Schiavo in Cella pt10

di
genere
gay

L’indomani il corpo doleva. Ma quello che faceva più male era lo spirito. Bruciava l’orgoglio e la coscienza.
Non volevo uscire dal letto. Avevo il lenzuolo tirato sulla testa per non affrontare la realtà. Non volevo vedere Don Pietro, non volevo vedere Amal e soprattutto, non volevo incrociare lo sguardo di Antonio. Sapevo che avrebbe riso beffardo, orgoglioso della sua performance e del teatrino che aveva montano la notte precedente. Regista di un film che mi aveva lasciato totalmente a nudo, umiliato, scopato fino allo sfinimento, col buco dilatato all’estremo.
La cosa peggiore è che alla fine avevo goduto di alcuni momenti, il mio cazzo era rimasto in tiro tutto il tempo e aveva schizzato per il piacere ricevuto.

“Rossi Marco, in direzione. Immediatamente. Cosa ci fai ancora a letto?!” Mi tirai su di scatto. Il vicedirettore accompagnato da una guardia erano alla mia cella. Dovevo seguirli. Nell’alzarmi dal letto sentii un bruciore acuto all’interno del culo. Feci una smorfia. Anche le gambe non collaboravano. Mi vestii con quello che avevo a disposizione. E li seguii. Don Pietro e Amal mi guardarono interrogativi. Io alzai le spalle smarrito e in ansia.

Nell’ufficio della direttrice trovai il mio avvocato, si voltò al mio ingresso e mi sorrise, un sorrise strano, gioioso. Si alzò e mi venne incontro. “Buongiorno Marco, spero tutto bene, hai la faccia di chi non ha passato una buona notte. Sei sicuro che è tutto ok? Ti stanno maltrattando?” Ricambiai il saluto e la stretta di mano, dissi che da tutto ok. Solo una notte insonne…
Mi fecero accomodare,anche la direttrice sorrideva felice. Disse “Marco è quello che si definisce detenuto modello, collaborativo, attento. Non ha mai dato un problema. È benvoluto da tutti qua. Soprattutto dai suoi compagni di cella. Per questo sono così felice per la notizia che ci è appena arrivata.” Mi guardai intorno senza capire. “Cosa sta succedendo?” L’avvocato apri una cartellina e cominciò a leggere. Parlava il solito linguaggio giuridico incomprensibile. Alla fine disse “Marco, è una buona notizia! In pratica hanno ammesso che qui sei solo una vittima. Ti hanno incastrato! Fra tre giorni esci, tempo di chiudere le ultime pratiche.” Rimasti bloccato. Interdetto. Era tutto un sogno. Continuai a guardarlo e cominciarono ad affollarsi i pensieri. Cominciai a pensare “Michele”. Non pensavo alla libertà. Pensavo a lui. L’avrei perso per sempre. “Ohi, hai capito cosa ti ho detto?”
Feci di sì con la testa. Incapace di gioire.

Mi accompagnarono in mensa. Ero un fantasma. Al tavolo tutti mi guardarono preoccupati. Nessuno aveva il coraggio di parlare, pensavano al peggio. Michele mi fece immediatamente posto e mi fece sedere. Era visibilmente preoccupato, era dolcissimo. Mi accarezzava la schiena e mi chiese “Marco è tutto ok? Cosa succede? Cosa ti hanno detto?” E mi versò dell’acqua.
Dissi solo “era tutto un errore. Mi hanno incastrato. Fra tre giorni sono fuori.” Con il tono più drammatico mai sentito.
Si levò un boato di applausi e risate, pacche sulla spalla e abbracci. La guardia fischiava. “Il nostro ragazzo ci lascia! Stiamo festeggiando!” Disse Don Pietro alla guardia che immediatamente si placò. Io guardavo solo Michele e lui guardava me. Con una mano mi stringeva una gamba. Era tristissimo. Non riuscivamo a gioire di quella libertà che ci avrebbe tolto tutto.

Andammo nella mia cella mentre tutti gli altri uscivano. Ci sedemmo l’uno di fronte all’altro. Solo in quel momento riuscimmo ad abbracciarci forte, per un tempo infinito. Io piansi, non capivo se era gioia o amarezza. Volevo uscire di là, lo volevo da sempre. Ma non sapevo se ero pronto a pagare quel prezzo.
Mi asciugo il viso con le mani delicate e mi baciò dolce. Era bellissimo.
Parlammo di quello che stava succedendo e di quello che sarebbe successo. Lui era naturalmente felice per me, disse che mi avrebbe aspettato, che anche lui non sarebbe rimasto per molto in quel posto. Disse che il suo avvocato era fiducioso, sapeva che era lì perché figlio di suo padre, ma con la buona condotta e il suo passato senza macchia, sarebbe uscito entro poco, parlava di massimo due mesi se le cose andavano per le lunghe.

La cosa mi rincuorò. Continuammo a coccolarci, abbracciati sul letto. Eravamo quasi felici, era quasi perfetto se non si tiene conto della location.

