Maurina
di
Edipo
genere
gay
La lettera di mio padre giunse dieci giorni prima di Pasqua. Diceva, in sintesi, che con grande rammarico affari urgenti e improcrastinabili gli impedivano di trascorrere con me le vicine vacanze. Sarei rimasto in collegio, dunque; una separata lettera all'amministrazione recava l'assegno con la cifra extra che in questi casi ricompensava l'istituto per il sacrificio di sobbarcarsi il mantenimento di un ospite che avrebbe dovuto trovarsi altrove. Se rimasi deluso o no, non saprei dirlo, è certo che mi rassegnai presto. Gli altri facevano progetti per l'imminente partenza, parlando delle città o delle ville al mare o in campagna dove si sarebbero divertiti un mondo. In collegio saremmo rimasti solo in due: io e Maurina.
Il direttore era un uomo cresciuto più in larghezza che in altezza, con più peli sopra le labbra, dovuti a dei baffoni, che su tutto il cranio. Era molto orgoglioso dell'istituzione di cui era a capo; la lapide posta accanto al cancello d'ingresso diceva che il collegio era stato fondato nel lontano 1879. Intere generazioni avevano studiato in quelle aule e nell'anticamera della direzione si potevano ammirare i ritratti degli alunni più illustri: due o tre generali, due o tre ministri, due o tre vescovi, due o tre scienziati, persino un poeta. I generali avevano perso quasi tutte le battaglie, i ministri erano stati dimenticati da tutti, i vescovi non erano mai diventati cardinali, gli scienziati se ne erano andati in America e il poeta, dopo essere stato candidato al Nobel da vivo, ora, da morto, non veniva più letto da nessuno. Ogni anno, nel discorso inaugurale, il direttore ripeteva la solita storia: qui si forgia la classe dirigente del paese. Non so quanto il paese ne fosse grato al collegio, sicuramente, anno dopo anno, i risultati dell'educazione che vi si riceveva non erano proporzionali alle rette che i parenti pagavano e che, si diceva, forgiavano soprattutto il conto personale del direttore. Il livello degli insegnanti era sempre più scadente; le strutture, soprattutto quelle sportive, fatiscenti; il personale di servizio latitante e lavativo; il vitto consisteva la metà delle volte negli avanzi del giorno prima. Nonostante tutto, per il prestigio del nome della scuola, si faceva ancora a gomitate per iscrivere i propri figli.
Gli alunni erano i classici ragazzi per male delle buone famiglie. Viziosi e viziati, prepotenti e vigliacchi, egoisti e volgari, si preparavano a diventare i futuri pilastri della società. Coloro che sarebbero diventati giuristi e giudici, politici e militari, imparavano a rispettare le regole cominciando con il violare quelle del collegio. Fumo e alcool di nascosto, giornaletti pornografici, i vasi delle piante rigogliose che abbellivano i corridoi, innaffiati e concimati con le secrezioni dei corpi adolescenziali: tutto questo era solo goliardia rispetto al peggio che accadeva: sopraffazioni, violenze, prepotenze in particolare contro le matricole.
Mentre passeggiavo in cortile tormentando con le mani la lettera di mio padre ormai ridotta a una palla, vidi il solito crocchio dei ras, come venivano chiamati i più forti e soverchiatori della scuola. Risate sguaiate e versi osceni si alternavano mentre uno di loro faceva da vedetta per avvisare dell'arrivo di un insegnante o un inserviente.
"Che succede?" chiesi a Ernesto, un ragazzo occhialuto, impegnato nella lettura di uno dei suoi noiosi libri di storia. Senza nemmeno distogliere i quattro occhi dal libro, rispose: "Maurina."
Stavano sottoponendo Maurina a una delle numerose penitenze che dall'inizio dell'anno gli propinavano. La sua colpa era stata di avere fatto la spia su due compagni che fumavano e bevevano di nascosto e che, a causa sua, erano stati puniti. Il consiglio dei ras aveva deciso, all'unanimità, che il castigo che meritava era di essere trattato come una ragazza, in tutti i sensi. Già quell'assurdo nome, Maurino, non Mauro o Maurizio, ma proprio Maurino, si prestava all'ironia che fu ancora più facile trasformandolo in Maurina. Era un ragazzo tra i più bassi, biondo, bellino, senza peli, con delle gambe piene e lisce, un sedere rotondo e visto di spalle sembrava davvero una ragazza. Dal momento in cui fu decisa la punizione tutti avevano il diritto di toccarlo nelle parti intime o di chiamarlo nei modi più indecenti. I più scatenati contro di lui erano i membri del cosiddetto triumvirato, i tre ras che per potenza e prestigio di famiglia e di forza fisica sopravanzavano gli altri. Carlo, detto Cazzone (ma era meglio non chiamarlo così a tu per tu), prese la simpatica abitudine di scorreggiargli in faccia quando gli veniva l'ispirazione intestinale; Andrea, detto Fuhrer per le sue simpatie nazi, ne faceva il suo schiavetto personale, ordinandogli, tra l'altro, di fargli da posacenere con le mani o con la bocca quando fumava; Giorgio, poi, era diventato il suo amante e magnaccia. Se qualcuno voleva usufruire delle prestazioni di Maurina doveva rivolgersi a lui che stabiliva il prezzo. Se Carlo e Andrea erano, in fondo, solo due sbruffoni senza sostanza, Giorgio sapeva essere di una crudeltà e di un cinismo spaventosi. Quando un ragazzo tornò a scuola dopo la morte della madre e piangeva da solo nel cortile, lui gli disse:" Che piangi? C'è una puttana in meno sulla terra." Il ragazzo gli saltò addosso ma lui lo atterrò e gli spezzò un braccio; mentre quello piangeva e aspettava di essere soccorso gli mormorò all'orecchio che lo avrebbe scannato se avesse parlato. Il ragazzo disse di essere caduto da solo e di questi incidenti ne capitavano parecchi.
Quel giorno Maurina stava praticando sesso orale a ragazzi che avevano profumatamente pagato Giorgio e che la chiamavano Manuela. Questo era il nome della figlia del direttore, una ragazza alta, bella e impossibile da raggiungere, sogno erotico di tutti noi. Alcuni dicevano che non avrebbero schifato nemmeno la madre, sebbene sfiorita; il suo sorriso dolce e buono era la cosa che ricordava maggiormente le madri lontane, per chi ancora le aveva. "E adesso pisciategli addosso!", ordinarono i triumviri quando Maurina ebbe soddisfatto anche l'ultimo cliente. Mi allontanai disgustato.
