Insignificante
di
Albert.gi
genere
etero
Riccardo abbracciò il gruppetto di colleghi, cominciò ovviamente dalle colleghe, con tanto di baci sulle guance e scherzose strizzatine sulle natiche, poi un caloroso saluto anche a Sandro.
“Dovremo ripeterlo più spesso,” gli disse con una cameratesca pacca sulla spalla, “non possiamo stare altri nove anni senza vederci!”
“Guarda che dipende solo da te. Noi quattro lavoriamo nei paraggi, basta un giro di telefonate, troviamo il modo di liberarci da figli e consorti e si organizza in un baleno. Invece lui…” si rivolse alle colleghe facendo roteare la mano, “lui è il pezzo grosso, l’uomo che ha fatto carriera ai piani alti di Milano!”
Riccardo scosse la testa e si massaggiò fianchi e ventre a evidenziare gli innegabili chili di troppo. “E’ qui che sono un pezzo grosso, altro che piani alti! Da quando lavoravamo assieme ho preso almeno dieci chili!”
“Ragazzo, sono passati più di vent’anni da quel bel periodo, abbiamo preso tutti qualche chilo, qualche capello bianco e qualche ruga. Ma siamo ancora belli come allora!”
Beatrice rise e se ne restò un po’ in disparte, come sempre; anche allora era così. E come allora non si sentiva coinvolta in quel commento, lei non era mai stata bella, non lo era all’epoca in cui avevano lavorato assieme, una scialba ragazzina neo diplomata, e non lo era certo ora, a quarant’anni suonati.
Riccardo la prese affettuosamente per mano facendola sussultare. “Andiamo Bea, si sta facendo tardi, loro tre ci mettono un attimo a tornare a casa ma a noi ci aspetta un bel viaggetto. Dopo chi lo sente il tuo maritino se ti porto a casa nel cuore della notte?”
L’ultimo giro di saluti, baci e abbracci poi lui e Beatrice si avviarono verso l’auto.
Era una tiepida serata di maggio, il lungomare di Cesenatico era ancora deserto, i negozi chiusi, le insegne spente. Da lì a meno di un mese tutto avrebbe preso vita ma a Riccardo piaceva così, aveva sempre amato le località balneari fuori stagione.
“Ci pensi Bea?” le disse osservando i suoi capelli castani mossi dalla brezza, “sono passati ventidue anni da quando ci siamo ritrovati assieme alla filiale di Ravenna! Tu e Martina neoassunte, Vittoria al suo primo turno estivo e io e Sandro che facevamo i bulli, i bancari vissuti, e avevamo sì e no un anno di lavoro sulle spalle.”
“Ventidue anni e sembra ieri,” annuì Beatrice. “Almeno per me.”
All’epoca loro cinque erano i più giovani in quella grossa filiale, avevano legato subito, erano diventati amici anche fuori dal lavoro. Poi le vicissitudini professionali avevano portato ognuno per la propria strada ma erano rimasti uniti, sempre in contatto, e di tanto in tanto si ritrovavano per la loro cena dei ricordi.
Fin quando, una decina di anni prima, Riccardo aveva accettato un incarico in Direzione a Milano. Aveva abbandonato la Romagna per trasferirsi nel capoluogo lombardo e la bella abitudine si era interrotta.
Salirono in auto e si avviarono verso Ravenna, dove viveva Beatrice. Come le altre volte Riccardo era passato a prenderla, le loro cene di gruppo erano sempre in qualche località sulla riviera e per lui Ravenna era di strada. Sia all’epoca, quando ancora abitava in Romagna con l’ex moglie, che ora, in quella settimana di ferie in cui era sceso a trovare gli anziani genitori.
“Comunque non correre, non c’è nessuna fretta,” gli disse la donna appena imboccata la provinciale Adriatica, “Paolo è fuori tutta la settimana per lavoro, non importa a che ora rientro. E adesso l’Adriatica è disseminata di Velox, ti conviene rispettare i limiti.”
“Hai lasciato Mattia a casa da solo?”
Lei sorrise. “Guarda Riccardo che il tempo è passato per tutti. Mattia ha diciannove anni, è al primo anno di università, torna a casa solo nei week-end.”
“Diciannove anni, che cavolo! Me lo ricordo un marmocchio con l’apparecchio ai denti e la passione per le armi giocattolo…”
“Dieci anni fa era così. Ora è un uomo, ha la patente e la morosa…”
“Quindi,” si girò verso di lei, “sei a casa tutta sola?”
“Essì,” sospirò, “succede sempre più spesso ormai. Fino a qualche anno fa Paolo faceva carte false per evitare le trasferte di lavoro, ora non c’è settimana che non passi qualche giorno fuori casa.”
“Fantastico, così tu puoi darti alla pazza gioia!”
La sentì sbuffare piano. “Sapessi… dovresti conoscermi ormai, non ho mai avuto una vita molto intensa.”
Si voltò verso di lei e incrociò il suo sguardo, mentre le sorrideva gli parve di notare una luce strana nei suoi occhi, un’espressione insolita, quasi forzata. Sotto la luce intermittente dei lampioni notò anche che la gonna le era salita ben oltre il ginocchio, scoprendo parte delle sue cosce pallide.
‘La piccola Bea sta per caso cercando di sedurmi?’ si domandò incredulo, trattenendo a fatica il sorriso. No, impossibile, si conoscevano da troppo tempo, lei era sempre stata la ragazza schiva e posata, quella senza eccessi, senza grilli per la testa.
Proprio per questo fin dai primi tempi lui e Sandro si erano divertiti a provocarla e a stuzzicarla, godendosi le sue facce scandalizzate e i suoi rossori di fronte alle loro battute oscene.
Anche prima, a tavola, memore di quei battibecchi scherzosi, si era tolto una scarpa e le aveva fatto ‘piedino’, risalendo fino all’interno del suo ginocchio. Beatrice si era irrigidita col suo classico sguardo smarrito, poi scuotendo la testa aveva sorriso e articolato con le labbra un silenzioso “Scemo!”.
Impossibile che avesse frainteso, si disse Riccardo, pur non frequentandosi da quasi dieci anni lei sapeva benissimo con chi aveva a che fare.
Eppure nel silenzio di quell’abitacolo c’era un’atmosfera strana, Riccardo sentiva su di sé lo sguardo della collega e quando si voltava per sorriderle lei non abbassava gli occhi.
Molto strano per una come Beatrice.
“Sai che in questi dieci anni non sei cambiato affatto?” disse lei interrompendo quel lungo silenzio.
“Scherzi vero? Guardami bene e li vedrai tutti i miei quarantasei anni.”
“A me sembri addirittura ringiovanito, pensa un po’. Forse ti ha fatto bene l’aria di Milano, chissà come te la spassi lassù.”
“Diciamo che mi sono integrato, via. Per quanto continui ad amare la mia Romagna, devo ammettere che a Milano mi trovo bene.”
“Donne a volontà, suppongo.”
“Sì,” rise lui con ironia, “devo tenerle a distanza per non farmi travolgere!”
Lasciò scivolare la mano dal pomello del cambio fin sul suo ginocchio, trovò la gonna ancora sollevata e lei non fece nulla per sottrarsi a quel tocco, dieci anni prima sarebbe schizzata fuori dal finestrino. Due indizi a volte fanno una prova, pensò ritraendo lentamente la mano.
“Dai!” proseguì con tono divertito, “mi hai visto bene? Sono un uomo di mezz’età con un po’ di pancetta, la fronte stempiata e un lavoro stressante che mi tiene in ufficio fino alle otto di sera, secondo te ho donne a volontà?”
“Via, non fare il finto modesto, sei ancora un discreto fico e lo sai bene. E poi il Ricky che ricordo io era un marpione indomito, sempre a caccia, anche in quei pochi anni che è rimasto sposato. E come ben sai, il lupo perde il pelo…”
Tornò a guardarla e risero nuovamente, quell’atteggiamento però non era da lei, poco ma sicuro. Quindi… forse sì, forse stava veramente cercando di sedurlo. O quanto meno si stava sforzando di provarci.
Situazione piuttosto imbarazzante per Riccardo. Non aveva mai guardato Bea da quel punto di vista, mai neppure un vago pensiero. Non era il tipo di donna che stimolasse certe fantasie.
Non che fosse brutta, era semplicemente anonima, insignificante. In viso neanche male, lineamenti regolari e gradevoli anche se piuttosto banali, ma quanto a fisico… niente culo e poche tette, piatta come un tagliere, senza neppure le rotondità dei fianchi e le insenature in vita.
Insomma, una donnina scialba che ispirava tutto fuorché sesso.
E quello era il minore dei problemi, l’altro era il loro rapporto. La conosceva da più di vent’anni, erano amici da tanto di quel tempo che la considerava una specie di sorella minore. Conosceva piuttosto bene anche Paolo, suo marito, era un uomo semplice e alla mano, l’uomo adatto per Bea.
Continuarono a chiacchierare per tutto il viaggio, Riccardo non l’aveva mai sentita così loquace e visti i vari argomenti trattati iniziò a pensare di essersi sbagliato. Non c’era più stato alcun accenno in tal senso, forse aveva solo frainteso.
Quando arrivarono nei pressi di Ravenna aveva quasi dimenticato quell’assurda idea.
