Maestra di vita
di
Edipo
genere
prime esperienze
Ovvero: I buoni consigli della signora Cenzina (include: La filastrocca di Berta e La processione di santa Clorinda vergine e martire)
C'era nebbia la mattina di inizio marzo quando Letizia fu accompagnata dalla madre per quella strana strada: all'inizio vi si affacciavano delle casette anonime, spesso a un piano, poi ecco una specie di casermone che era stato anni prima una tipografia, e dopo nulla più; da una parte e dall'altra giardini, orti di pertinenza di qualche vecchia casa illustre e ora semiabbandonati, appartenenti a chissà chi. La via proseguiva dritta e, all'apparenza finiva davanti a una villa di colore indefinito, forse granata in origine ma adesso scuro, rugginoso, sgradevole. Tutta la villa del resto era di aspetto sgradevole: costruita all'inizio del secolo scorso in uno stile che solo l'architetto avrebbe potuto spiegare, era un susseguirsi di rientranze, finestre cieche, abbaini, porte che si aprivano su ringhiere scure; tutto questo sulla facciata che dava sul giardino in cui si entrava attraverso un cancello di colore non meno rugginoso, in quanto sulla via si apriva solo un lato della casa, con finestre sempre chiuse come se quella parte fosse disabitata. Tutti la chiamavano la "casa della signora Cenzina" come se solo lei l'abitasse, mentre vi vivevano altre quattro donne. A parte l'ossuta e silenziosa domestica vi abitavano la madre e le sorelle della signora Cenzina che pareva vivessero alla sua ombra. La madre, vecchissima, era svanita e non capiva molto; le sorelle, non si sa se più grandi o più piccole di lei, erano personaggi secondari della famiglia. Tutti le chiamavano "le signorine" e le donne in particolare, con quel tipico tono misto di rispetto e di superiorità con cui le signore sposate di un'altra epoca indicavano le donne che erano rimaste nubili. La sorella invece no, lei aveva il diritto di essere chiamata signora e forse era questo a conferirle maggiore autorità: infatti era stata sposata, sia pure per un breve periodo. Il marito si chiamava Eugenio, il matrimonio era stato organizzato dalle rispettive famiglie, accolto con entusiasmo molto più da parte di lei che di lui. Cenzina non era mai stata bella e sebbene di alta statura non aveva neanche particolari attrattive fisiche. Rimase subito incinta e la gravidanza non si presentò facile fin dall'inizio; le si ingrossarono tutte le parti del corpo, si gonfiò a dismisura e la sua pelle assunse un colorito giallastro e malsano. Logico che il giovane e aitante Eugenio cercasse altrove soddisfazioni che gli erano negate nel matrimonio; una ragazza chiamata Maria, sposata a un operaio partito soldato, si vendeva per poco in cambio di un aiuto per tirare su il suo bambino. Era piccola, benfatta, bellina: si spogliò tutta e mostrò dei seni deliziosi, con i capezzoli rivolti all'insù che erano un vero incitamento a succhiarli; con una mano si coprì il pube più per civetteria che per pudore ma in quel gesto, pensò Eugenio, c'era più sensualità di quanta sua moglie sarebbe stata capace di sprigionare in tutta la sua vita. Maria divenne una vera ossessione per il suo amante che, alla fine, dovette ammettere con sè stesso che si era innamorato di lei. La gravidanza di Cenzina finì male, con un aborto spontaneo; subito dopo il marito fuggì via con Maria, secondo alcuni in Brasile, secondo altri in Francia, sicuramente in un paese da cui non tornò più. Cenzina per un anno portò il lutto come se fosse rimasta vedova, poi se lo tolse e non diede nessun altro segno di essere stata maritata.
