Samsara Pt.5
di
Hermann Morr
genere
etero
E' festa il primo maggio, ma era anche la prima bella giornata, come se anche la stagione avesse consultato il calendario, e tanti approfittavano per la prima tintarella in spiaggia, li vedevo passeggiando per il lungomare, i primi salviettoni, i primi costumi, e in lontananza verso sud il promontorio, dove la città finisce.
E' coperto di verde il promontorio, tre sentieri ad altezze diverse ne seguono il contorno, ormai saranno in fiore gli alberi, tutti e tre hanno una galleria scavata nel tratto ripido che è riservato agli arrampicatori. C'è anche un chiosco dove fanno la spremuta di mandarino, pensavo che avrei dovuto farci un giro, forse avrei potuto invitare la barista per una passeggiata in un suo giorno libero, per farle capire che non mi aveva offeso quel suo interrogatorio, per far passare il tempo nell'attesa che Lei prendesse una decisione.
Avevo anche io voglia di spiaggia, fu una decisione improvvisa, tornai a casa per indossare dei sandali aperti, pantaloni di lino color panna sul costume da bagno, una polo bianca con i margini in nero, poi subito indietro al lungomare e alla sabbia, saltando giù dal muretto senza passare per i gradini.
In estate non ci sarebbe stato spazio per muoversi, ma in quel momento era ancora gradevole passeggiare e godersi il primo sole, presto sarebbero anche iniziate le pulizie da parte dei bagnini, ma per il momento si potevano ancora trovare piccoli tesori buttati sulla spiaggia dalle onde. In particolare c'era un banco di conchiglie a un certo punto, i gabbiani cercavano con i becchi quelle ancora piene, fino a quando i bambini arrivavano di corsa a spaventarli. Mi chinai a guardare, ce n'erano di ogni forma e dimensione, un mosaico abbandonato sulla sabbia, e alcune erano piatte e tonde proprio come i sassi di fiume.
Provai a lanciarne una, poi un'altra cercando di farla rimbalzare proprio sulla cima delle onde, i bambini avevano dimenticato i gabbiani e guardavano, lo spirito dell'insegnamento allora ebbe la meglio, mi misi a spiegare quali scegliere, a che altezza lanciare, ci volle poco perchè una pioggia fitta di conchiglie si abbattesse sull'acqua.
Poi, lasciato a loro il gioco, mi diressi verso lo scoglio nero.
E' un pezzo di roccia che si protende nel mare, segna il confine tra due bagni e naturalmente è soggetto di leggende, non si sa se originali o copiate da qualche raccolta di fiabe, ma non è del tutto nero, ci sono venature più chiare che brillano al sole. Ci si può arrampicare, in cima è piatto e due o tre persone possono starci comodamente, per questo di solito i bagnini lo usano come posto di guardia, ma quel giorno era vuoto e decisi di conquistarlo. Arrivato sopra mi liberai dei pantaloni, la polo andò a fare da telo per stendersi e mi coricai di pancia sulla pietra ancora fredda, esibendo la mia abbronzatura da estate africana.
Sporgendomi con le spalle oltre l'orlo e le braccia a penzoloni, riuscivo a scorgere il mio riflesso la sotto, sull'acqua verde che lo portava a rompersi e ricomporsi contro lo scoglio, mi ipnotizzava quell'immagine dondolante, mi abbioccava, avevo la tentazione di colpirla con l'ultima conchiglia che ancora avevo in mano, come se bastasse per liberarsene, oppure avrei potuto farmi indietro e chiudere gli occhi per una mezz'ora.
Ma cadde un'ombra all'improvviso e una presenza, tanto ero imbambolato che non avevo sentito salire, eppure l'avevo sopra, e anche senza voltarmi ne avvertivo la leggerezza.
Una donna ? Uno di quei bambini ?
" A qualcosa ti è servita la vacanza, guarda che bella forma hai messo su. "
Lei !
Senza pensare alla mia posizione mi girai col rischio di cadere di sotto, la faccia da scemo che dovevo avere, e naturalmente non mi usciva una parola, o meglio la lingua non riusciva a seguire tutte quelle che mi passavano per la mente. La lingua che si annoda, ma fa meno impressione quando si sa il perchè, e la salvezza nelle piccole cose mi dicevano.
" So rimbalzare le conchiglie sull'acqua. Lo sapevi ? "
Prima che potesse rispondere mi alzai e tirai la conchiglia, che si guardò bene dal rimbalzare e sparì dentro un'onda, rimasi fermo mimando la sorpresa come in un fumetto, congelato nella posizione di tiro.
L'imbarazzo diventò una risata, scuoteva la testa e la coda di capelli dietro, si mise a sedere e io con lei, aveva una gonna lunga color giallo chiaro, scalza, le scarpe le aveva lasciate alla base dello scoglio.