“Ricordi il primo viaggio col CRAL che abbiamo fatto assieme?” stava chiedendo lei.
“Ne ho fatti talmente tanti di viaggi col CRAL aziendale che se devo dirti qual è stato il primo…”
“Cuba, Varadero, ottobre ’94. O forse ’95.”
Riccardo annuì, evitando di dirle che non ricordava ci fosse pure lei. “Sì, è vero. Gran bella vacanza.”
“All’epoca avevo una passione maniacale per la fotografia, possedevo una Canon Reflex con un teleobbiettivo enorme…”
Gli tornò alla mente l’immagine della piccola Bea con la grossa macchina fotografica sempre al collo. “E’ vero, non te ne separavi mai!”
Abbandonò la statale Adriatica per imboccare i viali di Ravenna, erano quasi arrivati a casa di Beatrice.
“Sai,” continuò lei, “in quella vacanza ho scattato almeno duecento foto, di queste una ventina non le ha mai viste nessuno.”
“Come mai?”
Con la coda dell’occhio la vide stringersi nelle spalle. “Molto, molto personali,” sospirò. “Però…”
Riccardo accostò sul marciapiede sotto casa di lei. “Però?”
“Beh, dopo tutto questo tempo…” la voce le usciva piano, a fatica. “Insomma, vorrei farle vedere a te. Se ti va…”
Quel ‘se ti va’ doveva esserle costato moltissimo e Riccardo rizzò nuovamente le antenne. Guardò l’orologio al centro del cruscotto. “E l’una di notte passata, io sono in ferie ma tu domattina devi andare al lavoro, siamo solo al mercoledì…”
“Per me non è un problema, sono una che dorme pochissimo. Se non è un problema per te…”
Era combattuto. Non gli sembrava affatto una buona idea salire in casa sua a quell’ora della notte, soprattutto se i suoi presentimenti erano corretti. Ma allo stesso modo non voleva deluderla.
Spense il motore e le sorrise. “Per me nessun problema, figurati, speriamo solo che i tuoi vicini siano già a letto, non immagino i commenti se ti vedessero rincasare con un uomo a quest’ora…”
“Credimi, non sono affatto preoccupata di ciò che pensano i miei vicini.”
Entrarono nel condominio, i tre piani in ascensore furono in assoluto silenzio.
L’appartamento era piccolo e curato, neppure un cuscino fuori posto sul divano, esattamente come Riccardo si aspettava fosse la casa di Beatrice.
Lei lo fece accomodare in soggiorno e si assentò per pochi secondi, al suo ritorno teneva fra le mani una piccola scatola.
“Vuoi qualcosa da bere?” domandò per rompere il ghiaccio.
“Mi sa che abbiamo bevuto anche troppo e io ho altri venticinque chilometri fino a casa.”
“Sì, è vero, abbiamo bevuto parecchio a tavola. Anche io…” annuì pensierosa. “Comunque questo… questo è il mio segreto, gelosamente conservato per oltre vent’anni. Sei il primo, oltre me, a vederle.”
Gli porse la scatola con evidente imbarazzo.
Riccardo la aprì e iniziò a sfogliare le foto mentre lei si sedeva al suo fianco. Rimase solo parzialmente sorpreso nell’accorgersi di essere il protagonista assoluto di quelle immagini, per quale motivo altrimenti avrebbe voluto mostrarle proprio a lui dopo tutto quel tempo? Erano foto riprese a notevole distanza, lo si notava dall’effetto di sfocatura dei dettagli provocato dal teleobiettivo, e tutte a sua insaputa.
In una si baciava con una collega seminascosto dietro a una palma. “Questa è…”
“Giorgia Benelli, all’epoca lavorava ai crediti,” concluse prontamente lei. “Quella con cui hai avuto una storia durante quella vacanza.”
“Pazzesco, me l’ero persino dimenticato…” scosse la testa e continuò a sfogliare. “Ma… perché tutte foto mie? Tutti questi primi piani, queste strane inquadrature…”
“Avevo una cotta per te, Ricky, ero innamorata persa. L’insulsa ragazzina con una sbandata cosmica per uno come te, ci pensi?”
Riccardo si volse verso di lei, era come se la vedesse per la prima volta. Non l’aveva mai immaginato, mai neppure un vago sospetto. In quell’occasione Beatrice abbassò gli occhi, non riuscì a reggere lo sguardo.
Lui le sollevò il mento. “Come mai hai deciso di dirmelo adesso?”
Una lunga esitazione. “Non lo so, ero felice di averti rivisto dopo tutto questo tempo. Ho pensato che forse…” scosse la testa, “beh, non so, volevo che lo sapessi.”
“Ora lo so e, credimi, sono un po’ confuso…”
“Via,” si sforzò di sorridere, “uno come te confuso, non sei proprio il tipo.”
All’improvviso allungò la testa verso di lui e gli posò un bacio sulle labbra. Prima lieve, delicato, poi più deciso.
“Bea…” espirò Riccardo. “Sei sicura che sia la cosa giusta? Paolo…”
“Paolo niente, Ricky, lui non c’entra niente. Potrebbero passare altri dieci anni prima che ti riveda e dopo sarà tardi.”
Tornò a baciarlo, stavolta fu un bacio vero.
Chi l’avrebbe mai detto pensò Riccardo sentendo la timida lingua insinuarsi fra le sue labbra, la piccola e ingenua Bea! Non la faceva capace di tanta intraprendenza.
E a quel punto come reagire? Respingerla? Cercare di spiegarsi, di giustificare…
I suoi dubbi furono interrotti da una mano titubante che si appoggiò leggera sulla sua patta, non poteva giurarci ma gli parve di sentirla tremare.
Si staccò dalle sue labbra. “Bea…”
“Non dire nulla ti prego…” sussurrò deglutendo a fatica e portò anche l’altra mano su di lui, con gesti concitati gli aprì i pantaloni ed entrò nei suoi slip.
Il sesso di Riccardo era ancora completamente rilassato, stava accadendo tutto così all’improvviso, così inatteso, non c’era stato il tempo per realizzare. Ma quando lei lo afferrò a due mani e iniziò ad accarezzarlo la reazione fu rapida e immediata, il cazzo prese velocemente turgore, uscì dagli slip quasi interamente eretto.
Lei abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire un sorriso, forse aveva temuto di non riuscire neppure ad eccitarlo.
Senza una parola si chinò col busto e appoggiò le sue labbra emozionate sul grosso glande lucido, qualche timida carezza con la lingua poi si abbassò maggiormente accogliendo in bocca l’intero cazzo.
“Oh cavolo Bea!” ansimò lui trattenendo il respiro. “Cavolo, cosa stiamo facendo?”
Lei non si fermò e non alzò neppure lo sguardo, si limitò a sollevare una mano per tappargli la bocca.
Riccardo stentava a credere che stesse succedendo per davvero, non era possibile che Bea, la piccola Bea che conosceva da oltre vent’anni, fosse chinata sul suo grembo intenta a fargli un pompino! E che pompino, cavolo, mai al mondo l’avrebbe immaginata così abile. Le labbra erano morbide e avvolgenti, umide e scivolose mentre si abbassava, più sostenute mentre risaliva. Il movimento era ampio e profondo, non troppo veloce e non troppo lento, rasentava la perfezione.
Si gustò per qualche istante quel piacevolissimo quanto inaspettato su-e-giù poi alla fine abbandonò ogni remora e si lasciò andare.
In fondo era lei a volerlo, sembrava decisa e determinata, che altro poteva fare?
Si appoggiò contro lo schienale del divano e distese le gambe, non aveva certo intenzione di fermarla, non più.
Sollevò i lunghi capelli che le coprivano il viso e cercò i suoi occhi. “Ehi, piccola e incredibile Bea!” un lungo sospiro, “la mia pudica e schizzinosa Bea, chi l’avrebbe mai detto che eri così brava?”
Lei arrossì ma resse lo sguardo, si sfilò il cazzo di bocca tenendolo appoggiato alle labbra. “Ho seguito i tuoi consigli, che credi? All’epoca mi scandalizzavi e mi scioccavi ma poi metabolizzavo tutto. E mettevo in pratica.”
Riccardo rise, sinceramente colpito. “Via ammettilo, fingevi di essere scandalizzata...”
“No, no, mi sconvolgevi proprio. Poi però le tue parole mi restavano impresse in mente e mi dicevo: se a un porco come lui piace così, figurarsi a uno normale…” risolino forzato, “e così, quando capitava, provavo…”
“E scoprivi che la cosa divertiva anche te.”
Un’avvolgente leccata a tutto il cazzo con lo sguardo perso nel vuoto. “In effetti…”
Lui sorrise nuovamente difronte a quel dolcissimo tentativo di mostrarsi disinvolta e provocante. Le tenne i capelli sollevati e la sospinse delicatamente verso il basso. “Allora divertiti finché vuoi, l’inizio era molto promettente.”
Beatrice scivolò lentamente giù dal divano, si rannicchiò sul tappeto fra le sue gambe e ricominciò da dove interrotto poco prima. Sentiva il cuore esploderle nel petto e il fuoco divamparle fra le cosce, quante volte aveva sognato quel momento? E quante volte si era detto che sarebbe rimasto solo un sogno?