La domestica ossuta, dall'aspetto patibolare, condusse Letizia e la madre in un salotto che aveva pretese di eleganza, con un divano e delle poltrone foderate di verde, mobili scuri, un pianoforte a muro che non era mai suonato da nessuno, un quadro in cui una ragazza ballava in tutù e sorrideva all'ignoto pittore, un altro quadro dove una barca solitaria galleggiava in un lago e un vecchio pescatore gettava la lenza. Era il salotto privato della padrona di casa, quello in cui venivano trattati gli affari, come dimostrava la presenza in un angolo di un trumeau. Dopo un po' comparve lei, la signora Cenzina, alta e più corpulenta di quanto i larghi vestiti facessero intendere, i capelli grigi raccolti all'insù, un aspetto severo da insegnante di collegio. I suoi occhi si fissarono su Letizia, sui modesti vestiti, ne valutarono le forme e la sostanza.
"Eccola qui" disse la madre. "Spero che lei le dia dei buoni consigli, signora Cenzina, e le levi certe idee dalla testa. Ho quattro maschi da mantenere e i soldi ci servono."
"Capisco. Me la lasci per qualche ora e cercherò di spiegarle le cose della vita. Vada pure a fare compere per la famiglia."
Nell'accompagnarla alla porta le fece scivolare in mano alcuni biglietti di banca.
"E' vergine?" le chiese con un sussurro.
"Naturalmente", rispose la madre, quasi indignata. Salutò la figlia raccomandandole di seguire i consigli della buona signora e di non far soffrire la sua mamma. Le vennero le lacrime, cercò un fazzoletto per asciugarsi, si frugò nelle tasche e non trovandolo si portò senza rendersene conto una banconota agli occhi, poi andò via.
Un'ora dopo Cenzina era seduta in salotto con la ragazza, vestita di un bell'abito nuovo che le aveva donato. L'aveva condotta alla toilette, convinta, nonostante la sua riluttanza a spogliarsi e a farsi il bagno mentre lei l'aiutava a lavarsi. Aveva potuto valutarne il bel corpo, privo di imperfezioni, la pelle delicata, i morbidi capelli biondi, la carne fresca, l'incavo ancora intatto ricoperto da una lieve peluria chiara.
"Non immagini nemmeno come sei fortunata, ragazza mia. Con il corpo e il viso che ti ritrovi puoi fare la signora ma devi affrettarti perché non sono cose che durano molto. Ricorda che la la bruttezza resta ma la bellezza passa, quindi sta a te cogliere l'occasione che hai e che le ragazze brutte ti invidiano con tutta l'anima. Chi è questo tipo che vuole sposarti?"
"Un bravo giovane, fa l'operaio..."
"Mio Dio, e scommetto che prima o poi gli darai un anticipo sulla dote e ti ritroverai incinta. Non ti rendi conto? Trascorrerai la vita a sfornare figli, la tua bellezza svanirà per le troppe gravidanze e per la fatica di governare la casa e vi mancheranno sempre i soldi per le cose più semplici. E' questa la vita che vuoi? Se è così, alzati e vai via, è inutile che parliamo ancora."
Letizia giocò con le frange del vestito nuovo, poi disse piano:"Ma mi vuole bene..."
"Certo e quale maschio non vorrebbe bene a una ragazza come te? Ma quello che gli uomini chiamano bene o amore o sentimento, dura quanto l'alzarsi e l'abbassarsi di una gonna. Dopo, soddisfatto il desiderio, ti rovinano l'esistenza."
"Allora che devo fare?"
"Non l'hai capito? Goderti la vita e ricavarne il massimo guadagno finché sei giovane e bella. Avessi avuto io il tuo aspetto e il tuo corpo, la mia vita sarebbe stata diversa e molto più felice e ...Ma lasciamo stare me e parliamo di te. La sai la filastrocca di Berta? No? La sentivo da bambina, faceva così:
Il padrone disse a Berta: Berta, dammi la tua rosa profumata ma Berta rispose: no, non te la do.
Allora il padrone disse alla mazza: picchia Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma la mazza rispose: non picchio.
