Venere selvaggia
di
Edipo
genere
sadomaso
La sala era già piena, fino all'inverosimile. I posti a sedere quasi tutti occupati o in attesa che gli spettatori già prenotati e ritardari venissero ad occuparli, i lati della platea e la galleria sovrastante gremiti di gente in piedi. Il parlottio era assordante, un lungo, interminabile ronzio, fastidioso e continuo. Madame de Tourvel fu aiutata a raggiungere il suo posto e si ritrovò accanto il giovane Polignac.
"Vedete, signora, temevate di essere l'unica donna e invece quante vostre compagne di sesso sono presenti: segno che lo spettacolo non è osceno come voi sostenevate."
"Vedere una donna nuda non è osceno? Mon Dieu, devo essere impazzita per essere venuta qui e il fatto di non essere la sola non mi rende più tranquilla."
"Si tratta di una dimostrazione scientifica."
"Non trattatemi come una stupida! Avete mai sentito parlare di Emma Hamilton, l'amante di Lord Nelson?"
"Eccome, una delle donne più belle del suo tempo."
"Era di origini umilissime e pare che all'inizio abbia posato nuda davanti a molti uomini per consentire le lezioni di anatomia di uno pseudoscienziato. Era soprannominata la Venere di Londra. Non mi risulta che le donne fossero ammesse allo spettacolo."
"Gli inglesi sono puritani, lo sapete. E' pur vero che qui non sono ammessi i bambini e non vedo fanciulle in età da marito."
"Vedete? Quindi non mi venite a dire che non è uno spettacolo osceno."
"Perdonate, signora." A parlare era stato un signore elegante, distinto, con una folta barba nera, seduto all'altro lato della dama. "Voi avreste ragione se fossimo qui per vedere una donna della nostra stessa razza e devo ammettere che lo spettacolo della Venere di Londra di cui ho sentito parlare era davvero disdicevole e contrario alla morale. Ma stasera vedremo una selvaggia, un essere subumano. Monsieur Voltaire che tante cose ci ha insegnato e ha aperto la nostra mente a nuovi splendidi orizzonti, diceva giustamente che i negri hanno probabilmente avuto origine da antichi, bestiali accoppiamenti tra esseri umani e scimmie. Assistere all'esibizione del loro corpo non è dunque diverso dall'andare a guardare i rinoceronti o i camelopardi o gli ippopotami. Non penso che troviate osceno fissare tali bestie."
"Con chi ho il piacere di parlare?"
"Perdonate, signora, sono un vero maleducato. Il mio nome è Maurice Blanch, sono un dottore."
"Bè, rispetto l'opinione dell'uomo di scienza ma continuo a nutrire delle perplessità. Cosa sapete di questo signor Vallon che terrà la conferenza?"
"Confesso di non conoscerlo, il suo nome non è noto negli ambienti scientifici. Sono molto curioso di ascoltare la sua dissertazione."
"Sì, dissertazione!", sussurrò lo studente Polignac a Madame de Tourvel, di cui era da tempo cavalier servente. "Con la scusa della scienza è venuto a dare un'occhiata al ... alle forme della selvaggia."
"Come tutti qui, compreso voi! Ma noi donne, noi che ci facciamo qui?"
"E via, la curiosità è femmina, no? Per non parlare delle esponenti del vostro sesso che preferiscono il corpo femminile a quello maschile..."
"Se dite un'altra parola, mi alzo e me ne vado. Davvero avete visto alcune di quelle svergognate? E io che sono venuta a compromettere la mia reputazione!"
"Guardate là, a sinistra, non riconoscete la moglie del ministro dell'Interno? E quella signora laggiù non è forse la marchesa di Laclos? Siete in buona compagnia."
"Se è per questo, vedo anche note ballerine e mantenute. Tutte qui per ascoltare la dissertazione scientifica, come il dottore?"
"Tutte qui per farsi vedere, è la loro ragione di vita, no?"
Lo studente trascurava un particolare importante: a Parigi c'era una grande voglia di svago e di divertimento. Era trascorso solo un quarto di secolo da quando le teste, comprese quelle regali, erano rotolate sotto la ghigliottina, poi c'erano state l'ascesa e la prima caduta del piccolo uomo della Corsica, il suo ritorno, la seconda e definitiva caduta, il ritorno dei vecchi fantasmi borbonici e nel frattempo guerre, guerre, guerre... Ora si tirava il fiato, c'era voglia di novità, voglia di vivere.
A un tratto il suono di un campanello segnalò che la serata stava per iniziare. Monsieur Michel Vallon apparve sul palco. Era un giovane di circa trent'anni, alto, distinto, con una bella barba castana e fece una buona impressione alle signore presenti. Possedeva una voce da tenore, che, grazie alla perfetta acustica della sala, si udiva quasi perfettamente in ogni angolo. Alcuni inservienti portarono sul palco un lungo separè, dietro il quale si intuì la presenza inquietante della Venere selvaggia. Il brusio tacque e il giovane Vallon, dopo i ringraziamenti di rito ai presenti per la loro massiccia partecipazione, promise una serata di cultura e scienza.
"Bah", borbottò Madame de Tourvel, "dieci franchi per un posto a sedere e cinque per un posto in piedi e parla di amore per la scienza!"
"Signori", diceva il conferenziere," da molti anni, da quando ero uno studentello, ho viaggiato a lungo in Africa, attratto dal fascino di quel misterioso continente, in cui ho trascorso, negli ultimi anni, più tempo che non nella mia patria. Ho unito l'utile al dilettevole, perché al vantaggio di ammirare paesaggi e posti stupendi, ho affiancato l'approfondimento dei miei studi scientifici."
"Che ipocrita!", commentava Polignac all'orecchio della sua signora, "Lo sanno tutti che si è arricchito con il mercato degli schiavi."
"Durante i miei soggiorni nell'Africa meridionale ho potuto studiare le popolazioni locali, le loro usanze, la loro storia, le loro caratteristiche fisiche e morali. Nelle province olandesi del Capo mi sono imbattuto nelle popolazioni khoisan, termine con cui, per la verità, vengono fusi due gruppi affini ma diversi: i khoi, popolo dedito alla pastorizia, e i san, provetti cacciatori."
Vallon iniziò a descrivere le abitudini e le differenze tra i due popoli, inserendo qua e là parole scientifiche di cui pochi capivano il significato. Dopo una breve pausa per rinfrescarsi la gola con un bicchiere d'acqua, l'oratore passò a parlare delle donne khoi.