E invece era riuscita a tirare fuori il coraggio, un’audacia che non sapeva di avere. Erano settimane che ci pensava, da quando la famosa cena era stata fissata, settimane che cercava di motivarsi, di autoconvincersi, di spronarsi. Che sarà mai, si era detta, al massimo l’avrebbe rifiutata col suo solito tatto, col suo modo accondiscendente di scherzare e sdrammatizzare, peggio non poteva andarle.
Invece non l’aveva rifiutata, era rimasto un po’ interdetto all’inizio ma ora… ora apprezzava eccome, e lei stava dando il massimo, tutta sé stessa.
Era vero che le piacesse praticare il sesso orale, lo trovava eccitante e divertente ma con lui era un mondo a parte, era una sfida con sé stessa.
Era abituata a farlo ad occhi chiusi e con i capelli a coprirle il volto, in questo non aveva mai seguito i consigli di Riccardo secondo cui “…per un maschietto guardare è metà del godere…”, ma ora lui continuava a spostarle i capelli dietro l’orecchio, così vincendo tutti i suoi pudori aprì gli occhi e lo cercò. Forse arrossì di fronte a quello sguardo attento e pieno di libidine ma non si arrese, anzi si applicò con ancora maggiore impegno.
Dopo alcuni minuti il respiro di Riccardo si fece più affannato e il suo cazzo sempre più duro, segnali che Beatrice conosceva bene. Rallentò ad arte per prolungare il reciproco divertimento, voleva farlo morire, voleva che quella sera gli restasse impressa nella mente.
Ripensò a quel pomeriggio di tanti anni prima all’interno della filiale di Ravenna quando Riccardo le si era avvicinato alle spalle incurante della fila allo sportello.
“Un consiglio infallibile per far impazzire quel Paolino che ti ronza attorno…” le aveva bisbigliato all’orecchio.
“Ricky sto lavorando, ho gente…”
Ma lui aveva proseguito imperterrito. “Al prossimo pompino fermati sul più bello e sussurragli: ‘Muori dalla voglia di venirmi in bocca, vero bel maialino?’, lo vedrai cadere come una pera cotta!”
Le era stato difficilissimo restare impassibile di fronte ai clienti, si era voltata e a labbra strette l’aveva apostrofato: “Ricky, sei disgustoso!”
A quel ricordo tornò ad aumentare l’andatura, si abbassava fino a sentirlo in gola e risaliva completamente, un movimento che ottenne ben presto i risultati sperati. Gli occhi di Riccardo erano diventati piccole fessure di piacere e le sue mani sulla nuca la invitavano a continuare così, senza rallentare.
Invece si fermò, si interruppe proprio quando i muscoli delle cosce iniziavano a irrigidirsi, quando cominciava a trattenere il respiro. Si alzò in piedi e andò a baciarlo con le sue labbra viscide di saliva e calde di cazzo, poi cercò il lobo del suo orecchio. “Sono più di vent’anni che sogno di dirtelo…” alitò.
Lui corrugò la fronte con aria interrogativa. “E cioè?”
Un’indecisione, un lungo respiro per infondersi coraggio. “Muori dalla voglia di venirmi in bocca, vero bel maialino?”.
Ecco, l’aveva fatto, si sentì avvampare ma c’era riuscita.
A Riccardo servì qualche secondo per realizzare, poi ricordò e scoppiò a ridere. La attirò a sé, baciandola con foga. “Oh sì, puoi giurarci piccola Bea, sto morendo dalla voglia di goderti in bocca, sto impazzendo solo all’idea!” le sollevò il mento per fissarla negli occhi, se lo voleva maialino avrebbe trovato pane per i suoi denti. “Anche perché chi se lo immaginava che fossi così brava, così esperta e passionale?” le succhiò piano un labbro. “Una meravigliosa e fantastica bocchinara, un’artista del pompino…”
“E tu sei il solito porco, vedo…”
“Oh sì, puoi giurarci, anche più di allora. Preoccupata?”
Scosse piano la testa anche se gli occhi tradivano una certa inquietudine. “Assolutamente no…”
“Molto bene, allora credo che ci divertiremo stasera. Che ne dici intanto di portare a termine il tuo capolavoro?”
Beatrice si passò la lingua sulle labbra, per una notte voleva davvero trasformarsi nella donna che non era. “Ogni tuo desiderio è un ordine…”
E gli dimostrò quanto fosse davvero abile, quanto amasse sentire il piacere del suo uomo, quanto godesse del suo godere. E lo fece sempre ad occhi aperti, fissi nei suoi, senza perdersi neppure un istante delle smorfie che gli sfigurarono il viso nel suo momento magico.
Al termine Riccardo rimase abbandonato contro lo schienale ansante e appagato, un vago sorriso gli dipingeva sul viso un’espressione incredula. “Uhau piccola Bea, sei un vulcano di sorprese. Non ti facevo così… golosa…”
Lei rise piano, restando appoggiata col mento alle sue cosce. Aveva ingoiato tutto il piacere di Riccardo, fino all’ultima stilla, poi aveva continuato a succhiare e a leccare il cazzo dei suoi sogni fin quando l’aveva visto, esausto, appoggiarsi di lato, fra testicoli e pube.
In genere dopo un servizietto del genere andava in bagno a sciacquarsi la bocca, quella sera non ne sentì il bisogno, voleva conservare il sapore di Riccardo.
“Fammi una piccola confessione Bea,” sospirò lui accarezzandole i capelli, “quanti uomini si sono guatati questi meravigliosi pompini?”
“Non cambierai proprio mai, sempre curioso e impertinente.”
“Porco, curioso e impertinente, esatto, proprio come allora. L’hai detto tu, no? il lupo perde il pelo…”
Risero assieme.
“Solo che allora non mi rispondevi, svicolavi tutta rossa in viso. Stasera invece voglio sapere. Quanti uomini?”
Vagò con lo sguardo. “Un paio prima di Paolo, cose di poco conto e… beh, non ero così esperta, diciamo. Poi solo Paolo, e ora tu.”
Lo turbò sapere di essere il primo con cui tradiva suo marito ma cercò di non pensarci, ormai aveva messo da parte ogni scrupolo.
Si sollevò dalla sua posizione e la invitò ad alzarsi a sua volta poi la fece accomodre sul divano, semisdraiata con la testa sul bracciolo. Le sollevò la gonna fino a scoprire un paio di slip bianchi, semplici ma eleganti, sicuramente indossati per l’occasione. Le cosce pallide erano sottili e affusolate, neanche così male per la verità.
Si accomodò all’altro capo del divano, appoggiato sul bracciolo opposto, perfettamente difronte a lei. “Ora toccati, Bea. Toccati per me.”
Neanche a dirlo arrossì violentemente ma non obiettò, il tono di Riccardo non ammetteva repliche. La sua mano destra scese lentamente, raggiunse il leggero cotone degli slip e si abbassò fino in mezzo alle cosce, poi iniziò a muoversi in piccoli movimenti circolari.
“Dentro le mutandine, Bea. Infila la mano sotto.”
Turbata, eccitata e confusa obbedì. Entrò all’interno e scese a toccarsi, era in un lago di umori caldi e viscidi, non ricordava di essersi mai scoperta così bagnata. Le due dita centrali scivolarono velocemente al centro delle labbra vaginali e il suo respiro divenne pesante, le risultò difficilissimo trattenere i gemiti. Era terribilmente imbarazzante ma allo stesso tempo bellissimo esibirsi per lui, la stava fissando con occhi pieni di erotismo, uno sguardo in grado di ipnotizzarla.
Lo vide sporgersi verso di lei, con gesti decisi le fece sollevare il sedere per sfilarle le mutandine intimandole di non smettere. Ora era esposta al suo sguardo, la gambe larghe e leggermente rannicchiate, la fica gonfia e umida, la mano che giocava abilmente fra le pieghe bollenti, stuzzicando il grosso clitoride turgido.
“Quando ti masturbi fai anche qualcosa in più, vero dolce Bea?”
Si morse il labbro inferiore, il cuore sembrava impazzito, il desiderio alle stelle. Annuì.
“Fammi vedere.”
La mano scese ulteriormente, le gambe si divaricarono ancora di più, il dito medio scivolò dentro di lei strappandole il primo forte gemito, impossibile da contenere. Iniziò a muoverlo, dentro, fuori, dentro, fuori, col bacino assecondava i movimenti e i suoi ansimi divennero sempre più profondi.
“Sei bellissima, Bea. Straordinariamente sexy.”
Si alzo in piedi e si posizionò accanto al suo viso, il cazzo penzolava ancora privo di energia ma uno spettacolo del genere aveva già riacceso i suoi desideri, era solo questione di minuti. Si appoggiò alla spalliera in un chiaro invito che lei colse senza indecisioni, allungò la testa e prese in bocca quel cazzo floscio senza smettere di masturbarsi.
Lo sentì crescere rapidamente fra le sue labbra, una soddisfazione che la mandò in estasi.
“Accidenti che bocca,” sorrise lui, “stai facendo miracoli. Me l’hai già rimesso in forma…”
Lei rispose con occhi languidi e felici, la sua mano aumentò il ritmo e lo stesso fece la sua bocca.
