Alla maniera di Sybelle ( parte 2 )
di
Hermann Morr
genere
pulp
Erano in un aeroporto. Uno di quelli tra le colline della provincia, destinati al volo sportivo.
Era stato trasformato in centro di evacuazione quando ancora si credeva di poter contrastare la pandemia, per questo avevano riadattato il prefabbricato dell'amministrazione. La torre di controllo con la radio era di fianco, si poteva salire solo da una scaletta esterna.
Oltre la barriera che circondava il prefabbricato stavano una distesa di erba e fiori colorati, la pista invasa dalle erbacce, e i morti, pochi per fortuna, un centinaio, non avevano la massa per abbattere la rete metallica.
Si limitavano a stare li e spingere inutilmente, ansiosi di raggiungere i vivi e affondare denti e unghie nella carne calda, inoculando così le spore pronte a rianimarsi.
Da ricercatrice, la Ribelli doveva riconoscere alla Yersinia una vera e propria genialità, come se fosse un avversario capace di ragionare, aveva trovato un veicolo ancora più efficiente dei topi e delle loro pulci.
Parlando di questo, senza stivali di gomma doveva muoversi rapida all'aperto e stare all'occhio, la peste non colpiva solo gli uomini, e anche se la rete era a maglie più fitte vicino al terreno, non si sapeva mai, il morso di un piccolo roditore morto, le sue pulci, c'erano decine di maniere per finire contagiati.
Fissare lo sguardo in basso mentre si avviava alla scaletta, non pensare a quel che stava oltre la rete, sarebbe stato decisamente meglio, ma non riusciva.
Qualcosa dentro di lei si ostinava a volerli contare mentre passava.
Uno.. Due.. Tre.. Quattro.. Danzatore.
Come si diceva, vedersi circondati dai morti affamati non era il peggio.
Quando a uno dei morti si distrugge il cervello, o si spezza la spina dorsale, smette di cacciare i vivi, ma non si ferma. Neppure così si riesce a fermarli.
Diventano invece danzatori, la Totentanz, i loro muscoli continuano a contrarsi senza più coordinazione, in maniera ritmica, come se ripetessero all’infinito lo stesso passo di danza.
Era quello il peggio, vedere una ragazza giovane in pigiama, con la testa sfondata a mazzate, che balla come in un rave, sapere già che non si fermerà mai, che non ci sarà decomposizione, e non finirà mai quel rumore del piede che batte sul terreno.
Plof.. Plof.. Plof.. Uno.. Due..
Un altro danzatore, maschio ciccione, il suo ultimo atto in vita era stato indossare un maglione rosso sul pigiama, contro il freddo della febbre.
Lo aveva danzato lei, quando ne vedi uno con un buco preciso sopra gli occhi, è cosa certa che è passata di li una donna.
I maschi non spendono munizioni per quel che possono divertirsi a rompere.
La scaletta, i gradini di alluminio traforati sembravano tante grattugie, per salire doveva voltare le spalle ai morti e aveva paura, come se dovessero scegliere proprio quel momento per passare e arrivarle addosso.
Era meglio fissare i gradini, per non cadere e non pensarci.
Uno.. Due.. Tre.. Quattro..
Neppure una lacrima, neppure a sforzarsi.
Neppure a pensare al reperto, quell’avambraccio reciso nel contenitore trasparente, pieno di Yersinie, che si dimenava come una rana di Galvani.
Come facevano ? Va bene le spore, va bene che facessero da generatori fornendo l’energia per muovere i muscoli, e in qualche maniera anche bruciando i saprofiti che avrebbero dovuto decomporre i tessuti. Per come erano messi potevano anche prendere in considerazione la teoria. Ma come facevano a durare tanto ? Ne aveva visti andare avanti per mesi, non ne aveva mai visto uno fermarsi, dovevano pur consumare qualcosa per generare una corrente elettrica.
Entrò nella torre di controllo, c’era una bella vista da li, una giornata luminosa, capire che il mondo andava tranquillamente avanti anche senza di loro, faceva ancora più male.