"Fui subito colpito da due particolari anatomici che rendevano le donne di questa etnia uniche. Gli organi genitali erano coperti da una specie di velo naturale, un'appendice carnosa definita sinus pudoris, che si estende per una decina di centimetri. L'altra era lo sviluppo abnorme dei glutei, che apparivano sporgenti e carnosi. Tale caratteristica, presente in forma varia in tutte le donne del popolo khoi, e molto di più rispetto agli uomini, mi colpì in un modo del tutto inatteso. La prima volta che entrai in un villaggio khoi vidi le donne che portavano sulle spalle i loro bambini. Fin qui nulla di diverso da ciò che accade in tutti i villaggi e le città del mondo; solo che i bambini khoi poggiavano comodamente i piedini sulle natiche delle madri o delle sorelle maggiori e, le mani posate sulle spalle delle donne, venivano portati a passeggio in questo incredibile modo. Ecco a voi un disegno che vi illustra il bizzarro spettacolo al quale assistetti." Mostrò un grande disegno in cui una donna nera, nuda, teneva sulle immense e sporgenti natiche un bambino di sesso maschile.
Il caveliere d'Herblay, confuso tra il pubblico, cominciò a sudare copiosamente, ed ebbe un capogiro. L'immagine della donna che faceva salire sulle natiche il bambino nudo provocò in lui qualcosa di simile all'eccitazione e , a dire il vero, le reazioni di altri spettatori dimostrarono che non era stato l'unico a rimanere sbalordito di fronte a quell'immagine che evocava blasfeme idee di una Madonna nera che posava con il figlio...
"Realizzai numerosi disegni delle donne khoi e al ritorno in Europa le mostrai ad un amico, insigne professore alla Sorbona e studioso delle antiche civiltà del Mediterraneo. Tale illustre cattedratico rimase sbalordito nel vedere i disegni e disse che quelle donne somigliavano in maniera impressionante a certe immagini dipinte sulle rocce o addirittura scolpite nella pietra e ritrovate in diversi luoghi d'Europa, raffiguranti figure femminili caratterizzate da grandi mammelle, ventri pronunciati e natiche protuberanti. E' il mito della Madre Terra, il mito di Cerere, della fertilità, così caro a popolazioni che vivevano di agricoltura e pastorizia, per le quali una donna dalle forme così generose e matriarcali era il simbolo di fortuna e salute, dimostrazione di un'idea della bellezza muliebre molto lontana dal gusto di noi moderni. E' possibile che quei nostri progenitori di duemila anni fa si siano ispirati a donne khoi che qualcuno avrà forse visto e poi raffigurato in quei rozzi tentativi artistici? Difficile dirlo ma sento di poter affermare che quelle donne rappresentano in qualche modo il nostro lontano passato, quando i nostri antenati vivevano nel modo primitivo in cui ancora vivono questi popoli."
Una sapiente pausa durante la quale girò lo sguardo su ogni angolo della sala aumentò il pathos. "Oggi ho il piacere di presentarvi un esemplare femminile del popolo khoi. E' una ragazza di vent'anni, di nome Sarah, molto dolce e mansueta. La sua intelligenza è limitata, non capisce la nostra lingua ma a parte il suo dialetto conosce un pò di olandese. So di avere di fronte una platea di gentiluomini ma vorrei lo stesso rivolgervi il superfluo invito a evitare commenti fuori luogo o lazzi osceni di fronte alla nostra ragazza. Sebbene timida e remissiva ella non ha alcun problema a mostrarsi naturalibus, cosa consueta nel suo paese ma certo insolita fra noi. Potrete ammirare il suo corpo tranne il ventre coperto da un panno e desidero precisare che niente viene fatto contro la volontà di questa fanciulla che ha sempre espresso il suo consenso a tali manifestazioni, anche perché l'incasso di queste serate è interamente devoluto alla sua famiglia in Africa."
"Mon Dieu, che bugiardo! Non credo nemmeno a una parola", mormorò madame de Tourvel.
"Avete ragione, la ragazza è sua schiava, figuriamoci se manda i soldi alla sua tribù..."
"E ora, signori, vi presento Sarah, la Venere selvaggia!"
Il separè venne tolto e apparve lei. Era di statura piuttosto bassa ma non bassissima; il viso, incorniciato da corti capelli ricci, era dolcissimo anche se le donne del pubblico lo trovarono scimmiesco. Era coperta da pelli di animale che, ad un cenno del suo presentatore, si tolse rapidamente. Il suo scurissimo corpo si manifestò agli occhi avidi dei presenti: le mammelle erano piene e sode, di dimensioni superiori alla media; le cosce di larghezza smisurata che a uno spettatore macellaio fecero venire in mente i prosciutti e ad un altro sposato a una donna enorme diedero la sorpresa di vedere delle gambe più grosse di quelle di sua moglie. Il basso ventre era nascosto, come annunciato da Vallon, ma le natiche, le mostruose e carnosissime natiche, quelle gigantesche appendici posteriori erano in tutto visibili. La ragazza venne fatta girare e si esibì in tutte le pose chieste dal suo padrone.
"Vi accoppiereste con una creatura del genere?," chiese un signore al suo vicino.
"Non siate sconcio, vado solo con esseri umani."
"Ora, signori e signore, se volete rivolgere delle domande a Sarah, sapere qualcosa della sua vita, della sua tribù, cosa pensa della Francia, non avete che da parlare. Io le tradurrò le vostre richieste ma vi prego di essere brevi e di fare domande semplici che la nostra amica possa comprendere."
"Andiamo via, portatemi subito fuori di qui", diceva madame de Tourvel al suo studente che non distoglieva gli occhi dal sedere della donna khoi.
"Restiamo ancora, è interessante e poi abbiamo pagato dieci franchi..."
"Restate voi, se volete, io sto per vomitare."
A malincuore Polignac accompagnò la signora fuori della sala. Sarah stava rispondendo a domande sugli usi del suo popolo, a che età le fanciulle venivano fatte sposare, quanti figli avevano, se lei era stata tra le più belle del suo villaggio.
Parigi di sera, allora, non era affascinante come oggi, e la signora pregò Polignac di trovarle subito una carrozza.
"Non capisco che cosa vi prende", disse lo studente, ancora irritato per avere lasciato anzitempo lo spettacolo.
"C'è bisogno che ve lo spieghi? Quella povera ragazza, costretta a spogliarsi in pubblico da quel..."
"Via, è solo una selvaggia..."
"Allora tornate dentro a far compagnia a quel dottore che parlava di scienza e intanto sudava come un porco e tremava nel guardare le nudità di quell'angelo..."
"Angelo? Diavolo, direi, la sua razza discende dai gorilla, lo diceva anche Voltaire..."
