Strade chiuse (1a di 2 parti)

di
genere
tradimenti

Il bianco candido della neve che fuori cadeva copiosa, fuori sul giardino davanti casa, il vento gelido di dicembre faceva ballare gli alberi e spazzava via lo smog cittadino, le luci natalizie, il tutto faceva sembrare quella una sera di incontaminata purezza.
Il salotto, irradiato dal calore caldo della legna, era illuminato solo da lampi di luce arancione sprigionati dal caminetto ardente e fiammeggiante; lampi, che luminosi ed intermittenti, balenavano nella sua pelle nera. Meravigliosi riflessi sul suo viso ebano, i denti accesi di bianco limpido sotto un sorriso incorrotto. Una puledra purosangue non ancora domata, una seduzione troppo grande per un inetto come me.
Se fuori la tersa innocenza ovattava l'aria, dentro il vizio, il peccato dimoravano in attesa di manifestarsi.
La stanza odorava di legno di Cirmolo, che scoppiettava nel braciere, e di donna, la sua epidermide profumava di arancio dolce, ed io respiravo a pieni polmoni il richiamo della depravazione, la deviante essenza di una conturbante trasgressione.

Quanto era stato immorale e impuro il mio comportamento, quante dissolute strategie avevo messo in atto, tradendo tutti: mia moglie, mio figlio, me stesso, per essere lì, per possedere quel corpo di pantera, per baciare quelle polpose labbra.
E quante assurde giustificazioni e pretesti, da cercare e depositare nella mia mente, a discolpa di un gesto così indecente e disonesto.
Lo sapevo perfettamente, ma la tentazione aveva sopraffatto la ragione e oramai ero vittima e schiavo di essa.

Da quando i primi di ottobre l'avevo vista tra i banchi dell'università, poco a poco, ha iniziato ad invadere, come una malattia venerea, il mio sangue e quindi la mia razionalità. All'inizio era un puro capriccio, uno sghiribizzo della mia fantasia, poi percepita la sua voglia di apprendere e di riuscire a dare più esami possibili, ho colto l'occasione e le ho detto, per poterla vedere da sola, che, se voleva, l'avrei aiutata anche fuori dell'orario di lezione, con ripetizioni private.
Io ero il suo docente del corso di Lettere Moderne, e quello che le proponevo era una cosa assolutamente da non fare. Ma oramai lo stiletto della pazzia mi aveva penetrato fin dentro le viscere. La sua risposta fu diretta, senza nessuna riflessione, come fosse una cosa normale: «Davvero? Lo farebbe per me? Mi dica quando le va meglio, sarebbe un sogno studiare con lei, grazie, grazie mille.»

Così cominciammo a vederci in una piccola biblioteca di quartiere, dove non passava mai nessuno, e la signora che la gestiva era una mia ex professoressa di italiano del liceo, che stravedeva da sempre per me, e, più tardi, per i miei romanzi, che non tardavo mai di spedirle con dedica.
Avevo un adorazione per quella donna, perché usava metodi innovativi per farci apprendere la letteratura, ci portava in parchi, in grotte, insomma in posti dove i libri, che la classe stava leggendo, potessero essere colti non solo tramite le lettere scritte nero su bianco, ma anche con una percezione sensoriale, che ti faceva entrare all'interno di quelle pagine. Un'altra cosa che mi aveva insegnato, e che mi ha accompagnato per il resto della vita, era la lettura dei quotidiani, e soprattutto che la stessa notizia riportata da un giornale era, spesso, diversamente raccontata in un altro, e questo mi aveva fatto capire di farmi un'idea mia, personale di quello che leggevo.
Ed infine, mi faceva comodo, perché non avrebbe mai dubitato di me: professore universitario integerrimo e scrittore di nove romanzi conclamati da critica e pubblico.
Se avesse letto la mia mente, ed i miei sordidi pensieri non mi avrebbe mai fatto trovare la porta aperta.

