Nicola e Alberto Cap: VII Sevizie

di
genere
incesti

Sevizie

Le mani del padre si spostavano lente, tranquille, flemmatiche sui lombi del figlio, stesosi, prostrato al suo fianco con una coscia sopra il suo torace per recuperare dal languore, suscitatogli dalla prima parte della propedeutica omosessuale. Lo cullavano, lo accarezzavano, lo lisciavano facilitate dagli umori donatigli dai presenti. Le sue sode, straordinarie natiche con massaggi eseguiti con quegli unguenti luccicavano, sfavillavano ancora di più. Il giovane, tra l’assopito e il rilassato, giocherellava con l’asta in camicia del genitore accostata alle sue labbra e con i peli del boschetto che la circondava.
“Hnnfff, hùmffffffffff! Sto bene con te, papà! Era da tanto che non ti venivo sopra e ora mi sopisco, umhhh, come quando da piccolo tu mi portavi in braccio, orgoglioso del tuo monello. Mi viene da sorridere a certi flashback, come quello che, sulle tue spalle, io liberai la vescica, inzuppando il tuo abbigliamento sino alle caviglie.”
“Sì, ti affibbiai un bel sculaccione!”
“… ma non ho pianto. Tante volte ho sognato quell’episodio e altri e sempre mi son ritrovato bagnato. La botta era forte, ma riceverla … per cui, per quel motivo e anche per ridere della bizzarria o bagattella, io …”
“Me ne ero accorto, per cui ai tuoi reiterati burleschi giochi un giorno su un pedalò, lontano da occhi impiccioni, per rispondere alle tue burle, io ti aspirai anche l’intestino.”
“Quella volta piansi, per reazione e per il dolore della prolungata, forzata suzione, mentre tu ridevi.”
“Noto che ti piace ricordare certi episodi infantili; forse … mi sa che ti piacerebbe riviverli. Hai uno sguardo malizioso, furbo, con quel sorriso da monello che tanto ora, come allora mi faceva eccitare. È opportuno che ti punisca a dovere.” … e presolo, abbrancatolo se lo trasse sopra, per ghermirgli e inserirsi il pisello da adolescente fra le labbra. “e ora, visto che non hai ancora dato, che dici se mi prendo quello che mi spetta? Fai spallucce, con un’euforia che …, come a dirmi che non te ne frega niente. Mhhhhhh, non so quanto resisterai!”.
“Papà, non fare come quella volta!”
“No, … no, no. Farò di peggio. Quella volta in mare eri piccolo, ti divertivi a vederci a disaggio e poi speravi di ricevere dei sculaccioni. Le botte con te non hanno mai sortito risultati, solo quella mia risposta ai tuoi giochi ti ha fatto desistere. Però, ora, avere sul naso il tuo zainetto pulito, terso, pieno, senza ghirigori, mi sprona a saggiarne, a testarne la robustezza, la saldezza, l’efficienza. Queste tue due palline sode, compatte che profumano di virilità in essere, mi piacciono e le devo salutare come si deve, magari con due dita nel vasetto per raccogliere il miele che altri vi hanno immesso o per stimolare o ramazzare unguenti.”
“No! Non farlo, papà … no! Fermati … ohhhhhhhh, noooooooo … Non voglio. Non farmi venire! Fermati, noooooooo, … anche là, tra le mie chiappe adesso. Noooooooooo, non leccarmi così! Ennffffff … ennnnhhhh. Ohhhhhhh papà, non farmi eiaculare! Ti pregoooooooooo!” Il figlio era trattenuto dal padre, che si divertiva a stuzzicare, vellicare, colpire con la punta della lingua lo scroto e la sua radice verso l’ano, mentre una sua mano accarezzava o massaggiava delicatamente il glande e il piccolo si inarcava cercando di raddrizzarsi per sfuggire alla dolce tortura, abbandonandosi subito dopo, bocconi, sull’addome del genitore per riprendere fiato e stringere con le natiche il volto del padre. Uggiolava dal piacere datogli dalla lingua che gli esplorava la valle e il suo bucino. Delicatamente, ma lentamente quella s’insinuò dentro, sino a provocargli scosse, profluvi caldi, incontrollati e abbondanti del suo elisir della vita. “Sììììììììììì, sìììì, … eccooo sboroooooooooo … Ohhhhhhhhhhhh sììììììììì, … Ancoraaa!”
