Sei mio! Cap. I Nicola: il sogno rivelato
di
Andrea10F09
genere
fantascienza
Vittorio, intimorito e sgomento davanti alla creatura che gli si parò davanti, cercò con lo sguardo una via di fuga da quella bestia che affermava , informandolo, che sarebbe stato suo.
Dopo una lunga e dura settimana di studio per prepararsi ad un difficile esame era andato a letto, assopendosi quasi subito, lasciando la finestra schiusa per il gran caldo. Mosche, zanzare, ronzii, un leggero vibrare d’ali e una strana luce dorata riempì la sua camera. Pochi istanti per svegliarsi e prendere coscienza di quello che stava avvenendo. Che strano, il bagliore dorato divenne improvvisamente di un rosso brillante, abbagliante, facente cornice ad un singolare, mostruoso, ripugnante, squamoso essere, che si ergeva su di lui.
Enorme con arti palmati, una coda grigio-nera, allungata, a spatola ricoperta di piccole squame piatte, che in quel frangente gli servì per star seduto sugli arti inferiori, con due ali enormi. Dal petto e dall’addome erompevano dei seni vibranti, oscillanti, simili a ventose, che si chiudevano e si aprivano per aspirare, legare, poppare; con una testa, più grande del corpo, simile a quella di un rospo, da cui fuoriuscì una lingua verdognola, lucida, gocciolante, somigliante ad un tubo, che si trasformava di continuo, da rotonda a dotto, bifida, a sonda, a serpentina, viscida, gelatinosa; sferzante; scudisciante sostanze cremose, lattiginose, tepide.
Lo studente, steso sui gomiti, cercava di sfuggire a quell’essere che senza muover suoni, gli ripeteva ininterrottamente che l’avrebbe posseduto. -Sarai mio, sarai mio, … sarai mio!- la testiera del letto gli impedì di proseguire il suo rinculare, il suo voler fuggire alle fauci spalancate di quell’essere bavoso, dai cui occhi lampeggiavano luci, simili a fiamme.
-Sarai mio!-
“No! Vai via, vai via, … viaaaa!”
-Sarai mio!-
“No!”
-Oh, sìììììì!- … e quella lingua serpentiforme, lunga e saettante, sfiorava, lambiva, ungeva, lasciando scie di unguenti, che scioglievano, dissolvevano, squagliavano gli indumenti che lo ricoprivano, illanguidendolo, infiacchendolo, suscitandogli desiderio, brama, sete e fame di godimento.
“Dnnn…” Ansimi, dinieghi gestuali, vocaboli tronchi, mani che cercavano di allontanare senza trasfondere forza, occhi sbarrati e quelle creme che allentavano la tensione fisica e psichica, con quei palmi che trascinavano quelle sostanze viscose, lattiginose su giovane fisico e … Non sapeva, non riusciva ad opporsi. Quella lingua, utilizzata come verga o come pennello o come apriscatole, ora era usata come frullatore nella sua bocca. Trattenuto per i capezzolini da ventose aspiratrici e spremitrici, con quell’organo impastatore che usciva ed entrava dalla sua bocca per attorcigliarsi alla sua o per vellicargli il profondo della gola, asportandone muco, salive e resistenze. Percepì una bocca, farsi gola, farsi cunicolo, strettoia, tubo morbido, caldo sul suo turgido pisellino. ... Ohps, quelle prese attiravano, stregavano, incantavano; legavano, univano, cingevano e aspiravano, risucchiavano per estirpargli, cavargli, estrargli quelle essenze di cui erano ghiotti i suoi amici.
Volava, volteggiava, piroettava fissato, unito alla bestia che si divertiva a dominarlo, fiaccarlo, a prostrarlo. I suoi succhi, aspirati, sfamavano il demone, che non contento, ora mirava quel giovane dal fisico bianco, implume, teso come le corde di un violino.