Camminava come ubriaca, o come presa da una stanchezza insostenibile, andò a sedersi su una poltroncina girevole e rimase con le mani sul viso, senza minimamente preoccuparsi della radio.
E ancora non poteva piangere.
Non sapeva quanto tempo fosse passato quando sentì qualcuno salire, la mano corse al revolver, ma i passi erano troppo regolari, non era un morto.
Era Sam che l’aveva raggiunta coi risultati da trasmettere.
“ Allora, hai sistemato la radio ? “
“ Taci e spogliami. “ – rispose lei –
“ Hem.. Sorry ? “
“ Hai capito cosa ho detto. “
Samuel sospirò, si terse il sudore dalla pelata, e girò attorno alla poltroncina per inginocchiarsi e posare il capo di lato sulle cosce di Nerina.
“ Fai così vero ? “ – disse carezzando un ginocchio – “ Prima vorresti vivere senza affetto, poi non ce la fai più e vorresti sostituirlo col sesso e rimanere a guardarti da fuori mentre lo fai. Ci vorrebbe uno che ti prendesse come un oggetto e dimenticasse tutto subito dopo. But i can’t.. i’m not like that.. then.. oh well. “
Con improvvisa ispirazione il professore sbottonò la parte inferiore del camice da lavoro della dottoressa, sollevò la maglia sotto, infilò la lingua nell’ombelico.
Continuava a baciare e stringere tra le mani il ventre, indeciso se salire o scendere, ma lei non aveva pazienza.
“ Siediti tu ! “
Nerina lo fece sedere sulla poltroncina al suo posto, gli calò i pantaloni, guardandolo con i suoi occhi azzurri gli salì a cavalcioni grazie ai braccioli elastici.
Era come trovarsi su una giostra, veramente.
Nessun altro preliminare, lo guidò dentro se, fissandolo negli occhi mentre affondava in lei, mentre diventavano una cosa sola. Sospirò ai suoi primi movimenti, troppo delicati.
Allora lo strinse a se con le braccia, affondando le unghie nella pelle, fino a sentirlo ansimare e, d’istinto, anche lei ad ogni spinta ansimava.
In lacrime per il piacere e la disperazione, finalmente.
Morse con forza la spalla del professore, quando anche l’orgasmo la raggiunse, improvviso, violento, avvolse più strettamente Sam per accogliere anche il suo piacere in se.
E rimasero ancora avvinghiati, lui ancora dentro.
Lei gli parlò all’orecchio senza guardarlo direttamente.
“ Quante scorte abbiamo ancora ? “
“ Cibo e acqua per due giorni, ma non preoccuparti, la disidratazione ci ucciderà molto prima di sentire davvero la fame. “
“ Io ho ancora dei proiettili. E’ sempre meglio che morire in quella maniera. “
Questa volta fu Aston a stringerla più forte dietro la schiena.
“ Non pensarci. Non puoi mai sapere se intanto passerà di qui una carovana, se da qualche comunità riusciranno a organizzare una spedizione. Grazie alla radio lo sanno in molti che siamo qui. E intanto dobbiamo ricercare, è questa la nostra missione, non morire, ma conoscere. Anche se non abbiamo i mezzi per poter vedere come sono fatte all’interno quelle spore, troveremo qualcosa, è un lavoro che facciamo per tutti quelli che ancora sono vivi e io continuerò fino all’ultimo respiro. “
Le diede un ultimo bacio per rendersi più convincente.
“ E adesso lasciami andare, che devo usare quella radio.. “
Notte. Notte fonda.
Luci spente per risparmiare il carburante del generatore, ma erano ancora nel laboratorio invece che nelle brandine.
Il professor Aston si era addormentato sul microscopio, Nerina si era ranicchiata a terra, schiena al muro, e si gingillava con la pistola.
Come in Desperate Housewives, l’inizio, anche lei sembrava tranquilla e capace di superare la tristezza.
Quel giorno, quando era arrivata la telefonata dall’OMS.
Quando era finito il mondo, insomma.