Stanco, sfinito, appagato crollò sul padre, che proseguiva l’opera di accentuazione del languore con la mungitura per estrargli l’effervescente vermentino. Glielo suggeva aspirandolo completamente sino ai testicoli, stringendolo, spremendolo, poppandolo. Difficile sfuggire a quella spremitura, a quel tiralatte e quel biberon somigliava, sempre di più, al poppatoio di un bambino.
Sussulti, inarcamenti, estensioni, suoni, lamenti, sino alla resa, allo sfinimento con l’abbandonarsi totalmente alla libidine del padre. Si lasciò maneggiare, condurre, governare come un fuscello sino a trovarsi inerme, docile, languido, remissivo, riverso con le gambe sulle spalle di Francesco e il suo fiore rugiadoso, vivo, lucente, esposto alle brame, ai desideri, alla concupiscenza dell’uomo
Il ragazzo aveva perso la cognizione della realtà, stava in un’altra dimensione, fatta di gemiti, di assensi muti, di risposte ansiose, lascive, carnali. Non si accorse del membro turgido, duro come l’acciaio, che cercava il suo buchino e l’uomo, afferrategli saldamente le chiappe con i pollici che gliele allargavano e con il suo grosso palo di carne purpurea lo penetrò.
“Ti scopo, figlio mio. Voglio scoparti, possederti, trombarti con forza, come si deve ad una cagnetta come te. Dimmi che vuoi essere rotto, sfasciato, demolito. Dimmi!” Un leggero lamento, un respirare con affanno fece capire che Nicola si stava riprendendo. Il padre, inclinatosi verso il volto del figlio, gli ricoprì con la sua lingua prepotente e rasposa il volto di baci, di slinguate e di risucchi.
“Hemhhhhh, embhhhh, … hmhhhh, sìììì, sìììììììììììììì! Mi sento … ho un forte languore allo stomaco. Ho bisogno. Scopami papà. Mi brucia!” Con una potente spinta gli affondò la cappella e il cazzo di un bel po’, dilatandogli ancora di più l’ano. Ci vollero altre due spinte per penetrarlo sino alle palle, fino al folto pelo del pube, spanandogli ulteriormente l’intestino. Gli occhioni sbarrati di Nicola fissavano il genitore, ma appena percepì il membro muoversi lentamente dentro di sé, lo sguardo si trasformò.
“Siii… ahhh siii… siiiiiiiiiiiiiii, più forte… più forteeeeeeeeeeee”, mentre la velocità della copula andava sempre aumentando.
“Ohhh … uhhh. Ti rompo il culo, piccola troia. Ti piace, piccolo gay? Ti piace piccolo figlio di un rotto in culo?... sei una troia, come tuo padre, una grande piccola troia. Prendilo nel tuo culo, ora tutto spanato!”
“Siii, siii ancora … ancora …” La bibita stava dando i suoi risultati
Andarono avanti così per un bel po’. La monta divenne sempre più selvaggia. Il turpiloquio sempre più pesante. Il buco sfasciato sempre più arrossato. Il canale slabbrato non poneva più alcun attrito, sempre più scivoloso per gli umori. Finché …
“Si, sì … Godooo … ahh papà, … ohhhhhhhhh sììììììììììììììì…”
Ancora spinte e: “Ecco, ecco, ti riempio di sborra, figlio mio … amore mio. Vengooo … sììììììììììììììì. Sei miooo, miooooooo … Ahhhrrrghhh!” Continuò a spingere fino all’ultima goccia, fino a che non si ammosciò un poco. Si lasciò andare sopra di lui con tutto il suo peso, stringendolo forte a sé. Poco dopo si distese di schiena, al suo fianco, facendo grandi respiri per riprendere fiato.
