Un paziente delle dottoressa Angela - i piedi della fidanzata di mio padre

di
genere
feticismo

Dottoressa Kavinsky, non crederà mai a ciò che mi è capitato ieri sera; pensavo che questo genere di cose capitassero solo nei film erotici o cose del genere, eppure ieri sera ho avuto la prova che la realtà supera la fantasia. Non mi fraintenda; una parte di me si sente in colpa al pensiero di aver fatto una cosa simile al proprio padre. Eppure, nonostante ciò, non credo di aver mai provato un’eccitazione simile.
Mi chiamo Andrea, ho 23 anni e da circa un paio di settimane sono stato letteralmente bombardato di sms da parte di mio padre, desideroso di avermi a cena da lui. Io e mio padre non viviamo assieme perché, dopo il divorzio dei miei, avvenuto un paio di anni fa, seppur maggiorenne, ho deciso di rimanere a vivere nella casa in cui sono cresciuto, quella in cui vive attualmente mia madre. Mi ritengo una persona matura, nonostante abbia poco più di 20 anni, e comprendo che il divorzio, a volte, per quanto possa essere doloroso per un figlio, non è colpa di nessuno. Semplicemente a volte capita. Non ne facevo una colpa né a mia madre, né a mio padre, e fu per questo motivo che decisi di accettare il suo invito a cena.
Mia madre pareva perplessa. “papà vuole che vai a cena da lui? E perché?”
“mamma… è da un po’ che non ci vediamo…”. In realtà, avevo paura a raccontare la verità a mia madre che, come al solito, aveva già capito tutto. “Ti deve presentare una nuova fidanzata?”. Non dissi nulla, anzi, sorrisi. Mia madre si mise a ridere. Avrebbe voluto dire qualcosa di cattivo, ma si trattenne, da donna di classe qual era sempre stata.
Quando furono le 19 e 30 di quel venerdì sera, arrivai a casa di mio padre. Fuori dalla villetta a schiera che aveva preso in affitto c’era la sua porsche, acquistata usata ma comunque costata parecchio. Mio padre, un uomo di sessant’anni, tarchiato, con barba e capelli grigi, stava attraversando la classica crisi di mezza età, solo parecchio tempo dopo la media e come ovvio effetto del divorzio. Aveva comprato una porsche, aveva iniziato a frequentare locali notturni e a vestirsi come un ragazzino, e la cosa, francamente, mi faceva un po’ pena. Uscì dalla porta d’ingresso sentendo il rumore della mia macchina che parcheggiava nel vialetto, mi aprì il cancello, sorridente, e mi abbracciò.
“Andre, alla fine ce l’ho fatta a convincerti!” disse. Quella sera indossava jeans e un maglioncino firmato, e la cosa mi faceva uno strano effetto visto che non gli avevo mai visto un paio di jeans addosso da 20 anni che lo conoscevo.
“papà perché sei così elegante? Tanto stiamo in casa no?”
“Beh ma è una serata importante!”
“lei è già qui?” chiesi.
“è dentro. Si chiama Cristina. Vedrai, ti piacerà! L’ho conosciuta in discoteca un mesetto fa!”
“Papà tu vai in discoteca?”
“Beh perché no? In 30 anni di matrimonio con tua madre ho sempre dovuto sorbirmi sere a teatro! Ora posso fare quello che voglio! Comunque, Cristina è un po’ più giovane di me… lo dico perché…”
“PAPÀ!” dissi con un gridolino isterico. Avevo il terrore che in casa ci fosse una mia ex compagna di scuola
“ha ha! Tranquillo, non così giovane! Ha 43 anni, quindi abbiamo 17 anni di differenza, ma non è una cosa così grave!”
Fiuuu, tirai un sospiro di sollievo. “Bravo papà” pensai. 43 anni era decisamente accettabile come età. Mi immaginai una donna simile a mia madre, ma con qualche anno di meno. Immaginavo male.
Quando aprii la porta, lei era lì, ad aspettare di conoscermi. Ebbi come una visione, e rimasi senza parole.
