Greg Barison e l'Odore del Piacere. cap.5

di
genere
dominazione

NELLE PUNTATE PRECEDENTI Greg Barison è incaricato da Antonella Librandis di indagare sui tradimenti del marito, Giorgio, con tale Sonia Orici. Scopre però che la sua cliente e questa Sonia Orici erano amanti fin dall'università. Proprio la Orici le aveva presentato Giorgio e con lui l'aveva iniziata al sesso. In seguito La Antonella e Giorgio si erano sposati e ora temeva che la Orici fosse intenzionata a rubarle il marito. Mentre medita su queste cose inanellando white russian, Barison interviene per difendere Cinzia, una cameriera, dagli insulti del suo capo. Sfuggendo ai postumi dalla rissa e della sbronza, ha modo di conoscere meglio Cinzia ed il giorno dopo...

Cap.5
Mi sveglia l’odore di caffè. Mi alzo nudo come un verme ed esco dalla camera. Cinzia è di là che finisce di preparare la colazione. Ha indosso una vestaglia di maglia che contrasta magnificamente con la sua pelle assecondando invece alla perfezione il suo corpo lungo da gatta nera. I suoi lunghi capelli le scendono sulle spalle. Io ci ripenso, rientro in camera e mi infilo i pantaloni.
– Ciao.
– Ciao – mi risponde. – Ben svegliato.
“Insomma” le faccio cenno ruotando la mano con il palmo rivolto verso il basso. Punture di spillo sulla guancia mi ricordano la rissa della sera prima, mentre il mal di testa e il sapore in bocca, in fondo alla bocca, sanno di sbronza di vodka.
– Caffè?
– Perfetto – rispondo sedendomi.
Mi colpisce di nuovo con i suoi modi e l’accento. A parte la pelle non ha nulla dell’africana, ed è davvero una bella ragazza. Giovane oltretutto, penso mentre guardandola di profilo mentre mi chiede quanto zucchero voglio nel caffè, sui 20 anni.
– Va bene così – rispondo.
Si siede davanti a me e mi guarda mescolare lo zucchero. Le nocche della mano destra sono sbucciate e lei se ne accorge.
– Quel colpo, – mi fa – quello che hai dato all’oste. Sembrava una mossa di...
– Non mi piace parlare di queste cose.
– Ok, scusa – dice un po’ risentita.
– E tu invece, dove hai preso quell’accento?
Mi fa il nome di un paesino di montagna. Io la guardo stupito e lei si mette a ridere. È bella quando ride. Non l’avevo notato la sera prima quant’era bella.
“Sono stata adottata da piccola da due timorati di Dio in avanti con gli anni. Finché ero piccola andava tutto bene perché ero l’immagine stessa di quanto erano stati buoni ad adottare un poverella. Dopo il diploma però (ho studiato da infermiera), ho capito che mi volevano tenere a casa per badare a loro. Io invece volevo studiare. Allora hanno iniziato con i sensi di colpa e le accuse di essere irriconoscente e altre liti sono venute fuori quando ho preso ad uscire con uno. Io volevo bene a quei due ma ero anche intenzionata a trovare un lavoro. Avrei studiato e pure mandato soldi a casa. E glielo dissi e ridissi finchè Paparino s’incazzò e mi disse chiaro e tondo che se mi lasciava in Africa col cazzo che avrei studiato, sarei morta di fame o sarei finita a fare la puttana. Io non dissi più nulla.
11 giorni avrei compiuto 18 anni. La sera prima andai a dormire presto e a mezzanotte aprii la finestra e buttai fuori i due borsoni che avevo preparato con la mia roba dentro. Avevo 18 anni da 5 minuti ed ero fuori di casa. In città avevo delle amiche studentesse che potevano ospitarmi per un po’ e ben presto accettai un part time in un negozio di vestiti che fa parte di una catena che gioca molto sugli slogan antirazzisti per attirare alternativi. Le amiche stavano iniziando a spazientirsi perché eravamo in troppe in appartamento e io risparmiavo per potermene andare. Un sera rimanemmo da soli io e Gilberto, il responsabile del negozio, a chiudere. Era un uomo simpatico, che sapeva trattare con i clienti. Ci mettemmo a chiacchierare e io finii per lasciarmi andare con quell’uomo maturo, con le tempie brizzolate e i modi gentili. Era da tanto che non parlavo con qualcuno e gli raccontai di come me ne ero andata di casa, del fatto che le mie amiche erano stufe di ospitarmi ma che non avevo soldi per andarmene. Finii come una stupida a piangere sulla sua spalla. Mi trovai a baciarlo in bocca senza essermi chiesta se era quello che volevo, ma ero così sola, ed ero giovane. Sentì le mutandine scivolarmi lungo le gambe nude e poi le sue mani che mi prendevano per la vita e mi posavano su un banco ingombro di magliette impilate in bell’ordine. Io mi lasciai fare e lui fu tenero all’inizio, mi diceva che ero bella, che avevo delle belle labbra, e dei bei capelli. Poi però cambiò e iniziò con spinte sempre più forti e iniziò a farfugliare parole sconce, che sì e no capivo. Mi chiese se ero la sua puttanella, mi disse di dirgli che ero la sua puttanella. Io lo presi come un gioco e dissi che ero la sua puttanella, allora lui mi strinse forte il culo, quasi mi sollevò dal tavolino e mi ficcò il cazzo tanto dentro da farmi male. Quando lo tolse vidi che era venuto, poi si tirò su i pantaloni e si mise a posto la camicia e il nodo della cravatta. Quindi si chinò a raccogliere la merce che aveva fatto cadere a terra. Io lo guardavo con le gambe ancora aperte, la fica che gocciolava del suo sperma.
