Le avventure di Roxanne. cap.7: La Spina della Rosa
di
Joe Cabot
genere
sentimentali
La cosa più sconvolgente, per Roxanne, fu origliare le parole dolci che il Marchese e zia Claude si scambiarono dopo che lui l’aveva presa, e persino sodomizzata, con violenza, senza risparmiarle alcune scudisciate il cui sibilo si era impresso, oltre che nelle carni della donna, anche nella memoria della ragazzina. Dopo quell’amplesso forsennato, in cui aveva chiamata più volte la sua amante “putain”, lui era stato oltremodo dolce, aveva preso a cinguettarle “mon petit Claude” e anche lei, pareva più sciolta del normale e lo chiamava “Denis” con evidente affetto. I due amanti si erano seduti sulla paglia, uno accanto all’altra, come due compagni e amici. Lei gli raccontava di quant’era triste per lei la vita alla Magione. Lui aveva sorriso e le aveva detto che per Marie, la servetta, la vita non era certo più facile. Lei se l’era prese e aveva fatto per alzarsi, offesa da quell’accostamento per lei inaccettabile, ma lui l’aveva trattenuta.
«Ve bene, va bene, Claude, scusami. Non volevo litigare.»
Lei aveva sbuffato, poi si era accomodata di nuovo al suo fianco.
Erano rimasti lì ancora qualche decina di minuti. Lei a dolersi del fatto che Cupido l’aveva sempre ignorata, lui a ricordarle che Venere l’aveva benedetta.
«Parti con me, mon petit Claudette. Ti porterò a Parigi, o San Pietroburgo, oppure nelle Americhe o dove vorrai.»
«Ma tu non mi ami, mon petit gitan» rispose lei con un sorriso amaro.
«Amore! Amore!» esclamò il Marchese «se la gente cercasse di più il bene, invece. Il proprio, certo, ma anche l’altrui, invece di questa sciocchezza dell’amour.»
Lei l’aveva guardato colma di stupore «Sciocchezza? È il sentimento più dolce e tenero, eppure più forte e resistente che possa esservi e per voi è un sciocchezza?»
«Sì. E voi parlate di una cosa che non avete mai provato» aveva risposto indispettivo. «E così vi condannate all’infelice ricerca di un’insensata chimera. Vi condannate al fallimento e all’infelicità, incapace in realtà di allontanarvi dalla Magione.»
Lei, inaspettatamente, aveva sorriso «Sei così sciocco, Denis. Sei passionale solo quando esponi le tue idee.»
«E quando fotto.»
«No. Anche quando fotti, non fai che fottere le tue idee. Ma ora basta, è tempo che io vada. Tu aspetta qui un po': non voglio che ci vedano insieme.»
«Claude…» l’aveva supplicata ancora, mentre lei si scrollava le vesti per riordinarle. Sorda ai suoi richiami, se ne era andata senza dire altro.
Dopo che zia Claude se ne fu andata, Roxanne capì di essere rimasta sola con il Marchese, con la sola paratia a dividerli. Lo sentì alzarsi. Lo sentì muovere qualche passo. Lo sentì fischiettare un motivetto sconcio che alcune sere prima aveva fatto ridere a crepapelle il Conte. Poi, d’improvviso, apparve da dietro la paratia. Aveva lo scudiscio ancora in mano, ed un sorriso debosciato in faccia.
«Bene, bene. La graziosa mademoiselle Roxanne spettatrice non pagante.»
Roxanne si tirò in piedi, rossa dall’imbarazzo.
«N-non ho visto nulla» balbettò con gli occhi bassi.
«Ah, beh, in tal caso, mademoiselle Roxanne, mi spiace vivamente per voi. Avreste imparato qualcosa sull’addomesticamento delle giumente recalcitranti che vi sarebbe senz’altro tornato utile, se volete imparare a cavalcare.»
Punta sul vivo, Roxanne sollevò gli occhi con sguardo di sfida. «Io so già cavalcare. E molto bene.»
«Ma io intendevo “cavalcare gli uomini”, mademoiselle.»
A Roxanne mancò il respiro. «Voi…, siete uno… screanzato.»
Il Marchese rise di cuore. «Dopo quello che pocanzi mi ha più volte ripetuto madamoiselle Claude (credo fosse “bastardo”), l’appellativo di “screanzato” mi pare un complimento.»
Roxanne ora era furente.
«Lasciatemi uscire… porco.»
«Ecco, migliorate a vista d’occhio. È un piacere farvi da tutore.»
