I capezzoli dicevano tutto di me (3)

di
genere
prime esperienze

ATTENZIONE: PER UNA PIENA COMPRENSIONE BISOGNA AVER LETTO LE DUE PARTI PRECEDENTI

Tornai dal bagno, dove mi ero sciacquata e ripulita, tenendo pudicamente l'accappatoio ermeticamente chiuso e ritrovai Giovanni nudo, disfatto, abbandonato sul letto. Sembrava dormire. Mi fermai a guardarlo, solo in quell'istante realizzai che avevo appena fatto sesso con un altro ragazzo e che era il primo sesso della mia vita, sempre che quella precedente, del pomeriggio a casa sua, non si potesse considerare pure un'esperienza sessuale. Il cazzo che aveva libero fra le gambe, ora che era mezzo moscio, sembrava un serpente che gli scivolava fino all'inizio della coscia. Mi sembrava grosso, enorme, mi piaceva guardarlo. Rimasi a fissarlo per un po', ebbi la sensazione che dormisse e con istinto materno gli misi un plaid addosso. Girai per casa in accappatoio, cercai di riflettere, trovai le sigarette di mamma e ne accesi una. Era vietatissimo, farlo, per me, soprattutto in casa, ma non era l'unica cosa del tutto proibita che avevo fatto quella mattina.
Aprii la finestra del salone, guardai fuori: erano le 10, la città mezza rincoglionita da un sole placido ma inefficace sembrava lontana, distante. Mi sentivo strana, non sapevo definirmi: troia, gay, finocchio, porco, porca, mignotta, puttana, puttano? Non trovavo le parole, avevo tanta confusione in testa. Mi abbandonai su una poltrona, una mano mi scivolò dentro l'accappatoio, ero completamente nuda, mi sfiorai un capezzolo, subito si drizzò sotto le mie dita, pensai alle dita di Giovanni, ai suoi baci, al suo ansimare dietro di me, sopra di me, dentro di me...
Quando mi svegliai erano passate le 11. Andai nella mia stanza e lui aveva cambiato posizione, ma era sempre nudo sotto il plaid. Lo guardai, pensai che gli avrei volentieri guardato (e non solo) di nuovo il cazzo, ma non mi andava di scoprirlo, di svegliarlo. Mi girai, aprii l'armadio per cercare un paio di mutandine pulite.
"Troia".
Me lo ritrovai alle spalle, a ghermirmi da dietro attaccato a me, le braccia sopra le mie, qualcosa di incredibilmente sveglio all'altezza del mio culo.
"Giovi... bentornato", sorrisi. Mi sorprese però per l'energia con cui mi stringeva. Non era dolce.
"Sei una puttana - diceva - ti piace il cazzo".
Non capivo, cercai di girarmi, me lo impedì. Avvertii un pizzico di cattiveria nei suoi gesti, nei movimenti con cui mi impediva di fare un passo.
"Smettila, che ti prende? - ma intanto mi stava sollevando l'accappatoio, sotto il quale ero sempre nuda -. Che fai? Stai fermo! Per favore, amore...".
"Macché amore" e con un gesto repentino e improvviso mi strappò l'accappatoio di dosso, lasciandomi nuda, in imbarazzo quanto mai, perché mi ero subito intrigata e avevo i capezzoli durissimi e appuntiti e il pistolino che contemporaneamente si era svegliato. Corsi a coprirmelo ma era tardi.
"Ti piace se ti tocco il culo, non negarlo".
Non capivo. Mi ero sentita la sua fidanzata, ora stava venendo fuori un altro Giovanni. Sorrise, ma non era autentico. Il cazzo fra le cosce gli si stava ridestando.
"Voglio incularti".
"No!", strillai e cercai una via di fuga, ma non ce n'erano, ebbe facilmente la meglio su di me, raggiungendomi e avvinghiandosi a me. Iniziammo la nostra lotta ma non era la solita finta lite, nudi come vermi ci sfregavamo con me che cercavo di sfuggirgli e lui che voleva sopraffarmi.
"Lasciami, lasciami!", risentii nelle mie orecchie le urla dei compagni che mi avevano aggredita nel gabinetto della scuola, il giorno in cui lui mi aveva salvata. Era più forte, messo dietro di me sentivo il suo arnese crescere a vista d'occhio, al contatto con i miei glutei nudi. "Ti prego, no, non violentarmi! No!".
Le mie parole ebbero un effetto calmante, ma intanto aveva l'uccello duro, che provava a insinuarsi tra le mie natiche. Lo sentii poggiato sul buchino indifeso.