"Andate al diavolo voi e Voltaire! Come se fosse la prima volta che un grand'uomo dice una grande sciocchezza."
"Ma insomma, che avete?"
"Che ho? Vedete, piango, sì, piango per la selvaggia come la chiamate voi. Ho provato pietà per lei! Sono io che devo vergognarmi o siete voi altri? Io mi ricordo ancora di essere nata cristiana. Ecco la carrozza, non vi disturbate, ora potete tornare ad ammirare il rinoceronte."
"Passo domani a salutarvi?"
"Non vi disturbate, nè domani nè dopodomani, nè mai più."
La carrozza si allontanò.
Polignac bestemmiò e riempì di epiteti ingiuriosi la sua amante o forse ormai ex amante. Era lei a mantenerlo agli studi che non finivano mai, bisognava far pace al più presto. Si precipitò di nuovo verso la sala sfiorando con la spalla il cavalier d'Herblay che, pallido come un morto, ne usciva in quel momento.
Qualche giorno dopo il signor Vallon leggeva soddisfatto i conti del ciclo di conferenze parigine. La settimana successiva sarebbero partiti per Londra dove, senza dubbio, il successo sarebbe stato simile ed era perso in questi piacevoli percorsi finanziari quando gli recarono il biglietto da visita di un signore che chiedeva di incontrarlo. Sul biglietto c'era scritto:
Jacques Philippe Fontaine de Pierrefonds d'Herblay.
Pochi istanti dopo un distinto gentiluomo sui trentacinque anni veniva accolto con cordialità e rispetto. Dopo i convenevoli il visitatore disse che aveva assistito a tutte le conferenze parigine sulla Venere selvaggia.
"Posso chiedervi che cosa vi ha colpito in particolare?"
"Facile: le enormi chiappe della vostra amica."
Era raro che qualcuno si esprimesse così chiaramente e Vallon tossicchiò imbarazzato ma il suo interlocutore lo trasse d'impaccio.
"Parliamoci chiaro, non mi importa nulla del mito della Madre Terra, delle statuine vecchie di migliaia di anni e di tutto il resto. Io voglio solo sapere quale cifra è necessaria per incontrare la vostra amica."
"Signore, devo precisare che quella ragazza è mia protetta, non mia amica..."
"Schiava, per meglio dire..."
"...e comunque non mi presto a queste sconcezze. E adesso, per favore..."
"La cifra, ditemi la cifra. Immagino che altri, prima di me, abbiano chiesto quello che vi sto chiedendo io. Quale è stata l'offerta più alta?"
Vallon restò pensieroso. "A dirla tutta, mi hanno offerto duemila franchi..."
"Raddoppio l'offerta: quattromila."
"Perdonate, signore: voi sarete senz'altro un gentiluomo ma io non vi conosco né conosco qualcuno che garantisca per voi. Nel nostro paese sono successe tante cose negli ultimi trent'anni, per quanto ne so vi sono illustri discendenti di casate che hanno fatto la storia della Francia che adesso dormono sulle rive della Senna o nei dormitori pubblici."
Il cavalier d'Herblay aveva poggiato il mento su un bastone da passeggio finemente lavorato.
"La mia non è una casata illustre come quelle a cui alludete", rispose," ma se l'è cavata molto bene. Quando ero bambino mio padre e mio zio si sono dati da fare per salvare il collo e il patrimonio e hanno raggiunto entrambi gli obiettivi. Sono stati di volta in volta giacobini, bonapartisti, borbonici; non c'è bandiera che non abbiano sventolato o idea che non abbiano abbracciato, giurando fedeltà ora alla rivoluzione, ora al Direttorio, ora alla dittatura, poi all'Impero e infine alla Restaurazione. E oggi, io, unico e ultimo erede, possiedo tanto denaro che potrei comprare tutto il popolo khoi, anzi un intero stato africano. Eccovi mille franchi di anticipo."
Vallon non toccò il denaro, si limitò a guardarlo. Alla fine, come se stesse facendo un grande favore personale, disse:" Posso darvela per due ore, non di più."
"Bene. Questo è l'indirizzo di una casa appartata che possiedo alla periferia di Parigi. Vi aspetto domani alle quattro del pomeriggio e potrete tornare per riprendervela alle sei in punto. Siate preciso, mi raccomando."
Una carrozza dai vetri coperti da panni scuri giunse alle quattro del giorno dopo davanti a un anonimo palazzo della periferia settentrionale della città. L'edificio sembrava quasi abbandonato ma il biglietto lasciato dal cavaliere indicava un appartamento al primo piano. Vallon prese per mano una creatura coperta da un lungo velo e la condusse per una rampa di scale cigolanti. Una porta si aprì: apparve il cavaliere D'Herblay. Senza dire una parola porse a Vallon una busta contenente tremila franchi.
"Tornerò alle sei in punto, non un minuto dopo, ricordatevelo", disse intascando il denaro. Già però la ragazza era stata fatta entrare nella casa e la porta si era chiusa davanti a lui.
L'interno dell'appartamento era spoglio, con pochissimi mobili, era evidente che nessuno ci abitava. La ragazza si tolse il velo e sorrise timidamente all'uomo, ma gli occhi allucinati e iniettati di sangue le fecero paura. Capì soltanto che doveva fare quello che faceva sempre in questi casi: spogliarsi. Dalle sue parti era normale girare nudi, il corpo era sempre sotto gli sguardi di tutti. Le donne del suo popolo avevano tutte il sedere e i genitali grandi, anzi più erano grandi più la donna era considerata bella e in grado di partorire molti figli. Questa gente bianca invece rimaneva attonita a fissarle le sue cose come se non le avesse mai viste. Le manate che le davano sulle chiappe erano un misto di curiosità e lascivia e la seconda presto superava la prima. Non le piaceva tanto quello che le facevano fare ma le davano da mangiare tutti i giorni e poteva mantenere i suoi parenti, laggiù, in Africa.