E mentre passeggiavo proprio in quel quartiere, riemersero in me le parole di Amina: « Glielo faccio io il nodo? Me lo lascia fare?»
Erano state le prime frasi pronunciate, la mattina dopo, da una ragazza di 18 anni, rivolte a me di 32, rivolte all'uomo che le aveva appena portato via la verginità.
Da quando ci eravamo alzati nudi dal letto, mi sentivo a disagio, e non avevo più aperto la bocca, le avevo solo accarezzato la guancia, abbassando lo sguardo sul suo corpo nudo, e lei, forse in imbarazzo per la sua nudità alle luce del giorno, aveva cominciato a rivestirsi.
«Lo sai fare?» quella fu la sola cosa che riuscii a pronunciare, e Amina sorridente, solo con le mutandine su, mi si era parata davanti e cercava di annodare la cravatta, quasi divertita di quel compito.
Averla a mezzo metro dal viso, nuda, con la sua pelle che odorava di noi, mi aveva disarmato di ogni senso di colpa, e il pene, come vivesse di vita propria, mi era tornato eretto tra le gambe. Lei aveva sorriso, lasciando la sua mano scivolare verso di me, e aveva iniziato a toccarmi il membro oramai fuori controllo.
La desideravo ancora, con tutto me stesso, e era stato facile scacciare il malessere, il disappunto per il grave atto che avevo commesso solo poche ore prima. Poi si era inginocchiata e con la calda bocca aveva iniziato a succhiare e ciucciare, come se il mio 'cono' fosse il più buon gelato al mondo.
Osservavo dall'alto, sotto i suoi neri riccioli, il suo viso, gli occhi verdi come giada deliziati e quasi divertiti, mentre tra le sue carnose labbra, il rosa acceso della sua lingua spiccava nel mogano della sua pelle.
Vedere la sue labbra, tese all'infuori, avvolgermi quasi tutta l'asta, mi faceva impazzire, ed era talmente forte la bramosia che in pochi minuti, il suo perfetto gioco di bocca e mani mi aveva fatto venire, avrei voluto spostarle il viso, ma lei con lo sguardo rivolto verso i miei occhi, ha ingoiato tutto il mio bianco miele. Aveva continuato fino alla perdita del turgore, ed io ero rimasto paralizzato, senza respiro e con gambe tremanti.

A questi ricordi si intrecciavano ingarbugliandosi il volto di mia moglie Sara, il dolce sorriso di mio figlio Leonardo, facendomi sentire sporco, unto, un vigliacco traditore. La cosa che mi sgomentava di più era il fatto della ricerca, del piano messo in atto per ritrovarmi in casa mia nudo con Amina; di tutto quel lavoro psicologico, i piccoli passi per farla avvicinare a me, per piacerle, per ingannarla.
Questa cicatrice aperta in me, però trovava cura e sollievo nella memoria, riandando a quella notte, a quella sensazione di assurda lussuria che mi ottenebrava penetrando quella vagina illibata.
Sentivo scorrere il mio cazzo stretto tra le sue membrane, ed il fatto che la parola 'proibito' fosse scolpita in me, mi donava ancora più perversione e passione. Mi muovevo dentro lei delicatamente, per non farle male, e al suo ansimare, capivo che le stava piacendo, che la rottura del imene non le aveva dato troppo fastidio.
Ma la cosa che più mi saltava alla memoria era il vedere, quando eravamo ancora stesi a terra davanti al caminetto su un piumone, il contrasto di colori mentre le leccavo la fica.
Dopo in camera, nel letto, dove faceva più freddo, abbiamo fatto tutto sotto le coperte, quindi ho delle sensazioni tattili e corporee e non visive. Ma lì, sotto il divano, osservare ammantati dal quella luce arancione: il bronzo della sue cosce lunghe e perfette, il nero dei peli morbidi, ed la fessurina di un rosa acceso, mi davano un vago senso di onnipotenza, di aver conquistato il mio obiettivo. E vedere la sua testa reclinata all'indietro ed i suoi spasmi di puro godimento era totalizzante per me.