– Dai aiutami. Guarda che disastro abbiamo fatto – mi disse. Io recuperai le mutandine come in trance e continuammo a piegare maglieria in silenzio per un po’. Poi lui ebbe uno scatto, come se si ricordasse di qualcosa all’improvviso. Si alzò, prese il telefonino e lo sentì dire alla moglie che avrebbe fatto tardi perché aveva del lavoro da finire. Chiuse la comunicazione, mi sorrise in modo complice e si rimise ad aiutarmi. Quando finimmo si informò su come sarei andata a casa e io gli dissi che ci sarei andata a piedi visto che il prossimo autobus passava tra più di un’ora. Allora lui prese il suo portafoglio e mi diede 30 euro per il taxi. Io dissi che no, non serviva, che mi piaceva camminare. Lui insistette e io dissi che comunque erano troppi, allora lui mi sorrise e disse, indicando il banco che avevamo appena finito di ordinare, che quella sera avevo fatto gli straordinari, e che li meritavo. Alla fine presi quei soldi.
Il giorno dopo mi salutò cordiale come al solito e per tutto il tempo non ci fu un solo accenno alla sera precedente, tanto che pareva essersene dimenticato. Passò un settimana prima che mi accorgessi che Susy, l’altra commessa, aveva già staccato ed ero rimasta sola con il signor Gilberto. Di solito chiudevamo le saracinesche e poi uscivamo da un porta sul retro, verso il parcheggio, ma quella sera, appena chiuse le saracinesche, Gilberto mi saltò addosso, mi disse che non aveva fatto che pensare a me, che era innamorato perso, che l’avevo stregato. Prese a tastarmi dovunque con un desiderio che non mi ero mai sentita addosso. Non nego che la cosa mi eccitò e così mi lasciai baciare e palpare e quando, ormai nuda, lui mi infilò un dito dentro ero completamente zuppa. Mi volle prendere da dietro, lì sulla moquette del negozio. Mi fece mettere a quattro zampe e me lo sbatté dentro (e devo dire che la posizione mi piace) e mi scopò stringendomi il culo fra le mani per poi passarmele sulla schiena. Mi chiamava puttanella e io gli risposi che sì, ero la sua puttanella. Questa volta venni davvero e poi toccò a lui. Lo tolse e io caddi in avanti distesa mentre lui veniva sul mio sedere e la mia schiena.
Quando si riprese mi disse che dovevamo assolutamente rivederci al di fuori del negozio. Io gli dissi che finché stavo a casa delle altre ragazze non potevo certo invitarlo lì. Allora lui mi disse che avrebbe di certo trovato il modo. Stavolta non dovette insistere molto per darmi i soldi degli straordinari per il taxi.
Passarono solo alcuni giorni prima che mi desse appuntamento in un caffè. Lì mi disse di sedere di fronte a lui, che era di fretta e che eravamo in pubblico quindi di non metterlo in imbarazzo. Si frugò in tasca e tirò fuori un anello con due chiavi attaccate. E un biglietto per l’indirizzo. Io ero sbalordita e avrei voluto baciarlo, ma lui mi trattenne guardandosi in giro.
– Se qualcuno ci vede è finita. Se in negozio si viene a sapere io rischio il posto – mi dice. Mi spiega che l’appartamento è di un suo amico e che l’affitto è basso perché gli deve un favore.
– Oh Gilberto…– gli dico.
– Hai ciò che ti serve? Lenzuola, asciugamani….
Io gli dico che no, non avevo nulla, ma che avevo dei soldi da parte. Lui come nulla fosse tira fuori dal portafoglio due banconote da 100 e me le passa sotto al tavolo.
– Ti amo – mi sussurra andandosene.