Cristina. 43 anni, alta circa 1 metro e 70, forse qualche centimetro in più. Magra ma formosa nei punti giusti, con dei fianchi generosi e dei seni prosperosi. Aveva la carnagione molto abbronzata, dei piccoli occhietti vispi e un grande sorriso stampato sulla faccia, in cui si intravedevano i due grandi incisivi, separati l’uno dall’altro. I capelli lunghi erano scuri come la notte, e la frangia orizzontale sulla fronte la facevano sembrare una sorta di cleopatra moderna. Indossava un vestitino stretto, che metteva in risalto la sua “femminilità”, e dei lunghi stivali che le arrivavano sotto il ginocchio. Mi si avvicinò e mi abbracciò con trasporto, mentre io sorridevo come un ebete. Ma come diavolo aveva fatto mio padre a conoscere una così? Credetemi, era una che spiccava in mezzo a cento, forse in mezzo a mille. Di colpo mi sentii accaldato.
Quando si divincolò dall’abbraccio, d’istinto, mi prese dalle braccia il giubbino e me lo tolse, invitandomi ad entrare.
“la cena è quasi pronta!” disse. mentre lei appendeva il giubbino all’attaccapanni, sorrisi a mio padre, e lui fece sì con la testa. Devo ammetterlo; mio padre aveva fatto il colpaccio! Non che mia madre non fosse una bella donna ma… era diversa. Più posata, più… mamma. Cristina non sembrava una che aveva dei figli, anzi, sembrava più il classico “animale sociale”, che passa più tempo nelle discoteche che a casa. E naturalmente il perché avesse scelto di mettersi con mio padre rimaneva un mistero irrisolto.
“Andrea, cosa fai di bello?” mi chiese, mentre camminava avanti e indietro per il salotto cercando qualcosa di non precisato.
“Studio” dissi. “economia e commercio”. Mio padre dalla cucina urlò: “è il primo della classe!”
“Wow… Beh, io sono solo una semplice barista! Se solo potessi tornare indietro! Mi sarebbe piaciuto molto andare all’università!”. Raggiunse il termostato del riscaldamento, girò la manopola e mi raggiunse sul divano. “Ti dispiace se ho alzato un po’ il riscaldamento?”
“Certo che no!” risposi.
“La casa di tuo padre è fantastica! Sapevi che qui il riscaldamento viene dal pavimento?”
“Lui me lo aveva accennato!”.
Seduta sul divano accanto a me, abbassò la cerniera di entrambi gli stivali, li sfilò con delicatezza ed estrasse uno dopo l’altro due meravigliosi piedi (senza calze) taglia 40, con le dita lunghe, affusolate, e la pianta (che avevo appena intravisto) che pareva morbida e setosa. Li appoggiò sul pavimento.
“Oh mamma! Che spettacolo!”. La guardai sorridere e poi quasi eccitarsi per la sensazione del parquet caldo sotto i suoi piedi. Rimase immobile per un paio di minuti, con gli occhi chiusi e la testa rivolta verso l’alto, mentre io rimanevo lì come un stoccafisso a fissare lei e i suoi piedi.
Quando riaprì gli occhi, si voltò verso di me, mi sorrise, poi alzò le gambe e appoggiò i suoi stupendi piedi sulle mie cosce.
“Toccali!” disse sorridendo. Io, quasi tremante, appoggiai la mia mano sul suo piede, accarezzandolo.
“Sotto!” disse lei, sempre sorridendo. con le dita prima solleticai la sua pianta, poi le accarezzai entrambe, sentendo sulle mie un qualcosa di simile a seta pregiata.
“Cosa ne pensi?” chiese.
“Sono bellissimi!”. Il sorriso di Cristina scomparve dal suo volto. Sembrava perplessa. Io alzai lo sguardo dai suoi piedi e la guardai in faccia, imbarazzato. Iniziai a sudare freddo, e le mie gambe iniziarono a tremare sotto i suoi meravigliosi piedi. Lei mi osservò diventare pallido come un fantasma, poi scoppiò a ridere.
“Ma no! Io intendevo sai… Se sono caldi! Sai, il pavimento che sprigiona il calore… io che appoggio i piedi a terra… volevo farti sentire che si erano scaldati!”. Osservai i suoi piedi sulle mie cosce. muoveva tutte le dita all’unisono. MA CHE IDIOTA CHE ERO!