Vittorio non rispondeva, non si opponeva alle richieste, a quei massaggi, anzi … alle palpazioni, agli strusci, agli impastamenti dei glutei … rispondeva discostando, offrendo quello che alle richieste tattili principiava a palpitare, ad inumidirsi, a boccheggiare.
Alla velocità della luce la bestia, nel farlo volteggiare, sempre agganciato alle ventose, se lo pose seduto sulle nocche delle articolazioni inferiori, con il suo anello sfinterico ben esposto. Un brivido, attraversata la mente del giovane, confermò le paure che aveva avuto. Quel mostro, come aveva devastato la sua bocca e il suo fisico, ora intendeva farsi strada nel suo corpo, deformando il suo intestino. Non era in grado di opporsi, né avrebbe voluto impedirlo. Le sollecitazioni a cui era sottoposto rispondevano per lui: il suo culo pulsava, boccheggiava, palpitava. Le sue dita stringevano e si aggrappavano alle squame del demone, spingendo il suo sederino ad aprirsi, ad accettare le carezze, gli sfiori, le umide strusciate, le grondanti passionali malie. Nascosta alla sua vista, sentì dai lombi salire in modo esponenziale un’onda calda, viva, intensa, tanto avvincente. Non voleva essere stimolato da quel demone, ma accettava, ben sapendo a cosa andasse incontro e cosa sarebbe diventato. Tremava, il suo respiro cominciò a divenire pesante, ansimava. I suoi lombi si scaldavano, il suo desiderio aumentava. Fissò la bestia, mentre la sua gola, il suo esofago ricevevano grumi di salive, fiotti di umori. A poco a poco, senza che se ne rendesse conto, iniziò a vedere l'animale come bello, attraente, coperto da filamenti dorati e da rubini. Non era più un demone, ma un amante, a cui avrebbe donato la sua entrata posteriore, il suo culetto, il suo retto, il suo intestino, il suo corpo per scaldare e massaggiare con le sue onde peristaltiche la testa della serpe che vellicava, titillava, stuzzicava, eccitava la sua membrana anale.
“Ohh!” rimase senza fiato per la sorpresa. Lo shock gli fece aprire gli occhi, fissando esterrefatto il grifo del rospo.
"Aahhh", tornò a sospirare. I suoi occhi erano persi; le sue mani artigliavano le squame del mostro; le sue gambe abbracciavano, si chiudevano sul dorso della bestia. Una specie di catetere, molto grosso, stava scivolando al suo interno, avanzando nel suo intestino.
"Aaahhhhh", piagnucolò, mentre la sua mente riceveva, registrava quello che il demone gli confidava.
“Sarai mio, sarai la nursery della mia prole!”
"Mmm-hhmmm", piagnucolò di nuovo mentre un caldo bagliore lo attraversava, scintille sì alzavano dai suoi lombi. “Ohhhhhhhgggh!”
“Oh, sìììììììììììì!” Attraverso quella sonda-catetere, un qualcosa di vivo entrò nel suo intestino. Un qualcosa che si muoveva, zampettando, saltellando, scodinzolando, sbattendo una specie di coda da un’ansa all’altra dell’intestino. Il demone mostrava tutta la sua soddisfazione per come aveva iniziato il trasbordo dalla sua schiena all’addome del ragazzo della sua progenie, fatta di esserini simili a grossi, tozzi, grandi girini e il suo interno era stato scelto, individuato come luogo ideale alla crescita dei piccoli diavoli.
“Stai ferma, piccola puttana con il cazzo! La tua fresca, pubescente carne è cibo prelibato per i miei piccoli, è un alimento fortemente energetico per la loro crescita.”
