Le avventure di Roxanne. cap.8: Solo un'occhiata.
di
Joe Cabot
genere
voyeur
Roxanne e Giselle scivolarono fuori dalla Magione passando dagli ambienti di servizio. I grilli suonavano il loro cantico nella notte stellata e le sottili vestaglie facevano somigliare le due giovinette a due leggiadri fantasmi, mentre correvano a piedi nudi sul prato al limitare del bosco. Appena oltre i primi alberi quasi urtarono la figura scura di un cavaliere a cavallo e non poterono evitare di lasciarsi un intenso gridolino, subito strozzato: più spaventato quello di Roxanne, carico di emozioni quello di Giselle.
Il cavaliere smontò di sella e si diresse verso altri due cavalli, che attendevano mansueti e silenziosi al buio. Roxanne riconobbe la sua cavallina preferita e, facendosi coraggio, si avvicinò. L’uomo, a cui lei arrivava a stento all’altezza del possente petto, la sollevò senza sforzo per i fianchi e la posò sulla sella da cavallerizza.
«Merci, Prince Koutou» sussurrò imbarazzata, con ancora sui fianchi il ricordo delle sue grandi mani.
Il buio, molto denso nel folto del bosco, impedì a Roxanne di vedere il rossore imporporare le guance candide di Giselle, quando l’uomo sollevandola come aveva fatto con lei, ne incrociò lo sguardo. La pelle di Giselle, pareva riflettere la luce delle stelle, mentre del volto scuro di Koutou era visibile solo il bianco degli occhi attorno al nero delle pupille dilatate.
Cavalcarono per qualche miglio nella notte prima lungo un sentiero, poi su una sterrata finché giunsero alla tenuta di caccia. A parte i rumori del bosco, tutto taceva e la Tenuta pareva dormire silenziosa come gli alberi e le stelle. Koutou aiutò le due damigelle a scendere dalle proprie cavalcature, poi si allontanò, tenendo le redini dei due cavalli, verso la stalla. Roxanne prese la mano di Giselle, il cui sguardo indugiava su Koutou che si stava allontanando, ed insieme salirono i gradini che portavano alla porta della Tenuta. L’edificio, con le finestre sbarrate, pareva disabitato. Tirarono piano il pesante anello, sorretto dalla bocca di un lupo di bronzo, che faceva da battente, e poco dopo la porta si aprì.
«Bonsoir, mademoiselles» cinguettò una sorridente Marie. «Le Marquis vous attend.»
La domestica della Magione teneva un candelabro in mano e fece loro strada nel piccolo atrio fino al salone di caccia, illuminato da altri candelabri. Lì il Marchese d’Erot stava aspettando con un libriccino in mano, disteso con grazia su un divanetto.
«Ma chere, sei venuta…»
«Oui, ma solo per un’occhiata.»
«Certainement!»
«Aspetto qui» aveva detto Giselle. Roxanne aveva annuito appena e aveva seguito il Marchese al piano di sopra. L’uomo le aveva cortesemente aperto la porta di un’ampia camera da letto illuminata da candelabri e riscaldata da un ampio caminetto dentro cui scoppiettava il fuoco. I colori predominanti erano l’oro, il rosso ed il verde, con pesanti arazzi e tendaggi decorati con scene di caccia, cervi, cinghiali, battute, lepri in fuga, cani all’inseguimento.
«Marie si è data un gran da fare» spiegò il Marchese. «Qui non metteva piede nessuno da anni.»
“Che me ne importa”, pensò indispettita Roxanne, “è solo una servetta”.
Il Marchese fece un sorrisetto furbo, fastidioso, che le fece pensare che avesse letto il suo pensiero.«Bevete qualcosa, Mademoiselle Roxanne?» disse.
«Oui» rispose titubante. Sapeva bene che non le era permesso assaggiare alcolici, ma sapeva anche che quella notte aveva già fatto molte cose che non le era permesso fare. Il Marchese si avvicinò ad un piccolo tavolino e le versò del liquore rosso cupo dentro un piccolo bicchiere. Poi si avvicinò, con il suo passo da gatto sornione e affamato, e glielo porse.
