Diario Primaverile. Il biotopo.
di
Tibet
genere
interviste
Marzo.
Il biotopo.
E' freddo.
Sono annoiato e... vorrei partire. Sto scrivendo della Bolivia ma non ci sono mai stato. Del Potosì... terra di miniere e di schiavi, schiavi allora e schiavi ancora oggi. Tempo fa non avrei esitato un attimo e sarei partito, ma ora sono legato qui con delle catene, eppure dovrei andarci, mi manca di conoscere l'atmosfera di quella città posta a 4000 metri di altitudine. Do a questa impossibilità la colpa del mancato progredire del mio libro.
Infantilismo.
Ho voglia di uscire.
Ti dico di vestirti! Di far presto.
Andiamo al biotopo. In questa stagione ci sono le anitre che svernano.
Ti dico anche di coprirti bene che fa freddo.
Il biotopo è un lungo stagno e mentre camminiamo lungo la sua riva si alzano in volo stormi di anatre disturbate dal nostro arrivo. Cammini davanti a me e non parliamo molto.
Tu presa dalle tue preoccupazioni e io dal mio egoismo.
La vita in comune è una altalena. Conosce alti e bassi. E non è colpa di nessuno se non sono sempre rose e fiori.
Lo stagno è contornato da un sentiero e nel punto nel quale l'acqua riprende il suo cammino verso il fiume c'è una torretta d'osservazione. Una scaletta e un piano sopra del quale un tetto schermato da canne. Delle feritoie permettono di osservare i volatili. Ti faccio salire davanti a me e mentre lo fai vedo la forma del tuo culo. Hai una gonna comoda e dei collant.
Sento il bisogno di te.
Ora.
Sesso come anestetico.
Come droga.
Il mio solito bisogno di annullarmi.
Su... raggiunta la piccola piattaforma ti spingo contro il parapetto e ti bacio. No, non è un bacio, ti mordo la bocca. Ti prendo le labbra fra i miei denti e stringo.
Ti divoro.
Senti la mia frenesia?
Il bisogno di averti?
Si... collabori, piacciono anche a te queste cose all'improvviso e i luoghi dove succedono.
La mia mano ti cerca sotto, prima ti accarezza forte sopra il collant e gli slip e poi li bypasso da sopra, raggiungo la tua fica che è già umida e ti masturbo... ti strizzo forte il clitoride fino a farti gemere, ti metto le dita dentro, le bagno e me le porto alla bocca, ti succhio, le rimetto e ti faccio godere... con te aggrappata con le mani alle mie spalle, il nostro ansimare che si confonde, la mia bocca che ti tormenta...
Vieni... godi...! Ti dico quanto sei puttana. Quanto ti desidero.
Tu... sotto orgasmo ti senti cedere le gambe e ti aggrappi a me.
Ti lascio... davanti a te mi inginocchio e ti abbasso collant e slip, vedo la tua fica bagnata... aperta. Te la lecco brevemente... e alzandomi ti faccio voltare e appoggiare con le mani, hai il culo nudo... offerto. Mi piego e te lo lecco, ti bacio... mentre con le mani ti penetro davanti.
Si... ora mi alzo e ti prendo... forte. In fica. Ti sbatto. Sento i colpi contro le tue natiche e mi eccita. Ti tengo forte per i fianchi e ti alzo quando ti penetro a fondo.
Dura una eternità, tu che vieni. E io che non ci riesco. Sento il piacere che arriva... è lì! E poi si ritira. Il cazzo duro che mi fa male.
Ti dico per eccitarti maggiormente che sta arrivando gente, che ti vedranno... puttana che sei! E questo... ti fa venire ancora.
Mi levo... devo godere anch'io e in questi casi mi è possibile solo masturbandomi forte. Lo fai tu... in piedi accanto a me. Mi meni veloce... scopri e ricopri la cappella congestionata e finalmente vengo e sborro l'anima sul pavimento di legno della piattaforma.
Poi continuiamo il giro dello stagno dalla parte opposta.
Ora parliamo.
Il sesso ci ha riavvicinati. Ha bruciato le tossine.
Sesso come medicina.
Come sempre.
Aprile.
Quando fra uomini si parla della vita e di donne.
Parliamo della vita...
Il mio amico C. è una persona da prendere con moderazione.
