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Diario di Alessia, decriptato
In quel periodo, vivevo una certa difficoltà, in parte legata a un interesse quasi totalizzante di mio marito per il suo lavoro, che dopo anni di calma piatta, stava assumendo caratteristiche assai stimolanti. Ero molto legata alla casa, ai figli ed ero sostanzialmente un po’ trascurata.
Uno dei pochi momenti di libertà era la passeggiata del sabato mattina, con mio marito o con la mia amica Anna.
Quel sabato, Gianni lavorava, sarei andata con Anna, che, come ogni tanto faceva, mi diede buca.
Decisi comunque di non rinunciare e di passeggiare da sola.
Quella mattina di giugno era favolosa e non volevo perder l’occasione di muovermi all’aria aperta.
Evitai i percorsi battuti, quasi un salotto mobile della mia città, ma tagliai per sentieri secondari.
Era meraviglioso quel mattino, di luce intensa, cielo azzurrissimo. Il fogliame di un bel verde tenero e brillante. Mi perdevo in quel silenzio della campagna. Avevo sbagliato le scarpe, perché quelle vecchie scarpette mi facevano molto caldo e i piedi soffrivano, ed io con loro. Non incontrai nessuno. La stradina bianca che percorrevo, poco più che un sentiero, affiancata da un piccolo fossetto dove l’acqua scorreva limpida, descriveva una curva che ne impediva un’ulteriore vista. Superata la curva mi trovai in un piccolo slargo, dove notai al riparo degli alberi un camper, bianco. Mi girai. Stavo quasi, presa da un’irragionevole paura, per ritornare indietro, quando una voce calda mi richiamò con tono allegro. “Buongiorno. Sta scappando? Non la mangio mica.”
Per educazione, ma anche tranquillizzata da quella voce, andai verso l’uomo.
Si presentò. Si definì un artista, fotografo e acquerellista, che appena poteva, lasciava il suo lavoro di psicologo, prendeva il suo camper e partiva.
Era interessante, 40 anni, magrissimo, capelli castani, il volto incorniciato da una barba curata. Non era bello, ma interessante con un naso importante, con il viso illuminato da due occhi verdi smeraldo, come il giovane fogliame di questa stagione. Cominciammo a parlare in piedi, vicino al suo veicolo; era molto intuitivo e gli ci volle poco per intuire il mio stato d’animo di quel periodo. Parlare con lui mi rasserenò: mi fece vedere la mia situazione in maniera più oggettiva, smontando i miei problemi, ridimensionandoli, valorizzando anche l’interesse di mio marito per il suo lavoro.
Poi mi raccontò dei suoi viaggi, degli incontri della sua vita. La sua facondia era straordinaria. Il linguaggio, ricercato e incisivo, mi catturava.
“Venga le faccio un caffè, mentre le mostro i miei disegnacci” Lo seguii nel piccolo camper e la moka fu sul fornellino.
I “disegnacci” non erano tali, ma piuttosto bellissimi acquerelli che ritraevano prevalentemente la natura rigogliosa di quel periodo. Bevemmo il caffè seduti nello stretto camper.
Avrei voluto togliermi quelle maledette scarpe, ma logicamente non potevo. I piedi bollivano. Mi allentai i lacci. “La vedo che sta soffrendo. Si tolga pure le scarpe. Le scarpe, sa, sono come le idee ossessive, possono soffocarci”.
Prendendo l’iniziativa mi liberò i piedi dalla calzature, provocandomi un certo imbarazzo Il tocco delle sue mani sulle mie estremità aveva comunque stabilito un contatto intimo. “Ora è più libera, si rilassi. Vorrei farle uno schizzo,” e presa la matita tracciò velocemente dei tratti su un foglio, che delinearono un volto: ero proprio io. Mi chiese, per favore, di rimanere senza maglietta per completare il ritratto. “Non sia imbarazzata”. Obbedii e mi trovai a seno nudo. Continuava a parlare con voce calda, suadente, ipnotica. Mi colpiva che continuasse a darmi del lei.


Ormai, non ero certa di cosa fare. Rinsavire ed andarmene o abbandonarmi a quella fascinazione che si era impadronita di me. “ Si lascia andare”: mi accarezzò delicatamente i seni tonici e ben fatti, mi sfilò i jeans e gli slip. Continuai a lasciarlo fare. Sapevo di sbagliare ma ero attirata in quel gorgo di eccitata curiosità. Mi leccò la vagina che era piena di secrezioni odorose. Le bevve. Si retrasse un attimo, per spogliarsi e rimanere a sua volta nudo. Mi colpì, il suo bel cazzo, che contrastava con la magrezza del suo corpo; pareva esserne quasi un’entità autonoma.
Mi allargò le gambe, ponendo i miei piedi sulle sue spalle, e mi penetrò. Avevo fatto l’amore solo con Gianni, non c’era stato nulla né prima né dopo di lui. Era una sensazione nuova, avevo il ritmo cardiaco e il respiro molto accelerati. Sentii il suo cazzo palpitare dentro di me. La mia figa venne riempita, invasa. Quanto durò quella scopata! L’artista era esperto di amore tantrico, e mi fece godere ripetutamente. “Godi bellissima, urla, lasciati andare”. Era passato al tu. Finì con eiacularmi sull’addome, un getto di sperma caldo, mentre entrambi gemevamo di piacere.
Si era fatto tardi e così mi riaccompagnò per un tratto, in camper, per favorire un mio ritorno più veloce a casa..
Mi disse “ Vedi cara, bellissima donna, non ti fidare di gente come me. Pronuncia tanti discorsi colti, affascinanti, usia parole ricercate, fa l’intellettuale, interessato solo a cose spirituali, ma vuole la stessa cosa di tutti. Io, te lo dico seriamente, ho desiderato dal principio, appena ti ho vista, che fossi mia. Volevo la tua figa, altro che filosofia e ritratti vari, volevo scoparti assolutamente. Comunque, tu sei deliziosa, semplicemente fantastica e, lo dico seriamente, in questo momento invidio tuo marito. E’ un coglione a trascurarti, ma è fortunato perché tu sei con lui.
Scesi dal camper, lo salutai. Mi disse con uno sguardo triste: “ Mi piacerebbe far l’amore con te tante volte, ma purtroppo è un sogno. Tornai a casa. Avevo la testa confusa: forse era stato tutto un sogno, un sortilegio…, poi avvertii qualcosa nella tasca posteriore: un foglietto ripiegato. Era il mio ritratto.
di
scritto il
2015-12-22
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