Poi Riccardo la fermò, sfilò il cazzo e glielo appoggiò sul viso. “Voglio sentire la tua voce, Bea. Voglio che ti lasci andare, voglio frasi oscene, voglio sentire i tuoi desideri…”
Prese un paio di respiri prima di decidersi. “Muoio dalla voglia di sentirti, Ricky, ti voglio dentro di me…”
Lui si chinò. “Sai fare meglio,” le sussurrò all’orecchio, “ti voglio più maialina.”
Beatrice scosse la testa e rise divertita, non era il suo ruolo, non lo era mai stato ma per una sera… “Allora scopami Ricky, scopami e fammi godere. Metti questo tuo bel cazzo al posto del mio dito e fammi morire, non resisto più!”
“Decisamente meglio, piccola, decisamente meglio… sei sulla buona strada.”
Andò a rannicchiarsi fra le sue gambe spogliandosi velocemente. “Prima però voglio assaggiarti,” le disse abbassando la testa, “e dopo ti darò ciò che vuoi.”
Spostò di lato la sua mano e appoggiò la bocca a quel sesso fradicio, mordicchiò le grandi labbra vaginali poi si spinse all’interno, leccando e assaporando ogni angolo, ogni anfratto.
Beatrice si abbandonò a quell’intenso piacere con entrambe le mani sul viso, il corpo ondeggiava senza controllo, in pochi minuti ebbe un orgasmo violento e bellissimo, che la lasciò senza fiato.
Riccardo risalì su di lei, la spogliò nuda e baciò ogni centimetro della sua pelle, soffermandosi a lungo sui turgidi capezzoli. Il seno non era certo la sua parte migliore ma nel complesso, vista a figura intera, era meglio di come se l’era immaginata. Aveva scopato quarantenni con fisici molto più cadenti, donne che truccate, pettinate e vestite con abiti eleganti facevano una gran figura, ma che poi nell’intimità mostravano tutti i loro difetti. Beatrice era naturale e genuina, nuda faceva quasi più figura che vestita.
Era venuto il momento di farla sua, di esaudire i suoi desideri, si inginocchiò fra le sue gambe e la amò.
Beatrice cercò di barcamenarsi nel suo miscuglio di emozioni, si lasciò andare, decisa a godersi intensamente ogni piacere e allo stesso tempo cercò di restare concentrata nel tentativo di memorizzare ogni sensazione, ogni istante di quel suo sogno che si avverava.
Si sentì scopare con una foga sconosciuta, un impeto e un ardore che il suo corpo non aveva mai provato, dopo pochi minuti ebbe un secondo orgasmo e si avvinghiò a lui con le gambe per riprendere fiato.
“Fammi sentire quando godi, Bea, voglio che me lo dici, hai capito?”
Fece spallucce. “Ho goduto.”
“Sì, me ne sono accorto, ma voglio sentirti mentre, durante. Voglio che mi dici tutto.”
Con movimenti decisi lui ribaltò la posizione, Bea gli si trovò sopra, invitata a prendere l’iniziativa.
Era così strano e bello essere seduta sul suo cazzo, pensò, una sensazione che la mandava in estasi. Appoggiò le mani sul suo petto villoso e cominciò a muoversi, un su-e-giù che partì lento e sensuale e si trasformò col passare dei minuti in una danza sempre più rapida e sfrenata.
Stavolta non si trattenne, mugolò e ansimò senza ritegno, libera di esprimere tutto il suo piacere, si lasciò andare come neppure nei suoi sogni succedeva e quasi con stupore si trovò nuovamente ai confini dell’orgasmo, stava per godere per la terza volta nel giro di neanche mezz’ora, era veramente fuori di testa.
Quando l’impetuosa marea la travolse, accecandola con luci abbaglianti e scariche di piacere in tutto il corpo, scatenò il suo erotismo agitandosi su di lui con una foga mai vista.
Alla fine si accasciò al suo fianco, stravolta e felice. “Tu non vieni?” ansimò baciandolo. “Vuoi che…” si leccò le labbra con tutta la malizia di cui era capace.
“Oh no, piccola Bea, la notte è ancora lunga e ho molti altri progetti per te…”
Si strinse forte a lui, fu sul punto di dirgli che lo amava ma si trattenne appena in tempo. Non voleva diventare patetica, sarebbe terminato tutto con quella notte, lo sapeva bene, l’aveva messo in conto.
Niente sentimentalismi.
Nel frattempo lui si era alzato e l’aveva fatta girare ventre in basso, ora le stava sollevando il sedere per metterla in posizione carponi. Quasi con violenza si sentì nuovamente piena di lui e tornò a farsi trascinare in un crescendo di emozioni e piacere, aveva sempre adorato farsi amare a quel modo ma non ricordava l’ultima volta che era successo.
Meglio, perché il paragone con Paolo sarebbe stato umiliante. Si costrinse quindi a non pensare al marito, ormai fra di loro c’era solo noia e abitudine, non era un caso che lui cercasse ogni occasione per stare fuori casa.
In quella posizione aveva poca resistenza anche in condizioni normali, figurarsi con quel cazzo e quella foga. I brividi lungo la nuca e alla radice dei capelli preavvisarono l’arrivo dell’ennesimo orgasmo.
Lui se ne accorse e si fermò dentro di lei, il pube schiacciato con forza contro le sue natiche. “Stai già venendo?” le domandò incredulo.
“Che posso farci, è bellissimo…”
“Allora adesso lo facciamo diventare ancora più bello.”
Lo sentì uscire e volse la testa indietro con sguardo interrogativo.
Riccardo rise. “Su, lo sai benissimo cosa voglio ora…”
Con le dita rese esplicita la sua allusione, stuzzicò il buchino al centro delle natiche, lo inumidì di saliva e lo forzò con un paio di falangi.
Certo che lo sapeva e lo aveva messo in preventivo, la passione di Riccardo per il lato ‘B’ femminile era universalmente riconosciuta. Ne era preoccupata, questo sì, ma lo aveva messo in preventivo.
“Comunque, se ti interessa, la risposta è ancora: ‘No.’…” gli disse.
“La risposta?”
“Esatto, ricordi quante volte mi hai chiesto: ‘L’hai concesso il tuo culetto a Paolino?’. Era un no allora ed è un no tuttora.”
Lui scosse il capo e sorrise. “Paolino mi delude…”
Sapessi me, pensò lei senza dirlo.
“E quindi,” riprese Riccardo, “credo sia giunto il momento di mettere fine a quest’ingiustizia. Da quel poco che ho visto stasera, sono certo che apprezzerai.”
“Se tu l’esperto…” sospirò cercando di mascherare la tensione.
“Oh sì, puoi dirlo forte. E stavolta quando godi non voglio solo dei ‘Sì…’, voglio sentirti parlare, ti voglio scatenata e maialina, stasera. Voglio sentire quanto ti piace.”
La mattina li ritrovò nudi e abbracciati, alla fine Riccardo aveva dormito lì, era stata una notte molto più intensa del previsto.
Ed era stata una Bea più scatenata e passionale del previsto, la donna che mai avrebbe immaginato.
A dire il vero neppure lei l’aveva immaginato.
Prima di saltarsi, sulla porta di casa, lui la strinse a sé. “Anche la prossima cena dobbiamo organizzarla nella settimana in cui Paolo è fuori per lavoro, che dici?”
Beatrice lo baciò, un lungo bacio sul pianerottolo, fregandosene di eventuali vicini curiosi. “Non importa…” sussurrò. “La prossima volta Paolo non abiterà più qui…”
Riccardo si sistemò i capelli spettinati, leggermente a disagio. “Non stai un po’ affrettando le cose, Bea? Quello che è successo stanotte…”
Lei lo prese per le mani con un sorriso rassicurante. “Non è per quello che è successo stanotte, non preoccuparti, è una decisione che medito da tempo. Sono anni che viviamo sotto lo stesso tetto come due estranei, ora so che se voglio posso avere ancora una vita, una vita molto più appagante di quella vissuta finora…”
Riccardo rimase a lungo a riflettere, con gli occhi fissi nei suoi. Poi sollevò le spalle. “Beh, devo ammettere che stanotte mi hai sorpreso oltre ogni immaginazione e quindi sì, te lo dico in tutta onestà, credo che tu possa ambire a qualcosa di meglio. A molto di meglio.”
Beatrice annuì. “Inizierò a guardarmi in giro e… e a darmi da fare,” sorrisino malizioso, “ho capito che non si possono aspettare gli eventi, a volte vanno stimolati…” tornò a palparlo fra le cosce con molta più sicurezza della sera prima.
Risero assieme.
“Mi sa che dovrò spicciarmi a organizzare la prossima cena del gruppo,” le disse baciandola sulla fronte, “o rischio di trovarti già bella impegnata e addio stupendo dopo-cena! Con le ragazze serie come te non c’è da scherzare…”
“A parte che una ragazza seria come me potrebbe anche fare un’eccezione per un… porco come te, comunque sia, nel caso ti interessasse, Paolo resterà fuori per il resto della settimana. Se non hai impegni per le prossime due sere…”
Riccardo la guardò incapace di trattenere il sorriso, proprio non la riconosceva. La sua piccola ingenua e insignificante Bea. Scosse la testa e la abbracciò soffermandosi con le mani su quel culetto che poche ore prima grazie a lui aveva perso la verginità. “Nessun impegno, Bea, nessunissimo impegno. Sei pronta per altre lezioni di perversione da parte del tuo porco preferito?”