“Oh… ma si certo, sono caldi! Era quello che intendevo dire! Si sono scaldati!”. Lei tolse i piedi dalle mie cosce, strusciandoli con sensualità, poi si avvicinò col viso e mi baciò dolcemente sulla guancia.
“Sei un ragazzo molto dolce Andrea!”. Mi sorrise, con quei simpatici grossi incisivi separati. Mio padre urlò che la cena era in tavola, e io lasciai che si alzasse prima lei, per evitare di fare altre figuracce.
La cena fu un disastro, poiché non fui in grado di spiccicare una parola. Cristina non era di nessun aiuto, fissandomi con il sorriso sulle labbra tutto il tempo. Mio padre afferrò che c’era qualcosa che non andava, ma il suo bere un bicchiere di vino dopo l’altro non lo rendeva lucidissimo.
“Figliolo, stai bene?”
Mentre me lo chiedeva, io sentivo sotto il tavolo i piedi di Cristina che toccavano i miei. Non riuscivo a capire se lei lo stesse facendo apposta o se, semplicemente, il tavolo piccolo faceva in modo che sotto di esso i nostri piedi si toccassero casualmente. Secondo me non era un caso. Lei aveva sempre avuto un'unica espressione quella sera. Uno sfavillante e sensuale sorriso.
“papà… mi sa che forse ho un po’ di febbre!” dissi. Lui sbadigliò, poi si alzò dal tavolo. Gettò il tovagliolo nel piatto e, barcollando, si stiracchiò. “Tua madre tiene sempre il riscaldamento troppo basso in casa… È così tirchia… Per forza ti sei ammalato! Adesso mi metto le scarpe e ti accompagno a casa…”
“ma papà ho la macchina!”
“figliolo non posso farti guidare in queste condizioni… E se poi ti addormenti? L’influenza rende deboli!”. Cristina diventò di colpo seria. “Tu invece sì che sei in grado di guidare! Ma dai tesoro! Guarda lì!”. Indicò la bottiglia di vino. “E se ti ferma la polizia? O peggio, se ti succede qualcosa?”
Mio padre fece un risolino di approvazione; Cristina aveva ragione, era molto più pericoloso che si mettesse alla guida lui che io… tenendo ben presente che poi, in realtà, io non avevo la febbre; era solo una scusa per il mio stato di imbarazzo.
“La cosa migliore… la cosa davvero migliore… è finire qui la serata” disse Cristina. “Tu tesoro sei un po’ brillo, vero? Ti metti sotto le coperte e ti fai una bella dormita. Ad Andrea penso io. Lo porto a casa e poi vado anch’io a letto; domani devo lavorare!”.
Mio padre approvò. Baciò la sua bella sulla bocca e mi diede una pacca sulle spalle. Lei prima si sedette sul divano, infilandosi gli stivali, poi prese dall’attaccapanni la sua borsetta, la sua giacca di pelle e il mio giubbino. Me lo porse, e mi prese sottobraccio.
Salimmo entrambi sulla sua mini cooper rossa, mentre lei, con lunghe e lente mosse, fece manovra per girare l’auto e uscire dal vialetto di mio padre. Rimasi in silenzio per tutto il tragitto.
Dopo 5 minuti, l’auto si fermò sotto un condominio.
“Io non abito qui!” dissi. Lei mi guardò, sorrise per l’ennesima volta e avvicinò il suo volto al mio.
“Andrea sei proprio un gran bugiardo!”.
“Come scusa?”
“però sei carino… davvero carino… e dolce anche. Ti va di salire su da me?”
“Io… non capisco!”
“Ti offro qualcosa da bere… e puoi essere più sciolto, perché non c’è tuo padre. Solo io e te!”
“Non posso. Non posso”. Sembravo un ragazzino isterico. Non sapevo bene cosa avesse in mente Cristina, ma era chiaro che ci stava provando con me. “Sei sicuro?”. Cristina allungò la sua mano sulla mia coscia, fino ad arrivare al mio pacco. Sentiva sotto i pantaloni il mio pisello che si induriva, e me lo brancò con la mano.
“Non posso, non posso, non posso… Sei la fidanzata di mio padre!”.