Si era tolta tutto, anche il panno che le copriva l'enorme clitoride. L'uomo la fissava sempre con il suo sguardo febbrile, sembrava che si aspettasse che lo spogliarello non fosse finito. Le fece segno di mettersi distesa, a pancia in giù, su un consunto sofà. Lei obbedì, rassicurata in qualche modo: anche lui voleva prenderla di dietro, penetrarla facendosi largo tra le masse di carne che le circondavano il buco posteriore. Molti, per la verità, arrivavano senza nemmeno entrare, bastava che posassero il loro affare sulle sue natiche e il liquido usciva a fiotti interminabili; ad altri piaceva sedersi su di lei, usare il suo culo come poltrona e parevano eccitarsi molto per questo. All'improvviso sentì delle fitte dietro, dolorose e lancinanti: quell'uomo di cui non sapeva nemmeno il nome le stava sferzando le natiche con una frusta e ad ogni colpo ci provava sempre più gusto. Sarah si accorse che senza che se ne fosse avveduta le erano state legate le mani dietro la schiena con degli aggeggi di ferro che stringevano i polsi. Iniziò a urlare ma nel palazzo disabitato le sue grida si persero nel nulla. Quando l'uomo terminò le frustate, per la stanchezza che sentiva nelle braccia, quel sedere che aveva attirato le occhiate fameliche e indecenti di Parigi era un ammasso di carne sanguinolenta. Sarah singhiozzava e diceva parole nella sua lingua rivolte a qualche divinità ma il Dio di Parigi forse non era lo stesso dell'Africa e non la ascoltò. L'uomo la fece voltare, le morse i seni, le staccò un capezzolo e glielo sputò addosso. Vide con terrore che le si avvicinava con un bastone da passeggio dal pomo luccicante: con le gambe, ancora libere provò a respingerlo ma il bastone la colpì al capo e perse quasi i sensi mentre il pomo luccicante le entrava nella vagina. L'ultima cosa che vide prima di svenire del tutto fu un coltello da macellaio nelle mani del suo aguzzino.
Alle sei Michel Vallon saliva le scale che portavano al primo piano. La porta era socchiusa e dopo un rapido colpetto la aprì. Il cavaliere d'Herblay fumava un sigaro seduto su una delle rare poltrone della casa. Aveva l'aria molto soddisfatta.
"Dov'è Sarah?" chiese lo studioso delle tribù africane.
Il cavaliere gli indicò il sofà. Vallon si avvicinò e quello che vide gli sembrò non reale ma un incubo. Il cadavere di Sarah, coperto di tagli e bruciature, giaceva inerme, riverso sulla schiena e mostrava l'estremo oltraggio che le era stato fatto: l'intero pube era stato asportato.
"Siete stato voi?" chiese incredulo al cavaliere.
"Vedete forse qualcun altro nella stanza?"
"Voi siete pazzo!"
"Può darsi, in tal caso state attento."
Vallon tremava per il terrore e il disgusto, mormorava di continuo:" Mio Dio, mio Dio."
"Non invocate colui nel quale non credete, altrimenti avreste dovuto ricordarvene quando esponevate in pubblico la vostra schiava."
"Vi denuncerò all'autorità!"
"Potete farlo ma in quel caso dovrete spiegare che facevate da lenone alla ragazza e lo scandalo coinvolgererebbe anche voi. Vi conviene? Era solo una negra selvaggia, perché coinvolgere le autorità? Prendete il corpo, seppellitelo, dite che la ragazza è morta all'improvviso perché il suo corpo ha contratto un morbo sconosciuto dalle sue parti oppure perché il nostro clima è troppo freddo per quelli della sua razza. Poi fate venire qualche altra donna del suo popolo e ricominciate il vostro proficuo giro di conferenze."
Gli gettò un sacchetto di pelle.
"Dentro ci sono ventimila franchi. Bastano per il vostro silenzio? Se ne volete altri, non avete che da dirlo. E ora, se permettete, vado a cenare nel mio ristorante preferito. Confesso che mi è venuta una grande fame."
Il cavaliere d'Herblay era nato trentacinque anni prima in tempi che cambiavano con la stessa rapidità con cui in marzo le nuvole subentrano al sole. Rimasto presto orfano di madre, il padre e lo zio, impegnati a sopravvivere in giorni in cui un titolo nobiliare era un lasciapassare per la ghigliottina, lo avevano affidato a una vecchia zia che a sua volta lo aveva messo sotto le cure di una governante tedesca, Ellie, una ragazzona di trent'anni, florida e maestosa, con le guance rosse e i capelli biondi, un'aria sensuale e golosa. Ellie e il suo pupillo dormivano insieme e presto il loro rapporto fu simile a quello incestuoso che una maligna voce popolare riteneva esistente fra la regina Maria Antonietta e il Delfino.
A undici anni gli capitò l'incidente che risultò fatale per la sua vita. Un incendio scoppiò nella stanza in cui dormiva con Ellie, forse provocato da una candela caduta su un drappo. La donna morì nel sonno, soffocata dal fumo, il ragazzino venne tirato fuori ancora vivo. Il viso era rimasto intatto; bruciature più o meno estese erano presenti su braccia e gambe ma i danni peggiori li aveva subiti il basso ventre. Il medico che lo visitò disse che sarebbe sopravvissuto e le ustioni a braccia e gambe si sarebbero sanate con il tempo. Sentenziò anche che non sarebbe stato un uomo come gli altri. Pazienza se l'incidente lo avesse privato di qualcosa che non aveva mai conosciuto ma la precoce iniziazione sessuale gli lasciò una perenne nostalgia del corpo femminile. Dapprima pagava le donne perchè gli si mostrassero nude, poi, ereditate le sostanze familiari si diede a girare per l'Europa, visitando i quartieri sordidi delle principali città. Sceglieva prostitute dal fisico procace e ne trovava qualcuna disposta a farsi sculacciare per un prezzo maggiore. Presto iniziò a cercare donne che fossero disposte a sottostare a violenze ben maggiori ma era difficile trovarne. A Roma, non lontano da una basilica posta su un piccolo colle, seguì una donna nella sua casa in una zona che le guide turistiche identificavano con l'antica Suburra. La donna, in cambio di molte monete, si lasciò legare le mani e non potè impedire che le venissero legati anche i piedi. Dopo averla imbavagliata la violentò con un coccio di bottiglia e ne provò un senso di sollievo e di piacere. La donna piangeva per il dolore e lui ritenne pietoso soffocarla per farne cessare le sofferenze. Uscì dalla casa in piena notte e il giorno dopo partì e non tornò più a Roma. Presto una scia di morte lo seguì nei suoi viaggi e ci sarebbe voluto un servitore fedele che ne contasse le vittime come Leporello contava le conquiste di Don Giovanni. La visione della Venere selvaggia aveva suscitato in lui un desiderio irrefrenabile di possederla, possederla nel modo che lui ormai intendeva normale.
Il cadavere di Sarah venne sepolto in una fossa anonima contrassegnata da una croce di legno con il suo nome. La rimozione della salma fu fatta da uomini fidati a cui Vallon corrispose generose mance. Prima di lasciare la stanza teatro dell'orrenda fine della Venere selvaggia vide buttato in un angolo un macabro reperto. Vincendo la repulsione raccolse in un grande fazzoletto gli organi genitali di Sarah, asportati dal suo assassino. Giunto al suo alloggio li mise nella formaldeide e dopo qualche settimana ne concluse la proficua vendita con il dottor Blanch che li espose nel Museo di Scienze Naturali. Così Sarah riuscì a procurargli denaro anche da morta.