«Merci» sussurrò lei. Brindarono.
Lei toccò appena con la punta della lingua quel liquido denso, che poi era cognac, e quel primo contatto bastò ad imporporarle le guance.
«Siete molto graziosa, Roxanne» sussurrò il Marchese fissandola negli occhi. Lei avvampò e distolse lo sguardo. In quel momento si aprì la porta.
Marie indossava un camicetta da notte leggera che, mentre avanzava verso di loro, le si posò sul corpo nudo rivelandone le splendide forme. A parte ciò portava le calze bianche allacciate sulle cosce da un nastrino. E niente altro. Si avvicinò al Marchese e, dopo avergli posato un lieve bacio sulle labbra, trovò rifugio sotto il suo braccio, che la cinse dolcemente.
«Sai, Marie?, la nostra giovane amica questa sera ha espresso il desiderio di guardare e basta.»
«Peccato» disse Marie ammirandola con un sorrisetto che non le aveva mai visto. «È così carina». Roxanne la fissò interdetta.
«Già, ma su questo è stata chiara. La sua curiosità e voglia di sapere l’ha condotta qua, ma per il resto la sua persona rimarrà inviolabile. E la sua castità non sarà minacciata. A meno che lei…»
«Io non vorrò» lo interruppe Roxanne. «Io non vorrò di certo. Ed ora cominciate prima che me ne vada. Già sono pentita di essere venuta.»
«Ma chere, non funziona così. Io non sono (e soprattutto Marie non lo è) due animali, due maiali a cui getti un mela e poi guardi mentre si azzuffano. Il gioco che vedrai può anche giungere improvviso come un temporale estivo, ma non deve mai essere frettoloso e vuoto come segnarsi entrando in chiesa.»
Con una ampio e grazioso gesto, il Marchese invitò Roxanne ad accomodarsi su un divanetto che stava accanto al letto. Poi le disse di sentirsi libera di partecipare alla conoscenza che si sarebbero scambiati quella notte lui e Marie.
Quindi si dedicò alla donna.
Si baciarono in piedi, vicino al letto, proprio davanti a lei. Fu un bacio calmo, sereno, eppure accese in lei un intricato rosaio di passioni. Bevve un sorso di cognac e quasi ignorò la bruciante discesa del liquore lungo la sua gola. Con maestria, il Marchese strinse a sé la donna e Marie, cinta dalle mani dell’uomo, gli si abbandonò contro. Si staccarono sorridendosi, e Marie iniziò a sbottonare la camicia dell’uomo, per poi sfilargliela da sopra le spalle e posarla su una sedia. Quando l’uomo rimase a torso nudo, la ragazza gli si avvicinò iniziando a baciargli il petto per poi spingerlo cortesemente verso il letto. Il Marchese vi si appoggiò, la ragazza si inginocchiò davanti a lui, ed iniziò a slacciargli i pantaloni.
Il Marchese Denis d’Erot non era certo un Adone. Il viso era affilato, il naso adunco, la parrucca era sempre sgualcita e nascondeva un’attaccatura di capelli che, alla soglia dei quarant’anni, poteva già dirsi ampia stempiatura. Le spalle parevano agili, con i muscoli sottili ma ben disegnati, tuttavia ben presto la sua figura era screditata dal ventre prominente da beone incallito. Le gambe era corte, magre e storte. Roxanne guardò con disgusto tutta questa nudità maschile che man mano si manifestava grazie alle manine delicate di Marie. Quando esse ebbero sfilato del tutto le brache dai suoi piedi, lasciandogli però le calze e le giarrettiere allacciate ai secchi polpacci, Roxanne alzò gli occhi al viso dell’uomo. Il Marchese la guardava divertito, e Roxanne rimase sconvolta dal suo sguardo, dai suoi occhi. Aveva visto quegli occhi canzonare il cappellano e far infuriare zia Claude, affilarsi prima di lanciare una frecciata a François, il permaloso figlio del Conte, e aveva anche visto quegli occhi farsi gentili, quando nella stalla avevano chiacchierato, e poi ancora nei giorni successivi, quando si erano incontrati per caso (per caso?) nel giardino delle rose e lui l’aveva vista triste perché stava pensando a Robert (“oh, Robert…”) e tutta la vita le pareva una faccenda complicata e triste. L’aveva consolata e le aveva promesso un mondo migliore, in cui la verginità non fosse più una condanna, ma uno stato di passaggio, e soprattutto che appartenesse a lei, a lei sola. Non a un padre, né a un marito, né tanto meno a un prete. Quegli occhi dolci l’avevano sedotta, ma anche tenuta in guardia, poiché non mancavano di ricordarle il desiderio che un uomo come lui poteva provare per una giovinetta come lei. Ma lui non l’avrebbe avuta. Mai. Gliel’aveva detto chiaro e tondo e lui l’aveva accettato. «Dovunque ti porterò,» le aveva detto «lascerò la porta aperta e starà a te decidere se varcarla o tornare indietro.» L’aveva convinta a venire lì, quella notte, solo per dare un’occhiata a questa cosa di cui tutti parlavano, e solo a condizione che potesse accompagnarla Giselle.