Il figlio gli si accoccolò sotto l’ascella, col braccio poggiato sul grande torace peloso, che poi prese ad accarezzare con le piccole dita.
Sì guardarono intensamente e presero a coccolarsi, mentre scie luminose scendevano, si riversavano sui loro toraci e sui volti. Si strinsero forte, si accarezzarono, si baciarono con tenerezza.
“Ti amo, mio piccolo cucciolo! Ti prenderò sempre, ogniqualvolta tu me lo chiederai o che io lo desiderò. Ti darò in pasto anche ad altri, dopo che ti avranno conosciuto. Sei una delizia e il tuo desiderio di conoscere non ha limiti.” A forza di carezze, la voglia li riprese. I cazzi tornarono duri e piano piano sui loro volti riapparve il desiderio. Nicolò riprese in mano l’asta del padre, la esaminò abbozzando una timida sega, ma … Fu messo a pecorina e, in un attimo, il padre gli sprofondò dentro favorito dalle precedenti sborrate. Fu cavalcato come un coniglio, senza soluzione di continuità. Si sentivano le sferzate degli affondi sulle sode chiappette, lo sciacquio dei liquidi custoditi nell’ampolla rettale. L’odore di sesso e sperma offuscava l’aria ed i sensi. “Guardate come lo pompo, come lo reggo, come spasima di riceverne!”
“Ohhhhhhhgggg, … sìììììììììììììììììì papà! Mi sento pieno, sono zeppo, colmo, riempito, farcito. Sbattimi forte, colpiscimi, inculami di più, ancora, … entra tutto, anche con la sacca, rompimi. Ohhhhhhhhhhh, sììììììììììììììììììììììììììì! Che bello prenderlo nel culo! Ohhhhhhhh papà: era questo quello che sognavo e volevo. Quando ti parlavo di sete e di fame, ohhhhhhhhhhh, non sapevo che mi riferivo al tuo cazzo e di come, nel metterlo dentro, hai spinto, sbatacchiato, frullato.”
“È appena stato aperto, stuprato, rotto: eccolo a voi, osservatelo, miratelo! Ce l’ha tutto dentro e ne vorrebbe ancora. Ecco: osservate come è impalato sul mio cazzo e come lo stringe e lo spreme! Ve lo porto vicino: fategli omaggio delle vostre bianche creme! Ohhhhhh: mi sa che vuole essere riempito di sborra dal culo e dalla bocca. Dategliela e riempitelo anche delle vostre minchie!”
“Ohhh sìììììììììììììììì, li voglio! Riempitemi, colmatemi, saziatemi, sfamatemi di sperma!”
“Avete ascoltato come parla, questo culattone, finocchio, sodomita, frocio, trans di mio figlio? È tutto vostro e in questi giorni appagatelo! Fatelo vostro! Stefano porco, dove sei? Guarda come te lo sto cucinando! Io t’imburro di nuovo, ragazzo! Ohhhhhhhhhhhhgggfh, sììììììììììì! Ti riempio ancora, e …” Il padre, rialzatosi, tenendolo ancorato, inchiodato, immobilizzato a sé, mentre con un braccio lo sosteneva, con le dita dell’altro cercava di fargli avere dei conati, infilandogliele sino all’ugola.
“Orggggggggggghhhh, oghhh …” Non si era preparato a quel tiro mancino, per cui principiò a dibattersi, come a rifiutare, ma le dita non abbandonavano lingua e bocca, anzi … “orggg, oghhhh …”.
“… anche questo è sesso, anche questo è piacere, appagamento! Tollera e subisci!” Un rigurgito terminò sul palmo della mano che rovistava per colargli sul mento e poi sul torace, seguito da altri per il piacere di alcuni spettatori, tra cui quell’uomo che lo voleva imbrattato, imbottito, ricoperto di merda.