Uno dopo l'altro andarono via tutti. La mattina del giovedì santo partirono gli ultimi e restammo solo noi. Il poco personale rimasto ci trattava sgarbatamente, infastidito dalla nostra presenza che impediva l'ozio assoluto, anche se non è che dessimo chissà quale daffare e oltre tutto ci davano da mangiare intrugli di dubbia provenienza o avanzi della tavola del direttore. A badare a noi c'era il vecchio professore Cavallo, insegnante di storia e geografia, che restava sempre al collegio perché non aveva nessuno al mondo. Era mezzo cieco e mezzo sordo e per quel poco che gli davamo da fare avrebbe anche potuto esserlo del tutto. Facevamo i compiti per le vacanze oppure leggevamo qualche romanzo preso a prestito dalla biblioteca della scuola, ciascuno per conto suo perché io non rivolgevo mai la parola al mio compagno. Lui tentava timidamente qualche approccio, senza successo. La notte eravamo come persi nell'enorme camerata, ai lati opposti per giunta. La seconda notte venne a infilarsi nel letto accanto al mio, lanciandomi un'occhiata quasi di scusa. Fui costretto, mio malgrado, a parlargli.
"Quello è il letto di Tedesco, se scopre che hai dormito lì, quando torna ti gonfia." Tedesco era un altro brutto tipo e nella gerarchia dei ras veniva subito dopo il triumvirato.
"Cambierò le lenzuola con il mio e glielo rifarò preciso", rispose Maurina, lieto che finalmente avessi rotto il silenzio. La mattina dopo mi gironzolava sempre intorno, seguendomi ovunque andassi, finché, spazientito, gli chiesi se avesse intenzione di venirmi dietro anche in bagno.
"Non fare così", mi supplicò, "sei il più cattivo con me."
"Io? Chi ti ha mai fatto niente?"
"Appunto, tu mi disprezzi, si vede che ti faccio schifo, sei l'unico che non mi abbia mai toccato. Io, invece..."
"Cosa?"
"Niente, ma non mi guardare così, mi fai paura, mi fai più paura degli altri."
Eravamo in biblioteca, scorrevo con lo sguardo quella parte della libreria coperta da una vetrina chiusa a chiave, piena di libri proibiti di cui potevo solo leggere i titoli.
"Tu pensi che a me faccia piacere quello che mi fanno, vero? Se non mi costringessero mi piacerebbe, lo ammetto, in fondo mi piace quando si eccitano..."
"Non mi interessa, sai. Stai lontano."
Nella biblioteca c'era uno scheletro di plastica, portato lì dal laboratorio scientifico, in fase di ristrutturazione. Maurina iniziò a giocare oscenamente con quell'aggeggio, traendone un grande divertimento. Decisi di ignorarlo e mi sedetti a leggere i consunti volumi di un'enciclopedia in voga tanti anni prima.
La notte faceva caldo, era stata una giornata d'aprile insolitamente torrida. Nel semibuio della camerata si scorgevano sulle pareti le ombre degli alberi del giardino e i raggi lunari che illuminavano debolmente le finestre.
"Dormi?", chiese Maurina dal suo letto. Non risposi.
"Rispondimi, ti prego, ho paura. Posso dormire con te? Non occupo molto spazio, sai. Sono solo come te, i miei non mi hanno voluto a casa, non so perché e non mi interessa, non gli voglio bene. A te invece voglio bene, mi sei sempre piaciuto." Scese dal letto, sentii i suoi passi, i piedi scalzi, e la sua voce molto vicina. Si era inginocchiato davanti al mio letto, le mani sulla sponda, chiedendo ospitalità.
"Puoi farmi quello che vuoi, anche picchiarmi, non dico niente."
Pensavo davvero di picchiarlo: mi girai verso di lui, scostai la coperta leggera e misi le gambe fuori dal letto. Lui, con mossa fulminea, infilò la testa fra le mie gambe e iniziò a darmi baci sul pube coperto. Cercai di respingerlo ma si era attaccato come una blatta e non riuscivo a liberarmene. Fu lui ad arrampicarsi su di me, a mettermi le braccia attorno al collo e a baciarmi sulla bocca, a lungo. Stavolta non lo respinsi e lui, sentendosi incoraggiato, mi accarezzò lì dove prima distribuiva baci.
"Lo vedi che ti piace? Sapevo che ti sarebbe piaciuto, io...ti amo!"
Mi abbassò il pigiama e la mutanda e me lo afferrò con mano esperta, poi me lo lavorò con una bocca non meno esperta. Si spogliò rapidamente e condusse le mie mani sul suo sesso, non grande ma rigido e trionfante.
"Vedi come mi eccito per te?" Ci masturbammo così, a lungo, e lui ogni tanto mi baciava, non meno a lungo. Arrivammo insieme e il forte odore del nostro sperma colpiva le narici e impregnava l'aria. Maurina tolse la coperta macchiata, la rivoltò e andò a sistemarla sul letto più lontano, prendendone in cambio quella pulita. Venne a mettersi sotto le lenzuola con me, addormentandosi con il mio membro in mano.
Non riuscii a dormire. Sentivo un nodo in gola, una morsa alla bocca dello stomaco e credo che mi salisse improvvisamente la febbre. Maurina era accanto a me, nudo, dormiva con la testa appoggiata sul mio petto e cominciai ad accarezzargli il corpo, così liscio e senza altri peli che quelli del pube, e il bellissimo sedere, così femminile e delicato. In queso modo venni da solo, una seconda volta, e pensai che il giorno dopo avremmo dovuto cambiare anche le lenzuola.
La mattina successiva, mentre lui ancora dormiva, andai a farmi la doccia, desiderando scrollarmi di dosso quella notte assurda. Mi stavo asciugando quando lui mi raggiunse.
"Perché non mi hai chiamato? Volevo fare la doccia con te."
Stavo per dirgli che si doveva scordare quello che era successo ma la vista del suo corpo mi eccitò di nuovo, contro ogni mia volontà. Gli misi le mani sui fianchi e lui mi abbracciò e baciò, infilandomi la lingua in bocca.
"Lo vuoi?", mi sussurrò. Senza aspettare una risposta, si inginocchiò davanti a me, offrendomi il suo buchetto già così spesso violato. Mi inginocchiai a mia volta, e con estrema cautela glielo infilai dentro, temendo di fargli male. Maurina, con un movimento sapiente delle natiche favorì lo scivolamento dentro di lui e mi incitò ad aumentare la velocità e l'impeto della penetrazione. Mentre glielo spingevo sempre più in fondo, mi prese la mano destra e se la portò al suo pene ormai eccitato. Così lo masturbai per tutto il tempo che rimasi nel suo corpo e alla fine arrivammo insieme, abbandonandoci uno sopra l'altro. Appena rimessi in forze mi condusse di nuovo alla doccia e volle insaponarmi lui, dappertutto.
Persi presto il conto di quante volte scopammo in quei giorni. Ricordo uno stato perenne di eccitazione, la sua capacità di provocarmi in continuazione, gli bastava sfiorarmi per farmi cadere per l'ennesima volta. Sembrava non contentarsi mai, le sue mani, la sua bocca, il suo culo cercavano sempre me e il mio sesso. Eravamo così infoiati che spesso cadevamo nell'imprudenza, come quando mi lasciai toccare e masturbare mentre il professor Cavallo sonnecchiava in cattedra e qualcuno entrando avrebbe visto la mano di Maurina nei miei pantaloni. Quando eravamo soli si sedeva sulle mie gambe e mi baciava tutto il viso dicendo di amarmi. Mi raccontò tanti particolari, di come era stato male quando Giorgio lo aveva inculato per la prima volta.