Allora il padrone disse al fuoco: brucia la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma il fuoco rispose: non brucio.
Allora il padrone disse all'acqua: spegni il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma l'acqua rispose: non spengo.
Allora il padrone disse alla vacca: bevi l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma la vacca rispose: non bevo.
Allora il padrone disse alla fune: lega la vacca che non vuole bere l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma la fune rispose: non lego.
Allora il padrone disse al sorcio: rosica la fune che non vuole legare la vacca che non vuole bere l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma il sorcio rispose: non rosico.
Allora il padrone disse al gatto: mangia il sorcio che non vuole rodere la fune che non vuole legare la vacca che non vuole bere l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata e il gatto rispose: mangio, mangio.
Allora il sorcio disse: rosico, rosico.
Allora la fune disse: lego, lego.
Allora la vacca disse: bevo, bevo.
Allora l'acqua disse: spengo, spengo.
Allora il fuoco disse: brucio, brucio.
Allora la mazza disse: picchio, picchio.
Allora Berta disse: te la do, te la do, e diede la sua rosa profumata al padrone.
Naturalmente solo da adulta ho capito che cosa era davvero la rosa profumata di Berta che il padrone voleva a tutti i costi. Ora, vedi, o la rosa la dai subito, senza tanti problemi, e ti guadagni da vivere per te e per la tua famiglia oppure sarai comunque costretta a darla più in là, quando comincerà ad avvizzirsi. Sposa pure il tuo operaio, se lo vuoi davvero, ma da qui a qualche anno incontrerai qualcuno più ricco che ti darà la possibilità di fuggire da una vita che ti sarà diventata odiosa."
Che cosa poteva obiettare una ragazzina a una saggezza che veniva da lontano? L'unica opposizione, che in passato aveva ancora un certo peso, poteva venire dalla morale. Letizia si era annoiata parecchio alle lezioni di catechismo ma le vennero in mente, così rivolse alla signora Cenzina una semplice domanda:" Ma non è peccato?"
La signora non poteva, e per l'epoca in cui viveva e per la sua stessa formazione, ridere di una domanda del genere.
"Sei religiosa? Bene, lo sono anch'io ma questo ha poco a che vedere con quello di cui stiamo parlando. Le disgraziate che lavorano nelle case chiuse si confessano e si comunicano tutte le settimane, molto più spesso delle pie signore che fanno parte di comitati di beneficenza e di assistenza. Vuoi diventare santa? Allora non ti dico altro ma ti ricordo che sei povera e la santità è un lusso da ricchi. Del resto che cosa è il peccato se non ciò che noi rendiamo tale? Metti il caso che stanotte nella tua camera entri un bellissimo giovane che ti chieda di fare l'amore con lui. Tu gli risponderai, immagino, che se non va via griderai aiuto ma se ti dicesse che è venuta a visitarlo la Morte e gli ha detto che la mattina dopo morirà e che lui, prima di morire, vuole conoscere l'amore, gli diresti di no? Ti sembrerebbe di commettere un peccato?"