Ora gli occhi di lui la stavano guardando con divertita brama, ben comprendendo il disgusto della giovinetta per il suo corpo, che di sicuro non ricordava nessuno degli uomini nudi che affollavano i quadri della Magione, né la splendida statua lignea di san Sebastiano Trafitto nella cappella. Proprio al Santo, pensò Roxanne, e sentì che anche gli occhi del Marchese la trafiggevano da parte a parte come delle frecce. Gli occhi dell’uomo erano occhi blu mare, occhi come distese infinite. Solo un risolino di Marie la distrasse e le fece distogliere lo sguardo. La donna aveva abbassato i mutandoni dell’uomo e, con sorpresa, aveva scoperto che la sua nervosa virilità già svettava come un ramo secco tra i peli irsuti del pube. Roxanne non poté trattenere un gridolino di sgomento, che di nuovo fece sorridere Marie e il Marchese. Trovò che quello… sperone era brutto, sgraziato, scuro. Pensò che mai una cosa come quella sarebbe entrata dentro di lei. Che mai nemmeno l’avrebbe toccato. Schifata, era sul punto di andarsene quando Marie le chiese se voleva prenderlo un po’ in mano.
Turbata, ristette. Si sporse dal divanetto, allungò la manina e, con la punta delle dita, lo tastò appena.
«Non si rompe mica» ridacchiò il Marchese. Roxanne lo guardò furibonda, per quell’ennesima insolenza. Allungò la mano e lo afferrò.
«Così allora?» fece lei afferrandolo con grinta.
«Ecco così. Ma» aggiunse lui con una certa apprensione «appena più piano.»
Marie, sempre inginocchiata tra lei e il Marchese, le diede di gomito. «Il nostro Denis ha paura di rimanere senza pisellino» disse, e scoppiò a ridere. Anche Roxanne scoppiò a ridere e si sentì come liberata, leggera.
Quando si riprese aveva ancora quell’affare in mano. Era caldo, sempre duro, e pareva pulsare quando lo stringeva un po’ di più. Imbarazzata lo lasciò andare.
«Ed ora, che cosa gli fai?» chiese con un sussurro a Marie.
«Beh, per prima cosa, già che sono qui. Gli renderò onore con la bocca.»
Marie mantenne immediatamente fede alle sue parole lasciando Roxanne a bocca aperta. Gli occhi della ragazzina si fissarono sulle labbra della donna che si aprivano, si tendevano e scorrevano lungo quell’osceno sperone lasciandolo lucido di saliva. Ben presto Roxanne si ritrovò a muovere anch’essa le labbra imitando in tono minore, inconsapevolmente, i movimenti della bocca dell’altra. Quando se ne rese conto arrossì e serrò di colpo le labbra ma il Marchese, che la stava osservando, non perse occasione di canzonarla.