«Voi non siete il mio tutore!»
«Beh, avete ragione. Ma se cambiate idea…»
Nel proferire questa sua ultima frase, si scostò con un inchino la cui sfacciata cortesia pareva oscenità.
Roxanne puntò diritta alla porta, pensando che quell’uomo era il demonio. La sua voglia di rispondergli a tono, però, la costrinse a rimanere.
«Il mio tutore sarà mio marito. E solo lui.»
Il Marchese rise «Sì, certo. Il vostro principe azzurro. Magari un principe azzurro vecchio, panzone e cattolico che la domenica dopo la messa se ne andrà al bordello.»
Lei si voltò del tutto e vedendola, il Marchese capì di avere sbagliato. Le non era una cinica come Claude o un’ipocrita come la Contessa, né una franca ragazza di campagna come Marie. Era solo una ragazzina innamorata travolta dalla primavera che ora lo stava guardando con le prime lacrime che facevano capolino ai lati dei suoi occhi scuri.
«Mademoiselle, perdonatemi» fece lui commosso andandole incontro.
«Statemi lontano.»
Lui la ignorò. La raggiunse e le prese le spalle tra le proprie mani. La tirò a sé e lei allora scoppiò a piangere posandogli il capo sul petto.
«Perdonatemi, mademoiselle Roxanne. A volte scordo quanto saldamente ci si attacchi ai propri sogni e quanto dolore costi liberarsene.»
«Siete cattivo. Siete cattivo.»
«Sì forse sono cattivo. Ma voi non meritate che lo sia stato con voi, perdonatemi.»
Lei si allontanò per guardalo in faccia. Lui abbassò i suoi occhi su quelli di lei inumiditi dal pianto. La visione di lei innocente e delicata, eppure forte nel tenergli testa, gli fece balzare il cuore dal petto. “Perchè una donna in lacrime ci commuove?” Si chiese. “Perchè troviamo i suoi occhi bagnati così belli? Il pensiero lo colpì e lo riempì di vergogna. E, una volta tanto, lo zittì.
«No, non siete cattivo» osò dire Roxanne, che per la prima volta si accorse dei suoi occhi azzurri. «Però non vi capisco. Trattate le servette come fossero signore e siete addirittura ossequioso con il vostro negro. Poi invece mancate di rispetto a zia Claude in pubblico, mentre di nascosto le fate….»
«Non temete, con Claude giochiamo un nostro vecchio gioco.»
«Ma io non voglio giocare ai vostri giochi. Vi comportate tutti come dei maiali.»
«I maiali non si divertono quanto noi, credetemi.»
Lei si divincolò.
«Ecco vedete: un secondo fa eravate gentile, ora di nuovo avete quel sorrisetto da… diavolo.»
Quella parola, e il tono di lei, lo fece ridere, ma stavolta in modo spontaneo, tanto che anche Roxanne smise il broncio e gli sorrise. Poi però si rifece seria.
«Prima avete detto che è doloroso rinunciare ai sogni. Ma allora perché farlo? Io non voglio.»
«Perchè ci sono sogni che si fanno con la mente ben desta, e questi sono i sogni che cambiano la realtà.»
«Sì, le vostre sciocchezze su una società senza Re. Vi ho sentito parlarne a tavola.»
Lui la ignorò.
«Poi però ci sono i sogni che si fanno a occhi chiusi. E questi sono sogni brutti, perché chi chiude gli occhi si chiude al mondo. E chi si chiude al mondo non lo ama. Lo odia. Ed i sogni che nascono dall’odio sono sogni malvagi. Incubi.»
Stavolta il tono del Marchese era dolce, compassionevole, e Roxanne, benché toccata sul vivo. Si sentì di nuovo le lacrime agli occhi ma trovò la forza di trattenerle e rispondergli. Pensò a Robert, il figlio del fattore (“…oh, Robert!”).
«I miei sogni, non sono così.»
Il Marchese la studiò un attimo.
«Dunque, c’è già qualcuno….»
«No!» gridò lei arrossendo. «No! Che dite? Io non ho mai…»
«Però c’è qualcuno… qui alla Magione.»
Roxanne strinse le labbra, furente. Quell’uomo era davvero un diavolo.
«Non temete, piccola amica, so tenere un segreto. Ma chi può essere? Aspetta aspetta…»
Il Marchese aveva ripreso il tono canzonatorio che le dava sui nervi. Ma stavolta c’era un che di fanciullesco in lui. “Aspetta, aspetta” diceva battendosi l’indice sul mento come in cerca di un’idea. Alla fine ci arrivò.