"Quello è frocio peggio di me", disse, "mica è un vero maschio come te, a lui piace farselo mettere dietro e a volte me lo succhia con tanta foga che ho paura voglia staccarmelo."
La domenica di Pasqua fummo ammessi al pranzo nell'alloggio del direttore. C'erano la moglie, la bellissima Manuela, serissima, alcuni parenti e amici loro. Il direttore, mentendo, ci presentò come due alunni esemplari. In realtà non appartenevamo a famiglie importanti e nemmeno ci distinguevamo per una particolare brillantezza negli studi ma nessuno poteva contraddirlo. Indossavamo la divisa del collegio e le donne e le ragazze invitate ci ammirarono moltissimo e dissero, tranne la sempre imbronciata Manuela, che eravamo davvero bellini. Maurina sfoderò il suo sorriso più ingenuo e angelico e divenne l'idolo di una grassa signora, cugina del direttore, che, senza la presenza degli altri, lo avrebbe certo soffocato di baci. Il mio contegno più riservato e da adulto attirò invece l'attenzione di un'amica di famiglia già sulla trentina e alquanto racchia. Io guardavo di nascosto Manuela, gli occhi neri chini sul piatto e i capelli ancora più neri che aveva raccolto all'indietro. Maurina, seduto accanto a me, mi faceva il piedino e ogni tanto mi toccava un ginocchio sotto la tovaglia. Nel complesso ce la cavammo benissimo e tutti ebbero un'ottima impressione di noi, con grande soddisfazione del direttore.
Nel pomeriggio, dopo l'apertura di un gigantesco uovo, ci recammo a passeggiare nel giardino. La grassona aveva preso Maurina sotto braccio e lo monopolizzava, ridendo apertamente alle cose che lui diceva. Io, da parte mia, accompagnavo la moglie del direttore che si informava delle mie cose, se ero tanto triste per non essere andato a casa per le vacanze.
"Da quanto tempo è morta la tua mamma?", mi chiese.
"Tre anni."
Ebbi tre carezze in cambio e l'amica racchia mi guardò con compassione e persino Manuela mi rivolse un sorriso. Trasalii, era la prima volta che la vedevo sorridere. Non ero mai stato con una ragazza e mi chiedevo se avrei mai avuto il coraggio di toccarne una dopo quello che stavo facendo con Maurina. La grassona, intanto, disse che non aveva mai visto dei ragazzi più dolci ed educati.
"Questo collegio merita la sua fama e tuo marito deve essere orgoglioso di questi allievi", commentò.
La sera, abbracciati nel letto, ci raccontavamo le sensazioni della giornata.
"Quella deve essere una vecchia ninfomane, se fossimo stati soli ci avrebbe messo le mani addosso. Oggi un paio di volte me lo ha sfiorato con la scusa di chinarsi a sentire il profumo di un fiore. Manuela è molto bella, vero?"
"Sì, bellissima."
"Ti piacciono le ragazze?"
"Sì."
"A me non hanno mai detto molto. Avevo delle cugine che mi facevano scherzi orribili, da allora ho sempre odiato le ragazze. Tu sei mai stato con una di loro?"
"Sì, ma non era una ragazza, era una donna già grande." La bugia mi era uscita spontanea e mi misi a inventare seduta stante.
"Chi era?"
"Una signora che aveva la villa vicino alla nostra, avevo sentito raccontare che era una di quelle perché faceva la mantenuta di un riccone che l'aveva tolta dalla strada. Era bellissima."
"Più di Manuela?"
"Manuela è ancora piccola, lei era una donna nel pieno della bellezza, io la spiavo di continuo e mi toccavo per lei. Un giorno giocavo a pallone da solo e la palla a un certo punto finì nel suo giardino, io allora scavalcai la siepe che divideva le nostre proprietà e andai a chiederle il permesso di prenderla. Era seduta ai bordi della piccola piscina e prendeva il sole in bikini. Il pallone era finito ai bordi della vasca e lei mi disse:-Vai pure, piccolino.-
"Quanti anni avevi?"
"Dodici. Mentre cercavo di afferrare il pallone scivolai sulla superficie bagnata e mi ritrovai in acqua. Non sapevo nuotare ma lei si tuffò e mi salvò, tirandomi su. Mi portò nel suo spogliatoio, mi tolse i panni bagnati e volle asciugarmi lei stessa."
"Ti tolse tutto?"
"Sì, e allora mi si rizzò e lei scoppiò a ridere. E poi..."
"Poi?"
"Cominciò a baciarmelo e a infilarselo in bocca..."
"Era più brava di me?"
"Bè, ci sapeva fare e quando me lo tirò bene su, si spogliò tutta e facemmo l'amore."
"Sono tutte stronzate, figurati se una donna si fa un ragazzetto."
"Pensala come vuoi, ma se era una ninfomane come la tua amica balena..."
"Allora è vero?"
"Certo."
Restammo in silenzio.
"Volevi molto bene a tua madre?", mi chiese alla fine.
Non risposi.
"Perché non rispondi?"
"Dormi."
Ci eravamo comportati così bene che il giorno di Pasquetta portarono anche noi a fare la scampagnata in riva al fiume. C'erano quasi le stesse persone del giorno prima, compresa la grassona che non finiva di elogiarci e di elogiare il nostro incomparabile maestro. Lui rispose pieno di sussiego.
"Sono ragazzi quieti e ubbidienti, le loro famiglie hanno avuto problemi e non sono potuti andare a casa per le vacanze ma non hanno fatto storie o capricci. E' così che si forgia il carattere delle persone. E soprattutto, l'ubbidienza, l'ubbidienza verso i genitori", e nel dire questo guardava la figlia che, a capo chino, si fissava le delicate mani.
"Questi ragazzi hanno uno sguardo così pulito, innocente", disse la moglie, forse per sviare il discorso.Maurina sorrise con l'aria più angelica di questo mondo, io non potei non arrossire. Fu un'altra calda giornata di primavera; mentre il mio amante veniva coccolato dalla sua amica, io mi allontanai verso un boschetto sia per un bisogno corporale sia perché avevo visto Manuela che vi si dirigeva furtiva. Soddisfatto il bisogno, mi giunsero delle voci, confuse tra i versi degli animali di terra e di cielo che dimoravano tra quegli alberi. Riconobbi la voce di Manuela, un pò roca e bassa di natura e con cautela mi nascosi dietro il tronco di un pino, dando un'occhiata a quello che stava succedendo. Manuela era abbracciata a un uomo molto più grande di lei e si baciavano con passione. Bisbigliavano e non riuscivo a capire bene le parole ma intuivo che si stavano salutando perché riuscii a distinguere un paio di "a presto", interrotti da un "ti amo". L'uomo si allontanò, la ragazza rimase a lungo a salutarlo con la mano, fino a quando non lo perse di vista e allora si voltò per tornare indietro. Mi nascosi dietro il tronco, lei passò vicino ma non mi vide e non mi avrebbe visto se, non so se per un rumore o per un'intuizione, non si fosse voltata all'improvviso. La sorpresa e la paura apparvero sul suo volto. Venne verso di me e mi chiese aspra se la stessi spiando. Risposi che mi ero solo allontanato per fare pipì e per caso l'avevo vista. Sembrò calmarsi, mi pose una mano su un braccio e mi chiese di non dire nulla di ciò che avevo appena visto, le avrei creato grossi problemi con i genitori.