E' davvero come certi medicinali. Se lo vedi una volta ogni tanto magari ha su di te un effetto benefico, ma se invece ne abusi ti fa male.
Oggi ho voglia di vederlo e farci due chiacchiere, ma non gli telefono. Se non c'è mi va bene lo stesso. Abita in montagna in un posto isolato. Ha venti gatti.
Fa il ceramista... pittore e scultore. Un artista insomma e ha la mia età.
E' un bell'uomo.
Si. Non alto.. sul metro e settanta o qualcosa di più. Capelli grigio-ferro lunghi tenuti a codino, baffi e pizzetto, bei denti e occhi grigi sorridenti. Magrissimo ma si vede che e' forte fisicamente. I suoi muscoli guizzano sotto pelle quando si muove.
E' molto che ci conosciamo. E fra noi subito empatia. Lui per vivere fa dei lavoretti, non vive con i suoi lavori d'artista. O non vuole. Odia la commercializzazione della sua arte. Un po' come me con i miei lavori.
Basta esami dalla vita per noi.
Mi sa che ci emarginiamo volontariamente, ognuno a suo modo.
Parlando... rileviamo fra noi molte analogie, ma anche molte differenze.
Una gioventù nel Movimento Anarchico, lui all'università da intellettuale e io sulla strada perso scioccamente nella guerriglia urbana, manovrato da chissà chi in una sterile lotta ai mulini a vento.
Ora parliamo delle disillusioni.
Del perché essersi sfiancati in cose che non hanno prodotto frutti ma solo scorie velenose.
Ma lui è diverso.
Io a volte lo ammiro e a volte lo compiango.
E' una anima candida o sono io una anima dannata? Si, più probabile questo... che il dannato sia io.
E' sposato e ha una figlia. E ora non sa dove siano. Né l'una né l'altra. Ne parla con leggerezza. E io questo non lo capisco. I miei rapporti con le donne sono tempestosi ma senza passione non riesco a vivere.
Sono consapevole della necessità di uscire dal girone infernale dei desideri ma tutto sommato considero ciò una utopia. Bellissima e affascinante, ma utopia.
Lui ha avuto una vita fortunata, diciamo.
Una famiglia abbiente che lo ha guidato nel corso della vita. Un lavoro importante che poi ha abbandonato per scelta. Si è ritirato in questa casa avuta dai genitori. E ora vive di poco.
Io? Una vita difficile.
Sempre burrasche e scogli sulla mia rotta fino a quando non sono rinato a nuova vita.
So che a casa sua non si mangia e mi sono premunito a dovere.
Lui mastica dell'uva secca. E' la sua cena. Io ho con me formaggio stagionato, pane e vino.
Una bottiglia di vecchio vino che mi bevo da solo.
Lui asceta e io crapulone.
C'è l'atmosfera di un cenobio fino a questo momento.
Parliamo di donne...
Io gli chiedo di sua moglie, dove è. Non lo sa. Lei non vive più con lui da quando ha rinunciato alla città, pensa che stia con uno in Campania o roba così.
Gli chiedo se scopa, se ha una donna qui.
No... non scopa più.
Ma si masturba? Come fa con il sesso?
Quando sente il richiamo... dice che va nel suo atelier e se la prende con un tronco d'albero, lavora e il lavoro gli fa dimenticare il sesso.
E la figlia?
Non sa. E' in giro.
Poi chiede della mia vita. Delle donne. Di cosa scrivo.
Gli racconto qualcosa, una infinitesima parte e lui scuote la testa. Non approva.
Io non giudico lui ma lui giudica me?
Mi chiede perché non ho figli.
Mi chiede cosa voglio dalla vita. Se lo so.
No... so solo che non voglio stare solo, non potrei star solo come lui.
Se sono solo i ricordi tornano e mi cavalcano nel cervello. Sento solo il loro galoppo, i loro zoccoli che tambureggiano e il rumore mi fa impazzire.
No, non so cosa voglio dalla vita.
Oppure quello che voglio non lo posso avere e quindi?
Ora lui mi e' involontariamente ostile.
Come quelli che credono ciecamente in qualche cosa si sente superiore a chi come me non credono in nulla.
Il suo atteggiamento non è voluto ma io lo rilevo e mi da fastidio.
La perfezione è presunzione.
La certezza è presunzione.
Io vivo di dubbi.
Lo saluto.. sono stanco.
E sulla strada del ritorno mi sento leggero.
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