Da quel rapporto trascorsero giorni senza che la vedessi, la coscienza mi ribolliva dentro, e sebbene soffrissi tantissimo, mi imposi di non cadere più in quel gioco che avevo costruito io stesso. Ma dal momento che in facoltà la vedevo frequentare sempre più spesso un ragazzo, la gelosia, la paura di perderla per sua scelta, per un altro, mi terrorizzava lasciandomi perso alla scrivania, senza riuscire a scrivere neppure una parola del romanzo che dovevo terminare.
Così la notte di capodanno, dopo l'una, la chiamai, in balia di un soffocante senso di smarrimento: «Amina, dimmi dove sei, e con chi sei? Devo vederti, ora, adesso...»e lei, ridendo del mio stato, cominciò a prendermi in giro: «Sono a una festa, sono con amici, ci vediamo un altro giorno...» «Dimmi in che via sei, ti chiedo 10 minuti, ti prego...»
Così inventando la scusa che un collega era in panne in macchina, lasciai gli amici festosi a casa mia, tra le occhiate basite di Sara, che non capiva, e scappai verso quell'indirizzo del centro città. Dopo un squillo al suo cellulare scese, senza cappotto, con un vestito bianco e corto, che faceva risaltare tutte le sue forme e la sua pura bellezza.
La feci salire in macchina, e la portai via con me. Ero talmente nervoso che qualcuno potesse approfittarsi della sua vulnerabilità da diciottenne, o che lei si potesse invaghire di un ragazzino, che parcheggiai l'auto in una laterale buia, e mi buttai sopra di lei. Lei cercò di fermarmi, ma ero determinato, folle di desiderio, la volevo.
Abbassai il sedile e le alzai la gonna corta, e a quel punto mi lasciò fare. A vederle le autoreggenti nere, mi incazzai e colmo di gelosia le tolsi il perizoma e la penetrai di forza, il mio pene era marmoreo per la violenta eccitazione, e lo spinsi con foga tutto dentro, al caldo delle sue labbra. Preso da quell'inspiegabile e malato impulso, notai il suo viso contorcersi per il dolore, ma continuai pompando in maniera energica e poderosa. «Tu sei mia, l'hai capito? Ti volevi già dare a quel ragazzino, senti come ti faccio godere adesso...». Sudavo e pompavo, fino a che le venni dentro la sua vagina, tutto dentro con un lungo sospiro, quasi a liberarmi di tutte i patemi. La guardai in viso e mentre si rimetteva apposto l'abito ho notato le lacrime scorrergli sulle gote. L'ho riportata alla festa, e sulla strada le ho solo detto: «Scusami... Perdonami... io ti amo.», ma lei che era rimasta sempre muta, non disse niente, uscì e chiuse lo sportello.

Quando tornai a casa, mia moglie mi fissava stranita, i sospetti celati fino a quel momento, le mie troppe assenze da casa, il mio disinteresse nei suoi confronti, esposero quando gli ospiti alle 5:00 del mattino se ne andarono. «Luca, fammi cominciare l'anno senza menzogne, mi tradisci con quella ragazzina di colore, quella con cui ti vedi in biblioteca? Ho il diritto di saperlo, dove sei finito prima, il collega, la macchina che non parte... credi che sia stupida? Poi torni a casa tutto sconvolto, non mi prendere per il culo...» «Sara, non c'è niente da dire, lasciami andare a dormire, sono stanco.»

Il pranzo del giorno dopo fu una tortura, gli sguardi penetranti ed indagatori di mia moglie non mi mollavano mai, e suo fratello, che era a mangiare da noi con la moglie, iniziò un discorso stano, che mi fece riflettere: «A proposito di White Cristhmas, tu Luca che sai sempre tutto, perché si dice 'bianco e nero' in italiano, e 'black and white' in inglese? Potrebbe essere una cosa legata alla razza?» Non sapevo cosa rispondere e neppure dove voleva andare a parare mio cognato, e lasciai perdere cercando di cambiare discorso. Cosa sapevano? Chi ci poteva aver visti?