Piacere per quella proboscide calda, viscida che gli vomitava al suo interno grosse uova con la coda e un inizio di articolazioni, che si muovevano, quasi danzando, ondeggiando, fluttuando nelle sue viscere, trasmettendogli sensazioni assai piacevoli di saturazione, di sazietà, mai provate prima, ma, nello stesso tempo aveva paura per quello che il mostro gli aveva preannunciato: sarebbe stato legato, fissato, avvolto da bave trasparenti, filamentose, rapprese, quanto mai resistenti e molto robuste, che ne avrebbero impedito qualsiasi movimento o spostamento. Gli avrebbero lasciato aperti solamente la bocca per fargli inalare aria per i piccoli in crescita e l’anello sfinterico per permettere a quelli il divertimento dello scivolare nel caldo di un tubo sino alla sua apertura di uscita e di rientrare, inerpicandosi, aggrappandosi con gli uncini delle piccole articolazioni, per ritornare al tepido, umido nido protettivo. Con gli occhi pieni di paura guardò in faccia il demone, osservandone e scoprendone la fame e il desiderio di devastarne, frollarne, marinarne le carni da dare come alimento ai suoi piccoli. Ecco il perché degli spruzzi lunghi e abbondanti di quel liquido lattiginoso dopo un inserimento, simile allo sperma umano; il perché dei massaggi dalla testa ai piedi, dalla bocca all’ano, dello svuotamento delle sue ghiandole, del languore continuo, persistente a cui il suo fisico era sottoposto e del desiderio di esserne preda, bottino, di essere continuamente penetrato analmente e oralmente per vivere il nirvana in cui era stato condotto, trasportato, trascinato. Aveva paura del dopo, ma non cercava la via di fuga dal presente, dall’estasi in cui viveva. Si vedeva come una crisalide da consumare avvolta in un bozzolo. Osservava le deformazioni delle sue carni, dei suoi arti, i repentini rigonfiamenti addominali seguiti da spasmi indicibili, mitigati dall’anestetico spermatico di cui era riempito e totalmente ricoperto.
Si vedeva liquefare, smosso dall’incessante moto dei girini, ormai fattisi ranocchie, che si indirizzavano verso i suoi fori, verso le sue vie di uscita.
“Sei mio, sei mio!” … e da squagliato, da fluido accettava ancora le percussioni, i tamponamenti, gli sbattimenti della bestia per ricevere, per avere quello sperma-droga di cui non poteva più farne a meno.
“Anff! -Ansando, boccheggiando, respirando affannosamente,- Sì!”
Dopo una lunga e dura settimana di studio per prepararsi ad un difficile esame era andato a letto, assopendosi quasi subito, lasciando la finestra schiusa per il gran caldo. Mosche, zanzare, ronzii, un leggero vibrare d’ali e una strana luce dorata riempì la sua camera. Pochi istanti per svegliarsi e prendere coscienza di quello che stava avvenendo. Che strano, il bagliore dorato divenne improvvisamente di un rosso brillante, abbagliante, facente cornice ad un singolare, mostruoso, ripugnante, squamoso essere, che si ergeva su di lui.
Enorme con arti palmati, una coda grigio-nera, allungata, a spatola ricoperta di piccole squame piatte, che in quel frangente gli servì per star seduto sugli arti inferiori, con due ali enormi. Dal petto e dall’addome erompevano dei seni vibranti, oscillanti, simili a ventose, che si chiudevano e si aprivano per aspirare, legare, poppare; con una testa, più grande del corpo, simile a quella di un rospo, da cui fuoriuscì una lingua verdognola, lucida, gocciolante, somigliante ad un tubo, che si trasformava di continuo, da rotonda a dotto, bifida, a sonda, a serpentina, viscida, gelatinosa; sferzante; scudisciante sostanze cremose, lattiginose, tepide.
Lo studente, steso sui gomiti, cercava di sfuggire a quell’essere che senza muover suoni, gli ripeteva ininterrottamente che l’avrebbe posseduto. -Sarai mio, sarai mio, … sarai mio!- la testiera del letto gli impedì di proseguire il suo rinculare, il suo voler fuggire alle fauci spalancate di quell’essere bavoso, dai cui occhi lampeggiavano luci, simili a fiamme.
-Sarai mio!-
“No! Vai via, vai via, … viaaaa!”