La buona signora sospirò e si fermò a riflettere. "Vedi, Letizia, sono i soldi che fanno la differenza tra ciò che è peccato e ciò che è permesso. Una donna povera che va con tutti è una puttana, una ricca che fa lo stesso rimane una signora. Al paese di mia madre si fa ogni anno la processione di santa Clorinda, vergine e martire. Una ragazza tra i quindici e i diciotto anni viene scelta per impersonare la santa e cammina per le strade del paese, avvolta in una veste bianca, il capo coperto da un velo e riceve in dono da tutti o fiori o dolci o candele e gettano petali ai suoi piedi. E' un onore molto ambito impersonare la santa ed è molto difficile essere prescelta dal comitato, composto dall'arciprete, dalla madre superiora del convento in cui la ragazza trascorre la notte prima della processione e dal capo della confraternita dei fedeli incappucciati che accompagnano la santa nel suo cammino. Ora, un anno tra le candidate ce ne fu una che si chiamava Aurora, forse la ragazza più bella del paese; fra le doti richieste per essere scelte non figuravano quelle fisiche oltre alle morali, ma a nessuno sarebbe venuto in mente di far interpretare la santa da una racchia. Aurora era dunque la favorita in quell'anno ma una voce malevola iniziò a farsi strada, diffusa non si sa da chi per primo: che non fosse vergine. La voce divenne così fastidiosa e petulante che il comitato decise di vederci chiaro: convocò la madre della ragazza che giurò e spergiurò trattarsi di calunnie. Che una levatrice visitasse pure la figlia e confermasse la verità! Con la massima discrezione fu fatto davvero così ma il risultato dell'esame fu sconvolgente: Aurora non era degna di impersonare la santa vergine e martire. Presa a schiaffi la sciagurata figlia per conoscere la verità, la buona signora rimase sbalordita e incredula quando la ragazza le disse tra le lacrime che quando aveva nove anni suo nonno l'aveva invitata a stendersi con lui nel letto e l'aveva violata; le diede altri schiaffi urlandole di dire la verità e di non calunniare la santa memoria del nonno ma non ci fu modo di strapparle il nome del suo amante. Il comitato cercò di tenere sotto silenzio la faccenda ma quando fu prescelta un'altra fanciulla fu chiaro a tutti che Aurora era una svergognata. La ragazza scappò e nessuno ne seppe più nulla tranne i soliti bene informati che assicurarono fosse andata a stare in una casa chiusa. Immagina la sorpresa quando, vent'anni dopo, in paese apparve una donna vestita da gran signora, al braccio del ricchissimo marito, e accompagnata da una bellissima figlia che somigliava tale e quale all'Aurora che avevano conosciuto vent'anni prima. Dalla somiglianza tutti capirono che la madre era proprio Aurora, tornata trionfante, e la prima a rimanere sconvolta dall'apparizione fu l'anziana e malata genitrice. La figlia era stata chiamata guarda caso Clorinda e la madre si recò a far visita ai membri del comitato che poi erano rimasti gli stessi di vent'anni avanti, solo invecchiati e acciaccati. Sia l'arciprete, sia la madre superiora, sia il capo della confraternita ricevettero abbondanti donazioni e la candidatura della giovane Clorinda per vestire i panni della sua illustre omonima sbaragliò la concorrenza. Così Aurora, fiera e impettita, seguì la processione in cui sua figlia la vendicava dell'affronto subito e tutti rimasero zitti di fronte a quello che pochi, sussurrando, definivano uno scandalo. Che te ne pare? Una bella soddisfazione, vero? Il denaro può tutto. Vuoi davvero sprecare la tua vita con quel poveraccio? Pensaci bene e fammi sapere."
Tre giorni dopo la madre di Letizia, tutta raggiante, tornò a trovare la signora Cenzina.
"Lo ha lasciato! Grazie a lei, signora!"
"Ne ho piacere, sapevo che era una ragazza giudiziosa. Ora, siete pronte a seguire ancora i miei consigli?"
"Certamente, non possiamo sperare in una guida migliore."
"E allora lasciate fare a me. Conosco persone importanti, gente che può spendere molto per il proprio piacere. Quando sapranno che una vergine bellissima è disponibile saranno pronti a spendere qualunque cifra. Noi, naturalmente, sceglieremo chi farà la migliore offerta. Vostra figlia sarà ricca, ve l'assicuro."
"Si era messa su una brutta strada ma grazie ai suoi buoni consigli si è resa conto dei suoi doveri verso la mamma e la famiglia. Cosa posso fare per sdebitarmi?"
"Nulla, per me è un dovere aiutare e proteggere le ragazze povere e indifese."
E discussero a lungo delle prospettive che si aprivano all'avvenire di Letizia.