«Ma certo! Dove volete che vada una ragazzina sola, a cavallo…. Direi che il principe azzurro è biondo e muscoloso. L’ho visto gironzolare con Bernard, dev’essere suo figlio. Credo che si chiami…»
Lei, con il viso di brace, gli saltò addosso e gli richiuse quel nome in bocca con le sue manine.
Lui se la rise di cuore.
«Bene, bene. Cara la mia Roxanne. Devo ammettere che è proprio un bel ragazzo.»
«Tacete, vi prego.»
«Mia piccola farfalla, certo che tacerò. Però,» e qui si fece serio «il vostro è un sogno difficile da realizzare. E poi… offrire il proprio fiore ad un campagnolo…»
«Che intendete?» soffiò Roxanne turbata.
«Nei sogni il primo letto di una vergine sono veli azzurri, rosei e bianchi e un a baldacchino che galleggia su soffici nuvole. Nella realtà, mia piccola amica, c’è di mezzo il sangue e il dolore, se l’uomo non ha la dovuta grazia. Ed un giovane come quello, raramente trova in mezzo al proprio piacere lo spazio per accogliere le paure e tutte le altre emozioni di una giovane donna.»
Roxanne lo fissava come ipnotizzata, attenta e intenta a vagliare ogni parola. La bella bocca socchiusa come una piccola rosa. Poi si riebbe. Arrossì e, furente, puntò diritta verso la porta.
«Ma di cosa state parlando, Marchese d’Erot? Per chi mi avete preso? Per una contadinella che si offre ad un fattore?»
Lui la lasciò uscire.
Quella sera. Respinse le carezze di Giselle con un “smettila” estremamente sgradevole. Determinata a finirla con quelle cose, le voltò le spalle e cercò di dormire, cercando di ignorare l’amica che, indispettita, trovava da sola il proprio sollievo. Quando Giselle, finalmente, si addormentò, Roxanne aveva ancora gli occhi spalancati e puntati nel vuoto. D’un tratto si decise a sollevare un po’ una coscia. Le sue dita però non cercarono il solito piacere ma, facendosi largo tra le labbra della sua fessurina, cercarono un po’ più a fondo fino a raggiungere i bordi stretti di qualcosa che non sapeva come chiamare. Si esplorò con attenzione, a lungo, e solo dopo molto le sue divennero dolci carezze che la cullarono fino a condurla in un sonno sereno, dove finalmente, in sogno, le apparvero veli azzurri, rosei e bianchi, e, tra soffici nuvole, un letto a baldacchino su cui lei stava distesa coperta da una sottile camicetta bianca. Fu lì che la raggiunse il Marchese e le porse una rosa rossa. Lei lo chiamò “Denis” e lui si stese accanto a lei.
[ci si vede con racconti inediti e alcune foto su http://raccontiviola.wordpress.com/]
«Ve bene, va bene, Claude, scusami. Non volevo litigare.»
Lei aveva sbuffato, poi si era accomodata di nuovo al suo fianco.
Erano rimasti lì ancora qualche decina di minuti. Lei a dolersi del fatto che Cupido l’aveva sempre ignorata, lui a ricordarle che Venere l’aveva benedetta.
«Parti con me, mon petit Claudette. Ti porterò a Parigi, o San Pietroburgo, oppure nelle Americhe o dove vorrai.»
«Ma tu non mi ami, mon petit gitan» rispose lei con un sorriso amaro.
«Amore! Amore!» esclamò il Marchese «se la gente cercasse di più il bene, invece. Il proprio, certo, ma anche l’altrui, invece di questa sciocchezza dell’amour.»
Lei l’aveva guardato colma di stupore «Sciocchezza? È il sentimento più dolce e tenero, eppure più forte e resistente che possa esservi e per voi è un sciocchezza?»
«Sì. E voi parlate di una cosa che non avete mai provato» aveva risposto indispettivo. «E così vi condannate all’infelice ricerca di un’insensata chimera. Vi condannate al fallimento e all’infelicità, incapace in realtà di allontanarvi dalla Magione.»
Lei, inaspettatamente, aveva sorriso «Sei così sciocco, Denis. Sei passionale solo quando esponi le tue idee.»
«E quando fotto.»
«No. Anche quando fotti, non fai che fottere le tue idee. Ma ora basta, è tempo che io vada. Tu aspetta qui un po': non voglio che ci vedano insieme.»