Cristina abbassò lo sguardo. “Forse hai ragione Andrea… Che razza di donna sarei se facessi sesso con il figlio del mio fidanzato?”
Allora era vero! Voleva davvero scopare con me.
“Però c’è una cosa che non capisco: non puoi… o non vuoi?”
Si era tolta lo stivale, e aveva allungato il piede verso la mia faccia. Il suo odore era qualcosa di dolce e penetrante. In pochi secondi, le sue dita dei piedi premevano sulla mia guancia. Sempre con le dita, cercò di aprirmi la bocca e ci riuscì. Sentivo il suo alluce lisciarmi la lingua.
In un istante capii. Il mio sogno era divenuto realtà. Cristina lo aveva realizzato. Per la prima volta nella mia vita uno stupendo piede, profumato, abbronzato, morbido, setoso, stava giocando con la mia bocca, con la mia lingua e con i miei sentimenti. Alzai le mani per sorreggere quel meraviglioso piede ed iniziai a baciarlo con trasporto, succhiando prima il tallone e poi la pianta. Cristina nel frattempo aveva alzato anche l’altra gamba e strusciava il suo piede sulla mia faccia. Prontamente, io feci scivolare la mia lingua tra le dita del suo piede sinistro, assaporando il leggero sudore che si era formato tra esse. Con la coda dell’occhio notai inoltre che, mentre le leccavo i suoi piedi, Cristina stava letteralmente facendo sesso con la leva del cambio, che premeva contro le sue mutandine di pizzo. Lei mise il cambio in prima, e mentre io succhiavo dito per dito, il cambio stava cominciando ad entrare nella sua vagina, spingendo all’interno della sua fica le mutandine. Leccai le sue caviglie, mentre lei diceva di “volere un cazzo vero!”.
Sarei crollato. Era ovvio che non avrei potuto resistere. Mi sarebbe dispiaciuto per mio padre ma cavolo! Chi si sarebbe rifiutato di scoparsi Cristina? Solo un omosessuale, e forse nemmeno lui…
Cristina lasciò perdere per un istante la leva del cambio, e mentre io ero concentrato a succhiare con vigore il suo tallone destro, lei scostò dalla fica le mutandine e iniziò a toccarsi.
“Allora Andrea, se te lo richiedo adesso, che mi dici?”
Non risposi ma, togliendomi per un istante il suo tallone dalla bocca, sorrisi. Poi ricominciai a succhiare.
Cristina tolse il suo piede dalla mia bocca, si allungò su di me e, facendomi segno di alzarmi, mi fece scendere i jeans. Fece lo stesso con le mutande, e perfino io rimasi sorpreso da quanto era lungo e duro il mio cazzo. Mai lo avevo visto così. Cristina mi faceva uno strano effetto.
Cristina lanciò un gridolino (“wooow”) e, risiedendosi al suo posto, allungò le gambe, tenendo il mio cazzo duro con i piedi.
Mi avrebbe fatto una sega con i piedi? Se così fosse stato, il giorno dopo sarei anche potuto morire, e non mi sarebbe importato.
Non appena mosse il suo bel piede succulento davanti a me, e posò il suo alluce allungato sulla mia cappella violacea, successe il patatrac.
“Tieni” disse lei porgendomi un pacchetto di fazzolettini di carta.
Io non sapevo cosa di per giustificarmi. “Io… mi dispiace… ma sei così bella!”
Lei sorrise. “Forse è stato un errore!”.
Con un fazzolettino di carta mi premurai di pulirle il piede abbronzato, sporcato dalla mia sborra specialmente tra le dita dei piedi.
“Mi dispiace!”.
“Non devi dispiacerti; sono cose che capitano! Adesso ti riporto a casa”.
Forse era la cosa giusta da fare, ma io, comunque, non volevo lasciar andare quel bellissimo piede. Quando fu pulito, lo baciai. Lei sorrise.
Durante il tragitto verso casa, nessuno dei due disse una parola. Due settimane dopo, venni a sapere che Cristina e mio padre si erano lasciati. Non so se fu a causa di quello che successe quella notte di un venerdì sera. L’unica cosa che so, è che il mio ricordo di quella sera non svanirà mai.
scritto il
2017-11-02
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