In Cantiere - parte prima
di
Michel
genere
gay
Ogni tanto, durante i miei viaggi di lavoro, sono stato nei cantieri per supervisionare la costruzione di alcuni impianti. Di recente, mentre ero in Arabia Saudita, paese omofobo e refrattario a ogni possibile cambiamento sociale, mi sono ritrovato in una situazione molto eccitante, nata in un contesto esclusivamente maschile.
I primi giorni sono passati ad osservare tutti i lavoratori che entravano ed uscivano dalla Control Room, posta all’interno di un edificio, in pieno deserto saudita. Erano per lo più indiani di varie etnie, come tamil, kerala e altre. Tra di loro parlavano inglese perché i loro dialetti erano troppi diversi per potersi capire, anche se ai miei occhi avevano tutti quanti lo stesso accento bislacco.
Erano quindi giovani tra 25 e 35 anni, di carnagione scura, più o meno marcata. Molti portavano i baffi perché in India fa macho ed è considerato un sinonimo di bellezza. In effetti a qualcuno stavano bene e gli regalavano un certo fascino. I ragazzi non erano molto alti, potevano arrivare al 1,75 m circa, al massimo.
Avevo osservato bene ciascuno di loro e soprattutto gli sguardi che mi lanciavano. Sembrava che volessero mandare messaggi.
Quando sono entrato più in confidenza con il team, spiegando loro che non ero sposato e che vivevo da solo, molti hanno cominciato a fare sorrisetti strani, alludendo al fatto che facevo la bella vita e che sessualmente ero disinibito… in effetti non mi dispiaceva che si fossero fatta questa idea di me.
Un giorno, sono dovuto andare in impianto per supervisionare alcuni lavori ad un bruciatore e mentre prendevo i miei appunti, per poi relazionare la sera al mio capo che stava in Italia, il mio sguardo incrociò quello di un certo Ajit che portava occhiali da sole di sicurezza, casco e tuta rossi, tipico di chi si occupa di safety in un cantiere. Lui si voltò e io continuai a scrivere. Quando alzai lo sguardo, lui era sempre là e sembrava fissarmi. Ajit era un ragazzo di circa trent’anni, di 1.70 m circa, dalla pelle ambrata e capelli molto scuri, così come gli occhi che mi guardavano.
Accennai un piccolo sorriso e lui lo ricambiò. Sembrò finire tutto lì, ma poi nel pomeriggio in Control Room mi si avvicinò per parlarmi. Mi raccontò di sé e del fatto che vivesse in una piccola baracca fuori dalla cinta dell’impianto e allestita dalla società per la quale lavorava. Era single e per il suo paese non era una cosa buona, avrebbe dovuto già sposarsi e avere dei figli. Ma lui non si sentiva pronto. Invidiava me che invece ero libero di fare la vita che volevo, senza dover rendere conto a certe convenzioni sociali, che invece in India sono ancora ben radicate. Mi disse che aveva un amico fraterno lì in cantiere e che conosceva da una vita.
Passarono i giorni e le nostre discussioni erano ormai un fatto quotidiano, specialmente al tardo pomeriggio quando già il sole era quasi al tramonto e in cantiere si cominciavano a vedere le luci che facevano brillare il metallo dei vari impianti. Era il momento in cui tutti iniziavano ad andare via e il silenzio era rotto solo dal canto del muezzin della moschea del piccolo villaggio vicino.
Ajit era molto timido e io avevo rispetto per la sua timidezza. Una sera il discorso era andato a finire sui gay e malgrado le sue risatine sono riuscito a fare un discorso serio, dicendogli che nel mio paese avere rapporti con altri maschi non era reato e che a me erano capitati.
Ajit ingoiò e si fece serio. Balbettò qualcosa ma non gliel’ho fatto ripetere. Era emozionato e un po’ spaventato. A quel punto l’ho accarezzato sulla schiena, poi sulla nuca. Lui era rigido e in totale confusione. Si girava di scatto verso l’uscio pensando che potesse entrare qualcuno e lo vedesse in quella posa insieme a me. Non disdegnava le mie carezze, ma per lui erano pericolose.
Decise allora di parlare, anche se con una flebile vocina:
“Michel, andiamo di sotto, alla Electrical Room!”