Si sa: del maiale non si butta via niente.
"Vedete, signora, temevate di essere l'unica donna e invece quante vostre compagne di sesso sono presenti: segno che lo spettacolo non è osceno come voi sostenevate."
"Vedere una donna nuda non è osceno? Mon Dieu, devo essere impazzita per essere venuta qui e il fatto di non essere la sola non mi rende più tranquilla."
"Si tratta di una dimostrazione scientifica."
"Non trattatemi come una stupida! Avete mai sentito parlare di Emma Hamilton, l'amante di Lord Nelson?"
"Eccome, una delle donne più belle del suo tempo."
"Era di origini umilissime e pare che all'inizio abbia posato nuda davanti a molti uomini per consentire le lezioni di anatomia di uno pseudoscienziato. Era soprannominata la Venere di Londra. Non mi risulta che le donne fossero ammesse allo spettacolo."
"Gli inglesi sono puritani, lo sapete. E' pur vero che qui non sono ammessi i bambini e non vedo fanciulle in età da marito."
"Vedete? Quindi non mi venite a dire che non è uno spettacolo osceno."
"Perdonate, signora." A parlare era stato un signore elegante, distinto, con una folta barba nera, seduto all'altro lato della dama. "Voi avreste ragione se fossimo qui per vedere una donna della nostra stessa razza e devo ammettere che lo spettacolo della Venere di Londra di cui ho sentito parlare era davvero disdicevole e contrario alla morale. Ma stasera vedremo una selvaggia, un essere subumano. Monsieur Voltaire che tante cose ci ha insegnato e ha aperto la nostra mente a nuovi splendidi orizzonti, diceva giustamente che i negri hanno probabilmente avuto origine da antichi, bestiali accoppiamenti tra esseri umani e scimmie. Assistere all'esibizione del loro corpo non è dunque diverso dall'andare a guardare i rinoceronti o i camelopardi o gli ippopotami. Non penso che troviate osceno fissare tali bestie."
"Con chi ho il piacere di parlare?"
"Perdonate, signora, sono un vero maleducato. Il mio nome è Maurice Blanch, sono un dottore."
"Bè, rispetto l'opinione dell'uomo di scienza ma continuo a nutrire delle perplessità. Cosa sapete di questo signor Vallon che terrà la conferenza?"
"Confesso di non conoscerlo, il suo nome non è noto negli ambienti scientifici. Sono molto curioso di ascoltare la sua dissertazione."
"Sì, dissertazione!", sussurrò lo studente Polignac a Madame de Tourvel, di cui era da tempo cavalier servente. "Con la scusa della scienza è venuto a dare un'occhiata al ... alle forme della selvaggia."
"Come tutti qui, compreso voi! Ma noi donne, noi che ci facciamo qui?"
"E via, la curiosità è femmina, no? Per non parlare delle esponenti del vostro sesso che preferiscono il corpo femminile a quello maschile..."
"Se dite un'altra parola, mi alzo e me ne vado. Davvero avete visto alcune di quelle svergognate? E io che sono venuta a compromettere la mia reputazione!"
"Guardate là, a sinistra, non riconoscete la moglie del ministro dell'Interno? E quella signora laggiù non è forse la marchesa di Laclos? Siete in buona compagnia."
"Se è per questo, vedo anche note ballerine e mantenute. Tutte qui per ascoltare la dissertazione scientifica, come il dottore?"
"Tutte qui per farsi vedere, è la loro ragione di vita, no?"
Lo studente trascurava un particolare importante: a Parigi c'era una grande voglia di svago e di divertimento. Era trascorso solo un quarto di secolo da quando le teste, comprese quelle regali, erano rotolate sotto la ghigliottina, poi c'erano state l'ascesa e la prima caduta del piccolo uomo della Corsica, il suo ritorno, la seconda e definitiva caduta, il ritorno dei vecchi fantasmi borbonici e nel frattempo guerre, guerre, guerre... Ora si tirava il fiato, c'era voglia di novità, voglia di vivere.
A un tratto il suono di un campanello segnalò che la serata stava per iniziare. Monsieur Michel Vallon apparve sul palco. Era un giovane di circa trent'anni, alto, distinto, con una bella barba castana e fece una buona impressione alle signore presenti. Possedeva una voce da tenore, che, grazie alla perfetta acustica della sala, si udiva quasi perfettamente in ogni angolo. Alcuni inservienti portarono sul palco un lungo separè, dietro il quale si intuì la presenza inquietante della Venere selvaggia. Il brusio tacque e il giovane Vallon, dopo i ringraziamenti di rito ai presenti per la loro massiccia partecipazione, promise una serata di cultura e scienza.
"Bah", borbottò Madame de Tourvel, "dieci franchi per un posto a sedere e cinque per un posto in piedi e parla di amore per la scienza!"
"Signori", diceva il conferenziere," da molti anni, da quando ero uno studentello, ho viaggiato a lungo in Africa, attratto dal fascino di quel misterioso continente, in cui ho trascorso, negli ultimi anni, più tempo che non nella mia patria. Ho unito l'utile al dilettevole, perché al vantaggio di ammirare paesaggi e posti stupendi, ho affiancato l'approfondimento dei miei studi scientifici."
"Che ipocrita!", commentava Polignac all'orecchio della sua signora, "Lo sanno tutti che si è arricchito con il mercato degli schiavi."
"Durante i miei soggiorni nell'Africa meridionale ho potuto studiare le popolazioni locali, le loro usanze, la loro storia, le loro caratteristiche fisiche e morali. Nelle province olandesi del Capo mi sono imbattuto nelle popolazioni khoisan, termine con cui, per la verità, vengono fusi due gruppi affini ma diversi: i khoi, popolo dedito alla pastorizia, e i san, provetti cacciatori."
Vallon iniziò a descrivere le abitudini e le differenze tra i due popoli, inserendo qua e là parole scientifiche di cui pochi capivano il significato. Dopo una breve pausa per rinfrescarsi la gola con un bicchiere d'acqua, l'oratore passò a parlare delle donne khoi.