“Eccotelo, amico di bagordi, di baccanali, di orge. Afferralo e serviti del suo culo, già slabbrato, aperto per godere delle sue tenere carni. Impadronisciti! Soggiogalo e assoggettalo alle tue immonde, ripugnanti, nauseanti brame, ma prima impalalo, sfondalo, trapanalo, trivellalo, addome contro addome; infilzalo con il tuo perno, ventre contro ventre; che i tuoi coglioni affondino tra le sue chiappe! Ohhhhhhhhh, l’osservare mani immonde usare rigurgiti per massaggiare quei delicati, dolci, freschi glutei di un ragazzo in semi catalessi, assente, che viaggia fra le nubi e una lingua che lo raspa, che gli pulisce il volto dalla sbroda vomitata, che gli asporta succhi gastrici e sborra, … ohhhhhhh, è meglio che te lo lasci e che mi giri dall’altra parte!”
“Orghhhhhhhhh, oghhhh, … hmmmmmhh!”
“Senti, ascolta come mugola di piacere a causa del tuo aratro e della tua lingua che gli raspa la bocca; se lo posi, stramazza, si accascia per spossatezza da amplessi e da pompini, da inculate e masturbazioni avute; … e ora riceve e gode ancora, poiché le uniche energie che gli rimangono: sono quelle del desiderio, della brama, della lussuria. Ohh, quanto mi assomiglia! Chissà come sarà dopo il tuo servizio! Riconosco che lo stai fottendo con gusto, mentre la tua lingua gli pulisce l’ugola. Sta tornando in sé, mentre inservienti svuotano i contenitori con la crema da te richiesta. Enrico, che sei là, che osservi e ti attizzi per lo spettacolo, per piacere: fottimi, strapazzami il culo! Sono troppo eccitato, infiammato, troppo preso dalla sottomissione di mio figlio alle angherie del mio compagno. Riempimi l’intestino, fammi sentire pieno, gonfio e sbattimi mentre lo osservo seviziato, angariato, stuprato, brutalizzato da quella feccia, da quel lordume di Stefano; che si diverte e si compiace di sguazzare, di sottomettere, di costringere mio figlio ad accoppiarsi, a copulare con lui, persino nella merda.” Nel frattempo il laido, l’osceno, il depravato Stefano, sfilata la fava dall’ano del giovinetto, obbligatolo a stare seduto sui talloni nel cuscino cedevole, vellutato, caldo, brunastro-dorato, per i capelli lo guidò ad annusare tra le chiappe il suo nero sfintere.
“Spingi in fuori la lingua, leccalo, striglia, monda, bruca e lava quei peli che lo difendono, raspalo e bucalo; usa una mano per visitare, stringere, blandire, sfiorare i miei coglioni. Ammirali con il tatto e soppesali per capire quanta sbroda possono darti. Sei nauseato dal mio culo? Non me ne frega niente. Puliscilo, lavalo con le tue salive. Fammi sentire la lingua; succhia, vellica, ungi che voglio vederti insudiciato, lordato di bave e di umori fecali. Ti piace? Oh sììì, continua. Non esitare, non fermarti, non interromperti! Prosegui, prosegui!”; ma …
“Hanfff, … anfff …anfffff!” Stefano, giratosi, toltogli il pasto che stentava ad assumere, con un ceffone gli fece comprendere che non doveva esitare a soddisfare i suggerimenti o i desideri di chi lo stava addestrando e catechizzando. Per timore di non essere all’altezza dei compiti, che si era assunto, riprese con solerzia ed impegno ad annusare; a strusciarsi su quel pelo odorante di urine stantie; a prendergli la fava per portarsela alle guance, alla fronte, alle labbra.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Vedo che la voglia di conoscerlo ti prende; che il tuo intestino brontola, chiede, s’arronciglia per la fame di essere saziato, farcito, inondato. Dai, su: avvicina le labbra e accarezzalo con la punta della lingua, sfiora la cappella violacea, gonfia, bramosa di essere accolta nella tua bocca! Ohhhhh così mi piace. Il vedere le tue labbra scivolare sul mio bischero per aspirarlo, mi invoglia ad imbrattare quel tuo viso d’angelo, da monello, dei tuoi unguenti e dei miei capricci; a riprendere l’azione di tuo padre utilizzata per farti svuotare la pancia. Oh sììììì, ora posso fotterti con lo spurgo sulle labbra, come da tempo bramavo di fare a un ragazzino come te. Ohhhhhhhhh!” Nicola aspirò forte la consistenza morbida, vellutata, serica del glande. Cominciò a succhiare, ma Stefano voleva i suoi conati e colpi di tosse sulla sua cappella. Infatti, dopo un po' glielo spinse tutto dentro con forza, sino all’ugola, schiacciandogli il naso contro i peli inguinali. Lunghi fili di saliva univano la sua bocca a quella verga. Senso di soffocamento, conati, lacrime: Nicola si dimenava come un’anguilla, senza raggiungere risultati, anzi … “Dai, libera il tuo stomaco e fammi godere con le sostanze, ivi rinchiuse.”