In questa sala, fatta da un dedalo di corridoi formati da tanti armadi nei quali arrivavano e partivano tanti cavi elettrici, non c’era nessuno perché i tecnici erano già andati via!
Ci addentrammo nella grande sala labirintica e nel punto più lontano dalla porta, si tolse la giacca rossa della tuta da lavoro e rimase in maglietta. Era una maglietta aderente e verde che gli esaltava i pettorali e i capezzoli.
Stessa cosa ho fatto io, ma sotto non avevo nessuna maglietta! Eravamo eccitati e frementi… non appena ci siamo sfiorati con le mani, ci siamo abbandonati in un lungo bacio in bocca. Sentivo la sua lingua entrare nella mia bocca, l’accoglievo e la succhiavo, la leccavo con la mia e appena cedeva un attimo infilavo la mia nella sua bocca voltandola da tutte le parti. Succhiavo le sue labbra e devo dire che non mi dispiaceva sentire i suoi baffi morbidi sul mio viso. Con le braccia lo cingevo e lo stringevo a me.
Gli accarezzavo la schiena e andavo giù verso i pantaloni a cercare di entraci dentro per acchiappare il suo bel culetto di cioccolata! Lui iniziò a leccarmi il collo, poi l’orecchio destro e andò deciso giù verso i miei capezzoli ormai turgidi. Con le mani mi allargò l’elastico dei pantaloni della tuta e con gesto deciso me li abbassò con tutti i boxer. Si trovò davanti il mio cazzo dalla grossa cappella rossa e lo ammirò prima di sfiorarlo con le mani e poi di prenderlo tutto fino a farmi sentire le sue tonsille.
Andava avanti e indietro con la bocca sul mio cazzo. Ero in visibilio e lui stava sfogando tutta la sua voglia repressa di fare sesso con un maschio. Aveva un fare piuttosto rozzo e quasi violento, si vedeva che non era abituato a fare l’amore con un uomo. Allontanai la sua bocca dal mio cazzo in modo delicato e con un sorriso gli dissi che se continuava a succhiare in quel modo sarei venuto subito. Lui si scusò e un po’ si calmò. A quel punto presi io l’iniziativa di abbassare i suoi pantaloni e di prendere in bocca il suo attrezzo.
Era un bel cazzo, normale, dalla cappella piccola, turgida e pulsante. Non appena entrò nella mia bocca lui andò in estasi buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi. Cercavo di far durare più a lungo possibile quel pompino, leccando, masturbando con le mani e con le labbra quel cazzo di color cioccolata. Ma lui preso dal furore del momento prese il sopravvento e con fare deciso, mi prese la testa tra le sue mani e mi usò la mia bocca come uno stantuffo sul suo cazzo.
Mi scopò in bocca per alcuni interminabili minuti e poi mi venne dentro in modo abbondante, trattenendo con forza la mia testa sul suo cazzo fino alla fine del suo orgasmo. Riuscii a stento a trattenere la sua sborra nella mia bocca per poi sputarla per terra. Era un soffocone vero e proprio.
Si calmò facendo dei lunghi respiri e mentre si rivestiva mi sorrideva soddisfatto. La sua timidezza era scomparsa e adesso sembrava molto più spavaldo. Ero un po’ allibito. Il mio cazzo si stava ammosciando e gli feci capire che avrei voluto anch’io venirmene… Allora, se lo prese in mano e quasi contro voglia mi sparò una sega con una veemenza mai viste. Sborrai quasi subito fra le sue mani e mi obbligò a leccargliele presentandomele davanti alla bocca. Assaporai così il mio nettare mentre ancora respiravo a fatica e il mio cazzo gocciolava. Così forse si sentiva più soddisfatto e padrone.
Lui era già pronto per andare via e… dopo un: “See you tomorrow!” Se ne andò per i fatti suoi.
Alla faccia del romanticismo! Ci rimasi male, sembrava avesse premura di concludere! Ad ogni modo mi ricomposi e uscii nel corridoio dove le luci erano fioche e il vento freddo della sera cominciava a fischiare dalle fessure della porta che dava verso il cortile, dove mi attendeva l’auto che mi avrebbe riportato in albergo.