"Ti prego", lo implorai di nuovo.
"Voglio scoparti, anche io ti amo, piccola vacca".
Con un pizzico di dolcezza mi riconquistò all'istante. Girai il collo e il viso, cercai affannosamente la sua bocca, la trovai, lo baciai infilandogli un metro di lingua in bocca, con passione selvaggia.
"E scopami allora, cazzo", dissi prendendoglielo in mano e menandolo. Era la terza erezione della giornata, per lui, ed erano solo le 11,30 del mattino. Per me la seconda, decisa, prorompente, per quanto minuscola. 'Beata gioventù', pensai tra me e me, come se io fossi stata una vecchia. Non sapevamo da dove cominciare: nemmeno lui lo aveva mai fatto, mentre sui pompini immagino che qualche esperienza precedente l'avesse avuta. Il cazzo che pressava sul buchino bruciava, occorreva inumidire il mio sfintere vergine, lui provò a infilarmi un dito ma mi faceva male lo stesso, se lo infilò prima in bocca e con la saliva faceva meno male.
"Hai fatto la doccia?" e prima che rispondessi era già inginocchiato a leccarmi il buco del culo. Mi lasciò senza fiato.
"Gio-van-ni, che-faiii?", ma si era aggrappato ai miei fianchi e stava accucciato con il viso affondato fra le mie natiche rotonde, sentivo la lingua che come un pennello mi stava irrorando l'ano dentro e fuori, con una mano risalì a palparmi un seno, trovò i capezzoli, al solito, letteralmente imbizzarriti, si mise in piedi e si incollò torace contro spalle, mi prese le poppe con entrambe le mani e prese a baciarmi in bocca furiosamente.
"Troia, troia", diceva infoiato, spingendomi l'uccello durissimo fra i glutei.
Mi fece piegare in avanti, sempre in piedi, misi un piede sul letto in modo da assumere una posizione arcuata e il più possibile aperta, sentii che inumidiva il buchino con le dita insalivate, poi che si sputava sulla punta del cazzo, troppo grosso per il mio ano fino a quel momento mai violato, poggiò la punta del pene sulla soglia del mio corpo, stava per impadronirsi di me, della mia anima, lo volevo, sentii il primo centimetro della sua cappella farsi largo, sussultammo all'unisono, un altro colpo e ci rendemmo conto che dovevamo lubrificarci meglio, ma lui aveva troppa voglia, io ero troppo porca e diede un altro paio di spinte, ci facemmo un male cane ma il prepuzio stava trovando la strada, ero sua, completamente sua, finalmente sua, volevo che mi sfondasse anche se mi faceva male, mi stavo aprendo a poco a poco...
A proposito di aperture, sentimmo la chiave che girava nella toppa della porta di casa, poi una voce a me fin troppo familiare.
"Chi c'è?".
"Cazzo, mia madre!" urlai sottovoce staccandomi precipitosamente da Giovanni, anche lui preso del tutto alla sprovvista e impanicato come e più di me.
"Chi c'è in casa", sentimmo i tacchi di mamma - uscita dannatamente prima dall'ufficio - prendere per fortuna la direzione sbagliata, verso il salone.
"I-io, mamma", dissi a voce alta per evitare che lei si preoccupasse e chiamasse aiuto, temendo che fosse entrato qualche ladro, ma intanto non sapevo che fare, di vestirsi non c'era il tempo, per me e soprattutto per Giovi. Fra l'altro avevamo entrambi i cazzi duri, non c'erano molte spiegazioni da dare, venendo scoperti.
"Mi hai fatto prendere una paura... - mamma per fortuna si stava attardando, doveva avere le sue solite buste della spesa da posare in cucina - vieni a darmi una mano?".
Non sapevo cosa rispondere, avevo riafferrato l'accappatoio, lo avevo indossato, mentre Giovanni aveva avuto il tempo di raccogliere i vestiti, sparsi per la stanza, ma non sarebbe mai riuscito a rimetterseli.
"Ven-go mamma, ho appena fatto la doccia".
"La doccia, a quest'ora? Ma non l'avevi fatta prima di uscire?". Il sospetto si stava impadronendo di lei, sentimmo il rumore di tacchi che puntavano decisi verso la mia stanza. A quel punto spinsi Giovi dentro l'armadio, col cazzo ancora grosso e i vestiti in mano, richiudendo le ante alle sue spalle.