"Fui subito colpito da due particolari anatomici che rendevano le donne di questa etnia uniche. Gli organi genitali erano coperti da una specie di velo naturale, un'appendice carnosa definita sinus pudoris, che si estende per una decina di centimetri. L'altra era lo sviluppo abnorme dei glutei, che apparivano sporgenti e carnosi. Tale caratteristica, presente in forma varia in tutte le donne del popolo khoi, e molto di più rispetto agli uomini, mi colpì in un modo del tutto inatteso. La prima volta che entrai in un villaggio khoi vidi le donne che portavano sulle spalle i loro bambini. Fin qui nulla di diverso da ciò che accade in tutti i villaggi e le città del mondo; solo che i bambini khoi poggiavano comodamente i piedini sulle natiche delle madri o delle sorelle maggiori e, le mani posate sulle spalle delle donne, venivano portati a passeggio in questo incredibile modo. Ecco a voi un disegno che vi illustra il bizzarro spettacolo al quale assistetti." Mostrò un grande disegno in cui una donna nera, nuda, teneva sulle immense e sporgenti natiche un bambino di sesso maschile.
Il caveliere d'Herblay, confuso tra il pubblico, cominciò a sudare copiosamente, ed ebbe un capogiro. L'immagine della donna che faceva salire sulle natiche il bambino nudo provocò in lui qualcosa di simile all'eccitazione e , a dire il vero, le reazioni di altri spettatori dimostrarono che non era stato l'unico a rimanere sbalordito di fronte a quell'immagine che evocava blasfeme idee di una Madonna nera che posava con il figlio...
"Realizzai numerosi disegni delle donne khoi e al ritorno in Europa le mostrai ad un amico, insigne professore alla Sorbona e studioso delle antiche civiltà del Mediterraneo. Tale illustre cattedratico rimase sbalordito nel vedere i disegni e disse che quelle donne somigliavano in maniera impressionante a certe immagini dipinte sulle rocce o addirittura scolpite nella pietra e ritrovate in diversi luoghi d'Europa, raffiguranti figure femminili caratterizzate da grandi mammelle, ventri pronunciati e natiche protuberanti. E' il mito della Madre Terra, il mito di Cerere, della fertilità, così caro a popolazioni che vivevano di agricoltura e pastorizia, per le quali una donna dalle forme così generose e matriarcali era il simbolo di fortuna e salute, dimostrazione di un'idea della bellezza muliebre molto lontana dal gusto di noi moderni. E' possibile che quei nostri progenitori di duemila anni fa si siano ispirati a donne khoi che qualcuno avrà forse visto e poi raffigurato in quei rozzi tentativi artistici? Difficile dirlo ma sento di poter affermare che quelle donne rappresentano in qualche modo il nostro lontano passato, quando i nostri antenati vivevano nel modo primitivo in cui ancora vivono questi popoli."
Una sapiente pausa durante la quale girò lo sguardo su ogni angolo della sala aumentò il pathos. "Oggi ho il piacere di presentarvi un esemplare femminile del popolo khoi. E' una ragazza di vent'anni, di nome Sarah, molto dolce e mansueta. La sua intelligenza è limitata, non capisce la nostra lingua ma a parte il suo dialetto conosce un pò di olandese. So di avere di fronte una platea di gentiluomini ma vorrei lo stesso rivolgervi il superfluo invito a evitare commenti fuori luogo o lazzi osceni di fronte alla nostra ragazza. Sebbene timida e remissiva ella non ha alcun problema a mostrarsi naturalibus, cosa consueta nel suo paese ma certo insolita fra noi. Potrete ammirare il suo corpo tranne il ventre coperto da un panno e desidero precisare che niente viene fatto contro la volontà di questa fanciulla che ha sempre espresso il suo consenso a tali manifestazioni, anche perché l'incasso di queste serate è interamente devoluto alla sua famiglia in Africa."
"Mon Dieu, che bugiardo! Non credo nemmeno a una parola", mormorò madame de Tourvel.
"Avete ragione, la ragazza è sua schiava, figuriamoci se manda i soldi alla sua tribù..."
"E ora, signori, vi presento Sarah, la Venere selvaggia!"
Il separè venne tolto e apparve lei. Era di statura piuttosto bassa ma non bassissima; il viso, incorniciato da corti capelli ricci, era dolcissimo anche se le donne del pubblico lo trovarono scimmiesco. Era coperta da pelli di animale che, ad un cenno del suo presentatore, si tolse rapidamente. Il suo scurissimo corpo si manifestò agli occhi avidi dei presenti: le mammelle erano piene e sode, di dimensioni superiori alla media; le cosce di larghezza smisurata che a uno spettatore macellaio fecero venire in mente i prosciutti e ad un altro sposato a una donna enorme diedero la sorpresa di vedere delle gambe più grosse di quelle di sua moglie. Il basso ventre era nascosto, come annunciato da Vallon, ma le natiche, le mostruose e carnosissime natiche, quelle gigantesche appendici posteriori erano in tutto visibili. La ragazza venne fatta girare e si esibì in tutte le pose chieste dal suo padrone.
"Vi accoppiereste con una creatura del genere?," chiese un signore al suo vicino.
"Non siate sconcio, vado solo con esseri umani."
"Ora, signori e signore, se volete rivolgere delle domande a Sarah, sapere qualcosa della sua vita, della sua tribù, cosa pensa della Francia, non avete che da parlare. Io le tradurrò le vostre richieste ma vi prego di essere brevi e di fare domande semplici che la nostra amica possa comprendere."
"Andiamo via, portatemi subito fuori di qui", diceva madame de Tourvel al suo studente che non distoglieva gli occhi dal sedere della donna khoi.
"Restiamo ancora, è interessante e poi abbiamo pagato dieci franchi..."
"Restate voi, se volete, io sto per vomitare."
A malincuore Polignac accompagnò la signora fuori della sala. Sarah stava rispondendo a domande sugli usi del suo popolo, a che età le fanciulle venivano fatte sposare, quanti figli avevano, se lei era stata tra le più belle del suo villaggio.
Parigi di sera, allora, non era affascinante come oggi, e la signora pregò Polignac di trovarle subito una carrozza.
"Non capisco che cosa vi prende", disse lo studente, ancora irritato per avere lasciato anzitempo lo spettacolo.
"C'è bisogno che ve lo spieghi? Quella povera ragazza, costretta a spogliarsi in pubblico da quel..."
"Via, è solo una selvaggia..."
"Allora tornate dentro a far compagnia a quel dottore che parlava di scienza e intanto sudava come un porco e tremava nel guardare le nudità di quell'angelo..."
"Angelo? Diavolo, direi, la sua razza discende dai gorilla, lo diceva anche Voltaire..."
"Andate al diavolo voi e Voltaire! Come se fosse la prima volta che un grand'uomo dice una grande sciocchezza."
"Ma insomma, che avete?"