Non so se era stata la mia impressione, visto il vento impetuoso e la scarsa luminosità, ma mi sembrò di vedere un’ombra di qualcuno che sgattaiolava verso i bagni del piano terra. Pensai fosse Ajit e lo chiamai. Nessuna risposta. Entrai nei bagni e uno di essi sembrava fosse chiuso dall’interno, ma al buio. Attesi un po’ ma nessun rumore veniva fuori e vista l’ora andai via per tornare al più presto in hotel.
Nei giorni successivi, i sorrisi di Ajit si sprecavano, ma non solo con me. Era più cordiale e amava scherzare con tutti in control room. Sembrava più rilassato e spensierato, ma soprattutto più spavaldo e sicuro di sé. Pensavo che lo sfogo sessuale, malgrado la poca poesia che lo caratterizzò e la sua veloce conclusione, gli avessero fatto bene, e di questo ne ero contento.
Tra i ragazzi che frequentavano la control room c’era anche un tipo molto carino, dal nome lungo e impronunciabile, ma che dagli occidentali si faceva chiamare John. Era alto circa un metro e 60 cm, aveva due occhi grandi e marrone chiaro, pelle ambrata e due labbra interessanti. Era molto timido e impacciato. I suoi sguardi erano incessanti e profondi. Notai che dopo il mio primo rapporto con Ajit questo ragazzo era più presente e cercava la mia confidenza. Aveva un passo felpato e quasi senza accorgermene me lo ritrovavo vicino a me, mentre osservavo i monitor durante le simulazioni di avviamento dell’impianto. “John come va?” – Gli chiedevo ogni tanto senza che ottenessi una risposta parlata. In pratica alzava le spalle come per dire che non aveva nulla da dire, ma in compenso mi regalava grandi sorrisi e sguardi languidi da cerbiatto. Forse non aveva molta dimestichezza con l’inglese o forse subiva la mia personalità.
Era giovedì e come al solito alle 15,30 sparivano tutti dal momento che iniziava il loro week end. Trovai un post-it sulla scrivania della mia postazione in control room. C’era scritto: “E.R. 17”. Di chi era? Di Ajit? E.R. forse stava per Electrical Room e 17 sembrava fosse un orario. Era un appuntamento? Boh. Passai quell’ora davanti ai monitor da solo, ma con la testa altrove. Si aprì la porta all’improvviso e comparve Ajit, si sedette accanto a me con fare tronfio.
Allargò le gambe in maniera provocatoria e una la posizionò sulle mie. Col ginocchio cercava il mio pacco e alla fine si avvicinò chiedendomi sotto voce se ero eccitato. Accarezzai il suo giovane viso con il dorso della mia mano destra e lui sgranò subito gli occhi, che puntò alla porta della room per vedere se entrava qualcuno.
Ogni volta che prendevo io l’iniziativa lui si impauriva...
Decidemmo di andare nell’Electrical Room, anche se eravamo in anticipo di un’ora rispetto all’appuntamento. Forse aveva in mente di farlo durare di più?
Nello stesso posto di tre giorni prima c’era una sedia, forse di qualche tecnico che era stato a lungo davanti uno di quegli armadi o forse era stato Ajit stesso a posizionarla lì visto che la sua fantasia quella sera si sarebbe scatenata.
Con fare sempre svelto ed eccitante mi spogliò del tutto e mi ammirò. Mi baciò sulla schiena, regalandomi tanti brividi caldi.
Il mio cazzo era diventato duro. Si tolse la maglietta, si abbassò i pantaloni e iniziò a masturbarsi. Mentre se lo toccava gli sputava sopra per lubrificarlo. Si sedette sulla sedia a gambe divaricate, come aveva fatto prima nell’altra room e mi disse di succhiarglielo! Mi misi in ginocchio e gli leccai le palle, tutta l’asta e la cappella. Individuai il suo punto G al di sotto della parte alta del cazzo verso il glande, così lo leccai con più veemenza e con la lingua appuntita. Questa volta lo succhiavo forte, come fece lui con me la volta precedente. Sembrava gradire, non era il tipo che amava molto le smancerie. Gli piaceva il sesso dalle tinte forti. E così lo accontentai. Era in visibilio e ad un tratto mi comandò: “siediti su di me!”