"Roby, ma che succede?". Mamma era una bella donna, si sarebbe detto una gran fica, se non fosse stata mia madre: ma a me pareva anonima e pure vecchia, con i suoi insostenibili 45 anni. Infilò la testa dalla porta senza entrare del tutto: si vedeva comunque che c'era qualcosa che non andava, la confusione, il plaid sul letto mezzo sfatto, la serranda mezza abbassata.
"Ma che... stavi facendo?". Io le davo le spalle, non poteva vedere i miei colori verdi rossi e blu. Tenevo gli occhi bassi e mi caddero giusto sulle scarpacce da tennis di Giovanni, abbandonate ai piedi del letto. Con un movimento rapido mi parai davanti e riuscii a spingerle sotto il letto. Ma non potevo giurare che mamma non avesse visto.
"Ero... qua... non siamo entrati per lo sciopero e siamo... andati a giocare... a pallone".
Balbettavo e questo non mi rendeva affatto credibile.
"Avete giocato... a pallone? - rimarcò mamma, tornando sui suoi passi verso la cucina -. Va bene, ho dimenticato il detersivo. Scendo al supermercato a prenderlo, okay?" e in un istante uscì, così come era entrata, richiudendosi la porta alle spalle. Ci fu un attimo in cui il tempo rimase sospeso, poi corsi a vedere se veramente fosse uscita, tornai in stanza e aprii l'armadio. Giovanni si era vestito precipitosamente, come poteva, gli tirai le scarpe perché se le mettesse. Io intanto mi stavo rivestendo in fretta e furia.
"Via, vattene", dissi prendendo lo zaino e tirandoglielo quasi addosso. Temevo però l'agguato di mamma sul pianerottolo: lei aveva capito tutto, ne ero certo, le mamme capiscono sempre tutto. Stavo tornando a essere il ragazzino completamente finocchio che ero, ma maschio: come glielo avrei spiegato che ero nudo in camera mia con un altro ragazzo che stava provando a mettermelo nel culo?
Andai col cuore in gola ad aprire, con circospezione massima, la porta, uscii e guardai su per le scale, giù per le scale.
"Via libera - sussurrai - scendi a piedi e fila via!".
Giovanni, il possente Giovanni che fino a qualche minuto prima stava cercando di penetrarmi, di possedermi, era diventato un gattino impaurito, mogio mogio, sgattaiolò via per le scale e nel vederlo sparire pensai che nemmeno un bacio mi aveva dato per salutarmi.
Mamma rientrò dopo qualche minuto. Naturalmente non aveva alcun detersivo in mano. Venne a cercarmi in camera, avevo rimesso in ordine alla velocità della luce, ero buttato sul letto a far finta di leggere.
"Allora, come si chiama?".
Sobbalzai, ricominciai a colorarmi di rosso verde e blu.
"Come si chiama... chi?".
"Roby - mi rimproverò, ma non pareva arrabbiata - mi hai preso per scema?".
"Non... non capisco".
Mamma sorrise dolcemente.
"Dai, come si chiama? Pensi che non abbia capito che eri con qualcuno? In accappatoio, la doccia, la partita di pallone... tu che per le docce non sei proprio portato...".
"Ma non è vero".
"Dimmelo, dai, o lo dico a tuo padre!". Caz... papà no, pensai, papà mi riteneva finocchio per il solo fatto di portare i capelli lunghi, figurarsi se avesse saputo.
"Mamma, non è come pensi..." ma mi accorsi di stare dicendo banalità, di parlare per frasi fatte.
"Eddai, dimmelo", rise e mi prese letteralmente per il culo, nel senso che per torturarmi bonariamente e farmi confessare mi fece il solletico nel didietro. Cosa dovevo fare, dirglielo? Lei sembrava avere capito: potevo finalmente liberarmi, dirle la verità, cosa ero e come mi sentivo realmente dentro?
"Ma non c'era nessuno - provai a resistere ancora. Con gli occhi mi fece capire di smetterla -. Mamma, io non so come..." e mi bloccai, non ce la facevo a dirle che non sapevo come fare outing.
"Non sai come dirmi come si chiama la tua ragazza? Non l'ho vista scendere, in effetti, sono usciti solo il signor Bellone e un ragazzino come te".
Tirai un sospiro di sollievo grande così.
"Mamma, mamma, spiona che sei - e assunsi l'aria sicura del tombeur de femme -. Si chiama come me, Roberta. Ed è (scusa se te lo dico) una gran mignotta".


di
scritto il
2023-11-24
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