Vite disordinate - Jean-Pierre.
di
Tibet
genere
interviste
Quando rientrai quel tardo pomeriggio trovai la mia padrona di casa che mi aspettava.
-Tu prendi la valigia e te ne vai... subito!-.
Che dire?
La facevo disperare con l'affitto di quella stanza, tergiversavo, la evitavo.
Mi guardava senza animosità, così come un qualcosa da mettere nel passato. Un piccolo inconveniente.
-Vieni in cucina, ti faccio un caffè poi sgombri senza storie...-
Era estate e faceva caldo.
Vivevo e tutto mi sembrava senza importanza, la sera mi rintanavo in una stretta viuzza vicino a Via Margutta dove c'era una serie di trattorie a buon mercato, una strada, allora, piena di gatti e stranamente il menù di queste osterie prevedeva sempre spezzatino.
C'era di tutto, pittori, scrittori, comparse, attricette, con un unico denominatore comune... essere pseudo di qualcosa e essere degli sbandati in cerca di fortuna. Si leggeva delle poesie, si pensava di essere il centro del mondo, le pareti dei locali erano piene di dipinti dati in cambio del cibo.
E ti facevano credito se ti accontentavi di spezzatino di gatto.
Aver avuto soldi allora?
Ti scopavi fiche infinite con la sola spesa della cena.
Sarei andato a stare da Jean-Pierre, il mio amico nero della Costa d'Avorio che si stava laureando in medicina. Aveva un appartamento in Viale Somalia con una stanza libera, minuscola.
Il problema era che questo fottuto bastardo aveva sempre da scopare.
Romane porche che gli sbavavano dietro.
La fila aveva.
E lui era un cesso.
Un metro e sessanta di un brutto estremo.
Che fiche si scopava. Senza fatica.
Vedere per credere.
Chissà quante ore avrei dovuto passare per strada mentre lui faceva andare il pennellone.
Presi tre bus e filobus per arrivare in Viale Somalia, io e la mia valigia mezza vuota.
Lì elemosinai da Jean-Pierre un posto da dormire.
Per adesso mi dice lui.
Non ti voglio come ospite fisso.
Ah... l'inizio?
Sono sulla porta d'ingresso e mentre sto per suonare si apre la porta ed esce una stra fica, alta, bruna, capelli lunghi alle spalle, occhi di un verde smeraldo!
Bella quanto e più di una attrice.
Lui è alto un metro e sessanta? Si... forse! Lei lo passa via di venti centimetri.
Un perfido nano, storto e brutto come il peccato.
Ed è anche uno stupido coglione.
Ora... sto porco gira per casa nudo con il cetriolo tutto sborrato che penzola e si vanta.
Lei lo ha visto dalla finestra di casa sua e ha voluto scoparselo.
Al solito.
Non è la sola.
Beato lui.
Vedere per credere.
Il cazzo nero tira a Roma.
Sbavano.
Lo vedono e si sciolgono. Diventano liquide.
Vedere per credere.
Il nero era trendy, non come ora che ce ne sono troppi.
Il tipo ha un incarico alla ambasciata ivoriana, che potrebbe fare di utile uno così? Leccare i francobolli? in realtà non fa assolutamente un cazzo, è spesato, studia gratis. Mangia e scopa, non fa un cazzo di niente.
Fanculo.
La stanza è piccola, ci sono due materassi sul pavimento e basta. La valigia devo metterla per terra.
Lui entra, chiarisce...
-Quando scopo tu sparisci, resti chiuso nella tua stanza, non voglio che le mie donne si incontrino con te nel bagno o nell'atrio come poco fa, oppure io ti avviso e tu smammi, ok? Rientri quando ho finito.-
Giusto.
-Vuoi fumare...?-
Siamo stesi ognuno su un materasso, fumiamo roba sua. Forte, gli arriva direttamente da Abidjian.
Ha voglia di raccontare.
-Hai visto che fica, prima? Sai cosa vogliono queste puttane? Vogliono il cazzo del negro. Il big bambù. Vogliono sentirsi riempire da un cazzo come il mio...-
E mentre parla inizia a scuoterlo, a menarselo... stronzo coglione.
-Sai... che trovo i biglietti nella buca delle lettere? Non mi costa nessuna fatica scoparle... sono loro che mi cercano, mi vogliono provare...-
Non voglio entrare nella mente femminile, ma io... fossi donna... uno come te e il tuo cazzo non vi vorrei neanche se fossimo naufragati assieme in un'isola deserta!