Certo che se qualcuno avesse visto me: professore universitario, ancora un bel uomo, fisico atletico, capelli lunghetti e sbarazzini, noto romanziere finito spesso sui giornali, con una ragazzina nigeriana adolescente, le voci di popolo si sarebbero fatte un'eco smisurato.
Infatti, per quanto alta, sviluppata, con un seno grosso e sodo, i lineamenti ed alcuni atteggiamenti di Amina rimanevano fanciulleschi e la sua età giovane, la sua bellezza acerba avrebbero fatto sospettare e storcere più di un naso a molti.
Ma l'unica cosa che avevo in testa, era quella di farmi perdonare di averla presa con tutta quella rabbia che mi covava dentro, la notte di San Silvestro.
Non mi aveva più cercato, ed io non avevo pace, non ci dormivo la notte, andavo in facoltà come un automa, come un robot guasto, e non riuscivo a portare a termine il mio libro che da contratto sarebbe dovuto uscire a giugno.

Era arrivato il 20 gennaio, e mi struggevo al rivangare che solo un mese prima avevamo fatto l'amore per la prima volta a casa mia, in quella indescrivibile notte. Da 19 giorni però non la vedevo, non la toccavo, non respiravo l'aria vicino alla sua. Pagavo il mio 'troppo desiderarla', l'averla fatta mia quasi a forza, e forse lei non voleva più saperne di me.
All'università non si presentava, e mi aveva sempre tenuto segreto il suo indirizzo e le sue relazioni familiari. Di lei avevo assaporato il dolce e aspro sapore della sua giovinezza, e goduto della sua indimenticabile bellezza.

Era una consuetudine, che mia moglie leggesse, prima di inviarli all'editore, tutti i progressi di ogni libro che scrivevo, era un'accanita lettrice e di letteratura ne sapeva più di me probabilmente, anche se faceva il chirurgo in un noto ospedale cittadino. Il fatto che mi vedesse distratto, abulico e che non le passassi nessuno sviluppo sull'ultimo romanzo la destabilizzava non poco, credo sospettasse sempre più della mia infedeltà.

Una domenica di fine gennaio, suonarono al citofono, Sara andò ad aprire e si trovò davanti una donna sulla quarantina, truccata e vestita in maniera alquanto discinta vista l'ora, che chiedeva di parlare con me.
Io stavo per uscire, così approfittai del fatto di portare quella donna al bar vicino al nostro palazzo, così da tenere lontana mia moglie dal suo origliare. Appena seduti e ordinati i caffè, partì a spada tratta, e senza preamboli mi disse: «Sono la mamma di Amina, mi guardi bene in faccia, e si prenda le sue responsabilità...» credevo che il suo discorso riguardasse il modo in cui l'avevo trattata l'ultimo dell'anno, ma prima di formulare una sola frase, continuò: «Mia figlia è una bambina, lei un uomo adulto, ricco ed affermato da quanto mi ha detto, come ha potuto fare una cosa del genere ad una ragazzina? La mia Amina aspetta un figlio da lei... e se si stesse chiedendo, o ci chiedesse di farla abortire, ha davvero sbagliato tutto.»
Le sue parole mi raggelarono tutti gli organi, lasciandomi in uno stato vegetativo, sbattendomi come anestetizzato in una dimensione di puro sconcerto. Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? Cosa volevo fare? Amina, un figlio mio? Mia moglie, Leonardo? Lo scandalo? I giornali? La mia fine.
Quando mi alzai da quel tavolino, non potei non notare il superbo corpo di sua madre, che a quanto mi pareva non faceva proprio un lavoro 'ordinario'. Con un terremoto emotivo devastante uscì dal bar senza nessuna idea, svuotato con in mano solo un biglietto con il nuovo numero di cellulare di Amina, che aveva cambiato, per non farsi trovare dopo la notizia della gravidanza.