" Lo sai quanto amo il lungomare, sono sempre qui a passeggiare e tu non te ne accorgi. Ti ho visto qui dalla strada e non ho potuto resistere. "
" Vedi l'asino che sono ? Non mi accorgevo, non sapevo che scrivessi, non ti ho neppure chiesto che lavoro fai adesso. "
" Almeno come mi chiamo te lo ricordi ? "
" Si, quello si, ma sai perchè siamo così ? Perchè nella mia testa era passato solo un giorno invece che quindici anni. Infatti stavo ricominciando a comportarmi nella stessa maniera, poi mi sono reso conto, ma non sono stato capace di esprimere, e sono scappato. Non è stata una vacanza... "
Il vento aveva virato e spirava da terra, a ricordarci che non era ancora del tutto estate, per un attimo mi fermai, rabbrividivo, ma Lei rimaneva in ascolto, voleva che andassi avanti.
" ... E sono tornato solo per dirtele queste cose, che ti chiedo scusa per tutto quel che ho fatto. "
" Posso abbracciarti ? Per non lasciarti andare via ancora. "
Potevo negarglielo ? No, non si poteva, e in quel contatto svanirono in un attimo i buoni propositi. La discussione civile, la conclusione, il perdono e il riconoscimento delle troppe differenze, via tutto giù per il secchiaio. Accarezzava con le punte delle dita i lati dei miei occhi, e io cercavo nei suoi una spiegazione, quali fossero i suoi motivi, cosa volesse, ma erano finestre chiuse.
Sembrava del tutto rapita dal momento, ma il mio discorso l'aveva a malapena ascoltato, per me era così importante, tutto quel che avevo attraversato solo per riuscire a pronunciare quelle quattro parole.
Solo per scoprire che non avevo cambiato niente, il desiderio era sempre lo stesso e nessuno dei due voleva che quell'abbraccio finisse. Era interiore il cambiamento, i ricordi non erano più un peso.
" .. Però avrei voluto che dicessi un'altra cosa.. "
" .. No, ci volevano le scuse prima di quello.. "
" .. Posso portarti a casa mia ? Qui sta rinfrescando troppo .. "
Casa sua ?
Era nella stessa strada del bar di cui sopra, primo portone dopo il portico, ma non passammo di li, girando attorno si trovava una porticina bassa, incastrata tra due caseggiati, di cui Lei aveva la chiave.
Dava su di un vicolo privato, no, era un canale. Uno di quei canali d'acqua che attraversavano la città prima dell'avvento dei motori, poi coperti negli anni cinquanta, cementificati, in quanto ormai inutili.
Fioriva lungo le sponde una quantità di laboratori artigianali, ora scomparsi, e Lei ne aveva ristrutturato uno ad uso abitazione, più lungo che profondo, in ombra come la sua vita, e il canale era diventato il suo cortiletto personale. C'erano grandi vasi da cui traboccavano piante di salvia, un tavolo con le sedie di plastica, un'altalena e un calciobalilla usciti da chissà dove. Addirittura un juke-box, funzionante, al riparo della tettoia che introduceva all'appartamento vero e proprio, frammenti della persona che credevo di conoscere, che stavo appena iniziando a conoscere.
L'interno aveva un gran salotto, anche di buon gusto, non fosse stato per la lettiera del gatto e il piattino col latte per terra, quello fu un trauma, duro, ma poco in confronto allo studio, la porta era aperta e sembrava ci fosse esplosa una bomba. Senza neanche chiedere il permesso entrai affascinato dall'orrore, carte, disegni, grafica pubblicitaria, tecnica, quello faceva, ma fogli a terra ? Lavori lasciati a metà e abbandonati per terra ? Mi chinai a raccoglierli per riporli sul tavolo meno ingombrato, e nello stesso tempo mi davo dello scemo, il caos è un ordine di cui non si conoscono ancora le regole, il suo ordine in cui avrebbe trovato il posto di ogni cosa, cambiando la disposizione in base alla logica mia le stavo complicando il lavoro, ma proprio non avevo potuto resistere.
Lei non si era mostrata offesa per la mia invasione, mi aveva abbracciato di nuovo da dietro, penso comprendesse il mio disagio.
" Vuoi una copia della chiave per venire a fare le pulizie ? "
" Se avessi le chiavi farei tutt'altro. "
Le sue labbra sul mio collo, e io che piegavo all'indietro la testa per darle spazio, le sue mani che abbassavano i pantaloni e il costume assieme, sapevo già che con la bocca avrebbe ancora rivendicato quel territorio tante volte perduto. Infatti mi trovai appoggiato a quel tavolo mentre lei ci dava dentro senza timore per le conseguenze sui suoi fogli, lo faceva entrare e uscire dalla bocca senza mai allentare la pressione con le labbra, lo faceva scorrere sulla lingua, inginocchiata sulla mia polo.