Donne!
Affamate!
Pazze!
Libidinose!
Stratroie!
Ora si mena.
Scapocchia la verga, è lunga e non è proprio durissima, sembra il cazzo mollo di un cavallo.
Sarà che è fumato o sarà che prende anche qualcosa di chimico? Anfetamine? Non lo dice.
E' fuori.
-Voglio vedere il tuo cazzo...-
Perché no? Non è il perdurante, maschile, senso di competizione?
Il cazzo!
Già da bambini è il confronto più naturale, istintivo.
Questo malefico negro e io siamo precipitati all'indietro con un salto carpiato con doppia giravolta... ci misuriamo il cazzo!
Lo libero, è duro.
Dritto quanto il suo è storto, duro a differenza del suo, bello... almeno secondo i miei canoni di bellezza cazzesca, ma anche questo è relativo, Poi il suo è sgraziato nelle sue dimensioni ma tanto che m'importa? Mica devo prenderlo io.
-Menati anche tu...-
Non so come ci arriviamo, siamo fumati, siamo fatti.
-Il mio cazzo è il doppio del tuo... ah... noi negri vi scopiamo tutte le donne...-
-Quella che è uscita... chi è? Fammela scopare...-
-No... è mia... è sposata...-
Dio!
Ma questo è un mondo illogico!
Lungi da me il voler pontificare, ma lei ha il viso d'angelo e tradisce il marito con questo?
Troia... scopa me!
L'effetto aleatorio della canna sfuma lentamente.
Dopo due giorni non ne posso più.
Il coglione mi tiene sveglio con le sue scopate. E' un via vai continuo, sento i gemiti delle troie, sento i suoi grugniti.
Cazzo! Anche di notte? Ma dove sono i mariti? Torno, sono stanco e mi entra in camera.
E' sempre nudo, eh?
Ha sempre la banana in mano.
E si vanta, mi dice della scopata. L'ultima.
Entra nei particolari. Dice che questa l'ha preso tutto dentro! Tutti i suoi trenta centimetri. E che smaniava! Era in delirio!
Dice che le troie hanno dietro il metro da sarta e gli misurano il cazzo!
E' tanto stronzo che imbroglia anche sulle misure! Ma quali trenta centimetri!
Ed è geloso da mania. Qualcuna che intravvedo è anche figa, altre sono cessi come lui.
Quelle fighe me le farei anch'io.
Lui non divide.
-C'è un affare...-
-Un affare...?-
-Si... tu e io soci a metà, mi serve uno come te, ti presenti bene, a me... non darebbero mai retta...-
Lui... dice che può far arrivare da Abidjian delle casse esenti controlli di dogana come valigia diplomatica, contenenti pelli di leopardo. Gliele manda un suo amico da là. Valore irrisorio... da vendere qui con guadagni enormi. Io devo cercare un compratore.
Una pellicceria, un grossista, un altro intermediario.
Vanteria la sua o verità?
Non avrò mai modo di saperlo.
Probabile che mi ero fumato il cervello perché due giorni dopo ero in via Veneto.
Tirato.
Vestito blu e camicia bianca.
Cravatta.
Sbarbato.
Occhiali a goccia.
Scarpe lucide.
Figo.
Pellicceria di lusso, specchi, tappeti.
Commesse gran fiche.
Chiedo del direttore, del proprietario, di chi manda avanti la baracca.
Ora sinceramente... datemi credito!
Non rifarei una figura del genere neanche dopo morto, ma allora?
Mi sembrava una cosa normale, fattibile, non assurda come era in realtà!
Gli propongo l'affare.
Lui mi guarda con un atteggiamento di disapprovazione, probabile che mi ritenesse uno squilibrato.
E mi fredda...
-Ma non sa... che è proibito dalla legge il commercio e la vendita delle pelli di leopardo, ghepardo, ocelot...? C'è da andare in galera... meglio che se ne vada...-
Maledetto Jean-Pierre!
E io coglione a seguirti nelle tue stronzate!
Come fai a stare nella stessa casa con un coglione così?
Appena recupero un po' di soldi mi trasferisco.
Ma lui, coglione e nano... dio!
Se ne scopava di romane troie!
La fila aveva quel bastardo
Vedere per credere.
Non lo rividi più.
Si sarà poi laureato?
Fa il medico? In Africa?
Non credo, in Africa sono seri, secondo me fa il medico in Italia. Qui tutto è possibile ed ammesso.
Non so, non voglio pensare ai suoi pazienti
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Tibet
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