C'era nebbia la mattina di inizio marzo quando Letizia fu accompagnata dalla madre per quella strana strada: all'inizio vi si affacciavano delle casette anonime, spesso a un piano, poi ecco una specie di casermone che era stato anni prima una tipografia, e dopo nulla più; da una parte e dall'altra giardini, orti di pertinenza di qualche vecchia casa illustre e ora semiabbandonati, appartenenti a chissà chi. La via proseguiva dritta e, all'apparenza finiva davanti a una villa di colore indefinito, forse granata in origine ma adesso scuro, rugginoso, sgradevole. Tutta la villa del resto era di aspetto sgradevole: costruita all'inizio del secolo scorso in uno stile che solo l'architetto avrebbe potuto spiegare, era un susseguirsi di rientranze, finestre cieche, abbaini, porte che si aprivano su ringhiere scure; tutto questo sulla facciata che dava sul giardino in cui si entrava attraverso un cancello di colore non meno rugginoso, in quanto sulla via si apriva solo un lato della casa, con finestre sempre chiuse come se quella parte fosse disabitata. Tutti la chiamavano la "casa della signora Cenzina" come se solo lei l'abitasse, mentre vi vivevano altre quattro donne. A parte l'ossuta e silenziosa domestica vi abitavano la madre e le sorelle della signora Cenzina che pareva vivessero alla sua ombra. La madre, vecchissima, era svanita e non capiva molto; le sorelle, non si sa se più grandi o più piccole di lei, erano personaggi secondari della famiglia. Tutti le chiamavano "le signorine" e le donne in particolare, con quel tipico tono misto di rispetto e di superiorità con cui le signore sposate di un'altra epoca indicavano le donne che erano rimaste nubili. La sorella invece no, lei aveva il diritto di essere chiamata signora e forse era questo a conferirle maggiore autorità: infatti era stata sposata, sia pure per un breve periodo. Il marito si chiamava Eugenio, il matrimonio era stato organizzato dalle rispettive famiglie, accolto con entusiasmo molto più da parte di lei che di lui. Cenzina non era mai stata bella e sebbene di alta statura non aveva neanche particolari attrattive fisiche. Rimase subito incinta e la gravidanza non si presentò facile fin dall'inizio; le si ingrossarono tutte le parti del corpo, si gonfiò a dismisura e la sua pelle assunse un colorito giallastro e malsano. Logico che il giovane e aitante Eugenio cercasse altrove soddisfazioni che gli erano negate nel matrimonio; una ragazza chiamata Maria, sposata a un operaio partito soldato, si vendeva per poco in cambio di un aiuto per tirare su il suo bambino. Era piccola, benfatta, bellina: si spogliò tutta e mostrò dei seni deliziosi, con i capezzoli rivolti all'insù che erano un vero incitamento a succhiarli; con una mano si coprì il pube più per civetteria che per pudore ma in quel gesto, pensò Eugenio, c'era più sensualità di quanta sua moglie sarebbe stata capace di sprigionare in tutta la sua vita. Maria divenne una vera ossessione per il suo amante che, alla fine, dovette ammettere con sè stesso che si era innamorato di lei. La gravidanza di Cenzina finì male, con un aborto spontaneo; subito dopo il marito fuggì via con Maria, secondo alcuni in Brasile, secondo altri in Francia, sicuramente in un paese da cui non tornò più. Cenzina per un anno portò il lutto come se fosse rimasta vedova, poi se lo tolse e non diede nessun altro segno di essere stata maritata.