Già quel pomeriggio chiamai subito quel numero e mi misi d'accordo con Amina, che l'avrei passata a prendere in centro per le 18:00. Contando i minuti, cercando di dissipare l'ansia e l'attesa girai per casa senza sosta, Leonardo era dai nonni, e quando vidi uscire Sara completamente nuda dalla doccia, ho iniziato a captare il suo messaggio, il suo richiamo.
Quando arrivò in salotto, in 'quel salotto', dove nel caminetto sonnecchiava un blando fuoco, mi disse: «Tu sei troppo stressato Luca, vieni che ti faccio rilassare un po'». Io ero seduto sul divano, lei si inginocchiò sul tappeto tra le mie gambe e abbassandomi jeans e boxer, iniziò a leccarmi il pene, che morbido mi scendeva lungo la coscia.
«Non ti piaccio più Luca? Dai fammi vedere se proprio non ti piaccio...» La stavo odiando, mancava un'ora all'appuntamento con la ragazza nigeriana, avevo tutti i pensieri rivolti a lei e Sara voleva fare sesso.
Io non le dissi niente, ma l'erezione stentava, ed i miei consueti 20 cm da duro, rimanevano latenti a 11-12, così mi sono spazientito, e alzandomi mi sono rivestito. Ho preso le chiavi della macchina e sono uscito dalla porta dicendo a Sara: «Scusami, ora non mi va».
Lei sentendosi rifiutata, di solito ero io a pregarla per fare sesso, iniziò a gridare: «E da un mese che non mi tocchi, basta che me lo dici che preferisci la pelle nera, alla mia... e poi chi è che ti scopi: la bimba o la prostituta di domenica? Dimmelo, ho il diritto di sapere, abbiamo un figlio di 3 anni, abbiamo una reputazione, e tu ti scopi delle negre... giuro che te la faccio pagare, e lo sai che ne sono capace. Stasera quando torni se non mi trovi a casa non ti preoccupare, anzi dovresti proprio farlo. Chi ti credi di essere?»

In macchina lungo il percorso, abissali dubbi mi salirono: lasciare la mia famiglia per una ragazzina? Io amavo mia moglie, con tutto me stesso, eravamo sempre andati d'accordo, avevamo una vita agiata, non ci mancava niente, perché volevo distruggere quello che avevamo costruito: la stabilità. le certezze, l'amore incondizionato per nostro figlio.
Perché però non vedevo l'ora, contavo i chilometri che mi separavano da Amina, e da quel suo flessuoso e dirompente corpo, da quel profumo che mi toglieva il respiro.

La feci salire e partì veloce verso la periferia. Nessuna parola da parte sua, i suoi occhi guardavano lo scorrere delle case e dei campi dal suo finestrino. «Scusami ma devo chiedertelo: è tutto vero quello che tua madre mi ha detto? E poi... e... sei proprio... sei proprio sicura che sia mio e non del ragazzino che ti gira intorno?» Amina scoppiò a piangere, si girò verso di me e mi sputò in faccia gridandomi istericamente: «Devi vergognarti, solo per il pensiero che hai fatto, cosa credi che sia un giocattolo, riportami a casa, non voglio vederti mai più...»
Riuscii a stento a farla calmare, e andammo in una locanda, in un paesino tra i colli, dove con una lauta mancia nessuno ci avrebbe visto come fossimo invisibili. Non c'erano altri clienti nella sala ristorante, e cenammo alla buona cercando di trovare soluzioni che però non risultavano affatto semplici.
Alle nove eravamo in camera, una stanza spartana e fredda, al piano di sopra della trattoria, Amina aveva ritrovato un po' di serenità, anche se il futuro la terrorizzava. Mi aveva spiegato che sua madre non le avrebbe mai permesso di abortire, certo era maggiorenne e poteva farlo da sola, ma avrebbe perso per sempre l'unica persona che considerava la sua famiglia. Aggiunse anche, con notevole impaccio che sua madre, fin da quando era nata, ed il presunto padre l'aveva abbandonata, riceveva i clienti a casa, e con quei soldi l'aveva fatta crescere. Per quello lei studiava con tanta assiduità, per costruirsi un futuro diverso.
Preso da una forte commozione le baciai le labbra, e lei mi strinse forte a se, cercando protezione e certezze. Cose che senza uno tsunami nella mia vita, non avrei mai potuto darle.
Con dolcezza, con assoluta delicatezza mi immersi nel suo corpo, che potevo vedere bene illuminato dalle lampade sui comodini, era ancora più bella di quanto la mia immaginazione aveva costruito, il suo seno rimaneva rigido e alto anche al mio tocco, i suoi turgidi capezzoli invitavano lunghi baci, e la presi in tutti i modo possibili, e lei godette fino allo sfinimento, non si ribellava ad ogni mio desiderio, ma la sfioravo, la penetravo quasi fosse fatta di scura ceramica, adoravo quel corpo, adoravo le sensazioni che mi regalava. Alla fine, non decidemmo niente di definitivo e tornai a casa con ancora più confusione nel cervello.

