Alberto e Nicola Cap XVII Assieme

di
genere
gay

Assieme

Il sole del tardo mattino trasformava l’asfalto da una scia luminosa ad un manto grigio fumo. Auto fendevano l’aria. Faceva molto caldo. Silenzio.
“Io ho fame e non riesco a guidare con lo stomaco che chiede e voi?”
“Sì, papàààà! E dove andiamo?”
“Conosco un posticino! Hummm … qui vicino, con spiaggia e mare luminoso dai colori gialli, verdi, blu e con tantissime stelle che si muovono una verso l’altra scontrandosi, illuminandosi, riflettendosi. Il titolare è una persona discreta e il personale è molto cortese e disponibile. Che ne dite?”
“Sììììììììì!!!!!”
“Mio figlio è entusiasta e tu, Alberto?” Il movimento di consenso del capo segnalava una confusione, un incredulità, un non rendersi conto di dove era e se quello, di cui era attorniato, era sogno, un post-mortem o altro. “e lei, signorrr …”
“Paolo, Paolo, ma …”
“Signor Paolo, Lei sa che io adoro mio figlio e quando mi chiede qualcosa, facendomi e tenendomi certe espressioni con degli occhi, a cui non riesco sottrarmi, … beh, sono sincero, non sono capace di rispondergli in forma negativa. Oggi, lui, mi ha rammentato la copula tra lei e suo nipote in quel giorno sul palco; accoppiamento che aveva emozionato, entusiasmato, colpito tutti i presenti per l’amore, la passione evidenziata, rivelata, che c’è tra voi due. Da tempo non ne vedevo di così violenti nella poesia dell’amplesso. Per quella visione ho accettato le sue suppliche, ritenendo meraviglioso, bellissimo non interrompere il vostro rapporto. Non mi chieda altro. Godiamoci il momento e il pranzo che ho chiesto ad un mio amico.”
“Lei mi ha sorpreso, Signor Francesco e non avrei idea di come sdebitarmi. Non so …!”
“Papà!” colpendo il genitore sul gomito delle marce e fissandolo come per avere un ad una muta richiesta.
“Che c’è, figlio mio?”
“Ehmh, è che …”
“Non capisco Nicola! Parla!”
“…”
“O per Giove, che …?”
“Gli è, Signor Francesco, che …”
“Anche tu ora, Alberto, parli con occhi strani, ermetici, che chiedono, supplicano. Che volete voi due? Sei libero Alberto, sei fuori da quell’ambiente! Non sei contento?”
“Sì, sono felice di essere fuori; ma, quando io e Nicola eravamo soli nella stalla, stretti da catene lerce e arrugginite, seduti nelle feci degli schiavi che da giorni non venivano asportate, avevamo espresso il desiderio di ritrovarci e …”
“Cosa?”
“stare un po’ assieme.”
“Voi due?”
“Non solo, anche con …”
“Con?”
“con Lei e lo zio.”
“Va bene! Ci ritroveremo fra un po’ di giorni, quando avrete dimenticato o meglio digerito le esperienze fatte.”
“No papà! Noi lo desideriamo adesso e anche fra alcuni giorni!”
“Ah … e Paolo è d’accordo?” L’uomo chiamato taceva.
“Uhmmmm, se è così! Non riesco a negarti nulla, figlio di buona fattrice!” Risero, mentre l’auto andava silenziosa, veloce, tranquilla verso il luogo del ristoro.
“Paolo, guarda nella rubrica il nome segnato dall’asterisco e, mettendo in viva voce, componi il numero!”
, mugolii, ansimi e altri note di un concerto che i quattro già conoscevano.
“Sei una sorpresa, Papà!”
“…” tirando su le spalle. “Ciao Fabrizio, sarò là, da te, con mio figlio tra pochi minuti e altre due persone, tra poco. Non avresti a disposizione un qualcosa di speciale, singolare per quattro?”
“Sì, ci sarebbe una suite particolare con letto per più di quattro, quindi ti andrà benissimo. Ma, c’è un !”
“Ossia?”
“Adesso s’è deciso a rompere gli indugi? Quando mi farai conoscere, Nicola?”
“Questo lo devi chiedere a lui.”
“Ti consiglio, carissimo, di tenerti anche due camerieri; non per giocare con loro, ma quando si dorme, chi sta ai lati ha freddo!”
“Accetto, ma non devono disturbarci. È da tanto che voglio scopare, amoreggiare con mio figlio, come si deve!” e chiuse la conversazione.