La domestica ossuta, dall'aspetto patibolare, condusse Letizia e la madre in un salotto che aveva pretese di eleganza, con un divano e delle poltrone foderate di verde, mobili scuri, un pianoforte a muro che non era mai suonato da nessuno, un quadro in cui una ragazza ballava in tutù e sorrideva all'ignoto pittore, un altro quadro dove una barca solitaria galleggiava in un lago e un vecchio pescatore gettava la lenza. Era il salotto privato della padrona di casa, quello in cui venivano trattati gli affari, come dimostrava la presenza in un angolo di un trumeau. Dopo un po' comparve lei, la signora Cenzina, alta e più corpulenta di quanto i larghi vestiti facessero intendere, i capelli grigi raccolti all'insù, un aspetto severo da insegnante di collegio. I suoi occhi si fissarono su Letizia, sui modesti vestiti, ne valutarono le forme e la sostanza.
"Eccola qui" disse la madre. "Spero che lei le dia dei buoni consigli, signora Cenzina, e le levi certe idee dalla testa. Ho quattro maschi da mantenere e i soldi ci servono."
"Capisco. Me la lasci per qualche ora e cercherò di spiegarle le cose della vita. Vada pure a fare compere per la famiglia."
Nell'accompagnarla alla porta le fece scivolare in mano alcuni biglietti di banca.
"E' vergine?" le chiese con un sussurro.
"Naturalmente", rispose la madre, quasi indignata. Salutò la figlia raccomandandole di seguire i consigli della buona signora e di non far soffrire la sua mamma. Le vennero le lacrime, cercò un fazzoletto per asciugarsi, si frugò nelle tasche e non trovandolo si portò senza rendersene conto una banconota agli occhi, poi andò via.
Un'ora dopo Cenzina era seduta in salotto con la ragazza, vestita di un bell'abito nuovo che le aveva donato. L'aveva condotta alla toilette, convinta, nonostante la sua riluttanza a spogliarsi e a farsi il bagno mentre lei l'aiutava a lavarsi. Aveva potuto valutarne il bel corpo, privo di imperfezioni, la pelle delicata, i morbidi capelli biondi, la carne fresca, l'incavo ancora intatto ricoperto da una lieve peluria chiara.
"Non immagini nemmeno come sei fortunata, ragazza mia. Con il corpo e il viso che ti ritrovi puoi fare la signora ma devi affrettarti perché non sono cose che durano molto. Ricorda che la la bruttezza resta ma la bellezza passa, quindi sta a te cogliere l'occasione che hai e che le ragazze brutte ti invidiano con tutta l'anima. Chi è questo tipo che vuole sposarti?"
"Un bravo giovane, fa l'operaio..."
"Mio Dio, e scommetto che prima o poi gli darai un anticipo sulla dote e ti ritroverai incinta. Non ti rendi conto? Trascorrerai la vita a sfornare figli, la tua bellezza svanirà per le troppe gravidanze e per la fatica di governare la casa e vi mancheranno sempre i soldi per le cose più semplici. E' questa la vita che vuoi? Se è così, alzati e vai via, è inutile che parliamo ancora."
Letizia giocò con le frange del vestito nuovo, poi disse piano:"Ma mi vuole bene..."
"Certo e quale maschio non vorrebbe bene a una ragazza come te? Ma quello che gli uomini chiamano bene o amore o sentimento, dura quanto l'alzarsi e l'abbassarsi di una gonna. Dopo, soddisfatto il desiderio, ti rovinano l'esistenza."
"Allora che devo fare?"
"Non l'hai capito? Goderti la vita e ricavarne il massimo guadagno finché sei giovane e bella. Avessi avuto io il tuo aspetto e il tuo corpo, la mia vita sarebbe stata diversa e molto più felice e ...Ma lasciamo stare me e parliamo di te. La sai la filastrocca di Berta? No? La sentivo da bambina, faceva così:
Il padrone disse a Berta: Berta, dammi la tua rosa profumata ma Berta rispose: no, non te la do.
Allora il padrone disse alla mazza: picchia Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma la mazza rispose: non picchio.
Allora il padrone disse al fuoco: brucia la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma il fuoco rispose: non brucio.
Allora il padrone disse all'acqua: spegni il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma l'acqua rispose: non spengo.