"Mi dai un bacio?" le chiesi, tirando fuori un coraggio che fino ad allora non avrei pensato di avere. Restò interdetta, poi sorrise e disse:"Certo." Mi stampò due baci sulle guance.
"Ti prego, sulla bocca", le dissi fissandola negli occhi. Si innervosì di nuovo ma mi sfiorò le labbra mentre io, presale una mano la portai sui miei pantaloni. Non so dove trovassi la sfrontatezza per compiere quel gesto, è certo che stavo diventando un altro e forse volevo convincermi che ero pur sempre un maschio, nonostante Maurina, e potevo fare con una ragazza le stesse cose che stavo facendo con lui. La stessa mano si liberò e mi diede un ceffone.
"Sei davvero uno schifoso!", disse Manuela, inviperita. "Dirò tutto a mio padre."
"Anch'io gli dirò tutto", risposi. Avvampò ma si allontanò rapidamente.
Raggiunsi con calma gli altri. Ero convinto che non avrebbe detto nulla, non le conveniva ma non potevo averne la certezza. Forse la paura e la rabbia l'avrebbero spinta a dire la verità, il suo viso era impenetrabile, ma notai che restava lontana dal padre e, quando non la guardavo, mi seguiva con gli occhi per vedere se a mia volta dicevo qualcosa al direttore.
Ero inquieto. Tornati al collegio, appena arrivati in camerata spogliai Maurina e glielo ficcai a lungo dentro, svuotandomi in tutti i sensi. A letto, con la testa poggiata sul mio petto e le dita sempre tese a palparmi, mi raccontava che la grassona lo aveva riempito di baci dicendo che avrebbe voluto un figlio come lui ma certo i suoi non erano baci materni.
"Mi ha riempito di saliva, pareva una lumaca bavosa, sapessi che schifo ho provato. Le donne sono davvero disgustose, quelle cose che hanno davanti..."
"Si chiamano tette."
"Bé, le sue sono enormi, quando mi stringeva le sentivo sulla faccia, mi mancava il respiro."
Restammo in silenzio.
"Fra due giorni torneranno tutti."
"E allora?"
"D'ora in poi voglio farlo solo con te. Mi difenderai dagli altri? Tu sei alto, forte, puoi battere Giorgio. Quello quando si accorge che hanno paura di lui fa di più il prepotente ma io lo conosco bene, è un finto coraggioso. Se mi liberi da lui sarò solo tuo. Dimmi che ora ci penserai tu a proteggermi, dimmelo."
"Mettiti sopra di me."
Lo feci mettere a cavalcioni su di me e lo sbattei di nuovo, avrei voluto sfondarglielo, fargli male fino a vedere uscire il sangue dal suo culo ma niente poteva impedirgli di godere come un maiale. Mi chiedevo se Manuela con il suo uomo era così troia, non riuscivo a immaginarlo.
Uno alla volta tornarono tutti. Maurina fu subito il solito bersaglio e Giorgio, la sera del suo rientro, in camerata gli ordinò di spogliarsi davanti a tutti.
"No, fottiti", gli rispose. Tutti sbalordirono.
"La rivolta degli schiavi? Spogliati, altrimenti ti fai male."
"No, ora sto con lui, non prendo più ordini da te." Il suo dito indicava me.
Tutti guardavano me, increduli, aspettandosi una smentita che li avrebbe senz'altro convinti. Avevo un'aria indifferente. Giorgio mi canzonò beffardo.
"Guardalo, quello che aveva la merda profumata. Non pensavo che avessi qualcosa in mezzo alle gambe."
"Invece ce l'ha e molto più grosso del tuo", disse Maurina.
Giorgio gli diede un manrovescio ma Carlo e Andrea intervennero.
"Fra poco verranno a controllare la camerata, regolerete i conti domani nel prato."
La tensione era nell'aria, fin dal mattino. Le lezioni trascorsero nell'indifferenza generale, tutti pensavano a come sarebbe finita tra me e Giorgio. Qualcuno organizzò scommesse e la mia quota era molto alta.
Nel pomeriggio avevamo un'ora libera da trascorrere nel giardino e nel cortile. Ci ritrovammo davanti a tutti, chiusi a cerchio attorno a noi. Giorgio disse che mi dava la possibilità di chiedere scusa e salvarmi i denti, io risposi che prima di cominciare era necessario che tutti sapessero una cosa importante. Chiesi a Maurina:" Chi è l'unico che si è fatto inculare da te tra tutti noi?"
"Lui", disse indicando Giorgio. Carlo e Andrea si guardarono e dopo chiesero al loro sodale:"E' vero?"
"Quando mai! Non crederete a questa checca, no?"
"Io sarò una checca ma a te piace pigliarlo in culo."
"Basta con queste stronzate, vi spacco la faccia a tutti e due." Si avventò contro di me, mi afferrò il collo ma io intanto gli percuotevo stomaco e ventre con i pollici che usavo come lame. Costretto ad allentare la presa si ritrovò indifeso davanti alla capocciata con cui gli spaccavo un sopracciglio che iniziò a sanguinare. Mi bastò una spinta per scaraventarlo a terra. Quando un dittatore cade l'odio e il rancore si scatenano. Il ragazzo a cui Giorgio aveva spezzato il braccio quando gli era morta la madre, vedendolo strisciare gli diede un calcione su un fianco e gli sputò addosso. Furono Carlo e Andrea a salvarlo dal linciaggio, respingendo gli altri.
La sera, in camerata, comunicarono le loro decisioni: Giorgio si era dimostrato indegno ed era escluso dal comando, io lo avrei sostituito nel triumvirato. Giorgio ascoltò impassibile il verdetto mentre Maurina gli faceva una smorfia sotto il naso.
Durante la notte scappò via e la mattina il suo letto era vuoto. Tornò a casa chissà come e disse che non voleva tornare in collegio e le minacce dei genitori non lo smossero di un centimetro. Per il prestigio dell'istituto era un duro colpo ma il direttore presto ebbe altro a cui pensare perché anche Manuela era fuggita, con un uomo sposato. Lo scandalo era tale che, a quanto si diceva, il direttore sarebbe stato sostituito.