Quel giorno lei stava proprio guardando una puntata di Desperate Housewives, con una coperta sui piedi, cioccolatini, e domande su cosa avesse sbagliato per non avere uno di fianco.
Ricordi di un’altra vita e un’altra persona.
La persona di quel momento fissava il reperto, che continuava ad agitarsi nel suo contenitore, illuminato da una luce come fosforescente, proveniente dai vetrini in cui avevano raccolto esemplari di spore della Yersinia.
Agivano davvero come dei generatori di corrente elettrica, era confermato.
Non poteva importarle meno, cullava la pistola tra le mani e le cantava una canzone, da pochi conosciuta.
“ Buon fuoco, buon fumo se la mano non trema
Se per un fatto personale il dito
è allegro, allegro e pronto sul grilletto
Libera scelta tra noi stessi e il mondo
Libera scelta tra noi stessi e il mondo
Ah, è stato anche troppo facile .. “
Era anche troppo facile la scelta ?
Eppure sapeva di poter fare un’altra cosa, una che non avrebbe mai voluto fare.
Ma era li. Li nel fondo della mente, e forse era quello il vero motivo per cui pensava alla pistola. Non perché fossero del tutto senza scelte, ma perché avrebbe ucciso anche l’altra.
Trovò la forza per distogliere lo sguardo dal reperto e ascoltare il respiro di Sam addormentato. Posò la pistola vicino ai vetrini e andò a prendergli una coperta.
L’altra.
La mattina del giorno dopo.
Nerina Ribelli era in tenuta da viaggio, senza camice, aveva voluto che Sam tenesse per se la pistola.
Erano fuori dalla baracca, davanti alla rete, davanti ai morti.
“ Nerina. Vuoi spiegarmi cosa pensi di fare ? “
“ Vado a cercare aiuto “
“ Da sola non ce la puoi fare. “
“ Sam. Tu stai a guardare adesso, ma ascolta. Per il tuo bene devi starmi dietro, non devi farti vedere da me, non devi emettere un suono, e soprattutto non devi toccarmi, per il tuo bene. E se dovessi venire io verso di te, usa la pistola. “
Era un discorso insensato, ma era talmente seria, talmente convinta, che Sam per davvero rimase a guardare in silenzio, tre passi indietro, praticamente sulla porta.
Nerina respirò a occhi chiusi, aveva l’impressione di galleggiare sulla superficie di un lago, come un’esca. E qualcosa saliva a prenderla. Al di sopra del rumore della Totentanz, eccone un altro. Clack. Clack. Denti contro denti, uno schioccare di mascelle, fame pura e semplice.
Sam la vide piegarsi indietro di botto come in un colpo della strega.
Braccia alzate con i muscoli in rilievo, anche le gambe, come se tutto il corpo fosse preda dei crampi, schiuma alla bocca.
Poi l’odore dell’adrenalina e della paura, trattenne la nausea per non fare rumore, aveva capito che veramente non sarebbe stato furbo disturbarla.
Era un biologo, non uno psichiatra, ma aveva quella minima cultura di base per riconoscere un grande parossismo isterico.
Non aveva mai saputo che si potessero chiamare a comando.
Sono il lupo mannaro non sono più un uomo
Sono il lupo mannaro la mia forza è il tuono
La vide scattare come una molla, trasformarsi in una macchia indistinta che saltava la rete alta più di due metri, atterrava tra i morti, i quali comunque non avevano il tempo di reagire mentre lei passava.
Uno troppo vicino fu sbalzato, gettato come una bambola vecchia.
Sam si rese conto che se gli si fosse rivoltata contro, la pistola non sarebbe servita, non sarebbe riuscito a inquadrarla in tempo, troppo veloce.
Figurarsi i morti..
Troppo veloce per capire dove stesse andando, ma si allontanava.
Sam pensò che non poteva rimanere a lungo in quello stato, consumava troppa energia, ma ad ogni modo era abbastanza ottimista da pensare che davvero sarebbe riuscita a trovare rinforzi, ora che aveva superato il blocco.
E consumando la riserva d’acqua potabile da solo, poteva resistere qualche giorno in più.