Mi alzai da terra e adagiai il mio culetto sopra quel cazzo turgido e ben lubrificato dalla mia saliva. Iniziai a respirare con la bocca per allargare meglio lo sfintere e accogliere dentro di me il cazzo di Ajit. Aveva appena fatto capolino dentro di me, quando un suo colpo di reni me lo piantò dentro fino alle palle. Ebbi dolore, volevo toglierlo, mi dimenai, ma Ajit con fare violento e deciso me lo stantuffava a forza dentro il culo. Le sue mani forzute tenevano il mio bacino bloccato sul suo cazzo, mentre lui puntando i piedi per terra faceva leva e mi infilzava con dei colpi violenti.
Non ho potuto fare a meno di gemere e di lamentarmi, ma non ebbi neppure il tempo di respirare perché fui travolto dalla passione e dall’eccitazione. Le tempie mi battevano e non capivo più nulla. Il cuore mi andava a mille. Ero un fuscello nelle sue mani. Sentivo le sue palle sbattere sulle mie chiappe, mentre tutto il suo cazzo aveva ormai preso possesso della parte più profonda del mio culetto. Il mio buco si allargava ad ogni colpo e sollecitava la mia prostata da dentro.
Ansimavo e adesso provavo piacere. Anche lui ansimava e aveva la fronte madida di sudore… si fermò un attimo. Io ripresi a respirare meglio e a muovermi su quel cazzo a formare un numero 8. Gli piaceva, ma non gli bastava! Voleva più veemenza. Per cui mi fermò e iniziò ancora una volta a incularmi con più forza di prima. Mi picchiava le mani sulle chiappe per farmelo aprire di più, mi picchiava sempre più forte… quando decisi di prendere il mio cazzo e con la stessa foga di Ajit mi masturbai fino a venirmene sul suo petto! Stavolta non resistette a lungo neppure lui e se ne venne dentro di me, senza avvisarmi! Era un matto! E io ancor di più avendo accettato quel rapporto senza condom.
Mi staccai a fatica da quel cazzo ancora duro, riuscii a eliminare la sborra dal mio culo spingendola fuori da quel buco ormai largo e infuocato. Non riuscivo a parlare. Lui si ricomponeva senza guardarmi, quasi come se avesse terminato il suo dovere e adesso doveva solo sparire. E così fece senza salutarmi.
Era un quarto alle 17 e avevamo già terminato il nostro incontro. Ma l’avventura non era ancora terminata!
Sentii aprire e chiudere la porta della E.R. due volte….
I primi giorni sono passati ad osservare tutti i lavoratori che entravano ed uscivano dalla Control Room, posta all’interno di un edificio, in pieno deserto saudita. Erano per lo più indiani di varie etnie, come tamil, kerala e altre. Tra di loro parlavano inglese perché i loro dialetti erano troppi diversi per potersi capire, anche se ai miei occhi avevano tutti quanti lo stesso accento bislacco.
Erano quindi giovani tra 25 e 35 anni, di carnagione scura, più o meno marcata. Molti portavano i baffi perché in India fa macho ed è considerato un sinonimo di bellezza. In effetti a qualcuno stavano bene e gli regalavano un certo fascino. I ragazzi non erano molto alti, potevano arrivare al 1,75 m circa, al massimo.
Avevo osservato bene ciascuno di loro e soprattutto gli sguardi che mi lanciavano. Sembrava che volessero mandare messaggi.
Quando sono entrato più in confidenza con il team, spiegando loro che non ero sposato e che vivevo da solo, molti hanno cominciato a fare sorrisetti strani, alludendo al fatto che facevo la bella vita e che sessualmente ero disinibito… in effetti non mi dispiaceva che si fossero fatta questa idea di me.
Un giorno, sono dovuto andare in impianto per supervisionare alcuni lavori ad un bruciatore e mentre prendevo i miei appunti, per poi relazionare la sera al mio capo che stava in Italia, il mio sguardo incrociò quello di un certo Ajit che portava occhiali da sole di sicurezza, casco e tuta rossi, tipico di chi si occupa di safety in un cantiere. Lui si voltò e io continuai a scrivere. Quando alzai lo sguardo, lui era sempre là e sembrava fissarmi. Ajit era un ragazzo di circa trent’anni, di 1.70 m circa, dalla pelle ambrata e capelli molto scuri, così come gli occhi che mi guardavano.
