Razionale e Irrazionale (reposted)

di
genere
etero


Qualche secondo per capire dove mi trovo, poche volte mi sono svegliata in questa stanza.
Che ore sono?
La tenue luce che penetra dalle finestre mi fa capire solo che non ci sei.
Non sei mai accanto a me quando apro gli occhi.
Dormi poco tu.

Distendo le braccia per muovere i muscoli e una fitta di dolore alla spalla mi riporta alla realtà.
Porto ancor oggi i segni della tua irruenza di qualche giorno fa.

Il sesso tra di noi è un modo per fondere le nostre menti, attratte l'un l'altra da una forza a noi oscura.
I nostri corpi trascinati in una passione mentale che parte dall'anatomia per poi insinuarsi nella circolazione sanguigna, negli atomi, fino a dissolversi nell'arcaico impulso elettrico che è l'essenza stessa della vita.
Quell'orgasmo fatto di piccole scosse che scuotono il nostro corpo e si insinuano tra i neuroni dandoci appagamento, godimento celebrale più che fisico.
Come i pensieri, anche i nostri amplessi sono eterogenei.
A volte ci dilaniamo, ci aggrovigliamo come serpenti che si mordono, altre invece ci lasciamo trasportare da movimenti lenti, come anemoni di mare.

Svesto la mia pelle dalle lenzuola.
Dove sono i miei abiti?
Non ho di che coprirmi, esco dalla camera nuda e scalza verso il bagno.
Sul lavabo trovo degli asciugamani puliti che mi aspettano, ed un'accappatoio.

Ecco come sei tu.
Rude, duro, algido.
Ma non quando sono qui.
Qui ti prendi cura di me.
Nel tuo letto la tua bocca non mi divora, mi sfiora. Le tue mani non mi afferrano, mi carezzano.
Apro l'acqua e mentre aspetto che raggiunga la temperatura giusta, sento un rivolo che si muove sulla coscia.
Una goccia del tuo seme rimasto inerme nella notte e che ora scivola via.
Si muove senza far rumore, ma è vischioso e fa presa mentre avanza.
È come te nella mia testa.
Mi rilasso sotto il getto d'acqua calda che si porta via il tuo odore e il tuo sapore.

Per me, emozionale e istintiva è stato difficile confrontarmi con te, ma ti ho lasciato fare, troppo forti le sensazioni che mi doni per resisterti.
I tuoi pensieri, le tue parole, i tuoi ragionamenti, sono diventati nutrimento per me.
Per te invece, ancorato alla solida ideologia di arginare l'irrazionale per non esserne travolto, è doloroso.
Tenti di ribellarti, di chiudere quella porta sulla tua anima da cui sono entrata.

L'incontro tra l'irrazionale e il razionale è travagliato, ma a volte è necessario lacerare, lesionare, per creare nuovi orizzonti.

Non mi senti arrivare.
Mi fermo sulla porta del soggiorno e ti ammiro così come sei: già vestito, seduto sul divano che intento lavori, fogli e documenti, la penna in una mano e un'asta degli occhiali tra i denti.
Li usi solo a casa, ti imbarazzano dici. Invece ti adornano e non lo sai.
Su una poltrona i miei vestiti, raccolti da terra e ordinati.

Io una curva, tu una retta.
Dovevamo arrivare al limite per capire cosa volevamo.