Non gli rimaneva che trasmettere le ultime novità con la radio, e tornare alla sua ricerca.
ferrus_manus@hotmail.com
Era stato trasformato in centro di evacuazione quando ancora si credeva di poter contrastare la pandemia, per questo avevano riadattato il prefabbricato dell'amministrazione. La torre di controllo con la radio era di fianco, si poteva salire solo da una scaletta esterna.
Oltre la barriera che circondava il prefabbricato stavano una distesa di erba e fiori colorati, la pista invasa dalle erbacce, e i morti, pochi per fortuna, un centinaio, non avevano la massa per abbattere la rete metallica.
Si limitavano a stare li e spingere inutilmente, ansiosi di raggiungere i vivi e affondare denti e unghie nella carne calda, inoculando così le spore pronte a rianimarsi.
Da ricercatrice, la Ribelli doveva riconoscere alla Yersinia una vera e propria genialità, come se fosse un avversario capace di ragionare, aveva trovato un veicolo ancora più efficiente dei topi e delle loro pulci.
Parlando di questo, senza stivali di gomma doveva muoversi rapida all'aperto e stare all'occhio, la peste non colpiva solo gli uomini, e anche se la rete era a maglie più fitte vicino al terreno, non si sapeva mai, il morso di un piccolo roditore morto, le sue pulci, c'erano decine di maniere per finire contagiati.
Fissare lo sguardo in basso mentre si avviava alla scaletta, non pensare a quel che stava oltre la rete, sarebbe stato decisamente meglio, ma non riusciva.
Qualcosa dentro di lei si ostinava a volerli contare mentre passava.
Uno.. Due.. Tre.. Quattro.. Danzatore.
Come si diceva, vedersi circondati dai morti affamati non era il peggio.
Quando a uno dei morti si distrugge il cervello, o si spezza la spina dorsale, smette di cacciare i vivi, ma non si ferma. Neppure così si riesce a fermarli.
Diventano invece danzatori, la Totentanz, i loro muscoli continuano a contrarsi senza più coordinazione, in maniera ritmica, come se ripetessero all’infinito lo stesso passo di danza.
Era quello il peggio, vedere una ragazza giovane in pigiama, con la testa sfondata a mazzate, che balla come in un rave, sapere già che non si fermerà mai, che non ci sarà decomposizione, e non finirà mai quel rumore del piede che batte sul terreno.
Plof.. Plof.. Plof.. Uno.. Due..
Un altro danzatore, maschio ciccione, il suo ultimo atto in vita era stato indossare un maglione rosso sul pigiama, contro il freddo della febbre.
Lo aveva danzato lei, quando ne vedi uno con un buco preciso sopra gli occhi, è cosa certa che è passata di li una donna.
I maschi non spendono munizioni per quel che possono divertirsi a rompere.
La scaletta, i gradini di alluminio traforati sembravano tante grattugie, per salire doveva voltare le spalle ai morti e aveva paura, come se dovessero scegliere proprio quel momento per passare e arrivarle addosso.
Era meglio fissare i gradini, per non cadere e non pensarci.
Uno.. Due.. Tre.. Quattro..
Neppure una lacrima, neppure a sforzarsi.
Neppure a pensare al reperto, quell’avambraccio reciso nel contenitore trasparente, pieno di Yersinie, che si dimenava come una rana di Galvani.
Come facevano ? Va bene le spore, va bene che facessero da generatori fornendo l’energia per muovere i muscoli, e in qualche maniera anche bruciando i saprofiti che avrebbero dovuto decomporre i tessuti. Per come erano messi potevano anche prendere in considerazione la teoria. Ma come facevano a durare tanto ? Ne aveva visti andare avanti per mesi, non ne aveva mai visto uno fermarsi, dovevano pur consumare qualcosa per generare una corrente elettrica.
Entrò nella torre di controllo, c’era una bella vista da li, una giornata luminosa, capire che il mondo andava tranquillamente avanti anche senza di loro, faceva ancora più male.