-Sarai mio!-
“No!”
-Oh, sìììììì!- … e quella lingua serpentiforme, lunga e saettante, sfiorava, lambiva, ungeva, lasciando scie di unguenti, che scioglievano, dissolvevano, squagliavano gli indumenti che lo ricoprivano, illanguidendolo, infiacchendolo, suscitandogli desiderio, brama, sete e fame di godimento.
“Dnnn…” Ansimi, dinieghi gestuali, vocaboli tronchi, mani che cercavano di allontanare senza trasfondere forza, occhi sbarrati e quelle creme che allentavano la tensione fisica e psichica, con quei palmi che trascinavano quelle sostanze viscose, lattiginose su giovane fisico e … Non sapeva, non riusciva ad opporsi. Quella lingua, utilizzata come verga o come pennello o come apriscatole, ora era usata come frullatore nella sua bocca. Trattenuto per i capezzolini da ventose aspiratrici e spremitrici, con quell’organo impastatore che usciva ed entrava dalla sua bocca per attorcigliarsi alla sua o per vellicargli il profondo della gola, asportandone muco, salive e resistenze. Percepì una bocca, farsi gola, farsi cunicolo, strettoia, tubo morbido, caldo sul suo turgido pisellino. ... Ohps, quelle prese attiravano, stregavano, incantavano; legavano, univano, cingevano e aspiravano, risucchiavano per estirpargli, cavargli, estrargli quelle essenze di cui erano ghiotti i suoi amici.
Volava, volteggiava, piroettava fissato, unito alla bestia che si divertiva a dominarlo, fiaccarlo, a prostrarlo. I suoi succhi, aspirati, sfamavano il demone, che non contento, ora mirava quel giovane dal fisico bianco, implume, teso come le corde di un violino.
Vittorio non rispondeva, non si opponeva alle richieste, a quei massaggi, anzi … alle palpazioni, agli strusci, agli impastamenti dei glutei … rispondeva discostando, offrendo quello che alle richieste tattili principiava a palpitare, ad inumidirsi, a boccheggiare.
Alla velocità della luce la bestia, nel farlo volteggiare, sempre agganciato alle ventose, se lo pose seduto sulle nocche delle articolazioni inferiori, con il suo anello sfinterico ben esposto. Un brivido, attraversata la mente del giovane, confermò le paure che aveva avuto. Quel mostro, come aveva devastato la sua bocca e il suo fisico, ora intendeva farsi strada nel suo corpo, deformando il suo intestino. Non era in grado di opporsi, né avrebbe voluto impedirlo. Le sollecitazioni a cui era sottoposto rispondevano per lui: il suo culo pulsava, boccheggiava, palpitava. Le sue dita stringevano e si aggrappavano alle squame del demone, spingendo il suo sederino ad aprirsi, ad accettare le carezze, gli sfiori, le umide strusciate, le grondanti passionali malie. Nascosta alla sua vista, sentì dai lombi salire in modo esponenziale un’onda calda, viva, intensa, tanto avvincente. Non voleva essere stimolato da quel demone, ma accettava, ben sapendo a cosa andasse incontro e cosa sarebbe diventato. Tremava, il suo respiro cominciò a divenire pesante, ansimava. I suoi lombi si scaldavano, il suo desiderio aumentava. Fissò la bestia, mentre la sua gola, il suo esofago ricevevano grumi di salive, fiotti di umori. A poco a poco, senza che se ne rendesse conto, iniziò a vedere l'animale come bello, attraente, coperto da filamenti dorati e da rubini. Non era più un demone, ma un amante, a cui avrebbe donato la sua entrata posteriore, il suo culetto, il suo retto, il suo intestino, il suo corpo per scaldare e massaggiare con le sue onde peristaltiche la testa della serpe che vellicava, titillava, stuzzicava, eccitava la sua membrana anale.
“Ohh!” rimase senza fiato per la sorpresa. Lo shock gli fece aprire gli occhi, fissando esterrefatto il grifo del rospo.