“Ogggggggggh …”
“Sei una cagna, una troia che gode anche se vomita, che freme, che ribolle, che schiuma e scalpita. Guardatelo sotto: come ce l’ha!” Nicola gemeva, sospirava, piagnucolava, tossiva, si dibatteva. Dalla bocca fluivano sostanze organiche, frammiste a tracce viscose, bianche-opalescenti. “Che goduria sborrare in una bocca, mentre sei fasciato di rigurgiti e salutato da colpi di tosse. Su voi, inservienti addetti alla raccolta stercaria, rovesciate altre situle della vostra preziosa crema alle spalle di questo virgulto e poi: posizionatelo a capretta. È stanco, ma sarà più facile farlo giacere bocconi su quel letto e fotterlo, mentre gli premo il volto in quel morbido, caldo, colorato pagliericcio. Infermiere, ora che è collocato come avevo richiesto, praticagli il clisma programmato con le sostanze che gli avete riservato. Lo voglio bello gonfio, pieno, rimpinzato. Oh che piacere inculare un ragazzino con l’intestino pieno di feci cremose. Che cosa sublime percepire la defecazione, mentre lo trombi, con quella panna che ti scivola sulla scroto e ti massaggia e poi cola, passa e fluisce verso le ginocchia! A causa del desiderio, dell’eccitazione che mi ha preso, la sto facendo morbida. Non riesco a trattenerla da quanto liquida è. Maestro assaggiatore puliscimi e guida il mio nervo su quella rosea fessura, incorniciata da due globi ricoperti, rivestiti del preparato che ci avete procurato. Oh che piacere osservare un dorso bianco-rosato di adolescente sopra quel giaciglio di sterco. Godrò degli acmi muscolari, per gli sforzi di stomaco, che avrà e anche dei suoi colpi di tosse, dei suoi sforzi per liberarsi dalla melma in cui lo spingerò. Acmi che si rifletteranno sul suo sfintere, sulla sua defecazione e … perché no: lo vedrete eiaculare e poi, a causa del piacere a cui sarà accompagnato, piscerà anche la vescica! Voi mi considerate un mostro, un essere spregevole, ma a tutti quelli a cui ho riservato simili trattamenti, in seguito hanno chiesto di rifarli per l’estasi che avevano sperimentato e lui, domani, dopo che si avrà riposato, mi saluterà chiedendomi di riprovare, di ripercorrere, di rifare l’esperienza. Ora mostrategli la siringa che userete per il suo seviziale. Assomiglia a quelle per gli animali, comunque penso che non sia sufficiente una sola spremuta; ce ne vorrà più d’una per ottenere quello che bramo. La cannula grossa e lunga va bene. Riempite il contenitore davanti a lui: che si ecciti e si alleni ad amare, a bramare la sevizia. Iniziamo a saziarlo, a ingravidarlo delle nostre evacuazioni mattutine, da voi conservate, preparate per lui, ammorbidite con urine per essere trasformate in una vellutata.”
“Ahhhhhhhff, … anhhhhhhhhf” Il grosso toys avanzava nelle viscere del ragazzo, lasciandolo in più momenti senza fiato.