“Dovremo ripeterlo più spesso,” gli disse con una cameratesca pacca sulla spalla, “non possiamo stare altri nove anni senza vederci!”
“Guarda che dipende solo da te. Noi quattro lavoriamo nei paraggi, basta un giro di telefonate, troviamo il modo di liberarci da figli e consorti e si organizza in un baleno. Invece lui…” si rivolse alle colleghe facendo roteare la mano, “lui è il pezzo grosso, l’uomo che ha fatto carriera ai piani alti di Milano!”
Riccardo scosse la testa e si massaggiò fianchi e ventre a evidenziare gli innegabili chili di troppo. “E’ qui che sono un pezzo grosso, altro che piani alti! Da quando lavoravamo assieme ho preso almeno dieci chili!”
“Ragazzo, sono passati più di vent’anni da quel bel periodo, abbiamo preso tutti qualche chilo, qualche capello bianco e qualche ruga. Ma siamo ancora belli come allora!”
Beatrice rise e se ne restò un po’ in disparte, come sempre; anche allora era così. E come allora non si sentiva coinvolta in quel commento, lei non era mai stata bella, non lo era all’epoca in cui avevano lavorato assieme, una scialba ragazzina neo diplomata, e non lo era certo ora, a quarant’anni suonati.
Riccardo la prese affettuosamente per mano facendola sussultare. “Andiamo Bea, si sta facendo tardi, loro tre ci mettono un attimo a tornare a casa ma a noi ci aspetta un bel viaggetto. Dopo chi lo sente il tuo maritino se ti porto a casa nel cuore della notte?”
L’ultimo giro di saluti, baci e abbracci poi lui e Beatrice si avviarono verso l’auto.
Era una tiepida serata di maggio, il lungomare di Cesenatico era ancora deserto, i negozi chiusi, le insegne spente. Da lì a meno di un mese tutto avrebbe preso vita ma a Riccardo piaceva così, aveva sempre amato le località balneari fuori stagione.
“Ci pensi Bea?” le disse osservando i suoi capelli castani mossi dalla brezza, “sono passati ventidue anni da quando ci siamo ritrovati assieme alla filiale di Ravenna! Tu e Martina neoassunte, Vittoria al suo primo turno estivo e io e Sandro che facevamo i bulli, i bancari vissuti, e avevamo sì e no un anno di lavoro sulle spalle.”
“Ventidue anni e sembra ieri,” annuì Beatrice. “Almeno per me.”
All’epoca loro cinque erano i più giovani in quella grossa filiale, avevano legato subito, erano diventati amici anche fuori dal lavoro. Poi le vicissitudini professionali avevano portato ognuno per la propria strada ma erano rimasti uniti, sempre in contatto, e di tanto in tanto si ritrovavano per la loro cena dei ricordi.
Fin quando, una decina di anni prima, Riccardo aveva accettato un incarico in Direzione a Milano. Aveva abbandonato la Romagna per trasferirsi nel capoluogo lombardo e la bella abitudine si era interrotta.
Salirono in auto e si avviarono verso Ravenna, dove viveva Beatrice. Come le altre volte Riccardo era passato a prenderla, le loro cene di gruppo erano sempre in qualche località sulla riviera e per lui Ravenna era di strada. Sia all’epoca, quando ancora abitava in Romagna con l’ex moglie, che ora, in quella settimana di ferie in cui era sceso a trovare gli anziani genitori.
“Comunque non correre, non c’è nessuna fretta,” gli disse la donna appena imboccata la provinciale Adriatica, “Paolo è fuori tutta la settimana per lavoro, non importa a che ora rientro. E adesso l’Adriatica è disseminata di Velox, ti conviene rispettare i limiti.”
“Hai lasciato Mattia a casa da solo?”
Lei sorrise. “Guarda Riccardo che il tempo è passato per tutti. Mattia ha diciannove anni, è al primo anno di università, torna a casa solo nei week-end.”
“Diciannove anni, che cavolo! Me lo ricordo un marmocchio con l’apparecchio ai denti e la passione per le armi giocattolo…”
“Dieci anni fa era così. Ora è un uomo, ha la patente e la morosa…”
“Quindi,” si girò verso di lei, “sei a casa tutta sola?”
“Essì,” sospirò, “succede sempre più spesso ormai. Fino a qualche anno fa Paolo faceva carte false per evitare le trasferte di lavoro, ora non c’è settimana che non passi qualche giorno fuori casa.”
“Fantastico, così tu puoi darti alla pazza gioia!”
La sentì sbuffare piano. “Sapessi… dovresti conoscermi ormai, non ho mai avuto una vita molto intensa.”
Si voltò verso di lei e incrociò il suo sguardo, mentre le sorrideva gli parve di notare una luce strana nei suoi occhi, un’espressione insolita, quasi forzata. Sotto la luce intermittente dei lampioni notò anche che la gonna le era salita ben oltre il ginocchio, scoprendo parte delle sue cosce pallide.
‘La piccola Bea sta per caso cercando di sedurmi?’ si domandò incredulo, trattenendo a fatica il sorriso. No, impossibile, si conoscevano da troppo tempo, lei era sempre stata la ragazza schiva e posata, quella senza eccessi, senza grilli per la testa.
Proprio per questo fin dai primi tempi lui e Sandro si erano divertiti a provocarla e a stuzzicarla, godendosi le sue facce scandalizzate e i suoi rossori di fronte alle loro battute oscene.
Anche prima, a tavola, memore di quei battibecchi scherzosi, si era tolto una scarpa e le aveva fatto ‘piedino’, risalendo fino all’interno del suo ginocchio. Beatrice si era irrigidita col suo classico sguardo smarrito, poi scuotendo la testa aveva sorriso e articolato con le labbra un silenzioso “Scemo!”.
Impossibile che avesse frainteso, si disse Riccardo, pur non frequentandosi da quasi dieci anni lei sapeva benissimo con chi aveva a che fare.
Eppure nel silenzio di quell’abitacolo c’era un’atmosfera strana, Riccardo sentiva su di sé lo sguardo della collega e quando si voltava per sorriderle lei non abbassava gli occhi.
Molto strano per una come Beatrice.
“Sai che in questi dieci anni non sei cambiato affatto?” disse lei interrompendo quel lungo silenzio.
“Scherzi vero? Guardami bene e li vedrai tutti i miei quarantasei anni.”
“A me sembri addirittura ringiovanito, pensa un po’. Forse ti ha fatto bene l’aria di Milano, chissà come te la spassi lassù.”
“Diciamo che mi sono integrato, via. Per quanto continui ad amare la mia Romagna, devo ammettere che a Milano mi trovo bene.”
“Donne a volontà, suppongo.”
“Sì,” rise lui con ironia, “devo tenerle a distanza per non farmi travolgere!”
Lasciò scivolare la mano dal pomello del cambio fin sul suo ginocchio, trovò la gonna ancora sollevata e lei non fece nulla per sottrarsi a quel tocco, dieci anni prima sarebbe schizzata fuori dal finestrino. Due indizi a volte fanno una prova, pensò ritraendo lentamente la mano.
“Dai!” proseguì con tono divertito, “mi hai visto bene? Sono un uomo di mezz’età con un po’ di pancetta, la fronte stempiata e un lavoro stressante che mi tiene in ufficio fino alle otto di sera, secondo te ho donne a volontà?”
“Via, non fare il finto modesto, sei ancora un discreto fico e lo sai bene. E poi il Ricky che ricordo io era un marpione indomito, sempre a caccia, anche in quei pochi anni che è rimasto sposato. E come ben sai, il lupo perde il pelo…”
Tornò a guardarla e risero nuovamente, quell’atteggiamento però non era da lei, poco ma sicuro. Quindi… forse sì, forse stava veramente cercando di sedurlo. O quanto meno si stava sforzando di provarci.
Situazione piuttosto imbarazzante per Riccardo. Non aveva mai guardato Bea da quel punto di vista, mai neppure un vago pensiero. Non era il tipo di donna che stimolasse certe fantasie.
Non che fosse brutta, era semplicemente anonima, insignificante. In viso neanche male, lineamenti regolari e gradevoli anche se piuttosto banali, ma quanto a fisico… niente culo e poche tette, piatta come un tagliere, senza neppure le rotondità dei fianchi e le insenature in vita.
Insomma, una donnina scialba che ispirava tutto fuorché sesso.
E quello era il minore dei problemi, l’altro era il loro rapporto. La conosceva da più di vent’anni, erano amici da tanto di quel tempo che la considerava una specie di sorella minore. Conosceva piuttosto bene anche Paolo, suo marito, era un uomo semplice e alla mano, l’uomo adatto per Bea.
Continuarono a chiacchierare per tutto il viaggio, Riccardo non l’aveva mai sentita così loquace e visti i vari argomenti trattati iniziò a pensare di essersi sbagliato. Non c’era più stato alcun accenno in tal senso, forse aveva solo frainteso.
Quando arrivarono nei pressi di Ravenna aveva quasi dimenticato quell’assurda idea.
“Ricordi il primo viaggio col CRAL che abbiamo fatto assieme?” stava chiedendo lei.