«Continuate pure, Mademoiselle, siete incantevole…»
Roxanne, provò rabbia per essere stata sorpresa, ma rimase anche scossa dalla voce bassa dell’uomo. Si rese conto che quello che all’inizio era parso un gesto di umiliazione del Marchese alla sua servetta, in realtà era qualcosa d’altro, visto che in quel momento il piacere, il desiderio, la virilità stessa dell’uomo, erano in completa balia della donna che, nel fare ciò che stava facendo, stava mettendo in mostra un’arte insospettabile. In un primo momento Roxanne aveva pensato che quella cosa la disgustava, e che mai si sarebbe piegata a quella pratica. Ora pensò, con timore, che semplicemente non ne sarebbe mai stata capace.
«Marie…» gemette l’uomo. «Vi prego…»
La donna si tolse l’affare di bocca, lo tenne tra le dita e sorrise.
«Come comandate, Marchese d’Erot» rispose con un oltraggioso tono di impudenza che tradiva le ossequiose parole.
«Siete un vipera, Marie. Il vostro morso può uccidere un uomo in pochi battiti di cuore.»
«Anche il vostro morso, se non ricordo male, si fa sentire.»
Roxanne, non capì del tutto la schermaglia ed il gioco di sguardi tra i due. D’un tratto lui sollevò la donna dal punto in cui si era inginocchiata. Con una forza insospettabile nelle sue braccia secche, la posò sul letto e, mentre lei rideva sguaiata, si fece largo tra i leggeri lembi della sottoveste fino a prenderla come la stessa Roxanne aveva imparato a fare a Giselle. Solo che tra le due cugine scorrevano fiumi di dolcezza, complicità, affetto e, tuttalpiù, ingenua e timida trasgressione, mentre quello che Roxanne vide negli occhi del Marchese fu brama, ingordigia, passione insaziabile, mentre in Marie vide piacere, piacere intenso, piacere sottile, ed infine, con un crescendo di grida che la spaventarono, piacere e godimento liberatorio.
Il Marchese si ritrasse con aria da gatto soddisfatto, leccandosi le labbra in un gesto osceno che disgustò Roxanne.
«Ed ora, se la mia dolce Marie me ne concede licenza…»
«Faccia, faccia pure Marchese d’Erot» rispose melliflua la donna con un sospiro.
Il Marchese la trasse a sé e le montò sopra. Lei aprì le cosce e lui vi si infilò. Roxanne, rigida sulla sua posizione, non poté fare a meno di sporgersi un po’, inclinando la testa fino a riuscire a vedere lo sperone dell’uomo cercare il suo spazio ed infilarsi nell’antro peloso e lucido di umori della donna. Quella vista, il sedere asciutto dell’uomo che si contraeva e spingeva, quello di lei che si sollevava e prendeva, si apriva e risucchiava, ed i gemiti di entrambi, sempre più intensi, osceni, spudorati man mano che il crescendo dell’amplesso cercava il suo apice, sconvolsero completamente Roxanne, attratta e respinta, disgustata e affascinata da quello che vedeva e sentiva, e pure da quello che annusava, tanto era forte l’odore che i sessi dei due amanti spargevano nella stanza. Il Marchese più volte si lanciò come un bufalo contro l’apertura della donna, soffocandone le grida con i suoi baci profondi o provocandone altre avventandosi sui suoi capezzoli o sul suo collo.
Ma poi pareva fermarsi sbuffando, e riprendeva un trotto più tranquillo, che poco dopo si mutava di nuovo in galoppo, quindi in carica. Quando alla fine Marie parve morire, Roxanne temette che le sue grida arrivassero fino alla Magione.
Il Marchese si sollevò sulle ginocchia, malfermo, e Marie, rapida come una lucertola si sollevò quel tanto da prendere in bocca lo sperone dell’uomo. Roxanne vide e capì che era il seme dell’uomo, che stava arrivando. Vide il ributtante fluido schizzare tra le labbra aperte della donna, poi la sua bocca si chiuse attorno al sesso pulsante dell’uomo e Roxanne capì che lo stava succhiando, tutto. Sconvolta vide Marie inghiottire, poi staccarsi, sorridere all’uomo e, dopo essersi leccata le labbra, inghiottire ancora con l’aria di una diavolessa. Solo allora la servetta si ricordò di Roxanne, che la stava guardando con gli occhi sbarrati.