“Grazie Francesco, grazie Nicola!”
“Di niente Paolo, di niente! Sarà un momento tutto nostro e del muscolo che pulsa.” Le effusioni, le tenerezze, i baci casti, gli occhi negli occhi, i silenzi che rapiscono, prendono, che palesano e comunicano più delle parole, erano l’ouverture della giornata. I colombi iniziavano a tubare, a filare, a corteggiare con i colli allungati, labbra a lisciare, accarezzare, spulciare per prendersi, allacciarsi scambiandosi suoni, salive, pigolii. I loro baci sono grappoli colmi di rugiada. Non sono papà e figlio, zio e nipote, ma tortore che tubano, fremono, frusciano e si contemplano nel dolce tremore della vita.
“Benarrivati, spero che la vostra permanenza nella mia casa sia piacevole. L’ambiente, riservatovi, è stato approntato per favorire la musica e l’unione dei corpi. Brindiamo a voi, ai vostri giovani amanti e gustiamoci questi cioccolatini, che vi aiuteranno a tremare, a pulsare, a fremere. Non temete: sono ottimi, direi eccezionali. I due camerieri che vedete vi accompagneranno nell’alcova; saranno a vostra disposizione per qualsiasi richiesta; se li saprete coinvolgere, faciliteranno i vostri accoppiamenti e le vostre estasi.”
“Buoni questi dolcetti, ma allo champagne preferisco una coca.”
“Ragazzo, il vino con bollicine aiuta i sensi ad accettare corteggiamenti, baci, carezze; a gradire che mani sciolgano i legacci che imbruttiscono, deturpano il tuo corpo. Bevi dal calice di tuo padre e tu da quello del tuo …”
“Zio Paolo!”
“di tuo zio Paolo e lasciatevi emozionare, illanguidire dall’amore.”
Ad un lato della sala una grande tavola imbandita con piatti di pescato, frutta, dolci, si presentò con i domestici che distribuivano le porzioni. Mangiarono con un buon appetito, incuranti degli spettatori.
“Era da tanto che non mangiavo, zio. Mi sembra di essere in paradiso. Non so …! Zio?” e preso per mano l’uomo, lo invitò a salire sul lettone. I camerieri osservavano i due che si toccavano la punta del naso, le labbra, gli occhi; che si davano lievi bacini; che si fissavano affascinati l’uno dell’altro e si rotolavano, uno sotto e l’altro sopra e viceversa, effondendo lievi soffi sul volto amico. Giocavano, ridevano, si mordevano le labbra e, come quella prima volta sulla spiaggia, una macchia si allargava, si ampliava propagandosi anche alle lenzuola di raso. Ohhh, erano tornati quei momenti. Gioivano e ridevano abbracciati. I baci si fecero intensi, mentre le loro mani aprivano, scoprivano, sfilavano, toglievano.
“Come allora?” C’era nell’aria uno strano profumo. Stava per avvenire quello che bramavano e loro lo sentivano sulla pelle calda che bruciava di una strana sensazione.
“No, di più! Ti voglio dentro, dentro!”
“Non ancora! Non dovevi, siamo su un letto! Sei andato oltre e ora meriti …”
“i tuoi morsi, i tuoi sculaccioni, zio. Ti ho bagnato le mutandine e …”
“Sì mio piccolo tesoro! Voglio morderti, mangiarti il culo, arrossarlo, batterlo e poi … appoggiarvi il viso per sentirne il calore, il profumo, il desiderio di avere quello che allora non ho avuto. Io non vedo Nicola e Francesco, i camerieri, … nei miei occhi ci sei solo tu. Batto e assaggio, fremo. Qualcuno me lo prende per accompagnarlo, appoggiarlo al tuo palpitante fiore rugiadoso. I miei occhi sono nei tuoi, un leggero spasmo e mi sento accolto da un guanto vellutato, caldo, che aspira e succhia. Guardo il tuo volto estasiato, … viaggio con te, lontano, mentre ti scaldo, bagno e innaffio il tuo piccolo accogliente tabernacolo. Vicini, a fianco a noi Nicola e suo padre: ohhh non sono padre e figlio, ma due persone che emulandoci con l’atto da noi praticato, ora, bagnati, fradici di quella sensuale ambrosia che tutto prende e fa appassionare, stanno succhiando quello che gli indumenti hanno conservato. Anche loro lentamente, come noi, sfogliano il libro, anzi stanno togliendogli la protezione. Sono avvinghiati, con le gambe intrecciate e le labbra incollate. Ansimano, si muovono, chiedono muti desideri. Ecco Nicola alza e offre il bacino al padre e lui, accostandosi, preme e penetra. Ohhh nooo, è Nicola che, abbracciando con le gambe il padre, attira, aspira beccando le labbra del padre. Sono uniti e si baciano, sudano e pigolano, come noi. Li sto contemplando, preso dal loro amplesso, mentre tu torni a limarlo, a vellicarlo con le tue dolci, delicate, felpate mucose .”