Maurina era felice. Una mattina, alle docce, mi abbracciò da dietro e mi baciò sul collo, alzandosi sui piedi.
"Ora siamo noi a comandare, gliela facciamo vedere a tutti."
Lo schiaffo lo colpì sul labbro superiore che subitò diventò rosso per un vistoso taglio. Scivolò sul pavimento bagnato e mi guardò con stupore capendo solo allora che per lui non era cambiato nulla.
Il direttore era un uomo cresciuto più in larghezza che in altezza, con più peli sopra le labbra, dovuti a dei baffoni, che su tutto il cranio. Era molto orgoglioso dell'istituzione di cui era a capo; la lapide posta accanto al cancello d'ingresso diceva che il collegio era stato fondato nel lontano 1879. Intere generazioni avevano studiato in quelle aule e nell'anticamera della direzione si potevano ammirare i ritratti degli alunni più illustri: due o tre generali, due o tre ministri, due o tre vescovi, due o tre scienziati, persino un poeta. I generali avevano perso quasi tutte le battaglie, i ministri erano stati dimenticati da tutti, i vescovi non erano mai diventati cardinali, gli scienziati se ne erano andati in America e il poeta, dopo essere stato candidato al Nobel da vivo, ora, da morto, non veniva più letto da nessuno. Ogni anno, nel discorso inaugurale, il direttore ripeteva la solita storia: qui si forgia la classe dirigente del paese. Non so quanto il paese ne fosse grato al collegio, sicuramente, anno dopo anno, i risultati dell'educazione che vi si riceveva non erano proporzionali alle rette che i parenti pagavano e che, si diceva, forgiavano soprattutto il conto personale del direttore. Il livello degli insegnanti era sempre più scadente; le strutture, soprattutto quelle sportive, fatiscenti; il personale di servizio latitante e lavativo; il vitto consisteva la metà delle volte negli avanzi del giorno prima. Nonostante tutto, per il prestigio del nome della scuola, si faceva ancora a gomitate per iscrivere i propri figli.
Gli alunni erano i classici ragazzi per male delle buone famiglie. Viziosi e viziati, prepotenti e vigliacchi, egoisti e volgari, si preparavano a diventare i futuri pilastri della società. Coloro che sarebbero diventati giuristi e giudici, politici e militari, imparavano a rispettare le regole cominciando con il violare quelle del collegio. Fumo e alcool di nascosto, giornaletti pornografici, i vasi delle piante rigogliose che abbellivano i corridoi, innaffiati e concimati con le secrezioni dei corpi adolescenziali: tutto questo era solo goliardia rispetto al peggio che accadeva: sopraffazioni, violenze, prepotenze in particolare contro le matricole.
Mentre passeggiavo in cortile tormentando con le mani la lettera di mio padre ormai ridotta a una palla, vidi il solito crocchio dei ras, come venivano chiamati i più forti e soverchiatori della scuola. Risate sguaiate e versi osceni si alternavano mentre uno di loro faceva da vedetta per avvisare dell'arrivo di un insegnante o un inserviente.
"Che succede?" chiesi a Ernesto, un ragazzo occhialuto, impegnato nella lettura di uno dei suoi noiosi libri di storia. Senza nemmeno distogliere i quattro occhi dal libro, rispose: "Maurina."
Stavano sottoponendo Maurina a una delle numerose penitenze che dall'inizio dell'anno gli propinavano. La sua colpa era stata di avere fatto la spia su due compagni che fumavano e bevevano di nascosto e che, a causa sua, erano stati puniti. Il consiglio dei ras aveva deciso, all'unanimità, che il castigo che meritava era di essere trattato come una ragazza, in tutti i sensi. Già quell'assurdo nome, Maurino, non Mauro o Maurizio, ma proprio Maurino, si prestava all'ironia che fu ancora più facile trasformandolo in Maurina. Era un ragazzo tra i più bassi, biondo, bellino, senza peli, con delle gambe piene e lisce, un sedere rotondo e visto di spalle sembrava davvero una ragazza. Dal momento in cui fu decisa la punizione tutti avevano il diritto di toccarlo nelle parti intime o di chiamarlo nei modi più indecenti. I più scatenati contro di lui erano i membri del cosiddetto triumvirato, i tre ras che per potenza e prestigio di famiglia e di forza fisica sopravanzavano gli altri. Carlo, detto Cazzone (ma era meglio non chiamarlo così a tu per tu), prese la simpatica abitudine di scorreggiargli in faccia quando gli veniva l'ispirazione intestinale; Andrea, detto Fuhrer per le sue simpatie nazi, ne faceva il suo schiavetto personale, ordinandogli, tra l'altro, di fargli da posacenere con le mani o con la bocca quando fumava; Giorgio, poi, era diventato il suo amante e magnaccia. Se qualcuno voleva usufruire delle prestazioni di Maurina doveva rivolgersi a lui che stabiliva il prezzo. Se Carlo e Andrea erano, in fondo, solo due sbruffoni senza sostanza, Giorgio sapeva essere di una crudeltà e di un cinismo spaventosi. Quando un ragazzo tornò a scuola dopo la morte della madre e piangeva da solo nel cortile, lui gli disse:" Che piangi? C'è una puttana in meno sulla terra." Il ragazzo gli saltò addosso ma lui lo atterrò e gli spezzò un braccio; mentre quello piangeva e aspettava di essere soccorso gli mormorò all'orecchio che lo avrebbe scannato se avesse parlato. Il ragazzo disse di essere caduto da solo e di questi incidenti ne capitavano parecchi.
Quel giorno Maurina stava praticando sesso orale a ragazzi che avevano profumatamente pagato Giorgio e che la chiamavano Manuela. Questo era il nome della figlia del direttore, una ragazza alta, bella e impossibile da raggiungere, sogno erotico di tutti noi. Alcuni dicevano che non avrebbero schifato nemmeno la madre, sebbene sfiorita; il suo sorriso dolce e buono era la cosa che ricordava maggiormente le madri lontane, per chi ancora le aveva. "E adesso pisciategli addosso!", ordinarono i triumviri quando Maurina ebbe soddisfatto anche l'ultimo cliente. Mi allontanai disgustato.
Uno dopo l'altro andarono via tutti. La mattina del giovedì santo partirono gli ultimi e restammo solo noi. Il poco personale rimasto ci trattava sgarbatamente, infastidito dalla nostra presenza che impediva l'ozio assoluto, anche se non è che dessimo chissà quale daffare e oltre tutto ci davano da mangiare intrugli di dubbia provenienza o avanzi della tavola del direttore. A badare a noi c'era il vecchio professore Cavallo, insegnante di storia e geografia, che restava sempre al collegio perché non aveva nessuno al mondo. Era mezzo cieco e mezzo sordo e per quel poco che gli davamo da fare avrebbe anche potuto esserlo del tutto. Facevamo i compiti per le vacanze oppure leggevamo qualche romanzo preso a prestito dalla biblioteca della scuola, ciascuno per conto suo perché io non rivolgevo mai la parola al mio compagno. Lui tentava timidamente qualche approccio, senza successo. La notte eravamo come persi nell'enorme camerata, ai lati opposti per giunta. La seconda notte venne a infilarsi nel letto accanto al mio, lanciandomi un'occhiata quasi di scusa. Fui costretto, mio malgrado, a parlargli.