Gli abbracci si fecero più intensi, la sua erezione premeva contro la mia. Le sue mani mi percorrevano. Sentivo il suo desiderio. “Faremo l’amore ogni momento di questi 3 giorni! Chiederò a mio padre di farti trasferire nella mia cella così staremo abbracciati tutta la notte. E avrai sempre questo a disposizione!” E dicendolo prese la mia mano e se la portò sul pacco. Era durissimo. Aveva una macchia enorme sui pantaloni grigi della tuta. Lo guardai “Amore ma sei una fontana!” Mi guardò divertito e disse “come mi hai chiamato?” Mi nascosi nel suo petto, imbarazzato. “Scusa scusa scusa, mi è sfuggito, non volevo…”
Mi prese la testa tra le mani, mi guardò e disse “amore, puoi chiamarmi amore quanto vuoi! Ma che ne dici se adesso mi succhi il cazzo?” E rise divertito del suo modo di sdrammatizzare. Io ovviamente lo presi alla lettera, lo girai supino a fatica e gli misi la testa sul cazzo, proprio dove c’era la grossa macchia di precum, annusai a pieni polmoni l’essenza di quell’uomo. Abbassai l’elastico della tuta e quel grosso tubo svettò all’istante. Non portava le mutande e mi arrapai tantissimo. Non avevo notato quel dettaglio che mi faceva perdere la testa per ogni uomo col cazzo sballonzolante. Presi a leccare il prepuzio e lo scappellai spingendo sul grosso canale alla base per far uscire tutto il precum possibile e per nutrirmi di quel balsamo benefico. Un sapore delicato ma allo stesso tempo acre che rimaneva persistente sulle papille. Cominciai a succhiarlo, era sudato ed emanava afrori che mi mandavano in estasi. Nella zona tra gambe e palle, in quel incavo, l’odore era intenso, mascolino. Sudore misto a umori sessuali e urina. Me ne sarei cosparso se fosse stato possibile.

Aveva un cazzo perfetto. E lo succhiavo come se ne avessi fame. Era il mio cibo. Ero avido. Era mio. Il mio tesoro. Lo ricoprii presto di uno strato di saliva, lo portavo sul fondo della mia gola e facevo vibrare le mie tonsille. Impazziva. “Marco, come cazzo fai? Sei veramente una Troia!” Quel linguaggio mi piaceva. Sentirmi usato da lui mi piaceva.
Mi prese dalle ascelle e mi girò in un istante, abbassò con violenza il mio pantalone e stava per affondare la faccia tra le mie natiche. Ansia. Avrebbe notato quanto ero aperto, avrebbe notato che qualcuno aveva approfittato, più di qualcuno, e allo stesso momento.
“Amore voglio impalarmi. Stenditi che hai ancora il cazzo pieno di saliva!” Lo dissi nel modo più lascivo possibile. E mi buttai su di lui. Si mise supino e tenne il suo cazzo in verticale. Mi bagnai il buco e cercai tutta la forza dentro di me per stringere i muscoli dello sfintere. Mi impalai e lentamente lo feci scorrere. Contraevo la faccia per il bruciore, lui immaginava che fosse per l’ingresso forzato senza un minimo di preparazione di lingua.
Lo feci scorrere tutto fino alla base e rimasi fermo in attesa che le pareti del mio sfintere si abituassero a quella presenza, che lo avvolgessero amorevolmente.
Sorrideva arrapato, puntò i piedi sul materasso e cominciò a muoversi. Trattenni un gemito di dolore e cercai il lubrificante sotto al materasso. Lo guardò sospetto ma non fece domande, sapeva benissimo. Lubrificai il membro e cominciai a muovermi più agevolmente. Lui cominciò a pompare con più forza. Mi abituai al dolore e diventò quasi piacevole.
“Amore ti prego, sfondami!”
Non se lo fece ripetere. Mi catapultò di schiena sul letto, il cazzo ancora ben piantato nel culo. Porto i miei piedi all’altezza della mia testa e cominciò a darmi dei colpi che mi facevano trasalire. Era un bestione, sudava, grugniva, imprecava. “Marco te lo aprò più di quanto è già aperto.”
Mi stava cavalcando come un ossesso. Lo tirava fuori e lo rimetteva dentro senza manco usare le mani, ogni volta con colpi più violenti, poi si calmava e cominciava a muoversi più ritmico e morbido.
Io non riuscii a trattenermi e venni copiosamente. Lui raccolse con la lingua e poi sputò il tutto nella mia bocca mentre mi baciava. Non trattenne neanche lui, e uscendo veloce, me la scaricò tra viso e gola, che continuò a scoparsi fino a quando non gli diventò moscio. Era il paradiso.

Mi guardò innamorato. “Stanotte il secondo round sará da premio Oscar!”

Fine parte 10. Fatemi sapere.
scritto il
2024-04-16
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