“Ne ho fatti talmente tanti di viaggi col CRAL aziendale che se devo dirti qual è stato il primo…”
“Cuba, Varadero, ottobre ’94. O forse ’95.”
Riccardo annuì, evitando di dirle che non ricordava ci fosse pure lei. “Sì, è vero. Gran bella vacanza.”
“All’epoca avevo una passione maniacale per la fotografia, possedevo una Canon Reflex con un teleobbiettivo enorme…”
Gli tornò alla mente l’immagine della piccola Bea con la grossa macchina fotografica sempre al collo. “E’ vero, non te ne separavi mai!”
Abbandonò la statale Adriatica per imboccare i viali di Ravenna, erano quasi arrivati a casa di Beatrice.
“Sai,” continuò lei, “in quella vacanza ho scattato almeno duecento foto, di queste una ventina non le ha mai viste nessuno.”
“Come mai?”
Con la coda dell’occhio la vide stringersi nelle spalle. “Molto, molto personali,” sospirò. “Però…”
Riccardo accostò sul marciapiede sotto casa di lei. “Però?”
“Beh, dopo tutto questo tempo…” la voce le usciva piano, a fatica. “Insomma, vorrei farle vedere a te. Se ti va…”
Quel ‘se ti va’ doveva esserle costato moltissimo e Riccardo rizzò nuovamente le antenne. Guardò l’orologio al centro del cruscotto. “E l’una di notte passata, io sono in ferie ma tu domattina devi andare al lavoro, siamo solo al mercoledì…”
“Per me non è un problema, sono una che dorme pochissimo. Se non è un problema per te…”
Era combattuto. Non gli sembrava affatto una buona idea salire in casa sua a quell’ora della notte, soprattutto se i suoi presentimenti erano corretti. Ma allo stesso modo non voleva deluderla.
Spense il motore e le sorrise. “Per me nessun problema, figurati, speriamo solo che i tuoi vicini siano già a letto, non immagino i commenti se ti vedessero rincasare con un uomo a quest’ora…”
“Credimi, non sono affatto preoccupata di ciò che pensano i miei vicini.”
Entrarono nel condominio, i tre piani in ascensore furono in assoluto silenzio.
L’appartamento era piccolo e curato, neppure un cuscino fuori posto sul divano, esattamente come Riccardo si aspettava fosse la casa di Beatrice.
Lei lo fece accomodare in soggiorno e si assentò per pochi secondi, al suo ritorno teneva fra le mani una piccola scatola.
“Vuoi qualcosa da bere?” domandò per rompere il ghiaccio.
“Mi sa che abbiamo bevuto anche troppo e io ho altri venticinque chilometri fino a casa.”
“Sì, è vero, abbiamo bevuto parecchio a tavola. Anche io…” annuì pensierosa. “Comunque questo… questo è il mio segreto, gelosamente conservato per oltre vent’anni. Sei il primo, oltre me, a vederle.”
Gli porse la scatola con evidente imbarazzo.
Riccardo la aprì e iniziò a sfogliare le foto mentre lei si sedeva al suo fianco. Rimase solo parzialmente sorpreso nell’accorgersi di essere il protagonista assoluto di quelle immagini, per quale motivo altrimenti avrebbe voluto mostrarle proprio a lui dopo tutto quel tempo? Erano foto riprese a notevole distanza, lo si notava dall’effetto di sfocatura dei dettagli provocato dal teleobiettivo, e tutte a sua insaputa.
In una si baciava con una collega seminascosto dietro a una palma. “Questa è…”
“Giorgia Benelli, all’epoca lavorava ai crediti,” concluse prontamente lei. “Quella con cui hai avuto una storia durante quella vacanza.”
“Pazzesco, me l’ero persino dimenticato…” scosse la testa e continuò a sfogliare. “Ma… perché tutte foto mie? Tutti questi primi piani, queste strane inquadrature…”
“Avevo una cotta per te, Ricky, ero innamorata persa. L’insulsa ragazzina con una sbandata cosmica per uno come te, ci pensi?”
Riccardo si volse verso di lei, era come se la vedesse per la prima volta. Non l’aveva mai immaginato, mai neppure un vago sospetto. In quell’occasione Beatrice abbassò gli occhi, non riuscì a reggere lo sguardo.
Lui le sollevò il mento. “Come mai hai deciso di dirmelo adesso?”
Una lunga esitazione. “Non lo so, ero felice di averti rivisto dopo tutto questo tempo. Ho pensato che forse…” scosse la testa, “beh, non so, volevo che lo sapessi.”
“Ora lo so e, credimi, sono un po’ confuso…”
“Via,” si sforzò di sorridere, “uno come te confuso, non sei proprio il tipo.”
All’improvviso allungò la testa verso di lui e gli posò un bacio sulle labbra. Prima lieve, delicato, poi più deciso.
“Bea…” espirò Riccardo. “Sei sicura che sia la cosa giusta? Paolo…”
“Paolo niente, Ricky, lui non c’entra niente. Potrebbero passare altri dieci anni prima che ti riveda e dopo sarà tardi.”
Tornò a baciarlo, stavolta fu un bacio vero.
Chi l’avrebbe mai detto pensò Riccardo sentendo la timida lingua insinuarsi fra le sue labbra, la piccola e ingenua Bea! Non la faceva capace di tanta intraprendenza.
E a quel punto come reagire? Respingerla? Cercare di spiegarsi, di giustificare…
I suoi dubbi furono interrotti da una mano titubante che si appoggiò leggera sulla sua patta, non poteva giurarci ma gli parve di sentirla tremare.
Si staccò dalle sue labbra. “Bea…”
“Non dire nulla ti prego…” sussurrò deglutendo a fatica e portò anche l’altra mano su di lui, con gesti concitati gli aprì i pantaloni ed entrò nei suoi slip.
Il sesso di Riccardo era ancora completamente rilassato, stava accadendo tutto così all’improvviso, così inatteso, non c’era stato il tempo per realizzare. Ma quando lei lo afferrò a due mani e iniziò ad accarezzarlo la reazione fu rapida e immediata, il cazzo prese velocemente turgore, uscì dagli slip quasi interamente eretto.
Lei abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire un sorriso, forse aveva temuto di non riuscire neppure ad eccitarlo.
Senza una parola si chinò col busto e appoggiò le sue labbra emozionate sul grosso glande lucido, qualche timida carezza con la lingua poi si abbassò maggiormente accogliendo in bocca l’intero cazzo.
“Oh cavolo Bea!” ansimò lui trattenendo il respiro. “Cavolo, cosa stiamo facendo?”
Lei non si fermò e non alzò neppure lo sguardo, si limitò a sollevare una mano per tappargli la bocca.
Riccardo stentava a credere che stesse succedendo per davvero, non era possibile che Bea, la piccola Bea che conosceva da oltre vent’anni, fosse chinata sul suo grembo intenta a fargli un pompino! E che pompino, cavolo, mai al mondo l’avrebbe immaginata così abile. Le labbra erano morbide e avvolgenti, umide e scivolose mentre si abbassava, più sostenute mentre risaliva. Il movimento era ampio e profondo, non troppo veloce e non troppo lento, rasentava la perfezione.
Si gustò per qualche istante quel piacevolissimo quanto inaspettato su-e-giù poi alla fine abbandonò ogni remora e si lasciò andare.
In fondo era lei a volerlo, sembrava decisa e determinata, che altro poteva fare?
Si appoggiò contro lo schienale del divano e distese le gambe, non aveva certo intenzione di fermarla, non più.
Sollevò i lunghi capelli che le coprivano il viso e cercò i suoi occhi. “Ehi, piccola e incredibile Bea!” un lungo sospiro, “la mia pudica e schizzinosa Bea, chi l’avrebbe mai detto che eri così brava?”
Lei arrossì ma resse lo sguardo, si sfilò il cazzo di bocca tenendolo appoggiato alle labbra. “Ho seguito i tuoi consigli, che credi? All’epoca mi scandalizzavi e mi scioccavi ma poi metabolizzavo tutto. E mettevo in pratica.”
Riccardo rise, sinceramente colpito. “Via ammettilo, fingevi di essere scandalizzata...”
“No, no, mi sconvolgevi proprio. Poi però le tue parole mi restavano impresse in mente e mi dicevo: se a un porco come lui piace così, figurarsi a uno normale…” risolino forzato, “e così, quando capitava, provavo…”
“E scoprivi che la cosa divertiva anche te.”
Un’avvolgente leccata a tutto il cazzo con lo sguardo perso nel vuoto. “In effetti…”
Lui sorrise nuovamente difronte a quel dolcissimo tentativo di mostrarsi disinvolta e provocante. Le tenne i capelli sollevati e la sospinse delicatamente verso il basso. “Allora divertiti finché vuoi, l’inizio era molto promettente.”
Beatrice scivolò lentamente giù dal divano, si rannicchiò sul tappeto fra le sue gambe e ricominciò da dove interrotto poco prima. Sentiva il cuore esploderle nel petto e il fuoco divamparle fra le cosce, quante volte aveva sognato quel momento? E quante volte si era detto che sarebbe rimasto solo un sogno?