“Non temere: è meno voluminoso del fungo di Enrico, per cui … e tu, infermiere, muovilo avanti e indietro; creagli un bisogno, uno spasmo. Compagni di baccanali e di orge: osservate il suo fremere, il suo desiderare, il suo ansimare; anche se giace nella merda, brama di essere riempito, sodomizzato, inculato. Fategli gli altri, poiché ardo per vederlo contorcersi a causa degli acmi dolorosi e per il desiderio di evacuare.”
“Ohhhh …”
“Hai dolore, ragazzo; ti senti pieno?”
“Sì, tanto.”
“… e non vuoi essere preso, inchiappettato, che ti fotta, ti scopa?”
“Sì. Inculami. Mettimelo dentro, tutto. Non importa il dolore, voglio quel piacere. Stefano …”
“L’avrai e ti chiaverò, siiiii. Ti scoperò, ti tromberò come nessun altro, mai lo farà. Alza il culo e abbassa le spalle, che …” Tutti i presenti erano presi dallo spettacolo di un ragazzino, immerso gattoni in una musse di merda, che sollevava i glutei per essere sodomizzato. Afferrategli con le mani le chiappe, unto di ulteriore crema quel buchino arrossato, gli spinse lentamente all’interno la sua colonna di caldo marmo rosso, coperta di vene pulsanti. Al contatto, un fremito scosse il giovinetto, mentre nell’uomo, cresceva, lievitava il desiderio animalesco di possesso. Grazie allo stupore, il glande si fece strada rapidamente nelle tenere carni farcite.
“È tutto dentro!” Detto questo iniziò a chiavarlo con vigore, trattenendolo per i capelli e ad ogni affondo glielo conficcava fino alle palle.
I mugolii, gli uggiolii del ragazzo vengono interrotti solamente dal contatto violento dei due corpi, quando il cazzo sprofondò per intero nel suo culo bloccandogli il fiato. Non riusciva ad emettere alcun suono, fortunatamente quello che lo riempiva non era tanto grosso, ma era lungo; se lo sentiva guazzare nel profondo delle viscere. Il ripieno gli faceva sentire la sodomizzazione diversa dalle precedenti. Nelle prime: il membro spannava, colpiva, spingeva, spostava, sfregando o percuotendo senza sugne le sue pareti intestinali, dandogli improvvisi, fulminei fortissimi brividi; ora, con quel ripieno, il godimento cresceva lentamente, ma continuo, insistente, ossessionante, sino a condurlo a vette di acmi diversi, sfibranti, dove il piacere si tramutava in dolore e il dolore in piacere. Sudava, batteva i palmi delle mani sul morbido, immergeva il volto in quella coltre vellutata, tepida, per cercare ristoro, tregua a quella dolcissima tortura, che lo trasportava in un’estasi di beatitudine, di dolcezza mai conosciuta. Non percepiva odori, sapori, suoni: quel letto era una nuvola di incenso, di gelsomini, di calycanthus, dentro cui il suo corpo volteggiava. I suoi occhi parlavano, la sua bocca commentava, le sue mani e il suo corpo raccontavano.
Dopo un po' Stefano, abbandonati i modi delicati, preso dalla brama, dopo averlo schiacciato nella coperta, prese a fotterlo senza ritegno, indirizzandogli epiteti osceni.
“Aaahhh, ecco ti sfondo. Ti sfondo troia! Ti sfondo piccola scrofa, tutta, … tutta, piccola puttana!”.
Nicola tremava, singhiozzava, annaspava, finché con brevi, ovattati suoni, abbandonatosi, si aprì, lasciandosi andare per i colpi terribili nella melma. Le grosse palle pestavano, tamburellavano le fresche, dolci carni producendo un rumore altamente eccitante, stregante, affatturante, amplificato dallo sbattere del pube sulle natiche ricoperte di mota.
“Sto per finire di spanarti il culo e poi… Ecco, ecco, … sborro, sborro puttanaaa, ti riempio di sborraaa”. Le spinte rallentarono ed un fiume di sperma bollente invase il corpicino del giovinetto. Ad ogni affondo un grumo biancastro si affacciava a lato dello sfintere distrutto, fuoriuscendo assieme a feci e a sfiati.



scritto il
2024-07-24
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