«Oh, pardon» disse senza togliersi dal viso quell’espressione oscena.
Roxanne fuggì via dalla stanza e corse lungo le scale. Giselle non c’era.
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Il cavaliere smontò di sella e si diresse verso altri due cavalli, che attendevano mansueti e silenziosi al buio. Roxanne riconobbe la sua cavallina preferita e, facendosi coraggio, si avvicinò. L’uomo, a cui lei arrivava a stento all’altezza del possente petto, la sollevò senza sforzo per i fianchi e la posò sulla sella da cavallerizza.
«Merci, Prince Koutou» sussurrò imbarazzata, con ancora sui fianchi il ricordo delle sue grandi mani.
Il buio, molto denso nel folto del bosco, impedì a Roxanne di vedere il rossore imporporare le guance candide di Giselle, quando l’uomo sollevandola come aveva fatto con lei, ne incrociò lo sguardo. La pelle di Giselle, pareva riflettere la luce delle stelle, mentre del volto scuro di Koutou era visibile solo il bianco degli occhi attorno al nero delle pupille dilatate.
Cavalcarono per qualche miglio nella notte prima lungo un sentiero, poi su una sterrata finché giunsero alla tenuta di caccia. A parte i rumori del bosco, tutto taceva e la Tenuta pareva dormire silenziosa come gli alberi e le stelle. Koutou aiutò le due damigelle a scendere dalle proprie cavalcature, poi si allontanò, tenendo le redini dei due cavalli, verso la stalla. Roxanne prese la mano di Giselle, il cui sguardo indugiava su Koutou che si stava allontanando, ed insieme salirono i gradini che portavano alla porta della Tenuta. L’edificio, con le finestre sbarrate, pareva disabitato. Tirarono piano il pesante anello, sorretto dalla bocca di un lupo di bronzo, che faceva da battente, e poco dopo la porta si aprì.
«Bonsoir, mademoiselles» cinguettò una sorridente Marie. «Le Marquis vous attend.»
La domestica della Magione teneva un candelabro in mano e fece loro strada nel piccolo atrio fino al salone di caccia, illuminato da altri candelabri. Lì il Marchese d’Erot stava aspettando con un libriccino in mano, disteso con grazia su un divanetto.
«Ma chere, sei venuta…»
«Oui, ma solo per un’occhiata.»
«Certainement!»
«Aspetto qui» aveva detto Giselle. Roxanne aveva annuito appena e aveva seguito il Marchese al piano di sopra. L’uomo le aveva cortesemente aperto la porta di un’ampia camera da letto illuminata da candelabri e riscaldata da un ampio caminetto dentro cui scoppiettava il fuoco. I colori predominanti erano l’oro, il rosso ed il verde, con pesanti arazzi e tendaggi decorati con scene di caccia, cervi, cinghiali, battute, lepri in fuga, cani all’inseguimento.
«Marie si è data un gran da fare» spiegò il Marchese. «Qui non metteva piede nessuno da anni.»
“Che me ne importa”, pensò indispettita Roxanne, “è solo una servetta”.
Il Marchese fece un sorrisetto furbo, fastidioso, che le fece pensare che avesse letto il suo pensiero.«Bevete qualcosa, Mademoiselle Roxanne?» disse.
«Oui» rispose titubante. Sapeva bene che non le era permesso assaggiare alcolici, ma sapeva anche che quella notte aveva già fatto molte cose che non le era permesso fare. Il Marchese si avvicinò ad un piccolo tavolino e le versò del liquore rosso cupo dentro un piccolo bicchiere. Poi si avvicinò, con il suo passo da gatto sornione e affamato, e glielo porse.
«Merci» sussurrò lei. Brindarono.
Lei toccò appena con la punta della lingua quel liquido denso, che poi era cognac, e quel primo contatto bastò ad imporporarle le guance.
«Siete molto graziosa, Roxanne» sussurrò il Marchese fissandola negli occhi. Lei avvampò e distolse lo sguardo. In quel momento si aprì la porta.