"Quello è il letto di Tedesco, se scopre che hai dormito lì, quando torna ti gonfia." Tedesco era un altro brutto tipo e nella gerarchia dei ras veniva subito dopo il triumvirato.
"Cambierò le lenzuola con il mio e glielo rifarò preciso", rispose Maurina, lieto che finalmente avessi rotto il silenzio. La mattina dopo mi gironzolava sempre intorno, seguendomi ovunque andassi, finché, spazientito, gli chiesi se avesse intenzione di venirmi dietro anche in bagno.
"Non fare così", mi supplicò, "sei il più cattivo con me."
"Io? Chi ti ha mai fatto niente?"
"Appunto, tu mi disprezzi, si vede che ti faccio schifo, sei l'unico che non mi abbia mai toccato. Io, invece..."
"Cosa?"
"Niente, ma non mi guardare così, mi fai paura, mi fai più paura degli altri."
Eravamo in biblioteca, scorrevo con lo sguardo quella parte della libreria coperta da una vetrina chiusa a chiave, piena di libri proibiti di cui potevo solo leggere i titoli.
"Tu pensi che a me faccia piacere quello che mi fanno, vero? Se non mi costringessero mi piacerebbe, lo ammetto, in fondo mi piace quando si eccitano..."
"Non mi interessa, sai. Stai lontano."
Nella biblioteca c'era uno scheletro di plastica, portato lì dal laboratorio scientifico, in fase di ristrutturazione. Maurina iniziò a giocare oscenamente con quell'aggeggio, traendone un grande divertimento. Decisi di ignorarlo e mi sedetti a leggere i consunti volumi di un'enciclopedia in voga tanti anni prima.
La notte faceva caldo, era stata una giornata d'aprile insolitamente torrida. Nel semibuio della camerata si scorgevano sulle pareti le ombre degli alberi del giardino e i raggi lunari che illuminavano debolmente le finestre.
"Dormi?", chiese Maurina dal suo letto. Non risposi.
"Rispondimi, ti prego, ho paura. Posso dormire con te? Non occupo molto spazio, sai. Sono solo come te, i miei non mi hanno voluto a casa, non so perché e non mi interessa, non gli voglio bene. A te invece voglio bene, mi sei sempre piaciuto." Scese dal letto, sentii i suoi passi, i piedi scalzi, e la sua voce molto vicina. Si era inginocchiato davanti al mio letto, le mani sulla sponda, chiedendo ospitalità.
"Puoi farmi quello che vuoi, anche picchiarmi, non dico niente."
Pensavo davvero di picchiarlo: mi girai verso di lui, scostai la coperta leggera e misi le gambe fuori dal letto. Lui, con mossa fulminea, infilò la testa fra le mie gambe e iniziò a darmi baci sul pube coperto. Cercai di respingerlo ma si era attaccato come una blatta e non riuscivo a liberarmene. Fu lui ad arrampicarsi su di me, a mettermi le braccia attorno al collo e a baciarmi sulla bocca, a lungo. Stavolta non lo respinsi e lui, sentendosi incoraggiato, mi accarezzò lì dove prima distribuiva baci.
"Lo vedi che ti piace? Sapevo che ti sarebbe piaciuto, io...ti amo!"
Mi abbassò il pigiama e la mutanda e me lo afferrò con mano esperta, poi me lo lavorò con una bocca non meno esperta. Si spogliò rapidamente e condusse le mie mani sul suo sesso, non grande ma rigido e trionfante.
"Vedi come mi eccito per te?" Ci masturbammo così, a lungo, e lui ogni tanto mi baciava, non meno a lungo. Arrivammo insieme e il forte odore del nostro sperma colpiva le narici e impregnava l'aria. Maurina tolse la coperta macchiata, la rivoltò e andò a sistemarla sul letto più lontano, prendendone in cambio quella pulita. Venne a mettersi sotto le lenzuola con me, addormentandosi con il mio membro in mano.
Non riuscii a dormire. Sentivo un nodo in gola, una morsa alla bocca dello stomaco e credo che mi salisse improvvisamente la febbre. Maurina era accanto a me, nudo, dormiva con la testa appoggiata sul mio petto e cominciai ad accarezzargli il corpo, così liscio e senza altri peli che quelli del pube, e il bellissimo sedere, così femminile e delicato. In queso modo venni da solo, una seconda volta, e pensai che il giorno dopo avremmo dovuto cambiare anche le lenzuola.
La mattina successiva, mentre lui ancora dormiva, andai a farmi la doccia, desiderando scrollarmi di dosso quella notte assurda. Mi stavo asciugando quando lui mi raggiunse.
"Perché non mi hai chiamato? Volevo fare la doccia con te."
Stavo per dirgli che si doveva scordare quello che era successo ma la vista del suo corpo mi eccitò di nuovo, contro ogni mia volontà. Gli misi le mani sui fianchi e lui mi abbracciò e baciò, infilandomi la lingua in bocca.
"Lo vuoi?", mi sussurrò. Senza aspettare una risposta, si inginocchiò davanti a me, offrendomi il suo buchetto già così spesso violato. Mi inginocchiai a mia volta, e con estrema cautela glielo infilai dentro, temendo di fargli male. Maurina, con un movimento sapiente delle natiche favorì lo scivolamento dentro di lui e mi incitò ad aumentare la velocità e l'impeto della penetrazione. Mentre glielo spingevo sempre più in fondo, mi prese la mano destra e se la portò al suo pene ormai eccitato. Così lo masturbai per tutto il tempo che rimasi nel suo corpo e alla fine arrivammo insieme, abbandonandoci uno sopra l'altro. Appena rimessi in forze mi condusse di nuovo alla doccia e volle insaponarmi lui, dappertutto.
Persi presto il conto di quante volte scopammo in quei giorni. Ricordo uno stato perenne di eccitazione, la sua capacità di provocarmi in continuazione, gli bastava sfiorarmi per farmi cadere per l'ennesima volta. Sembrava non contentarsi mai, le sue mani, la sua bocca, il suo culo cercavano sempre me e il mio sesso. Eravamo così infoiati che spesso cadevamo nell'imprudenza, come quando mi lasciai toccare e masturbare mentre il professor Cavallo sonnecchiava in cattedra e qualcuno entrando avrebbe visto la mano di Maurina nei miei pantaloni. Quando eravamo soli si sedeva sulle mie gambe e mi baciava tutto il viso dicendo di amarmi. Mi raccontò tanti particolari, di come era stato male quando Giorgio lo aveva inculato per la prima volta.