"Aahhh", tornò a sospirare. I suoi occhi erano persi; le sue mani artigliavano le squame del mostro; le sue gambe abbracciavano, si chiudevano sul dorso della bestia. Una specie di catetere, molto grosso, stava scivolando al suo interno, avanzando nel suo intestino.
"Aaahhhhh", piagnucolò, mentre la sua mente riceveva, registrava quello che il demone gli confidava.
“Sarai mio, sarai la nursery della mia prole!”
"Mmm-hhmmm", piagnucolò di nuovo mentre un caldo bagliore lo attraversava, scintille sì alzavano dai suoi lombi. “Ohhhhhhhgggh!”
“Oh, sìììììììììììì!” Attraverso quella sonda-catetere, un qualcosa di vivo entrò nel suo intestino. Un qualcosa che si muoveva, zampettando, saltellando, scodinzolando, sbattendo una specie di coda da un’ansa all’altra dell’intestino. Il demone mostrava tutta la sua soddisfazione per come aveva iniziato il trasbordo dalla sua schiena all’addome del ragazzo della sua progenie, fatta di esserini simili a grossi, tozzi, grandi girini e il suo interno era stato scelto, individuato come luogo ideale alla crescita dei piccoli diavoli.
“Stai ferma, piccola puttana con il cazzo! La tua fresca, pubescente carne è cibo prelibato per i miei piccoli, è un alimento fortemente energetico per la loro crescita.”
Piacere per quella proboscide calda, viscida che gli vomitava al suo interno grosse uova con la coda e un inizio di articolazioni, che si muovevano, quasi danzando, ondeggiando, fluttuando nelle sue viscere, trasmettendogli sensazioni assai piacevoli di saturazione, di sazietà, mai provate prima, ma, nello stesso tempo aveva paura per quello che il mostro gli aveva preannunciato: sarebbe stato legato, fissato, avvolto da bave trasparenti, filamentose, rapprese, quanto mai resistenti e molto robuste, che ne avrebbero impedito qualsiasi movimento o spostamento. Gli avrebbero lasciato aperti solamente la bocca per fargli inalare aria per i piccoli in crescita e l’anello sfinterico per permettere a quelli il divertimento dello scivolare nel caldo di un tubo sino alla sua apertura di uscita e di rientrare, inerpicandosi, aggrappandosi con gli uncini delle piccole articolazioni, per ritornare al tepido, umido nido protettivo. Con gli occhi pieni di paura guardò in faccia il demone, osservandone e scoprendone la fame e il desiderio di devastarne, frollarne, marinarne le carni da dare come alimento ai suoi piccoli. Ecco il perché degli spruzzi lunghi e abbondanti di quel liquido lattiginoso dopo un inserimento, simile allo sperma umano; il perché dei massaggi dalla testa ai piedi, dalla bocca all’ano, dello svuotamento delle sue ghiandole, del languore continuo, persistente a cui il suo fisico era sottoposto e del desiderio di esserne preda, bottino, di essere continuamente penetrato analmente e oralmente per vivere il nirvana in cui era stato condotto, trasportato, trascinato. Aveva paura del dopo, ma non cercava la via di fuga dal presente, dall’estasi in cui viveva. Si vedeva come una crisalide da consumare avvolta in un bozzolo. Osservava le deformazioni delle sue carni, dei suoi arti, i repentini rigonfiamenti addominali seguiti da spasmi indicibili, mitigati dall’anestetico spermatico di cui era riempito e totalmente ricoperto.
Si vedeva liquefare, smosso dall’incessante moto dei girini, ormai fattisi ranocchie, che si indirizzavano verso i suoi fori, verso le sue vie di uscita.
“Sei mio, sei mio!” … e da squagliato, da fluido accettava ancora le percussioni, i tamponamenti, gli sbattimenti della bestia per ricevere, per avere quello sperma-droga di cui non poteva più farne a meno.
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