Marie indossava un camicetta da notte leggera che, mentre avanzava verso di loro, le si posò sul corpo nudo rivelandone le splendide forme. A parte ciò portava le calze bianche allacciate sulle cosce da un nastrino. E niente altro. Si avvicinò al Marchese e, dopo avergli posato un lieve bacio sulle labbra, trovò rifugio sotto il suo braccio, che la cinse dolcemente.
«Sai, Marie?, la nostra giovane amica questa sera ha espresso il desiderio di guardare e basta.»
«Peccato» disse Marie ammirandola con un sorrisetto che non le aveva mai visto. «È così carina». Roxanne la fissò interdetta.
«Già, ma su questo è stata chiara. La sua curiosità e voglia di sapere l’ha condotta qua, ma per il resto la sua persona rimarrà inviolabile. E la sua castità non sarà minacciata. A meno che lei…»
«Io non vorrò» lo interruppe Roxanne. «Io non vorrò di certo. Ed ora cominciate prima che me ne vada. Già sono pentita di essere venuta.»
«Ma chere, non funziona così. Io non sono (e soprattutto Marie non lo è) due animali, due maiali a cui getti un mela e poi guardi mentre si azzuffano. Il gioco che vedrai può anche giungere improvviso come un temporale estivo, ma non deve mai essere frettoloso e vuoto come segnarsi entrando in chiesa.»
Con una ampio e grazioso gesto, il Marchese invitò Roxanne ad accomodarsi su un divanetto che stava accanto al letto. Poi le disse di sentirsi libera di partecipare alla conoscenza che si sarebbero scambiati quella notte lui e Marie.
Quindi si dedicò alla donna.
Si baciarono in piedi, vicino al letto, proprio davanti a lei. Fu un bacio calmo, sereno, eppure accese in lei un intricato rosaio di passioni. Bevve un sorso di cognac e quasi ignorò la bruciante discesa del liquore lungo la sua gola. Con maestria, il Marchese strinse a sé la donna e Marie, cinta dalle mani dell’uomo, gli si abbandonò contro. Si staccarono sorridendosi, e Marie iniziò a sbottonare la camicia dell’uomo, per poi sfilargliela da sopra le spalle e posarla su una sedia. Quando l’uomo rimase a torso nudo, la ragazza gli si avvicinò iniziando a baciargli il petto per poi spingerlo cortesemente verso il letto. Il Marchese vi si appoggiò, la ragazza si inginocchiò davanti a lui, ed iniziò a slacciargli i pantaloni.
Il Marchese Denis d’Erot non era certo un Adone. Il viso era affilato, il naso adunco, la parrucca era sempre sgualcita e nascondeva un’attaccatura di capelli che, alla soglia dei quarant’anni, poteva già dirsi ampia stempiatura. Le spalle parevano agili, con i muscoli sottili ma ben disegnati, tuttavia ben presto la sua figura era screditata dal ventre prominente da beone incallito. Le gambe era corte, magre e storte. Roxanne guardò con disgusto tutta questa nudità maschile che man mano si manifestava grazie alle manine delicate di Marie. Quando esse ebbero sfilato del tutto le brache dai suoi piedi, lasciandogli però le calze e le giarrettiere allacciate ai secchi polpacci, Roxanne alzò gli occhi al viso dell’uomo. Il Marchese la guardava divertito, e Roxanne rimase sconvolta dal suo sguardo, dai suoi occhi. Aveva visto quegli occhi canzonare il cappellano e far infuriare zia Claude, affilarsi prima di lanciare una frecciata a François, il permaloso figlio del Conte, e aveva anche visto quegli occhi farsi gentili, quando nella stalla avevano chiacchierato, e poi ancora nei giorni successivi, quando si erano incontrati per caso (per caso?) nel giardino delle rose e lui l’aveva vista triste perché stava pensando a Robert (“oh, Robert…”) e tutta la vita le pareva una faccenda complicata e triste. L’aveva consolata e le aveva promesso un mondo migliore, in cui la verginità non fosse più una condanna, ma uno stato di passaggio, e soprattutto che appartenesse a lei, a lei sola. Non a un padre, né a un marito, né tanto meno a un prete. Quegli occhi dolci l’avevano sedotta, ma anche tenuta in guardia, poiché non mancavano di ricordarle il desiderio che un uomo come lui poteva provare per una giovinetta come lei. Ma lui non l’avrebbe avuta. Mai. Gliel’aveva detto chiaro e tondo e lui l’aveva accettato. «Dovunque ti porterò,» le aveva detto «lascerò la porta aperta e starà a te decidere se varcarla o tornare indietro.» L’aveva convinta a venire lì, quella notte, solo per dare un’occhiata a questa cosa di cui tutti parlavano, e solo a condizione che potesse accompagnarla Giselle.