Accennai un piccolo sorriso e lui lo ricambiò. Sembrò finire tutto lì, ma poi nel pomeriggio in Control Room mi si avvicinò per parlarmi. Mi raccontò di sé e del fatto che vivesse in una piccola baracca fuori dalla cinta dell’impianto e allestita dalla società per la quale lavorava. Era single e per il suo paese non era una cosa buona, avrebbe dovuto già sposarsi e avere dei figli. Ma lui non si sentiva pronto. Invidiava me che invece ero libero di fare la vita che volevo, senza dover rendere conto a certe convenzioni sociali, che invece in India sono ancora ben radicate. Mi disse che aveva un amico fraterno lì in cantiere e che conosceva da una vita.
Passarono i giorni e le nostre discussioni erano ormai un fatto quotidiano, specialmente al tardo pomeriggio quando già il sole era quasi al tramonto e in cantiere si cominciavano a vedere le luci che facevano brillare il metallo dei vari impianti. Era il momento in cui tutti iniziavano ad andare via e il silenzio era rotto solo dal canto del muezzin della moschea del piccolo villaggio vicino.
Ajit era molto timido e io avevo rispetto per la sua timidezza. Una sera il discorso era andato a finire sui gay e malgrado le sue risatine sono riuscito a fare un discorso serio, dicendogli che nel mio paese avere rapporti con altri maschi non era reato e che a me erano capitati.
Ajit ingoiò e si fece serio. Balbettò qualcosa ma non gliel’ho fatto ripetere. Era emozionato e un po’ spaventato. A quel punto l’ho accarezzato sulla schiena, poi sulla nuca. Lui era rigido e in totale confusione. Si girava di scatto verso l’uscio pensando che potesse entrare qualcuno e lo vedesse in quella posa insieme a me. Non disdegnava le mie carezze, ma per lui erano pericolose.
Decise allora di parlare, anche se con una flebile vocina:
“Michel, andiamo di sotto, alla Electrical Room!”
In questa sala, fatta da un dedalo di corridoi formati da tanti armadi nei quali arrivavano e partivano tanti cavi elettrici, non c’era nessuno perché i tecnici erano già andati via!
Ci addentrammo nella grande sala labirintica e nel punto più lontano dalla porta, si tolse la giacca rossa della tuta da lavoro e rimase in maglietta. Era una maglietta aderente e verde che gli esaltava i pettorali e i capezzoli.
Stessa cosa ho fatto io, ma sotto non avevo nessuna maglietta! Eravamo eccitati e frementi… non appena ci siamo sfiorati con le mani, ci siamo abbandonati in un lungo bacio in bocca. Sentivo la sua lingua entrare nella mia bocca, l’accoglievo e la succhiavo, la leccavo con la mia e appena cedeva un attimo infilavo la mia nella sua bocca voltandola da tutte le parti. Succhiavo le sue labbra e devo dire che non mi dispiaceva sentire i suoi baffi morbidi sul mio viso. Con le braccia lo cingevo e lo stringevo a me.
Gli accarezzavo la schiena e andavo giù verso i pantaloni a cercare di entraci dentro per acchiappare il suo bel culetto di cioccolata! Lui iniziò a leccarmi il collo, poi l’orecchio destro e andò deciso giù verso i miei capezzoli ormai turgidi. Con le mani mi allargò l’elastico dei pantaloni della tuta e con gesto deciso me li abbassò con tutti i boxer. Si trovò davanti il mio cazzo dalla grossa cappella rossa e lo ammirò prima di sfiorarlo con le mani e poi di prenderlo tutto fino a farmi sentire le sue tonsille.
Andava avanti e indietro con la bocca sul mio cazzo. Ero in visibilio e lui stava sfogando tutta la sua voglia repressa di fare sesso con un maschio. Aveva un fare piuttosto rozzo e quasi violento, si vedeva che non era abituato a fare l’amore con un uomo. Allontanai la sua bocca dal mio cazzo in modo delicato e con un sorriso gli dissi che se continuava a succhiare in quel modo sarei venuto subito. Lui si scusò e un po’ si calmò. A quel punto presi io l’iniziativa di abbassare i suoi pantaloni e di prendere in bocca il suo attrezzo.