«Claude…» l’aveva supplicata ancora, mentre lei si scrollava le vesti per riordinarle. Sorda ai suoi richiami, se ne era andata senza dire altro.
Dopo che zia Claude se ne fu andata, Roxanne capì di essere rimasta sola con il Marchese, con la sola paratia a dividerli. Lo sentì alzarsi. Lo sentì muovere qualche passo. Lo sentì fischiettare un motivetto sconcio che alcune sere prima aveva fatto ridere a crepapelle il Conte. Poi, d’improvviso, apparve da dietro la paratia. Aveva lo scudiscio ancora in mano, ed un sorriso debosciato in faccia.
«Bene, bene. La graziosa mademoiselle Roxanne spettatrice non pagante.»
Roxanne si tirò in piedi, rossa dall’imbarazzo.
«N-non ho visto nulla» balbettò con gli occhi bassi.
«Ah, beh, in tal caso, mademoiselle Roxanne, mi spiace vivamente per voi. Avreste imparato qualcosa sull’addomesticamento delle giumente recalcitranti che vi sarebbe senz’altro tornato utile, se volete imparare a cavalcare.»
Punta sul vivo, Roxanne sollevò gli occhi con sguardo di sfida. «Io so già cavalcare. E molto bene.»
«Ma io intendevo “cavalcare gli uomini”, mademoiselle.»
A Roxanne mancò il respiro. «Voi…, siete uno… screanzato.»
Il Marchese rise di cuore. «Dopo quello che pocanzi mi ha più volte ripetuto madamoiselle Claude (credo fosse “bastardo”), l’appellativo di “screanzato” mi pare un complimento.»
Roxanne ora era furente.
«Lasciatemi uscire… porco.»
«Ecco, migliorate a vista d’occhio. È un piacere farvi da tutore.»
«Voi non siete il mio tutore!»
«Beh, avete ragione. Ma se cambiate idea…»
Nel proferire questa sua ultima frase, si scostò con un inchino la cui sfacciata cortesia pareva oscenità.
Roxanne puntò diritta alla porta, pensando che quell’uomo era il demonio. La sua voglia di rispondergli a tono, però, la costrinse a rimanere.
«Il mio tutore sarà mio marito. E solo lui.»
Il Marchese rise «Sì, certo. Il vostro principe azzurro. Magari un principe azzurro vecchio, panzone e cattolico che la domenica dopo la messa se ne andrà al bordello.»
Lei si voltò del tutto e vedendola, il Marchese capì di avere sbagliato. Le non era una cinica come Claude o un’ipocrita come la Contessa, né una franca ragazza di campagna come Marie. Era solo una ragazzina innamorata travolta dalla primavera che ora lo stava guardando con le prime lacrime che facevano capolino ai lati dei suoi occhi scuri.
«Mademoiselle, perdonatemi» fece lui commosso andandole incontro.
«Statemi lontano.»
Lui la ignorò. La raggiunse e le prese le spalle tra le proprie mani. La tirò a sé e lei allora scoppiò a piangere posandogli il capo sul petto.
«Perdonatemi, mademoiselle Roxanne. A volte scordo quanto saldamente ci si attacchi ai propri sogni e quanto dolore costi liberarsene.»
«Siete cattivo. Siete cattivo.»
«Sì forse sono cattivo. Ma voi non meritate che lo sia stato con voi, perdonatemi.»
Lei si allontanò per guardalo in faccia. Lui abbassò i suoi occhi su quelli di lei inumiditi dal pianto. La visione di lei innocente e delicata, eppure forte nel tenergli testa, gli fece balzare il cuore dal petto. “Perchè una donna in lacrime ci commuove?” Si chiese. “Perchè troviamo i suoi occhi bagnati così belli? Il pensiero lo colpì e lo riempì di vergogna. E, una volta tanto, lo zittì.
«No, non siete cattivo» osò dire Roxanne, che per la prima volta si accorse dei suoi occhi azzurri. «Però non vi capisco. Trattate le servette come fossero signore e siete addirittura ossequioso con il vostro negro. Poi invece mancate di rispetto a zia Claude in pubblico, mentre di nascosto le fate….»
«Non temete, con Claude giochiamo un nostro vecchio gioco.»
«Ma io non voglio giocare ai vostri giochi. Vi comportate tutti come dei maiali.»
«I maiali non si divertono quanto noi, credetemi.»
Lei si divincolò.
«Ecco vedete: un secondo fa eravate gentile, ora di nuovo avete quel sorrisetto da… diavolo.»