Allora il padrone disse alla vacca: bevi l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma la vacca rispose: non bevo.
Allora il padrone disse alla fune: lega la vacca che non vuole bere l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma la fune rispose: non lego.
Allora il padrone disse al sorcio: rosica la fune che non vuole legare la vacca che non vuole bere l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata ma il sorcio rispose: non rosico.
Allora il padrone disse al gatto: mangia il sorcio che non vuole rodere la fune che non vuole legare la vacca che non vuole bere l'acqua che non vuole spegnere il fuoco che non vuole bruciare la mazza che non vuole picchiare Berta che non vuole darmi la sua rosa profumata e il gatto rispose: mangio, mangio.
Allora il sorcio disse: rosico, rosico.
Allora la fune disse: lego, lego.
Allora la vacca disse: bevo, bevo.
Allora l'acqua disse: spengo, spengo.
Allora il fuoco disse: brucio, brucio.
Allora la mazza disse: picchio, picchio.
Allora Berta disse: te la do, te la do, e diede la sua rosa profumata al padrone.
Naturalmente solo da adulta ho capito che cosa era davvero la rosa profumata di Berta che il padrone voleva a tutti i costi. Ora, vedi, o la rosa la dai subito, senza tanti problemi, e ti guadagni da vivere per te e per la tua famiglia oppure sarai comunque costretta a darla più in là, quando comincerà ad avvizzirsi. Sposa pure il tuo operaio, se lo vuoi davvero, ma da qui a qualche anno incontrerai qualcuno più ricco che ti darà la possibilità di fuggire da una vita che ti sarà diventata odiosa."
Che cosa poteva obiettare una ragazzina a una saggezza che veniva da lontano? L'unica opposizione, che in passato aveva ancora un certo peso, poteva venire dalla morale. Letizia si era annoiata parecchio alle lezioni di catechismo ma le vennero in mente, così rivolse alla signora Cenzina una semplice domanda:" Ma non è peccato?"
La signora non poteva, e per l'epoca in cui viveva e per la sua stessa formazione, ridere di una domanda del genere.
"Sei religiosa? Bene, lo sono anch'io ma questo ha poco a che vedere con quello di cui stiamo parlando. Le disgraziate che lavorano nelle case chiuse si confessano e si comunicano tutte le settimane, molto più spesso delle pie signore che fanno parte di comitati di beneficenza e di assistenza. Vuoi diventare santa? Allora non ti dico altro ma ti ricordo che sei povera e la santità è un lusso da ricchi. Del resto che cosa è il peccato se non ciò che noi rendiamo tale? Metti il caso che stanotte nella tua camera entri un bellissimo giovane che ti chieda di fare l'amore con lui. Tu gli risponderai, immagino, che se non va via griderai aiuto ma se ti dicesse che è venuta a visitarlo la Morte e gli ha detto che la mattina dopo morirà e che lui, prima di morire, vuole conoscere l'amore, gli diresti di no? Ti sembrerebbe di commettere un peccato?"