"Che ho? Vedete, piango, sì, piango per la selvaggia come la chiamate voi. Ho provato pietà per lei! Sono io che devo vergognarmi o siete voi altri? Io mi ricordo ancora di essere nata cristiana. Ecco la carrozza, non vi disturbate, ora potete tornare ad ammirare il rinoceronte."
"Passo domani a salutarvi?"
"Non vi disturbate, nè domani nè dopodomani, nè mai più."
La carrozza si allontanò.
Polignac bestemmiò e riempì di epiteti ingiuriosi la sua amante o forse ormai ex amante. Era lei a mantenerlo agli studi che non finivano mai, bisognava far pace al più presto. Si precipitò di nuovo verso la sala sfiorando con la spalla il cavalier d'Herblay che, pallido come un morto, ne usciva in quel momento.
Qualche giorno dopo il signor Vallon leggeva soddisfatto i conti del ciclo di conferenze parigine. La settimana successiva sarebbero partiti per Londra dove, senza dubbio, il successo sarebbe stato simile ed era perso in questi piacevoli percorsi finanziari quando gli recarono il biglietto da visita di un signore che chiedeva di incontrarlo. Sul biglietto c'era scritto:
Jacques Philippe Fontaine de Pierrefonds d'Herblay.
Pochi istanti dopo un distinto gentiluomo sui trentacinque anni veniva accolto con cordialità e rispetto. Dopo i convenevoli il visitatore disse che aveva assistito a tutte le conferenze parigine sulla Venere selvaggia.
"Posso chiedervi che cosa vi ha colpito in particolare?"
"Facile: le enormi chiappe della vostra amica."
Era raro che qualcuno si esprimesse così chiaramente e Vallon tossicchiò imbarazzato ma il suo interlocutore lo trasse d'impaccio.
"Parliamoci chiaro, non mi importa nulla del mito della Madre Terra, delle statuine vecchie di migliaia di anni e di tutto il resto. Io voglio solo sapere quale cifra è necessaria per incontrare la vostra amica."
"Signore, devo precisare che quella ragazza è mia protetta, non mia amica..."
"Schiava, per meglio dire..."
"...e comunque non mi presto a queste sconcezze. E adesso, per favore..."
"La cifra, ditemi la cifra. Immagino che altri, prima di me, abbiano chiesto quello che vi sto chiedendo io. Quale è stata l'offerta più alta?"
Vallon restò pensieroso. "A dirla tutta, mi hanno offerto duemila franchi..."
"Raddoppio l'offerta: quattromila."
"Perdonate, signore: voi sarete senz'altro un gentiluomo ma io non vi conosco né conosco qualcuno che garantisca per voi. Nel nostro paese sono successe tante cose negli ultimi trent'anni, per quanto ne so vi sono illustri discendenti di casate che hanno fatto la storia della Francia che adesso dormono sulle rive della Senna o nei dormitori pubblici."
Il cavalier d'Herblay aveva poggiato il mento su un bastone da passeggio finemente lavorato.
"La mia non è una casata illustre come quelle a cui alludete", rispose," ma se l'è cavata molto bene. Quando ero bambino mio padre e mio zio si sono dati da fare per salvare il collo e il patrimonio e hanno raggiunto entrambi gli obiettivi. Sono stati di volta in volta giacobini, bonapartisti, borbonici; non c'è bandiera che non abbiano sventolato o idea che non abbiano abbracciato, giurando fedeltà ora alla rivoluzione, ora al Direttorio, ora alla dittatura, poi all'Impero e infine alla Restaurazione. E oggi, io, unico e ultimo erede, possiedo tanto denaro che potrei comprare tutto il popolo khoi, anzi un intero stato africano. Eccovi mille franchi di anticipo."
Vallon non toccò il denaro, si limitò a guardarlo. Alla fine, come se stesse facendo un grande favore personale, disse:" Posso darvela per due ore, non di più."
"Bene. Questo è l'indirizzo di una casa appartata che possiedo alla periferia di Parigi. Vi aspetto domani alle quattro del pomeriggio e potrete tornare per riprendervela alle sei in punto. Siate preciso, mi raccomando."
Una carrozza dai vetri coperti da panni scuri giunse alle quattro del giorno dopo davanti a un anonimo palazzo della periferia settentrionale della città. L'edificio sembrava quasi abbandonato ma il biglietto lasciato dal cavaliere indicava un appartamento al primo piano. Vallon prese per mano una creatura coperta da un lungo velo e la condusse per una rampa di scale cigolanti. Una porta si aprì: apparve il cavaliere D'Herblay. Senza dire una parola porse a Vallon una busta contenente tremila franchi.
"Tornerò alle sei in punto, non un minuto dopo, ricordatevelo", disse intascando il denaro. Già però la ragazza era stata fatta entrare nella casa e la porta si era chiusa davanti a lui.
L'interno dell'appartamento era spoglio, con pochissimi mobili, era evidente che nessuno ci abitava. La ragazza si tolse il velo e sorrise timidamente all'uomo, ma gli occhi allucinati e iniettati di sangue le fecero paura. Capì soltanto che doveva fare quello che faceva sempre in questi casi: spogliarsi. Dalle sue parti era normale girare nudi, il corpo era sempre sotto gli sguardi di tutti. Le donne del suo popolo avevano tutte il sedere e i genitali grandi, anzi più erano grandi più la donna era considerata bella e in grado di partorire molti figli. Questa gente bianca invece rimaneva attonita a fissarle le sue cose come se non le avesse mai viste. Le manate che le davano sulle chiappe erano un misto di curiosità e lascivia e la seconda presto superava la prima. Non le piaceva tanto quello che le facevano fare ma le davano da mangiare tutti i giorni e poteva mantenere i suoi parenti, laggiù, in Africa.
Si era tolta tutto, anche il panno che le copriva l'enorme clitoride. L'uomo la fissava sempre con il suo sguardo febbrile, sembrava che si aspettasse che lo spogliarello non fosse finito. Le fece segno di mettersi distesa, a pancia in giù, su un consunto sofà. Lei obbedì, rassicurata in qualche modo: anche lui voleva prenderla di dietro, penetrarla facendosi largo tra le masse di carne che le circondavano il buco posteriore. Molti, per la verità, arrivavano senza nemmeno entrare, bastava che posassero il loro affare sulle sue natiche e il liquido usciva a fiotti interminabili; ad altri piaceva sedersi su di lei, usare il suo culo come poltrona e parevano eccitarsi molto per questo. All'improvviso sentì delle fitte dietro, dolorose e lancinanti: quell'uomo di cui non sapeva nemmeno il nome le stava sferzando le natiche con una frusta e ad ogni colpo ci provava sempre più gusto. Sarah si accorse che senza che se ne fosse avveduta le erano state legate le mani dietro la schiena con degli aggeggi di ferro che stringevano i polsi. Iniziò a urlare ma nel palazzo disabitato le sue grida si persero nel nulla. Quando l'uomo terminò le frustate, per la stanchezza che sentiva nelle braccia, quel sedere che aveva attirato le occhiate fameliche e indecenti di Parigi era un ammasso di carne sanguinolenta. Sarah singhiozzava e diceva parole nella sua lingua rivolte a qualche divinità ma il Dio di Parigi forse non era lo stesso dell'Africa e non la ascoltò. L'uomo la fece voltare, le morse i seni, le staccò un capezzolo e glielo sputò addosso. Vide con terrore che le si avvicinava con un bastone da passeggio dal pomo luccicante: con le gambe, ancora libere provò a respingerlo ma il bastone la colpì al capo e perse quasi i sensi mentre il pomo luccicante le entrava nella vagina. L'ultima cosa che vide prima di svenire del tutto fu un coltello da macellaio nelle mani del suo aguzzino.