Camminava come ubriaca, o come presa da una stanchezza insostenibile, andò a sedersi su una poltroncina girevole e rimase con le mani sul viso, senza minimamente preoccuparsi della radio.
E ancora non poteva piangere.
Non sapeva quanto tempo fosse passato quando sentì qualcuno salire, la mano corse al revolver, ma i passi erano troppo regolari, non era un morto.
Era Sam che l’aveva raggiunta coi risultati da trasmettere.
“ Allora, hai sistemato la radio ? “
“ Taci e spogliami. “ – rispose lei –
“ Hem.. Sorry ? “
“ Hai capito cosa ho detto. “
Samuel sospirò, si terse il sudore dalla pelata, e girò attorno alla poltroncina per inginocchiarsi e posare il capo di lato sulle cosce di Nerina.
“ Fai così vero ? “ – disse carezzando un ginocchio – “ Prima vorresti vivere senza affetto, poi non ce la fai più e vorresti sostituirlo col sesso e rimanere a guardarti da fuori mentre lo fai. Ci vorrebbe uno che ti prendesse come un oggetto e dimenticasse tutto subito dopo. But i can’t.. i’m not like that.. then.. oh well. “
Con improvvisa ispirazione il professore sbottonò la parte inferiore del camice da lavoro della dottoressa, sollevò la maglia sotto, infilò la lingua nell’ombelico.
Continuava a baciare e stringere tra le mani il ventre, indeciso se salire o scendere, ma lei non aveva pazienza.
“ Siediti tu ! “
Nerina lo fece sedere sulla poltroncina al suo posto, gli calò i pantaloni, guardandolo con i suoi occhi azzurri gli salì a cavalcioni grazie ai braccioli elastici.
Era come trovarsi su una giostra, veramente.
Nessun altro preliminare, lo guidò dentro se, fissandolo negli occhi mentre affondava in lei, mentre diventavano una cosa sola. Sospirò ai suoi primi movimenti, troppo delicati.
Allora lo strinse a se con le braccia, affondando le unghie nella pelle, fino a sentirlo ansimare e, d’istinto, anche lei ad ogni spinta ansimava.
In lacrime per il piacere e la disperazione, finalmente.
Morse con forza la spalla del professore, quando anche l’orgasmo la raggiunse, improvviso, violento, avvolse più strettamente Sam per accogliere anche il suo piacere in se.
E rimasero ancora avvinghiati, lui ancora dentro.
Lei gli parlò all’orecchio senza guardarlo direttamente.
“ Quante scorte abbiamo ancora ? “
“ Cibo e acqua per due giorni, ma non preoccuparti, la disidratazione ci ucciderà molto prima di sentire davvero la fame. “
“ Io ho ancora dei proiettili. E’ sempre meglio che morire in quella maniera. “
Questa volta fu Aston a stringerla più forte dietro la schiena.
“ Non pensarci. Non puoi mai sapere se intanto passerà di qui una carovana, se da qualche comunità riusciranno a organizzare una spedizione. Grazie alla radio lo sanno in molti che siamo qui. E intanto dobbiamo ricercare, è questa la nostra missione, non morire, ma conoscere. Anche se non abbiamo i mezzi per poter vedere come sono fatte all’interno quelle spore, troveremo qualcosa, è un lavoro che facciamo per tutti quelli che ancora sono vivi e io continuerò fino all’ultimo respiro. “
Le diede un ultimo bacio per rendersi più convincente.
“ E adesso lasciami andare, che devo usare quella radio.. “
Notte. Notte fonda.
Luci spente per risparmiare il carburante del generatore, ma erano ancora nel laboratorio invece che nelle brandine.
Il professor Aston si era addormentato sul microscopio, Nerina si era ranicchiata a terra, schiena al muro, e si gingillava con la pistola.
Come in Desperate Housewives, l’inizio, anche lei sembrava tranquilla e capace di superare la tristezza.
Quel giorno, quando era arrivata la telefonata dall’OMS.
Quando era finito il mondo, insomma.