Ora gli occhi di lui la stavano guardando con divertita brama, ben comprendendo il disgusto della giovinetta per il suo corpo, che di sicuro non ricordava nessuno degli uomini nudi che affollavano i quadri della Magione, né la splendida statua lignea di san Sebastiano Trafitto nella cappella. Proprio al Santo, pensò Roxanne, e sentì che anche gli occhi del Marchese la trafiggevano da parte a parte come delle frecce. Gli occhi dell’uomo erano occhi blu mare, occhi come distese infinite. Solo un risolino di Marie la distrasse e le fece distogliere lo sguardo. La donna aveva abbassato i mutandoni dell’uomo e, con sorpresa, aveva scoperto che la sua nervosa virilità già svettava come un ramo secco tra i peli irsuti del pube. Roxanne non poté trattenere un gridolino di sgomento, che di nuovo fece sorridere Marie e il Marchese. Trovò che quello… sperone era brutto, sgraziato, scuro. Pensò che mai una cosa come quella sarebbe entrata dentro di lei. Che mai nemmeno l’avrebbe toccato. Schifata, era sul punto di andarsene quando Marie le chiese se voleva prenderlo un po’ in mano.
Turbata, ristette. Si sporse dal divanetto, allungò la manina e, con la punta delle dita, lo tastò appena.
«Non si rompe mica» ridacchiò il Marchese. Roxanne lo guardò furibonda, per quell’ennesima insolenza. Allungò la mano e lo afferrò.
«Così allora?» fece lei afferrandolo con grinta.
«Ecco così. Ma» aggiunse lui con una certa apprensione «appena più piano.»
Marie, sempre inginocchiata tra lei e il Marchese, le diede di gomito. «Il nostro Denis ha paura di rimanere senza pisellino» disse, e scoppiò a ridere. Anche Roxanne scoppiò a ridere e si sentì come liberata, leggera.
Quando si riprese aveva ancora quell’affare in mano. Era caldo, sempre duro, e pareva pulsare quando lo stringeva un po’ di più. Imbarazzata lo lasciò andare.
«Ed ora, che cosa gli fai?» chiese con un sussurro a Marie.
«Beh, per prima cosa, già che sono qui. Gli renderò onore con la bocca.»
Marie mantenne immediatamente fede alle sue parole lasciando Roxanne a bocca aperta. Gli occhi della ragazzina si fissarono sulle labbra della donna che si aprivano, si tendevano e scorrevano lungo quell’osceno sperone lasciandolo lucido di saliva. Ben presto Roxanne si ritrovò a muovere anch’essa le labbra imitando in tono minore, inconsapevolmente, i movimenti della bocca dell’altra. Quando se ne rese conto arrossì e serrò di colpo le labbra ma il Marchese, che la stava osservando, non perse occasione di canzonarla.
«Continuate pure, Mademoiselle, siete incantevole…»
Roxanne, provò rabbia per essere stata sorpresa, ma rimase anche scossa dalla voce bassa dell’uomo. Si rese conto che quello che all’inizio era parso un gesto di umiliazione del Marchese alla sua servetta, in realtà era qualcosa d’altro, visto che in quel momento il piacere, il desiderio, la virilità stessa dell’uomo, erano in completa balia della donna che, nel fare ciò che stava facendo, stava mettendo in mostra un’arte insospettabile. In un primo momento Roxanne aveva pensato che quella cosa la disgustava, e che mai si sarebbe piegata a quella pratica. Ora pensò, con timore, che semplicemente non ne sarebbe mai stata capace.