E invece era riuscita a tirare fuori il coraggio, un’audacia che non sapeva di avere. Erano settimane che ci pensava, da quando la famosa cena era stata fissata, settimane che cercava di motivarsi, di autoconvincersi, di spronarsi. Che sarà mai, si era detta, al massimo l’avrebbe rifiutata col suo solito tatto, col suo modo accondiscendente di scherzare e sdrammatizzare, peggio non poteva andarle.
Invece non l’aveva rifiutata, era rimasto un po’ interdetto all’inizio ma ora… ora apprezzava eccome, e lei stava dando il massimo, tutta sé stessa.
Era vero che le piacesse praticare il sesso orale, lo trovava eccitante e divertente ma con lui era un mondo a parte, era una sfida con sé stessa.
Era abituata a farlo ad occhi chiusi e con i capelli a coprirle il volto, in questo non aveva mai seguito i consigli di Riccardo secondo cui “…per un maschietto guardare è metà del godere…”, ma ora lui continuava a spostarle i capelli dietro l’orecchio, così vincendo tutti i suoi pudori aprì gli occhi e lo cercò. Forse arrossì di fronte a quello sguardo attento e pieno di libidine ma non si arrese, anzi si applicò con ancora maggiore impegno.
Dopo alcuni minuti il respiro di Riccardo si fece più affannato e il suo cazzo sempre più duro, segnali che Beatrice conosceva bene. Rallentò ad arte per prolungare il reciproco divertimento, voleva farlo morire, voleva che quella sera gli restasse impressa nella mente.
Ripensò a quel pomeriggio di tanti anni prima all’interno della filiale di Ravenna quando Riccardo le si era avvicinato alle spalle incurante della fila allo sportello.
“Un consiglio infallibile per far impazzire quel Paolino che ti ronza attorno…” le aveva bisbigliato all’orecchio.
“Ricky sto lavorando, ho gente…”
Ma lui aveva proseguito imperterrito. “Al prossimo pompino fermati sul più bello e sussurragli: ‘Muori dalla voglia di venirmi in bocca, vero bel maialino?’, lo vedrai cadere come una pera cotta!”
Le era stato difficilissimo restare impassibile di fronte ai clienti, si era voltata e a labbra strette l’aveva apostrofato: “Ricky, sei disgustoso!”
A quel ricordo tornò ad aumentare l’andatura, si abbassava fino a sentirlo in gola e risaliva completamente, un movimento che ottenne ben presto i risultati sperati. Gli occhi di Riccardo erano diventati piccole fessure di piacere e le sue mani sulla nuca la invitavano a continuare così, senza rallentare.
Invece si fermò, si interruppe proprio quando i muscoli delle cosce iniziavano a irrigidirsi, quando cominciava a trattenere il respiro. Si alzò in piedi e andò a baciarlo con le sue labbra viscide di saliva e calde di cazzo, poi cercò il lobo del suo orecchio. “Sono più di vent’anni che sogno di dirtelo…” alitò.
Lui corrugò la fronte con aria interrogativa. “E cioè?”
Un’indecisione, un lungo respiro per infondersi coraggio. “Muori dalla voglia di venirmi in bocca, vero bel maialino?”.
Ecco, l’aveva fatto, si sentì avvampare ma c’era riuscita.
A Riccardo servì qualche secondo per realizzare, poi ricordò e scoppiò a ridere. La attirò a sé, baciandola con foga. “Oh sì, puoi giurarci piccola Bea, sto morendo dalla voglia di goderti in bocca, sto impazzendo solo all’idea!” le sollevò il mento per fissarla negli occhi, se lo voleva maialino avrebbe trovato pane per i suoi denti. “Anche perché chi se lo immaginava che fossi così brava, così esperta e passionale?” le succhiò piano un labbro. “Una meravigliosa e fantastica bocchinara, un’artista del pompino…”
“E tu sei il solito porco, vedo…”
“Oh sì, puoi giurarci, anche più di allora. Preoccupata?”
Scosse piano la testa anche se gli occhi tradivano una certa inquietudine. “Assolutamente no…”
“Molto bene, allora credo che ci divertiremo stasera. Che ne dici intanto di portare a termine il tuo capolavoro?”
Beatrice si passò la lingua sulle labbra, per una notte voleva davvero trasformarsi nella donna che non era. “Ogni tuo desiderio è un ordine…”
E gli dimostrò quanto fosse davvero abile, quanto amasse sentire il piacere del suo uomo, quanto godesse del suo godere. E lo fece sempre ad occhi aperti, fissi nei suoi, senza perdersi neppure un istante delle smorfie che gli sfigurarono il viso nel suo momento magico.
Al termine Riccardo rimase abbandonato contro lo schienale ansante e appagato, un vago sorriso gli dipingeva sul viso un’espressione incredula. “Uhau piccola Bea, sei un vulcano di sorprese. Non ti facevo così… golosa…”
Lei rise piano, restando appoggiata col mento alle sue cosce. Aveva ingoiato tutto il piacere di Riccardo, fino all’ultima stilla, poi aveva continuato a succhiare e a leccare il cazzo dei suoi sogni fin quando l’aveva visto, esausto, appoggiarsi di lato, fra testicoli e pube.
In genere dopo un servizietto del genere andava in bagno a sciacquarsi la bocca, quella sera non ne sentì il bisogno, voleva conservare il sapore di Riccardo.
“Fammi una piccola confessione Bea,” sospirò lui accarezzandole i capelli, “quanti uomini si sono guatati questi meravigliosi pompini?”
“Non cambierai proprio mai, sempre curioso e impertinente.”
“Porco, curioso e impertinente, esatto, proprio come allora. L’hai detto tu, no? il lupo perde il pelo…”
Risero assieme.
“Solo che allora non mi rispondevi, svicolavi tutta rossa in viso. Stasera invece voglio sapere. Quanti uomini?”
Vagò con lo sguardo. “Un paio prima di Paolo, cose di poco conto e… beh, non ero così esperta, diciamo. Poi solo Paolo, e ora tu.”
Lo turbò sapere di essere il primo con cui tradiva suo marito ma cercò di non pensarci, ormai aveva messo da parte ogni scrupolo.
Si sollevò dalla sua posizione e la invitò ad alzarsi a sua volta poi la fece accomodre sul divano, semisdraiata con la testa sul bracciolo. Le sollevò la gonna fino a scoprire un paio di slip bianchi, semplici ma eleganti, sicuramente indossati per l’occasione. Le cosce pallide erano sottili e affusolate, neanche così male per la verità.
Si accomodò all’altro capo del divano, appoggiato sul bracciolo opposto, perfettamente difronte a lei. “Ora toccati, Bea. Toccati per me.”
Neanche a dirlo arrossì violentemente ma non obiettò, il tono di Riccardo non ammetteva repliche. La sua mano destra scese lentamente, raggiunse il leggero cotone degli slip e si abbassò fino in mezzo alle cosce, poi iniziò a muoversi in piccoli movimenti circolari.
“Dentro le mutandine, Bea. Infila la mano sotto.”
Turbata, eccitata e confusa obbedì. Entrò all’interno e scese a toccarsi, era in un lago di umori caldi e viscidi, non ricordava di essersi mai scoperta così bagnata. Le due dita centrali scivolarono velocemente al centro delle labbra vaginali e il suo respiro divenne pesante, le risultò difficilissimo trattenere i gemiti. Era terribilmente imbarazzante ma allo stesso tempo bellissimo esibirsi per lui, la stava fissando con occhi pieni di erotismo, uno sguardo in grado di ipnotizzarla.
Lo vide sporgersi verso di lei, con gesti decisi le fece sollevare il sedere per sfilarle le mutandine intimandole di non smettere. Ora era esposta al suo sguardo, la gambe larghe e leggermente rannicchiate, la fica gonfia e umida, la mano che giocava abilmente fra le pieghe bollenti, stuzzicando il grosso clitoride turgido.
“Quando ti masturbi fai anche qualcosa in più, vero dolce Bea?”
Si morse il labbro inferiore, il cuore sembrava impazzito, il desiderio alle stelle. Annuì.
“Fammi vedere.”
La mano scese ulteriormente, le gambe si divaricarono ancora di più, il dito medio scivolò dentro di lei strappandole il primo forte gemito, impossibile da contenere. Iniziò a muoverlo, dentro, fuori, dentro, fuori, col bacino assecondava i movimenti e i suoi ansimi divennero sempre più profondi.
“Sei bellissima, Bea. Straordinariamente sexy.”
Si alzo in piedi e si posizionò accanto al suo viso, il cazzo penzolava ancora privo di energia ma uno spettacolo del genere aveva già riacceso i suoi desideri, era solo questione di minuti. Si appoggiò alla spalliera in un chiaro invito che lei colse senza indecisioni, allungò la testa e prese in bocca quel cazzo floscio senza smettere di masturbarsi.
Lo sentì crescere rapidamente fra le sue labbra, una soddisfazione che la mandò in estasi.
“Accidenti che bocca,” sorrise lui, “stai facendo miracoli. Me l’hai già rimesso in forma…”
Lei rispose con occhi languidi e felici, la sua mano aumentò il ritmo e lo stesso fece la sua bocca.