Quella parola, e il tono di lei, lo fece ridere, ma stavolta in modo spontaneo, tanto che anche Roxanne smise il broncio e gli sorrise. Poi però si rifece seria.
«Prima avete detto che è doloroso rinunciare ai sogni. Ma allora perché farlo? Io non voglio.»
«Perchè ci sono sogni che si fanno con la mente ben desta, e questi sono i sogni che cambiano la realtà.»
«Sì, le vostre sciocchezze su una società senza Re. Vi ho sentito parlarne a tavola.»
Lui la ignorò.
«Poi però ci sono i sogni che si fanno a occhi chiusi. E questi sono sogni brutti, perché chi chiude gli occhi si chiude al mondo. E chi si chiude al mondo non lo ama. Lo odia. Ed i sogni che nascono dall’odio sono sogni malvagi. Incubi.»
Stavolta il tono del Marchese era dolce, compassionevole, e Roxanne, benché toccata sul vivo. Si sentì di nuovo le lacrime agli occhi ma trovò la forza di trattenerle e rispondergli. Pensò a Robert, il figlio del fattore (“…oh, Robert!”).
«I miei sogni, non sono così.»
Il Marchese la studiò un attimo.
«Dunque, c’è già qualcuno….»
«No!» gridò lei arrossendo. «No! Che dite? Io non ho mai…»
«Però c’è qualcuno… qui alla Magione.»
Roxanne strinse le labbra, furente. Quell’uomo era davvero un diavolo.
«Non temete, piccola amica, so tenere un segreto. Ma chi può essere? Aspetta aspetta…»
Il Marchese aveva ripreso il tono canzonatorio che le dava sui nervi. Ma stavolta c’era un che di fanciullesco in lui. “Aspetta, aspetta” diceva battendosi l’indice sul mento come in cerca di un’idea. Alla fine ci arrivò.
«Ma certo! Dove volete che vada una ragazzina sola, a cavallo…. Direi che il principe azzurro è biondo e muscoloso. L’ho visto gironzolare con Bernard, dev’essere suo figlio. Credo che si chiami…»
Lei, con il viso di brace, gli saltò addosso e gli richiuse quel nome in bocca con le sue manine.
Lui se la rise di cuore.
«Bene, bene. Cara la mia Roxanne. Devo ammettere che è proprio un bel ragazzo.»
«Tacete, vi prego.»
«Mia piccola farfalla, certo che tacerò. Però,» e qui si fece serio «il vostro è un sogno difficile da realizzare. E poi… offrire il proprio fiore ad un campagnolo…»
«Che intendete?» soffiò Roxanne turbata.
«Nei sogni il primo letto di una vergine sono veli azzurri, rosei e bianchi e un a baldacchino che galleggia su soffici nuvole. Nella realtà, mia piccola amica, c’è di mezzo il sangue e il dolore, se l’uomo non ha la dovuta grazia. Ed un giovane come quello, raramente trova in mezzo al proprio piacere lo spazio per accogliere le paure e tutte le altre emozioni di una giovane donna.»
Roxanne lo fissava come ipnotizzata, attenta e intenta a vagliare ogni parola. La bella bocca socchiusa come una piccola rosa. Poi si riebbe. Arrossì e, furente, puntò diritta verso la porta.
«Ma di cosa state parlando, Marchese d’Erot? Per chi mi avete preso? Per una contadinella che si offre ad un fattore?»
Lui la lasciò uscire.
Quella sera. Respinse le carezze di Giselle con un “smettila” estremamente sgradevole. Determinata a finirla con quelle cose, le voltò le spalle e cercò di dormire, cercando di ignorare l’amica che, indispettita, trovava da sola il proprio sollievo. Quando Giselle, finalmente, si addormentò, Roxanne aveva ancora gli occhi spalancati e puntati nel vuoto. D’un tratto si decise a sollevare un po’ una coscia. Le sue dita però non cercarono il solito piacere ma, facendosi largo tra le labbra della sua fessurina, cercarono un po’ più a fondo fino a raggiungere i bordi stretti di qualcosa che non sapeva come chiamare. Si esplorò con attenzione, a lungo, e solo dopo molto le sue divennero dolci carezze che la cullarono fino a condurla in un sonno sereno, dove finalmente, in sogno, le apparvero veli azzurri, rosei e bianchi, e, tra soffici nuvole, un letto a baldacchino su cui lei stava distesa coperta da una sottile camicetta bianca. Fu lì che la raggiunse il Marchese e le porse una rosa rossa. Lei lo chiamò “Denis” e lui si stese accanto a lei.
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