Alle sei Michel Vallon saliva le scale che portavano al primo piano. La porta era socchiusa e dopo un rapido colpetto la aprì. Il cavaliere d'Herblay fumava un sigaro seduto su una delle rare poltrone della casa. Aveva l'aria molto soddisfatta.
"Dov'è Sarah?" chiese lo studioso delle tribù africane.
Il cavaliere gli indicò il sofà. Vallon si avvicinò e quello che vide gli sembrò non reale ma un incubo. Il cadavere di Sarah, coperto di tagli e bruciature, giaceva inerme, riverso sulla schiena e mostrava l'estremo oltraggio che le era stato fatto: l'intero pube era stato asportato.
"Siete stato voi?" chiese incredulo al cavaliere.
"Vedete forse qualcun altro nella stanza?"
"Voi siete pazzo!"
"Può darsi, in tal caso state attento."
Vallon tremava per il terrore e il disgusto, mormorava di continuo:" Mio Dio, mio Dio."
"Non invocate colui nel quale non credete, altrimenti avreste dovuto ricordarvene quando esponevate in pubblico la vostra schiava."
"Vi denuncerò all'autorità!"
"Potete farlo ma in quel caso dovrete spiegare che facevate da lenone alla ragazza e lo scandalo coinvolgererebbe anche voi. Vi conviene? Era solo una negra selvaggia, perché coinvolgere le autorità? Prendete il corpo, seppellitelo, dite che la ragazza è morta all'improvviso perché il suo corpo ha contratto un morbo sconosciuto dalle sue parti oppure perché il nostro clima è troppo freddo per quelli della sua razza. Poi fate venire qualche altra donna del suo popolo e ricominciate il vostro proficuo giro di conferenze."
Gli gettò un sacchetto di pelle.
"Dentro ci sono ventimila franchi. Bastano per il vostro silenzio? Se ne volete altri, non avete che da dirlo. E ora, se permettete, vado a cenare nel mio ristorante preferito. Confesso che mi è venuta una grande fame."
Il cavaliere d'Herblay era nato trentacinque anni prima in tempi che cambiavano con la stessa rapidità con cui in marzo le nuvole subentrano al sole. Rimasto presto orfano di madre, il padre e lo zio, impegnati a sopravvivere in giorni in cui un titolo nobiliare era un lasciapassare per la ghigliottina, lo avevano affidato a una vecchia zia che a sua volta lo aveva messo sotto le cure di una governante tedesca, Ellie, una ragazzona di trent'anni, florida e maestosa, con le guance rosse e i capelli biondi, un'aria sensuale e golosa. Ellie e il suo pupillo dormivano insieme e presto il loro rapporto fu simile a quello incestuoso che una maligna voce popolare riteneva esistente fra la regina Maria Antonietta e il Delfino.
A undici anni gli capitò l'incidente che risultò fatale per la sua vita. Un incendio scoppiò nella stanza in cui dormiva con Ellie, forse provocato da una candela caduta su un drappo. La donna morì nel sonno, soffocata dal fumo, il ragazzino venne tirato fuori ancora vivo. Il viso era rimasto intatto; bruciature più o meno estese erano presenti su braccia e gambe ma i danni peggiori li aveva subiti il basso ventre. Il medico che lo visitò disse che sarebbe sopravvissuto e le ustioni a braccia e gambe si sarebbero sanate con il tempo. Sentenziò anche che non sarebbe stato un uomo come gli altri. Pazienza se l'incidente lo avesse privato di qualcosa che non aveva mai conosciuto ma la precoce iniziazione sessuale gli lasciò una perenne nostalgia del corpo femminile. Dapprima pagava le donne perchè gli si mostrassero nude, poi, ereditate le sostanze familiari si diede a girare per l'Europa, visitando i quartieri sordidi delle principali città. Sceglieva prostitute dal fisico procace e ne trovava qualcuna disposta a farsi sculacciare per un prezzo maggiore. Presto iniziò a cercare donne che fossero disposte a sottostare a violenze ben maggiori ma era difficile trovarne. A Roma, non lontano da una basilica posta su un piccolo colle, seguì una donna nella sua casa in una zona che le guide turistiche identificavano con l'antica Suburra. La donna, in cambio di molte monete, si lasciò legare le mani e non potè impedire che le venissero legati anche i piedi. Dopo averla imbavagliata la violentò con un coccio di bottiglia e ne provò un senso di sollievo e di piacere. La donna piangeva per il dolore e lui ritenne pietoso soffocarla per farne cessare le sofferenze. Uscì dalla casa in piena notte e il giorno dopo partì e non tornò più a Roma. Presto una scia di morte lo seguì nei suoi viaggi e ci sarebbe voluto un servitore fedele che ne contasse le vittime come Leporello contava le conquiste di Don Giovanni. La visione della Venere selvaggia aveva suscitato in lui un desiderio irrefrenabile di possederla, possederla nel modo che lui ormai intendeva normale.
Il cadavere di Sarah venne sepolto in una fossa anonima contrassegnata da una croce di legno con il suo nome. La rimozione della salma fu fatta da uomini fidati a cui Vallon corrispose generose mance. Prima di lasciare la stanza teatro dell'orrenda fine della Venere selvaggia vide buttato in un angolo un macabro reperto. Vincendo la repulsione raccolse in un grande fazzoletto gli organi genitali di Sarah, asportati dal suo assassino. Giunto al suo alloggio li mise nella formaldeide e dopo qualche settimana ne concluse la proficua vendita con il dottor Blanch che li espose nel Museo di Scienze Naturali. Così Sarah riuscì a procurargli denaro anche da morta.
Si sa: del maiale non si butta via niente.
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