che mi aveva corteggiata come si fa con le ragazze e che un giorno, mentre eravamo seduti accanto, a casa sua, per studiare, di punto in bianco mi aveva preso un seno e me lo aveva palpeggiato e subito dopo mi aveva fatta sollevare sulla sedia e mi aveva messo una mano sotto il culo. Poi, mentre io lo lasciavo fare in un silenzio incandescente, senza sapere come comportarmi, lui mi aveva baciata sulle labbra e un attimo dopo mi aveva infilato la lingua in bocca, arrotolandola alla mia con una tale dolcezza che quando, trascorso qualche minuto in cui ero rimasta completamente senza fiato, mi aveva chiesto sottovoce "mi piacerebbe che mi facessi un pompino", quasi fossi stata un robot mi ero inginocchiata fra le sue cosce divaricate, lui lo aveva tirato fuori e fissandolo negli occhi, a suggellare l'intesa complice e boccaccesca, lo avevo fatto godere, venire nella mia gola.
Ora anche Fabrizio, in quella canadese, mi stava scopando la bocca. Mugolava compiaciuto, sentii distintamente la pre-eiaculazione fare uno schizzetto in gola, continuai mentre lui mi carezzava i capelli e a un tratto accelerò la spinta sulla mia nuca, velocizzai il movimento e poi lui mi piantò entrambe le mani sulla testa e mentre diceva ululando "vengoooo" sentii, anzi risentii, il sapore caldo degli schizzi in gola, un fiotto dopo l'altro ingoiai tutto il suo seme e mi sentii ancora una volta una giovanissima gran puttana.
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