"Quello è frocio peggio di me", disse, "mica è un vero maschio come te, a lui piace farselo mettere dietro e a volte me lo succhia con tanta foga che ho paura voglia staccarmelo."
La domenica di Pasqua fummo ammessi al pranzo nell'alloggio del direttore. C'erano la moglie, la bellissima Manuela, serissima, alcuni parenti e amici loro. Il direttore, mentendo, ci presentò come due alunni esemplari. In realtà non appartenevamo a famiglie importanti e nemmeno ci distinguevamo per una particolare brillantezza negli studi ma nessuno poteva contraddirlo. Indossavamo la divisa del collegio e le donne e le ragazze invitate ci ammirarono moltissimo e dissero, tranne la sempre imbronciata Manuela, che eravamo davvero bellini. Maurina sfoderò il suo sorriso più ingenuo e angelico e divenne l'idolo di una grassa signora, cugina del direttore, che, senza la presenza degli altri, lo avrebbe certo soffocato di baci. Il mio contegno più riservato e da adulto attirò invece l'attenzione di un'amica di famiglia già sulla trentina e alquanto racchia. Io guardavo di nascosto Manuela, gli occhi neri chini sul piatto e i capelli ancora più neri che aveva raccolto all'indietro. Maurina, seduto accanto a me, mi faceva il piedino e ogni tanto mi toccava un ginocchio sotto la tovaglia. Nel complesso ce la cavammo benissimo e tutti ebbero un'ottima impressione di noi, con grande soddisfazione del direttore.
Nel pomeriggio, dopo l'apertura di un gigantesco uovo, ci recammo a passeggiare nel giardino. La grassona aveva preso Maurina sotto braccio e lo monopolizzava, ridendo apertamente alle cose che lui diceva. Io, da parte mia, accompagnavo la moglie del direttore che si informava delle mie cose, se ero tanto triste per non essere andato a casa per le vacanze.
"Da quanto tempo è morta la tua mamma?", mi chiese.
"Tre anni."
Ebbi tre carezze in cambio e l'amica racchia mi guardò con compassione e persino Manuela mi rivolse un sorriso. Trasalii, era la prima volta che la vedevo sorridere. Non ero mai stato con una ragazza e mi chiedevo se avrei mai avuto il coraggio di toccarne una dopo quello che stavo facendo con Maurina. La grassona, intanto, disse che non aveva mai visto dei ragazzi più dolci ed educati.
"Questo collegio merita la sua fama e tuo marito deve essere orgoglioso di questi allievi", commentò.
La sera, abbracciati nel letto, ci raccontavamo le sensazioni della giornata.
"Quella deve essere una vecchia ninfomane, se fossimo stati soli ci avrebbe messo le mani addosso. Oggi un paio di volte me lo ha sfiorato con la scusa di chinarsi a sentire il profumo di un fiore. Manuela è molto bella, vero?"
"Sì, bellissima."
"Ti piacciono le ragazze?"
"Sì."
"A me non hanno mai detto molto. Avevo delle cugine che mi facevano scherzi orribili, da allora ho sempre odiato le ragazze. Tu sei mai stato con una di loro?"
"Sì, ma non era una ragazza, era una donna già grande." La bugia mi era uscita spontanea e mi misi a inventare seduta stante.
"Chi era?"
"Una signora che aveva la villa vicino alla nostra, avevo sentito raccontare che era una di quelle perché faceva la mantenuta di un riccone che l'aveva tolta dalla strada. Era bellissima."
"Più di Manuela?"
"Manuela è ancora piccola, lei era una donna nel pieno della bellezza, io la spiavo di continuo e mi toccavo per lei. Un giorno giocavo a pallone da solo e la palla a un certo punto finì nel suo giardino, io allora scavalcai la siepe che divideva le nostre proprietà e andai a chiederle il permesso di prenderla. Era seduta ai bordi della piccola piscina e prendeva il sole in bikini. Il pallone era finito ai bordi della vasca e lei mi disse:-Vai pure, piccolino.-
"Quanti anni avevi?"
"Dodici. Mentre cercavo di afferrare il pallone scivolai sulla superficie bagnata e mi ritrovai in acqua. Non sapevo nuotare ma lei si tuffò e mi salvò, tirandomi su. Mi portò nel suo spogliatoio, mi tolse i panni bagnati e volle asciugarmi lei stessa."
"Ti tolse tutto?"
"Sì, e allora mi si rizzò e lei scoppiò a ridere. E poi..."
"Poi?"
"Cominciò a baciarmelo e a infilarselo in bocca..."
"Era più brava di me?"
"Bè, ci sapeva fare e quando me lo tirò bene su, si spogliò tutta e facemmo l'amore."
"Sono tutte stronzate, figurati se una donna si fa un ragazzetto."
"Pensala come vuoi, ma se era una ninfomane come la tua amica balena..."
"Allora è vero?"
"Certo."
Restammo in silenzio.
"Volevi molto bene a tua madre?", mi chiese alla fine.
Non risposi.
"Perché non rispondi?"
"Dormi."
Ci eravamo comportati così bene che il giorno di Pasquetta portarono anche noi a fare la scampagnata in riva al fiume. C'erano quasi le stesse persone del giorno prima, compresa la grassona che non finiva di elogiarci e di elogiare il nostro incomparabile maestro. Lui rispose pieno di sussiego.
"Sono ragazzi quieti e ubbidienti, le loro famiglie hanno avuto problemi e non sono potuti andare a casa per le vacanze ma non hanno fatto storie o capricci. E' così che si forgia il carattere delle persone. E soprattutto, l'ubbidienza, l'ubbidienza verso i genitori", e nel dire questo guardava la figlia che, a capo chino, si fissava le delicate mani.
"Questi ragazzi hanno uno sguardo così pulito, innocente", disse la moglie, forse per sviare il discorso.Maurina sorrise con l'aria più angelica di questo mondo, io non potei non arrossire. Fu un'altra calda giornata di primavera; mentre il mio amante veniva coccolato dalla sua amica, io mi allontanai verso un boschetto sia per un bisogno corporale sia perché avevo visto Manuela che vi si dirigeva furtiva. Soddisfatto il bisogno, mi giunsero delle voci, confuse tra i versi degli animali di terra e di cielo che dimoravano tra quegli alberi. Riconobbi la voce di Manuela, un pò roca e bassa di natura e con cautela mi nascosi dietro il tronco di un pino, dando un'occhiata a quello che stava succedendo. Manuela era abbracciata a un uomo molto più grande di lei e si baciavano con passione. Bisbigliavano e non riuscivo a capire bene le parole ma intuivo che si stavano salutando perché riuscii a distinguere un paio di "a presto", interrotti da un "ti amo". L'uomo si allontanò, la ragazza rimase a lungo a salutarlo con la mano, fino a quando non lo perse di vista e allora si voltò per tornare indietro. Mi nascosi dietro il tronco, lei passò vicino ma non mi vide e non mi avrebbe visto se, non so se per un rumore o per un'intuizione, non si fosse voltata all'improvviso. La sorpresa e la paura apparvero sul suo volto. Venne verso di me e mi chiese aspra se la stessi spiando. Risposi che mi ero solo allontanato per fare pipì e per caso l'avevo vista. Sembrò calmarsi, mi pose una mano su un braccio e mi chiese di non dire nulla di ciò che avevo appena visto, le avrei creato grossi problemi con i genitori.