Erano le 23:30, ed aprendo la porta mi accorsi subito che nell'appendiabiti c'era il cappotto di Sara, poggiato sulla sedia il suo vestitino corto Dolce e Gabbana, mio regalo di Natale, e le sue scarpe nere con il tacco erano messe spaiate sotto la sedia. Il suo profumo aleggiava ancora nell'aria, passai il corridoio, e capii che Sara era in doccia nel bagnetto della nostra camera. Dove era andata?
Quando uscì in accappatoio ancora con i capelli umidi, mi ero già spogliato e cambiato i boxer, ed ero molto incuriosito di sapere dove e con chi si fosse vista. Non era da lei fare tardi il giorno prima di lavorare.
Sara non disse niente e io no feci domande, mi girai sul fianco dandole la schiena e spensi la luce dalla mia parte. Dopo pochi minuti, arrivò dietro di me e sentivo il calore del suo corpo sulla mia schiena, mi baciava dietro l'orecchio, mi girai e cercandomi le labbra sentì il suo alito che sapeva di alcool, di vodka... «Volevo uscire, mi sono vestita, mi hai proprio fatto incazzare tu e le tue negrette, ma poi mi sono spogliata e aspettandoti mi sono bevuta un po' di bianco, e sono un po' brilla in effetti. Dai vieni qui, dammi quello che prima non volevi...»
Biascicava le parole trascinandole, era chiaramente ubriaca, ma non di vino, l'alito sapeva di vodka e noi in casa non tenevamo superalcolici. Scese con le testa tra le mie gambe e abbassandomi i boxer riprese il gioco che aveva iniziato prima di cena, era priva di inibizioni ed il calore di quella bocca mi aveva fatto tornare il cazzo duro.
Lei senza troppo pensarci, si era alzata e si era messa a cavalcioni sulle mie gambe, sopra di me. Con la mano direzionò il mio membro dentro le ed ha cominciato a cavalcarmi decisa, in maniera vigorosa.
Sentivo sempre più rapidi e rumorosi i 'ciac ciac' dei suoi glutei sulle mie cosce, e lei cominciò a ansimare, a tirare la testa indietro, mentre il suo seno sobbalzava ad ogni colpo.
Poi si staccò rapida, prese una crema dal cassetto, e a 90, guardandomi negli occhi mi disse: «Ho voglia di sentirti tutto dentro me, fammi godere...» e con la mano si spalmava quella crema trasparente nel buchetto tra le chiappe, a quella vista non capii più nulla, e preso dalla paura che mi avesse tradito, la scopai in culo, le entrai quasi di prepotenza, infatti si mise a gridare per il dolore, ero preso da un raptus simile a quello con Amina a capodanno.
Volevo farle male, sbatterla con tutto l'ardore che mi rimaneva dopo i giochi ripetuti di poche ore prima. Il suo dolore diventò piacere, e continuava a dirmi: «Non fermarti, scopami Luca, fammi sentire che sei più forte, che mi sai far venire di più... di più... sììì... cosììì...».
Quando sentii l'arrivo dell'orgasmo le andai davanti alla faccia, lei teneva aperta la bocca e i miei getti caldi e bianchi le sgorgarono dentro fino a traboccare nelle sue labbra. Ci pulimmo ed ognuno riprese il suo angolo di letto. Ero certo che anche lei mi avesse tradito, proprio mentre io lo facevo con Amina; troppi gli indizi e le spiegazioni convulse che mi aveva dato, troppo l'ardore, quasi inesistente in lei, che prediligeva un rapporto dolce, e poi le sue parole durante l'amplesso: -fammi sentire che sei più forte...-, più forte di chi? Altri dubbi ad aggiungersi a milioni che già stazionavano nella mia incasinata mente.

(continua nella seconda e ultima parte)
scritto il
2025-01-21
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