Il Collare

di
genere
sadomaso

" .... E le tue mani suonano dolci note per me Seguendo un canto che ormai limiti non haaa..... "

Cavallo Bianco dei Matia, però con la voce di Silvia Mezzanotte. Il suono si espandeva a spirale per il soggiorno, la seguiva con i movimenti del suo corpo, ruotava a braccia larghe, la testa reclinata sulla spalla.
La pelle aveva ancora il profumo del bagnoschiuma, la musica era una doccia dello spirito che ripuliva le piccole noie di una giornata in ufficio, la danza alleggeriva i muscoli, scioglieva la tensioni del giorno.
Le sere in cui prendeva servizio doveva essere un'altra persona, al meglio delle sue possibilità.

La sua casa era ben riscaldata, poteva togliere l'accappatoio e dedicarsi nuda alla toilette. Prima ancora del trucco e dei vestiti prese dal cassetto un laccio di seta nera, alto e sottile, da fissare al collo.
L'atto con cui annullava la sua esistenza normale e diventava un'altra persona, la Schiava.
Indossato il marchio della sua condizione passò a prepararsi con cura, il Padrone non avrebbe tollerato imperfezioni, nemmeno un filo di esibizione volgare. Aveva capelli, sopracciglia, occhi di un nero profondo che contrastava con la pelle bianca. Era leggera, minuta, seno piccolo, naso appena all'insù, labbra sottili. Ci sono donne che sembrano nate apposta per portare i capelli a caschetto, come antiche egizie, difficilmente avrebbe trovato un'altra pettinatura adatta al suo viso. Le calze autoreggenti con la riga nera dietro, sul labbro doveva rimanere un velo di peluria, tutto secondo il gusto del Padrone.
Ottimo gusto doveva riconoscere, guardandosi allo specchio a figura intera con il completo tailleur, gonna, scarpe verniciate. Il giaccone avrebbe protetto quei tesori dagli sguardi e dal freddo nel tragitto, Venere tascabile in pelliccia.

Suonò il campanello, le fu aperto senza una parola al citofono, salì le scale, la porta era socchiusa.
Lui era nel salotto a leggere tra i quadri e i tappeti, come sempre. Lei chiuse la porta e senza dargli disturbo andò direttamente in cucina, si spogliò lasciando solo le calze e il collare, cominciò a preparare il the.
Il Padrone avrebbe apprezzato la sua eleganza dopo, quando si sarebbe rivestita alla fine.
Nell’attesa che l’acqua bollisse contemplava il paesaggio invernale fuori dalla finestra, la neve sui tetti, le nuvole che sembravano animate da una luce propria. Così abbandonato, fermo come se fosse dipinto, tutto il contrario delle emozioni che le ribollivano dentro nell’anticipazione di quel che stava per accadere.
L’acqua era pronta, il Padrone aveva molte miscele diverse, alcune in bustine, altre in vasetti di vetro.
Era necessario intuire quale aroma sarebbe stato più adatto al suo umore in quel momento, senza nemmeno averci parlato, solo in base all’intensità del suo silenzio. Difficile, ma è una delle piccole magie che distinguono la Schiava perfetta da quella solamente buona.

Sempre in silenzio, con passi misurati, entrò nel salotto e servì il the sul tavolino giapponese vicino al divano.
Lui continuava a leggere e allungò appena la mano per prendere la tazza, lei si portò sull’angolo del tappeto e si mise in ginocchio, seduta sui talloni in posizione d’attesa. Sentiva freddo, il finestrone aveva le tende volutamente discostate, qualcuno dalle altre case avrebbe potuto vederla. Niente aveva importanza durante il servizio. Il mantra come una spugna portava via i pensieri e il tempo, esisteva solo il suo respiro e la vista di lui.

“ Poggiapiedi. “

La Schiava si avvicinò e si mise a quattro zampe sotto di lui, ginocchia, gomiti e viso affondati nel calore del tappeto, la schiena offerta perché lui potesse mettersi comodo e appoggiare la tazza.
Alla fine lei era uno dei tanti accessori di quel bell’appartamento, amata quanto i quadri e i soprammobili.
Alla fine gli unici veri amori del Padrone erano la bellezza fine a se stessa e la conoscenza.
Lei era felice di farne parte.
Anche in quella posizione continuava a cullarsi nel mantra, la noia non la sfiorava, la sua essenza danzava in un giardino segreto. La sola cosa importante era che la tazza non cadesse.

Il tempo riprese a scorrere solo quando sentì che il Padrone si alzava e andava nella camera da letto.
Con un rituale già ripetuto tante volte anche lei si alzò e lo seguì, passando davanti alla cucina e al mucchio dei suoi vestiti abbandonati. Entrata nella camera girò attorno al letto e rimase in piedi a capo chino, rivolta verso l’entrata. Il Padrone si stava spogliando, aveva già preso la canna dall’armadio. Lui non era un tipo da frusta, la considerava troppo comune, e comunque niente poteva eguagliare il fischio della canna che taglia l’aria. Prima di essere fermata dalla carne.

“ Giù. “

Salì sul lettone in una posizione simile a quella di prima, meno rannicchiata, la schiena e i glutei dovevano essere completamente offerti, le gambe leggermente discostate perché lui potesse godere dei suoi frutti, appoggiare la guancia sul bacino per sentire la delicatezza della pelle.
Si concesse persino un sospiro sotto le carezze, poi le mani del Padrone la abbandonarono e la canna fischiò nell’aria.
I primi colpi erano quelli quasi sopportabili, il dolore era troppo affilato per poterlo percepire completamente. Ma il suo esecutore non agiva a caso, non colpiva mai nello stesso posto, quando la canna affondava nella carne la lasciava appoggiata un attimo perché tutta la forza avesse il tempo di trasferirsi. Quando poi alzava nuovamente la canna la pelle si sollevava e la seguiva come appiccicata. Rimanevano strisce colorate, che in poco tempo si gonfiavano, a un certo punto la pelle cominciava a spaccarsi. Allora iniziava il dolore vero e vedeva lampi di luce bianca e gialla ad ogni colpo. La pelle a fuoco, il sudore che si raccoglieva sotto. Una schiava di qualità inferiore avrebbe avuto bisogno del bavaglio, o avrebbe usato la sua biancheria intima come un morso per non gridare. Non sarebbe stato educato spaventare i vicini.
Un rivolo di sudore stava scorrendo lungo il seno, si era raccolto alla base del capezzolo, la nuova sensazione fu come un segnale, il calore si stava finalmente diffondendo, si sentiva sciogliere come una candela.

Avrebbe tanto voluto essere normale come le altre, poter arrivare al piacere subito, senza tutta quella fatica.

Anche il Padrone aveva sentito il cambiamento, smise di colpire, con una spinta delicata la fece stendere, con le braccia allargate. Ansimava, artigliava la coperta. La massaggiò piano con l’olio.
Olio piccante, un manto di fiamme gettato sulle sue spalle.
Poi le si mise davanti, le tese la mano e lei la baciò ringraziandolo tra le lacrime.
E invasa dal fuoco risalì al polso avvertendone la pesantezza, alle braccia dure.
Ancora saliva, ma una Schiava non può guardare negli occhi il Padrone, e il Padrone non può abbassarsi a soddisfare i suoi desideri con la Schiava, lei stessa lo avrebbe disprezzato se fosse sceso a tanto.

Così arrivata all’altezza del petto, come aveva già fatto ogni volta, si tolse il collare e lo lasciò cadere.


ferrus_manus@hotmail.com
scritto il
2018-08-21
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