“Zio, lasciami chiamarti solo , come una volta. Io sono il tuo piccolo, allegro nipote e tu: mio zio. Che emozione sentirti dentro, muoverti avanti e indietro nelle mie morbide, calde pareti intestinali. Il mio anello sfinterico stringe, collabora e lo risucchia dolcemente, mentre mi scarmigli i capelli. Fai il pelo alle ciglia, costelli il naso o mi numeri i denti. Bello era averlo sulla punta della lingua, assaggiarlo, gustarlo e amare, desiderare quello che mi davi, come viatico, comunione, energetico. Ohhh zio vorrei dormire con il mio budello che munge, spreme e ci delizia ed avere fra le labbra la tettarella di Nico con la mia fra le sue labbra. Ohhh sogno, desiderio di sentirmi sazio, pieno, colmo, mentre vado in dormiveglia con il ciuccio lecca-lecca, del mio amico e percepire, riconoscere il suo profumo fra quello delle nostre pipì! Ohhh dolce vagheggiare, amabile speranza di svegliarmi a capretta, trastullato, deliziato, posseduto dal vomere del padre di Francesco, mentre tu ari e gioisci in quel di Nicola. Che bello sentire la musica degli affondi svolgersi, dipanarsi pacatamente o furiosamente per diffondersi. resistendo ai nostri fiori carnivori, mentre le nostre gole limano, aspirano, stuzzicano o sono spinte, pressate, chiuse sui membri dei camerieri, forniteci gentilmente dall’hotel!”
“Papà, voglio andare in paradiso! Hai sentito il sogno di Alberto: essere tappato, stantuffato, gioito dal tuo, mentre Paolo gode nel mio e, sotto di noi, quelle due statue di carne greca godono nell’entrare e spingere, pressare le nostre bocche sui loro volatili fintanto che, sfiniti, sfiancati, forse saziati non ci rilasciano le loro essenze per fine pasto e noi, vostri amanti, sfamati e saturati, ci lasceremo strappare, asportare le poche gocce dalle nostre gonadi, trattenute, aspirate, frullate da quelle lingue assieme ai piccoli menestrelli.”
“Ma …”
“Non ancora! Ohh papà, è onesto che ti punisca, perché tu sapevi e senza sforzarmi mi hai spinto in quell’evento e allora, cavolo, è giusto che tu torna da me per porgermi e offrire alle mie labbra il tuo dolce miele e, fatto questo, guardandoci negli occhi, lasciare che io apra l’esofago per far scorrere il contenuto della tua vescica. Non vorrò perderne neanche una goccia, perché questo è il mio giorno: il giorno in cui ho voluto amarti non come papà, ma come il mio uomo. Sarò sempre tuo, perché ti voglio bene e tu sarai mio, ma qualche volta il mio anello desidererà farsi penetrare nuovamente da quello di Paolo.”
“Sì, finalmente sei stato mio. Sapevo che mi volevi, ma non osavo; per cui, parlandoti, ho lasciato a te scegliere, facendoti conoscere quel luogo e fare esperienze che neanche immaginavi, ma ora so che ti avrò sempre nel mio letto per godere e scaldarmi del tuo calore. Osserva, mio piccolo truffatore, come Paolo ricompensa dello scherzo avuto il suo Alberto. Guarda: è seduto sui talloni con fra i piedi, le ginocchia del suo ragazzo e lo bagna, irrora ed innaffia dalla testa al pisello con la sua pipì. Ride e ridono. Si bagnano e … non so, … bisognerebbe controllare; in ogni modo anche questo è amore e passione.”
“Papà, però qualche volta, volesse il cielo che presso la loro golena non si possa ritrovarsi.”
“Penso che si possa e, probabilmente, loro ne saranno felici.”
“Ohhh sììììììììììììììììììììììììì!”
Nel parco della villa il tubare delle tortore è continuo, è poesia, è vita.


scritto il
2024-08-20
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