"Mi dai un bacio?" le chiesi, tirando fuori un coraggio che fino ad allora non avrei pensato di avere. Restò interdetta, poi sorrise e disse:"Certo." Mi stampò due baci sulle guance.
"Ti prego, sulla bocca", le dissi fissandola negli occhi. Si innervosì di nuovo ma mi sfiorò le labbra mentre io, presale una mano la portai sui miei pantaloni. Non so dove trovassi la sfrontatezza per compiere quel gesto, è certo che stavo diventando un altro e forse volevo convincermi che ero pur sempre un maschio, nonostante Maurina, e potevo fare con una ragazza le stesse cose che stavo facendo con lui. La stessa mano si liberò e mi diede un ceffone.
"Sei davvero uno schifoso!", disse Manuela, inviperita. "Dirò tutto a mio padre."
"Anch'io gli dirò tutto", risposi. Avvampò ma si allontanò rapidamente.
Raggiunsi con calma gli altri. Ero convinto che non avrebbe detto nulla, non le conveniva ma non potevo averne la certezza. Forse la paura e la rabbia l'avrebbero spinta a dire la verità, il suo viso era impenetrabile, ma notai che restava lontana dal padre e, quando non la guardavo, mi seguiva con gli occhi per vedere se a mia volta dicevo qualcosa al direttore.
Ero inquieto. Tornati al collegio, appena arrivati in camerata spogliai Maurina e glielo ficcai a lungo dentro, svuotandomi in tutti i sensi. A letto, con la testa poggiata sul mio petto e le dita sempre tese a palparmi, mi raccontava che la grassona lo aveva riempito di baci dicendo che avrebbe voluto un figlio come lui ma certo i suoi non erano baci materni.
"Mi ha riempito di saliva, pareva una lumaca bavosa, sapessi che schifo ho provato. Le donne sono davvero disgustose, quelle cose che hanno davanti..."
"Si chiamano tette."
"Bé, le sue sono enormi, quando mi stringeva le sentivo sulla faccia, mi mancava il respiro."
Restammo in silenzio.
"Fra due giorni torneranno tutti."
"E allora?"
"D'ora in poi voglio farlo solo con te. Mi difenderai dagli altri? Tu sei alto, forte, puoi battere Giorgio. Quello quando si accorge che hanno paura di lui fa di più il prepotente ma io lo conosco bene, è un finto coraggioso. Se mi liberi da lui sarò solo tuo. Dimmi che ora ci penserai tu a proteggermi, dimmelo."
"Mettiti sopra di me."
Lo feci mettere a cavalcioni su di me e lo sbattei di nuovo, avrei voluto sfondarglielo, fargli male fino a vedere uscire il sangue dal suo culo ma niente poteva impedirgli di godere come un maiale. Mi chiedevo se Manuela con il suo uomo era così troia, non riuscivo a immaginarlo.
Uno alla volta tornarono tutti. Maurina fu subito il solito bersaglio e Giorgio, la sera del suo rientro, in camerata gli ordinò di spogliarsi davanti a tutti.
"No, fottiti", gli rispose. Tutti sbalordirono.
"La rivolta degli schiavi? Spogliati, altrimenti ti fai male."
"No, ora sto con lui, non prendo più ordini da te." Il suo dito indicava me.
Tutti guardavano me, increduli, aspettandosi una smentita che li avrebbe senz'altro convinti. Avevo un'aria indifferente. Giorgio mi canzonò beffardo.
"Guardalo, quello che aveva la merda profumata. Non pensavo che avessi qualcosa in mezzo alle gambe."
"Invece ce l'ha e molto più grosso del tuo", disse Maurina.
Giorgio gli diede un manrovescio ma Carlo e Andrea intervennero.
"Fra poco verranno a controllare la camerata, regolerete i conti domani nel prato."
La tensione era nell'aria, fin dal mattino. Le lezioni trascorsero nell'indifferenza generale, tutti pensavano a come sarebbe finita tra me e Giorgio. Qualcuno organizzò scommesse e la mia quota era molto alta.
Nel pomeriggio avevamo un'ora libera da trascorrere nel giardino e nel cortile. Ci ritrovammo davanti a tutti, chiusi a cerchio attorno a noi. Giorgio disse che mi dava la possibilità di chiedere scusa e salvarmi i denti, io risposi che prima di cominciare era necessario che tutti sapessero una cosa importante. Chiesi a Maurina:" Chi è l'unico che si è fatto inculare da te tra tutti noi?"
"Lui", disse indicando Giorgio. Carlo e Andrea si guardarono e dopo chiesero al loro sodale:"E' vero?"
"Quando mai! Non crederete a questa checca, no?"
"Io sarò una checca ma a te piace pigliarlo in culo."
"Basta con queste stronzate, vi spacco la faccia a tutti e due." Si avventò contro di me, mi afferrò il collo ma io intanto gli percuotevo stomaco e ventre con i pollici che usavo come lame. Costretto ad allentare la presa si ritrovò indifeso davanti alla capocciata con cui gli spaccavo un sopracciglio che iniziò a sanguinare. Mi bastò una spinta per scaraventarlo a terra. Quando un dittatore cade l'odio e il rancore si scatenano. Il ragazzo a cui Giorgio aveva spezzato il braccio quando gli era morta la madre, vedendolo strisciare gli diede un calcione su un fianco e gli sputò addosso. Furono Carlo e Andrea a salvarlo dal linciaggio, respingendo gli altri.
La sera, in camerata, comunicarono le loro decisioni: Giorgio si era dimostrato indegno ed era escluso dal comando, io lo avrei sostituito nel triumvirato. Giorgio ascoltò impassibile il verdetto mentre Maurina gli faceva una smorfia sotto il naso.
Durante la notte scappò via e la mattina il suo letto era vuoto. Tornò a casa chissà come e disse che non voleva tornare in collegio e le minacce dei genitori non lo smossero di un centimetro. Per il prestigio dell'istituto era un duro colpo ma il direttore presto ebbe altro a cui pensare perché anche Manuela era fuggita, con un uomo sposato. Lo scandalo era tale che, a quanto si diceva, il direttore sarebbe stato sostituito.
Maurina era felice. Una mattina, alle docce, mi abbracciò da dietro e mi baciò sul collo, alzandosi sui piedi.
"Ora siamo noi a comandare, gliela facciamo vedere a tutti."
Lo schiaffo lo colpì sul labbro superiore che subitò diventò rosso per un vistoso taglio. Scivolò sul pavimento bagnato e mi guardò con stupore capendo solo allora che per lui non era cambiato nulla.
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