Poi Riccardo la fermò, sfilò il cazzo e glielo appoggiò sul viso. “Voglio sentire la tua voce, Bea. Voglio che ti lasci andare, voglio frasi oscene, voglio sentire i tuoi desideri…”
Prese un paio di respiri prima di decidersi. “Muoio dalla voglia di sentirti, Ricky, ti voglio dentro di me…”
Lui si chinò. “Sai fare meglio,” le sussurrò all’orecchio, “ti voglio più maialina.”
Beatrice scosse la testa e rise divertita, non era il suo ruolo, non lo era mai stato ma per una sera… “Allora scopami Ricky, scopami e fammi godere. Metti questo tuo bel cazzo al posto del mio dito e fammi morire, non resisto più!”
“Decisamente meglio, piccola, decisamente meglio… sei sulla buona strada.”
Andò a rannicchiarsi fra le sue gambe spogliandosi velocemente. “Prima però voglio assaggiarti,” le disse abbassando la testa, “e dopo ti darò ciò che vuoi.”
Spostò di lato la sua mano e appoggiò la bocca a quel sesso fradicio, mordicchiò le grandi labbra vaginali poi si spinse all’interno, leccando e assaporando ogni angolo, ogni anfratto.
Beatrice si abbandonò a quell’intenso piacere con entrambe le mani sul viso, il corpo ondeggiava senza controllo, in pochi minuti ebbe un orgasmo violento e bellissimo, che la lasciò senza fiato.
Riccardo risalì su di lei, la spogliò nuda e baciò ogni centimetro della sua pelle, soffermandosi a lungo sui turgidi capezzoli. Il seno non era certo la sua parte migliore ma nel complesso, vista a figura intera, era meglio di come se l’era immaginata. Aveva scopato quarantenni con fisici molto più cadenti, donne che truccate, pettinate e vestite con abiti eleganti facevano una gran figura, ma che poi nell’intimità mostravano tutti i loro difetti. Beatrice era naturale e genuina, nuda faceva quasi più figura che vestita.
Era venuto il momento di farla sua, di esaudire i suoi desideri, si inginocchiò fra le sue gambe e la amò.
Beatrice cercò di barcamenarsi nel suo miscuglio di emozioni, si lasciò andare, decisa a godersi intensamente ogni piacere e allo stesso tempo cercò di restare concentrata nel tentativo di memorizzare ogni sensazione, ogni istante di quel suo sogno che si avverava.
Si sentì scopare con una foga sconosciuta, un impeto e un ardore che il suo corpo non aveva mai provato, dopo pochi minuti ebbe un secondo orgasmo e si avvinghiò a lui con le gambe per riprendere fiato.
“Fammi sentire quando godi, Bea, voglio che me lo dici, hai capito?”
Fece spallucce. “Ho goduto.”
“Sì, me ne sono accorto, ma voglio sentirti mentre, durante. Voglio che mi dici tutto.”
Con movimenti decisi lui ribaltò la posizione, Bea gli si trovò sopra, invitata a prendere l’iniziativa.
Era così strano e bello essere seduta sul suo cazzo, pensò, una sensazione che la mandava in estasi. Appoggiò le mani sul suo petto villoso e cominciò a muoversi, un su-e-giù che partì lento e sensuale e si trasformò col passare dei minuti in una danza sempre più rapida e sfrenata.
Stavolta non si trattenne, mugolò e ansimò senza ritegno, libera di esprimere tutto il suo piacere, si lasciò andare come neppure nei suoi sogni succedeva e quasi con stupore si trovò nuovamente ai confini dell’orgasmo, stava per godere per la terza volta nel giro di neanche mezz’ora, era veramente fuori di testa.
Quando l’impetuosa marea la travolse, accecandola con luci abbaglianti e scariche di piacere in tutto il corpo, scatenò il suo erotismo agitandosi su di lui con una foga mai vista.
Alla fine si accasciò al suo fianco, stravolta e felice. “Tu non vieni?” ansimò baciandolo. “Vuoi che…” si leccò le labbra con tutta la malizia di cui era capace.
“Oh no, piccola Bea, la notte è ancora lunga e ho molti altri progetti per te…”
Si strinse forte a lui, fu sul punto di dirgli che lo amava ma si trattenne appena in tempo. Non voleva diventare patetica, sarebbe terminato tutto con quella notte, lo sapeva bene, l’aveva messo in conto.
Niente sentimentalismi.
Nel frattempo lui si era alzato e l’aveva fatta girare ventre in basso, ora le stava sollevando il sedere per metterla in posizione carponi. Quasi con violenza si sentì nuovamente piena di lui e tornò a farsi trascinare in un crescendo di emozioni e piacere, aveva sempre adorato farsi amare a quel modo ma non ricordava l’ultima volta che era successo.
Meglio, perché il paragone con Paolo sarebbe stato umiliante. Si costrinse quindi a non pensare al marito, ormai fra di loro c’era solo noia e abitudine, non era un caso che lui cercasse ogni occasione per stare fuori casa.
In quella posizione aveva poca resistenza anche in condizioni normali, figurarsi con quel cazzo e quella foga. I brividi lungo la nuca e alla radice dei capelli preavvisarono l’arrivo dell’ennesimo orgasmo.
Lui se ne accorse e si fermò dentro di lei, il pube schiacciato con forza contro le sue natiche. “Stai già venendo?” le domandò incredulo.
“Che posso farci, è bellissimo…”
“Allora adesso lo facciamo diventare ancora più bello.”
Lo sentì uscire e volse la testa indietro con sguardo interrogativo.
Riccardo rise. “Su, lo sai benissimo cosa voglio ora…”
Con le dita rese esplicita la sua allusione, stuzzicò il buchino al centro delle natiche, lo inumidì di saliva e lo forzò con un paio di falangi.
Certo che lo sapeva e lo aveva messo in preventivo, la passione di Riccardo per il lato ‘B’ femminile era universalmente riconosciuta. Ne era preoccupata, questo sì, ma lo aveva messo in preventivo.
“Comunque, se ti interessa, la risposta è ancora: ‘No.’…” gli disse.
“La risposta?”
“Esatto, ricordi quante volte mi hai chiesto: ‘L’hai concesso il tuo culetto a Paolino?’. Era un no allora ed è un no tuttora.”
Lui scosse il capo e sorrise. “Paolino mi delude…”
Sapessi me, pensò lei senza dirlo.
“E quindi,” riprese Riccardo, “credo sia giunto il momento di mettere fine a quest’ingiustizia. Da quel poco che ho visto stasera, sono certo che apprezzerai.”
“Se tu l’esperto…” sospirò cercando di mascherare la tensione.
“Oh sì, puoi dirlo forte. E stavolta quando godi non voglio solo dei ‘Sì…’, voglio sentirti parlare, ti voglio scatenata e maialina, stasera. Voglio sentire quanto ti piace.”
La mattina li ritrovò nudi e abbracciati, alla fine Riccardo aveva dormito lì, era stata una notte molto più intensa del previsto.
Ed era stata una Bea più scatenata e passionale del previsto, la donna che mai avrebbe immaginato.
A dire il vero neppure lei l’aveva immaginato.
Prima di saltarsi, sulla porta di casa, lui la strinse a sé. “Anche la prossima cena dobbiamo organizzarla nella settimana in cui Paolo è fuori per lavoro, che dici?”
Beatrice lo baciò, un lungo bacio sul pianerottolo, fregandosene di eventuali vicini curiosi. “Non importa…” sussurrò. “La prossima volta Paolo non abiterà più qui…”
Riccardo si sistemò i capelli spettinati, leggermente a disagio. “Non stai un po’ affrettando le cose, Bea? Quello che è successo stanotte…”
Lei lo prese per le mani con un sorriso rassicurante. “Non è per quello che è successo stanotte, non preoccuparti, è una decisione che medito da tempo. Sono anni che viviamo sotto lo stesso tetto come due estranei, ora so che se voglio posso avere ancora una vita, una vita molto più appagante di quella vissuta finora…”
Riccardo rimase a lungo a riflettere, con gli occhi fissi nei suoi. Poi sollevò le spalle. “Beh, devo ammettere che stanotte mi hai sorpreso oltre ogni immaginazione e quindi sì, te lo dico in tutta onestà, credo che tu possa ambire a qualcosa di meglio. A molto di meglio.”
Beatrice annuì. “Inizierò a guardarmi in giro e… e a darmi da fare,” sorrisino malizioso, “ho capito che non si possono aspettare gli eventi, a volte vanno stimolati…” tornò a palparlo fra le cosce con molta più sicurezza della sera prima.
Risero assieme.
“Mi sa che dovrò spicciarmi a organizzare la prossima cena del gruppo,” le disse baciandola sulla fronte, “o rischio di trovarti già bella impegnata e addio stupendo dopo-cena! Con le ragazze serie come te non c’è da scherzare…”
“A parte che una ragazza seria come me potrebbe anche fare un’eccezione per un… porco come te, comunque sia, nel caso ti interessasse, Paolo resterà fuori per il resto della settimana. Se non hai impegni per le prossime due sere…”
Riccardo la guardò incapace di trattenere il sorriso, proprio non la riconosceva. La sua piccola ingenua e insignificante Bea. Scosse la testa e la abbracciò soffermandosi con le mani su quel culetto che poche ore prima grazie a lui aveva perso la verginità. “Nessun impegno, Bea, nessunissimo impegno. Sei pronta per altre lezioni di perversione da parte del tuo porco preferito?”
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