Quel giorno lei stava proprio guardando una puntata di Desperate Housewives, con una coperta sui piedi, cioccolatini, e domande su cosa avesse sbagliato per non avere uno di fianco.
Ricordi di un’altra vita e un’altra persona.
La persona di quel momento fissava il reperto, che continuava ad agitarsi nel suo contenitore, illuminato da una luce come fosforescente, proveniente dai vetrini in cui avevano raccolto esemplari di spore della Yersinia.
Agivano davvero come dei generatori di corrente elettrica, era confermato.
Non poteva importarle meno, cullava la pistola tra le mani e le cantava una canzone, da pochi conosciuta.
“ Buon fuoco, buon fumo se la mano non trema
Se per un fatto personale il dito
è allegro, allegro e pronto sul grilletto
Libera scelta tra noi stessi e il mondo
Libera scelta tra noi stessi e il mondo
Ah, è stato anche troppo facile .. “
Era anche troppo facile la scelta ?
Eppure sapeva di poter fare un’altra cosa, una che non avrebbe mai voluto fare.
Ma era li. Li nel fondo della mente, e forse era quello il vero motivo per cui pensava alla pistola. Non perché fossero del tutto senza scelte, ma perché avrebbe ucciso anche l’altra.
Trovò la forza per distogliere lo sguardo dal reperto e ascoltare il respiro di Sam addormentato. Posò la pistola vicino ai vetrini e andò a prendergli una coperta.
L’altra.
La mattina del giorno dopo.
Nerina Ribelli era in tenuta da viaggio, senza camice, aveva voluto che Sam tenesse per se la pistola.
Erano fuori dalla baracca, davanti alla rete, davanti ai morti.
“ Nerina. Vuoi spiegarmi cosa pensi di fare ? “
“ Vado a cercare aiuto “
“ Da sola non ce la puoi fare. “
“ Sam. Tu stai a guardare adesso, ma ascolta. Per il tuo bene devi starmi dietro, non devi farti vedere da me, non devi emettere un suono, e soprattutto non devi toccarmi, per il tuo bene. E se dovessi venire io verso di te, usa la pistola. “
Era un discorso insensato, ma era talmente seria, talmente convinta, che Sam per davvero rimase a guardare in silenzio, tre passi indietro, praticamente sulla porta.
Nerina respirò a occhi chiusi, aveva l’impressione di galleggiare sulla superficie di un lago, come un’esca. E qualcosa saliva a prenderla. Al di sopra del rumore della Totentanz, eccone un altro. Clack. Clack. Denti contro denti, uno schioccare di mascelle, fame pura e semplice.
Sam la vide piegarsi indietro di botto come in un colpo della strega.
Braccia alzate con i muscoli in rilievo, anche le gambe, come se tutto il corpo fosse preda dei crampi, schiuma alla bocca.
Poi l’odore dell’adrenalina e della paura, trattenne la nausea per non fare rumore, aveva capito che veramente non sarebbe stato furbo disturbarla.
Era un biologo, non uno psichiatra, ma aveva quella minima cultura di base per riconoscere un grande parossismo isterico.
Non aveva mai saputo che si potessero chiamare a comando.
Sono il lupo mannaro non sono più un uomo
Sono il lupo mannaro la mia forza è il tuono
La vide scattare come una molla, trasformarsi in una macchia indistinta che saltava la rete alta più di due metri, atterrava tra i morti, i quali comunque non avevano il tempo di reagire mentre lei passava.
Uno troppo vicino fu sbalzato, gettato come una bambola vecchia.
Sam si rese conto che se gli si fosse rivoltata contro, la pistola non sarebbe servita, non sarebbe riuscito a inquadrarla in tempo, troppo veloce.
Figurarsi i morti..
Troppo veloce per capire dove stesse andando, ma si allontanava.
Sam pensò che non poteva rimanere a lungo in quello stato, consumava troppa energia, ma ad ogni modo era abbastanza ottimista da pensare che davvero sarebbe riuscita a trovare rinforzi, ora che aveva superato il blocco.
E consumando la riserva d’acqua potabile da solo, poteva resistere qualche giorno in più.
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