Per la prima volta ti ho visto in azione in una delle tue passioni, l'insegnamento.
Mentre ero lì ad attendere però, mi sono tornate in mente le tue parole.
Le giovani donne da cui hai tratto piacere senza dare ed offrire nulla, la tua totale assenza di coinvolgimento che ti ha portato all'inerzia.
Ti ho seguito in dipartimento, nel piccolo ufficio dove per anni hai sfamato i tuoi appetiti sessuali con fugaci pasti.
Mi sentivo a disagio, volevo andarmene. I tuoi occhi freddi, inespressivi mi inquietavano.
Il mio viso non sa mentire, ti sei accorto dei miei pensieri e mi hai bloccata proprio mentre afferravo la maniglia della porta.
È stato inutile ribellarsi.
Mi hai spinta con la guancia contro il muro, mi hai tirato giù i jeans e gli slip e con una mano hai torto il mio braccio destro dietro la schiena, il sinistro bloccato con l'altra tua mano sul muro.
Non so in quale nebbia fosse avvolta la tua mente quando ti sei insinuato con violenza dentro di me.
I tuoi colpi forti, decisi, dolorosi.
Il tuo respiro affannato sulla nuca.
Le mie lacrime trattenute più per stupore che per orgoglio.
Non sei riuscito a lasciarti andare, ti sei fermato prima, il senno ritrovato non ti ha concesso di continuare.
Mi hai liberata, sei rimasto fermo ed in silenzio mentre io mi rivestivo, dandoti le spalle.
Ti ho detto che se questo era ciò che avevi da offrirmi, ne avrei fatto a meno.
Mi hai raggiunta all'uscita della facoltà.
Mi hai stretta forte.
Ricordo ancora le tue parole chiedendomi scusa.
Mi temevi, temevi la mia vitalità.
Solo nell'esatto istante in cui hai compreso che stava svanendo tutto, ti sei reso conscio che non c'era nulla di cui aver paura.
Eri pronto a lasciarti andare.

È stato necessario quello scontro?
Probabilmente sì.

Mi avvicino.
Ti accorgi di me.
Le tue labbra si schiudono in un sorriso.
Ti bacio sulla fronte.
Mi respiri il collo, poi ti alzi e prepari il caffè.

È in questi frammenti di silenzio che le nostre menti si trovano e si accolgono.
Non servono parole.
Basta guardarci per averne conferma, mentre beviamo il tuo caffè.

Ti siedi sul bracciolo del divano e tendi le braccia verso di me.
Mi accomodo tra le tue gambe, poggi la testa sul mio seno.

I colori della stanza sono uno specchio del blumbeo cielo esterno.
Il mio accappatoio e la tua camicia bianchi, il nero del divano e del caffè, i tuoi capelli screziati d'argento.
Unico tono vivo, i tuoi occhi celesti.

Alzi lo sguardo verso il mio viso, in quell'espressione disarmata e interrogativa che hai solo quando guardi me.
Mi chiedi come ho fatto io ad entrare così prepotentemente in te, a portare il caos nelle tue ferree regole, a farti smarrire il tuo ordine.
Ti sorrido. Non c'è risposta.

Da quando quello sguardo è sul tuo volto, una nuova ruga è comparsa sulla fronte, ed ora, anche quando la tua pelle è distesa, è evidente.
Non c'era qualche settimana fa, ne sono certa.
Le conosco tutte, le bacio e le sfioro ogni giorno.

Apri la mia veste, risali i miei fianchi, le tue labbra si posano sul lato del mio collo, lì, dove sai tu.
Mi baci una volta.
Il sangue confluisce in superficie sulla mia pelle rendendola sensibilissima.
Mi baci una seconda volta.
I miei capezzoli si inturgidiscono sotto i tuoi occhi, una fitta di calore al ventre mi prepara a te.

Mi dici che devi andare, hai lezione. Non c'è tempo.
Non te lo permetto. Troppo tardi.
Voglio rubare il tuo quarto d'ora accademico.
Ci baciamo, le lingue si chiedono e si incontrano.
L'aroma del caffè si mescola.

Scivoli sul divano.
Sbottono i tuoi pantaloni, la mia mano ti cerca, ti trova, ho la conferma che non vuoi andare via neanche tu.
Sfioro la tua eccitazione, le vene in rilievo sulla pelle liscia e tesa.
Ti arrendi.

Ti scavalco e ti guardo, il mio sesso umido è a pochi centimetri dal tuo.
Voglio godere ancora di te e della tua mente, voglio provare di nuovo quell'orgasmo celebrale che solo tu sai darmi.

Mentre scendo lenta su di te che mi stringi in vita, in quel gemito unico che accompagna il nostro piacere, vorrei chiederti:
Vuoi davvero che esca da te e dalla tua mente? Vuoi realmente rimpossessarti delle tue certezze e dei tuoi schemi rinunciando a questo?
Sarebbe troppo tardi, non servirebbe a nulla lasciarmi andare, perché quel segno indelebile sulla tua fronte, quella ruga nuova,
sono io.


https://youtu.be/rWvxsQCqi_M
scritto il
2018-10-15
1 . 8 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Parole e Pensieri

racconto sucessivo

Serpenti
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.