«Marie…» gemette l’uomo. «Vi prego…»
La donna si tolse l’affare di bocca, lo tenne tra le dita e sorrise.
«Come comandate, Marchese d’Erot» rispose con un oltraggioso tono di impudenza che tradiva le ossequiose parole.
«Siete un vipera, Marie. Il vostro morso può uccidere un uomo in pochi battiti di cuore.»
«Anche il vostro morso, se non ricordo male, si fa sentire.»
Roxanne, non capì del tutto la schermaglia ed il gioco di sguardi tra i due. D’un tratto lui sollevò la donna dal punto in cui si era inginocchiata. Con una forza insospettabile nelle sue braccia secche, la posò sul letto e, mentre lei rideva sguaiata, si fece largo tra i leggeri lembi della sottoveste fino a prenderla come la stessa Roxanne aveva imparato a fare a Giselle. Solo che tra le due cugine scorrevano fiumi di dolcezza, complicità, affetto e, tuttalpiù, ingenua e timida trasgressione, mentre quello che Roxanne vide negli occhi del Marchese fu brama, ingordigia, passione insaziabile, mentre in Marie vide piacere, piacere intenso, piacere sottile, ed infine, con un crescendo di grida che la spaventarono, piacere e godimento liberatorio.
Il Marchese si ritrasse con aria da gatto soddisfatto, leccandosi le labbra in un gesto osceno che disgustò Roxanne.
«Ed ora, se la mia dolce Marie me ne concede licenza…»
«Faccia, faccia pure Marchese d’Erot» rispose melliflua la donna con un sospiro.
Il Marchese la trasse a sé e le montò sopra. Lei aprì le cosce e lui vi si infilò. Roxanne, rigida sulla sua posizione, non poté fare a meno di sporgersi un po’, inclinando la testa fino a riuscire a vedere lo sperone dell’uomo cercare il suo spazio ed infilarsi nell’antro peloso e lucido di umori della donna. Quella vista, il sedere asciutto dell’uomo che si contraeva e spingeva, quello di lei che si sollevava e prendeva, si apriva e risucchiava, ed i gemiti di entrambi, sempre più intensi, osceni, spudorati man mano che il crescendo dell’amplesso cercava il suo apice, sconvolsero completamente Roxanne, attratta e respinta, disgustata e affascinata da quello che vedeva e sentiva, e pure da quello che annusava, tanto era forte l’odore che i sessi dei due amanti spargevano nella stanza. Il Marchese più volte si lanciò come un bufalo contro l’apertura della donna, soffocandone le grida con i suoi baci profondi o provocandone altre avventandosi sui suoi capezzoli o sul suo collo.
Ma poi pareva fermarsi sbuffando, e riprendeva un trotto più tranquillo, che poco dopo si mutava di nuovo in galoppo, quindi in carica. Quando alla fine Marie parve morire, Roxanne temette che le sue grida arrivassero fino alla Magione.
Il Marchese si sollevò sulle ginocchia, malfermo, e Marie, rapida come una lucertola si sollevò quel tanto da prendere in bocca lo sperone dell’uomo. Roxanne vide e capì che era il seme dell’uomo, che stava arrivando. Vide il ributtante fluido schizzare tra le labbra aperte della donna, poi la sua bocca si chiuse attorno al sesso pulsante dell’uomo e Roxanne capì che lo stava succhiando, tutto. Sconvolta vide Marie inghiottire, poi staccarsi, sorridere all’uomo e, dopo essersi leccata le labbra, inghiottire ancora con l’aria di una diavolessa. Solo allora la servetta si ricordò di Roxanne, che la stava guardando con gli occhi sbarrati.
«Oh, pardon» disse senza togliersi dal viso quell’espressione oscena.
Roxanne fuggì via dalla stanza e corse lungo le scale. Giselle non c’era.
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