Io corro subito euforica all’indirizzo che mi ha dato. È vicino al negozio, in un quartiere elegante. Un piccolo appartamento arredato, con tutto ciò che mi serve ed una particolarità. Un grande armadio a specchio di fianco al letto lungo tutta la parete. Il giorno dopo saluto le ragazze e mi trasferisco. Spendo i soldi che mi ha dato Gilberto e parte dei miei risparmi per comprare ciò che mi manca. In negozio non sto nella pelle e non riesco proprio a fare finta di nulla. Ma lui mi guarda severo e capisco che non devo fare cazzate. Solo quando vede che le altre ragazze sono tutte impegnate con alcuni clienti mi dà un pacco e dice che sarebbe venuto da me quella sera stessa, dopo cena.
Io metto il pacco nello zainetto che uso per andare a lavorare e le ultime ore in negozio diventano una strazio. I clienti mi chiedono una cosa e io gliene porto un’altra. Vado a casa agitatissima, appena dentro apro il pacco. C’è una scatola, apro il coperchio e, prendendolo per le spalline sottili sollevo un tubino rosso, sottile tanto che vedendolo dubito di entrarci. Sotto c’è un completino di lingerie nera che mi toglie il fiato. Vedo prima il reggiseno, poi sotto un paio di mutandine minuscole, che ricordo di avere visto in negozio, e poi un reggicalze con le stringhette e le calze velate. Mi sentì bagnare al solo pensiero di vestirmi a quel modo. Ricordo che resistetti dal provarmi subito i regali di Gilberto perché prima volevo farmi un bel bagno. Mi distesi nella vasca piena di schiuma e non potei fare a meno di toccarmi. Però, quando stavo per venire immaginando di essere scopata da Gilberto con indosso quel completino, pensai che volevo regalare il mio orgasmo a lui. Mi asciugai i capelli e mi pettinai con cura. Misi un profumo che avevo grazie ad un campione preso in negozio. Poi finalmente tornai alla scatola. Iniziai mettendomi le mutandine e il reggiseno. Trovai che mi stavano benissimo, soprattutto le mutandine mi facevano un sedere meraviglioso, tanto che stetti un bel po’ a spingerlo in fuori davanti allo specchio, o ad immaginarmi le mani di Gilberto che lo accarezzavano. Mi riprese la voglia di toccarmi e mi infilai la mano davanti, sotto alle mutandine, dandomi alcune sgrillettate. Poi però la smisi e, seduta sul bordo del letto iniziai a infilarmi le calze, poi mi allacciai il reggicalze in vita e armeggiai un po’ prima di capire come andasse indossato. Alla fine mi osservai e pensai che ero davvero una gran fica. Il reggiseno mi spingeva in alto il seno e il reggicalze dava sensazioni stranissime, con le ginocchia e le cosce coperte da un velo di seta sottile, e la parte alta scoperta. Ancora una volta mi venne una gran voglia di toccarmi, di infilarmi qualcosa. Mi appoggiai con una mano allo specchio e con l’altra presi a frugarmi sotto le mutandine, poi non resistetti e mi distesi sul letto a gambe aperte, continuando ad immaginare l’effetto che avrebbe fatto su un uomo una scena del genere. Mi girai mettendomi di schiena, mi sollevai languida sulle ginocchia con il sedere rivolto verso lo specchio, mi abbandonai in avanti con il sedere sollevato, e ripresi a toccarmi in quella posizione ancora più sconcia. Allora mi accorsi di un piccolo tocco di malizia che stavo per dimenticare. Sciolsi i bottoncini del reggicalze, mi calai le mutandine fino a mezza coscia, quindi riattaccai i bottoncini e mi rimisi a posto le mutandine. Così, Gilberto poteva togliermi le mutandine e prendermi con il reggicalze ancora addosso. Solo il desiderio di provarmi il tubino mi impedì di rimanere ancora a letto a stropicciarmi la passera.
E il tubino mi stava d’incanto: a parte il fatto che copriva di poco la zona lasciata scoperta dalle calze, mi fasciava mettendo in risalto il mio sedere. E poi era scollato, e non hai idea di come risaltasse il mio seno nero sul rosso di quel vestitino. Guardandomi allo specchio iniziai a fantasticare di essere una puttana di lusso, in attesa del suo cliente. Poco dopo arrivò Gilberto.”
Mentre Cinzia mi racconta le sue avventure io faccio fatica dal trattenermi da saltarle addosso per sbatterla lì sul tavolo. Ma invece suona il telefonino, di là in camera.
– Non rispondi? – mi fa.
– No. Continua.
Cinzia ridacchia e giochicchia con il cucchiaino del caffè. Il telefono smette di suonare. Passano alcuni secondi di silenzio mentre ci guardiamo. Lei sorride con il cucchiaino tra le labbra carnose. Io sto serio con la bestia che preme per uscire. Il telefonino riprende a suonare. Io bestemmio e vado a rispondere, Cinzia ridacchia. È l’ufficio.
– PRONTO!
– Oh, scusi capo. Non l’avrò mica svegliata?
Guardo l’orologio. Sono le 11 e mezza.
– No Giulia, dimmi pure.
CONTINUA...
scritto il
2010-06-28
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