La buona signora sospirò e si fermò a riflettere. "Vedi, Letizia, sono i soldi che fanno la differenza tra ciò che è peccato e ciò che è permesso. Una donna povera che va con tutti è una puttana, una ricca che fa lo stesso rimane una signora. Al paese di mia madre si fa ogni anno la processione di santa Clorinda, vergine e martire. Una ragazza tra i quindici e i diciotto anni viene scelta per impersonare la santa e cammina per le strade del paese, avvolta in una veste bianca, il capo coperto da un velo e riceve in dono da tutti o fiori o dolci o candele e gettano petali ai suoi piedi. E' un onore molto ambito impersonare la santa ed è molto difficile essere prescelta dal comitato, composto dall'arciprete, dalla madre superiora del convento in cui la ragazza trascorre la notte prima della processione e dal capo della confraternita dei fedeli incappucciati che accompagnano la santa nel suo cammino. Ora, un anno tra le candidate ce ne fu una che si chiamava Aurora, forse la ragazza più bella del paese; fra le doti richieste per essere scelte non figuravano quelle fisiche oltre alle morali, ma a nessuno sarebbe venuto in mente di far interpretare la santa da una racchia. Aurora era dunque la favorita in quell'anno ma una voce malevola iniziò a farsi strada, diffusa non si sa da chi per primo: che non fosse vergine. La voce divenne così fastidiosa e petulante che il comitato decise di vederci chiaro: convocò la madre della ragazza che giurò e spergiurò trattarsi di calunnie. Che una levatrice visitasse pure la figlia e confermasse la verità! Con la massima discrezione fu fatto davvero così ma il risultato dell'esame fu sconvolgente: Aurora non era degna di impersonare la santa vergine e martire. Presa a schiaffi la sciagurata figlia per conoscere la verità, la buona signora rimase sbalordita e incredula quando la ragazza le disse tra le lacrime che quando aveva nove anni suo nonno l'aveva invitata a stendersi con lui nel letto e l'aveva violata; le diede altri schiaffi urlandole di dire la verità e di non calunniare la santa memoria del nonno ma non ci fu modo di strapparle il nome del suo amante. Il comitato cercò di tenere sotto silenzio la faccenda ma quando fu prescelta un'altra fanciulla fu chiaro a tutti che Aurora era una svergognata. La ragazza scappò e nessuno ne seppe più nulla tranne i soliti bene informati che assicurarono fosse andata a stare in una casa chiusa. Immagina la sorpresa quando, vent'anni dopo, in paese apparve una donna vestita da gran signora, al braccio del ricchissimo marito, e accompagnata da una bellissima figlia che somigliava tale e quale all'Aurora che avevano conosciuto vent'anni prima. Dalla somiglianza tutti capirono che la madre era proprio Aurora, tornata trionfante, e la prima a rimanere sconvolta dall'apparizione fu l'anziana e malata genitrice. La figlia era stata chiamata guarda caso Clorinda e la madre si recò a far visita ai membri del comitato che poi erano rimasti gli stessi di vent'anni avanti, solo invecchiati e acciaccati. Sia l'arciprete, sia la madre superiora, sia il capo della confraternita ricevettero abbondanti donazioni e la candidatura della giovane Clorinda per vestire i panni della sua illustre omonima sbaragliò la concorrenza. Così Aurora, fiera e impettita, seguì la processione in cui sua figlia la vendicava dell'affronto subito e tutti rimasero zitti di fronte a quello che pochi, sussurrando, definivano uno scandalo. Che te ne pare? Una bella soddisfazione, vero? Il denaro può tutto. Vuoi davvero sprecare la tua vita con quel poveraccio? Pensaci bene e fammi sapere."
Tre giorni dopo la madre di Letizia, tutta raggiante, tornò a trovare la signora Cenzina.
"Lo ha lasciato! Grazie a lei, signora!"
"Ne ho piacere, sapevo che era una ragazza giudiziosa. Ora, siete pronte a seguire ancora i miei consigli?"
"Certamente, non possiamo sperare in una guida migliore."
"E allora lasciate fare a me. Conosco persone importanti, gente che può spendere molto per il proprio piacere. Quando sapranno che una vergine bellissima è disponibile saranno pronti a spendere qualunque cifra. Noi, naturalmente, sceglieremo chi farà la migliore offerta. Vostra figlia sarà ricca, ve l'assicuro."
"Si era messa su una brutta strada ma grazie ai suoi buoni consigli si è resa conto dei suoi doveri verso la mamma e la famiglia. Cosa posso fare per sdebitarmi?"
"Nulla, per me è un dovere aiutare e proteggere le ragazze povere e indifese."
E discussero a lungo delle prospettive che si aprivano all'avvenire di Letizia.
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