Era un bel cazzo, normale, dalla cappella piccola, turgida e pulsante. Non appena entrò nella mia bocca lui andò in estasi buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi. Cercavo di far durare più a lungo possibile quel pompino, leccando, masturbando con le mani e con le labbra quel cazzo di color cioccolata. Ma lui preso dal furore del momento prese il sopravvento e con fare deciso, mi prese la testa tra le sue mani e mi usò la mia bocca come uno stantuffo sul suo cazzo.
Mi scopò in bocca per alcuni interminabili minuti e poi mi venne dentro in modo abbondante, trattenendo con forza la mia testa sul suo cazzo fino alla fine del suo orgasmo. Riuscii a stento a trattenere la sua sborra nella mia bocca per poi sputarla per terra. Era un soffocone vero e proprio.
Si calmò facendo dei lunghi respiri e mentre si rivestiva mi sorrideva soddisfatto. La sua timidezza era scomparsa e adesso sembrava molto più spavaldo. Ero un po’ allibito. Il mio cazzo si stava ammosciando e gli feci capire che avrei voluto anch’io venirmene… Allora, se lo prese in mano e quasi contro voglia mi sparò una sega con una veemenza mai viste. Sborrai quasi subito fra le sue mani e mi obbligò a leccargliele presentandomele davanti alla bocca. Assaporai così il mio nettare mentre ancora respiravo a fatica e il mio cazzo gocciolava. Così forse si sentiva più soddisfatto e padrone.
Lui era già pronto per andare via e… dopo un: “See you tomorrow!” Se ne andò per i fatti suoi.
Alla faccia del romanticismo! Ci rimasi male, sembrava avesse premura di concludere! Ad ogni modo mi ricomposi e uscii nel corridoio dove le luci erano fioche e il vento freddo della sera cominciava a fischiare dalle fessure della porta che dava verso il cortile, dove mi attendeva l’auto che mi avrebbe riportato in albergo.
Non so se era stata la mia impressione, visto il vento impetuoso e la scarsa luminosità, ma mi sembrò di vedere un’ombra di qualcuno che sgattaiolava verso i bagni del piano terra. Pensai fosse Ajit e lo chiamai. Nessuna risposta. Entrai nei bagni e uno di essi sembrava fosse chiuso dall’interno, ma al buio. Attesi un po’ ma nessun rumore veniva fuori e vista l’ora andai via per tornare al più presto in hotel.
Nei giorni successivi, i sorrisi di Ajit si sprecavano, ma non solo con me. Era più cordiale e amava scherzare con tutti in control room. Sembrava più rilassato e spensierato, ma soprattutto più spavaldo e sicuro di sé. Pensavo che lo sfogo sessuale, malgrado la poca poesia che lo caratterizzò e la sua veloce conclusione, gli avessero fatto bene, e di questo ne ero contento.
Tra i ragazzi che frequentavano la control room c’era anche un tipo molto carino, dal nome lungo e impronunciabile, ma che dagli occidentali si faceva chiamare John. Era alto circa un metro e 60 cm, aveva due occhi grandi e marrone chiaro, pelle ambrata e due labbra interessanti. Era molto timido e impacciato. I suoi sguardi erano incessanti e profondi. Notai che dopo il mio primo rapporto con Ajit questo ragazzo era più presente e cercava la mia confidenza. Aveva un passo felpato e quasi senza accorgermene me lo ritrovavo vicino a me, mentre osservavo i monitor durante le simulazioni di avviamento dell’impianto. “John come va?” – Gli chiedevo ogni tanto senza che ottenessi una risposta parlata. In pratica alzava le spalle come per dire che non aveva nulla da dire, ma in compenso mi regalava grandi sorrisi e sguardi languidi da cerbiatto. Forse non aveva molta dimestichezza con l’inglese o forse subiva la mia personalità.
Era giovedì e come al solito alle 15,30 sparivano tutti dal momento che iniziava il loro week end. Trovai un post-it sulla scrivania della mia postazione in control room. C’era scritto: “E.R. 17”. Di chi era? Di Ajit? E.R. forse stava per Electrical Room e 17 sembrava fosse un orario. Era un appuntamento? Boh. Passai quell’ora davanti ai monitor da solo, ma con la testa altrove. Si aprì la porta all’improvviso e comparve Ajit, si sedette accanto a me con fare tronfio.
Allargò le gambe in maniera provocatoria e una la posizionò sulle mie. Col ginocchio cercava il mio pacco e alla fine si avvicinò chiedendomi sotto voce se ero eccitato. Accarezzai il suo giovane viso con il dorso della mia mano destra e lui sgranò subito gli occhi, che puntò alla porta della room per vedere se entrava qualcuno.
Ogni volta che prendevo io l’iniziativa lui si impauriva...
Decidemmo di andare nell’Electrical Room, anche se eravamo in anticipo di un’ora rispetto all’appuntamento. Forse aveva in mente di farlo durare di più?
Nello stesso posto di tre giorni prima c’era una sedia, forse di qualche tecnico che era stato a lungo davanti uno di quegli armadi o forse era stato Ajit stesso a posizionarla lì visto che la sua fantasia quella sera si sarebbe scatenata.
Con fare sempre svelto ed eccitante mi spogliò del tutto e mi ammirò. Mi baciò sulla schiena, regalandomi tanti brividi caldi.
Il mio cazzo era diventato duro. Si tolse la maglietta, si abbassò i pantaloni e iniziò a masturbarsi. Mentre se lo toccava gli sputava sopra per lubrificarlo. Si sedette sulla sedia a gambe divaricate, come aveva fatto prima nell’altra room e mi disse di succhiarglielo! Mi misi in ginocchio e gli leccai le palle, tutta l’asta e la cappella. Individuai il suo punto G al di sotto della parte alta del cazzo verso il glande, così lo leccai con più veemenza e con la lingua appuntita. Questa volta lo succhiavo forte, come fece lui con me la volta precedente. Sembrava gradire, non era il tipo che amava molto le smancerie. Gli piaceva il sesso dalle tinte forti. E così lo accontentai. Era in visibilio e ad un tratto mi comandò: “siediti su di me!”
Mi alzai da terra e adagiai il mio culetto sopra quel cazzo turgido e ben lubrificato dalla mia saliva. Iniziai a respirare con la bocca per allargare meglio lo sfintere e accogliere dentro di me il cazzo di Ajit. Aveva appena fatto capolino dentro di me, quando un suo colpo di reni me lo piantò dentro fino alle palle. Ebbi dolore, volevo toglierlo, mi dimenai, ma Ajit con fare violento e deciso me lo stantuffava a forza dentro il culo. Le sue mani forzute tenevano il mio bacino bloccato sul suo cazzo, mentre lui puntando i piedi per terra faceva leva e mi infilzava con dei colpi violenti.
Non ho potuto fare a meno di gemere e di lamentarmi, ma non ebbi neppure il tempo di respirare perché fui travolto dalla passione e dall’eccitazione. Le tempie mi battevano e non capivo più nulla. Il cuore mi andava a mille. Ero un fuscello nelle sue mani. Sentivo le sue palle sbattere sulle mie chiappe, mentre tutto il suo cazzo aveva ormai preso possesso della parte più profonda del mio culetto. Il mio buco si allargava ad ogni colpo e sollecitava la mia prostata da dentro.
Ansimavo e adesso provavo piacere. Anche lui ansimava e aveva la fronte madida di sudore… si fermò un attimo. Io ripresi a respirare meglio e a muovermi su quel cazzo a formare un numero 8. Gli piaceva, ma non gli bastava! Voleva più veemenza. Per cui mi fermò e iniziò ancora una volta a incularmi con più forza di prima. Mi picchiava le mani sulle chiappe per farmelo aprire di più, mi picchiava sempre più forte… quando decisi di prendere il mio cazzo e con la stessa foga di Ajit mi masturbai fino a venirmene sul suo petto! Stavolta non resistette a lungo neppure lui e se ne venne dentro di me, senza avvisarmi! Era un matto! E io ancor di più avendo accettato quel rapporto senza condom.
Mi staccai a fatica da quel cazzo ancora duro, riuscii a eliminare la sborra dal mio culo spingendola fuori da quel buco ormai largo e infuocato. Non riuscivo a parlare. Lui si ricomponeva senza guardarmi, quasi come se avesse terminato il suo dovere e adesso doveva solo sparire. E così fece senza salutarmi.
Era un quarto alle 17 e avevamo già terminato il nostro incontro. Ma l’avventura non era ancora terminata!
Sentii aprire e chiudere la porta della E.R. due volte….
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