In un ultimo lampo di lucidità ci spostammo sul divano del salone, spazioso, accogliente, Lei stesa a metà su di me aveva subito ripreso la sua opera, io ero affascinato dal suo pancino, la rotondità appena accennata, le pieghe che faceva la pelle, da sotto saliva prepotente l'odore di donna, ma invece che scendere tuffai la lingua nel suo ombelico, dentro era salato, no, non aveva tanta ciccia, ma un minimo di rotolini da mordere c'erano, per la mia felicità. Anche lei gradiva, a giudicare dall'accanimento sul mio pennone, aveva messo in moto la lingua, voleva finirmi, ma non lo potevo permettere.
La ribaltai verso l'interno del divano e in piedi le presi le caviglie, dopo aver allargato le entrai dentro senza preoccuparmi di poterle fare male, non incontrai la minima resistenza, in quella posizione potevo vedere il movimento dei suoi seni e i suoi occhi, la bocca contratta in una specie di broncio mentre i gemiti le salivano dalla gola, scuoteva la testa e tutto questo spettacolo mi dava ancora la voglia di venire subito.
Era solo per accontentare la parte più animale di noi, ma non sarebbe bastato, ha così poco valore l'orgasmo maschile, volevo il suo, volevo sentire il suo orgasmo dentro di me.
" Ferma. Fammi cambiare posizione, stenditi di fianco.. fammi posto.. "
" Da dietro ? .. "
" Si.. senti come entra.. fatti toccare.. "
Avevo la sua spalla e il collo da baciare, la mia sinistra a torturare il seno, la destra posata sul monte di venere, sentivo pizzicare la ricrescita sotto il palmo, è una cosa che mi manda ai matti, e premevo, la schiacciavo tra la mano e il cazzo che scorreva sotto, Lei si mordeva il labbro, da quella posizione non potevo vedere, ma sicuramente stava mordendo il labbro.
" Adesso metti la tua mano sopra "
" Dove ? .. "
" Lo sai. "
Posò la sua destra sulla mia, c'era dell'affetto in quel gesto, intrecciato al sesso con naturalezza, come i nostri corpi.
Cominciò piano a guidare, la assecondavo e imprimevo più forza nei movimenti, non c'era bisogno di parole, dicevano tutto il respiro e il sudore, si scioglieva sotto le mie mani e la sua diventò una morsa feroce. Gli schizzi arrivarono senza preavviso, a infrangersi sulle nostre dita, onde marine, lei stessa si muoveva come un'onda, non fu una cosa breve. E alla fine di tutto, con sincronia, portammo le mani alla bocca.
" Volevo sconvolgerti la vita, ma non ho mai pensato a cosa avrei voluto fare dopo. Lasciarti come mi hai lasciata ? Riprenderti e tenerti per me ? Non so neanche io cosa voglio. "
Eravamo ancora nella stessa posizione, il mio viso nascosto sulla sua schiena e lei che parlava all'aria. Ci sono confessioni che diventano più sopportabili quando non ci si guarda.
" Anche tu non lo sai ? Siamo pari allora, ma almeno ci siamo liberati del passato. "
" E adesso cosa ci facciamo con la libertà ? "
" Quell'altra parola che avresti sentire al posto delle scuse, è Ti amo ? "
Ed ecco ancora la sua mano piantata sulla mia.
" Perchè rispondi a una domanda con un'altra domanda ? "
" E' che adesso due sole cose possiamo fare: salutarci, oppure prendere un impegno serio. Ma allora escono le differenze, l'età, il carattere, gli altri impegni che già abbiamo.
Funzionerebbe ? "
Lei allora si rivolse nel mio abbraccio per fronteggiarmi, seria, con l'indice seguiva le rughe alla fine del mio occhio.
" Per sapere se funziona, esiste una sola maniera.. "
E' coperto di verde il promontorio, tre sentieri ad altezze diverse ne seguono il contorno, ormai saranno in fiore gli alberi, tutti e tre hanno una galleria scavata nel tratto ripido che è riservato agli arrampicatori. C'è anche un chiosco dove fanno la spremuta di mandarino, pensavo che avrei dovuto farci un giro, forse avrei potuto invitare la barista per una passeggiata in un suo giorno libero, per farle capire che non mi aveva offeso quel suo interrogatorio, per far passare il tempo nell'attesa che Lei prendesse una decisione.
Avevo anche io voglia di spiaggia, fu una decisione improvvisa, tornai a casa per indossare dei sandali aperti, pantaloni di lino color panna sul costume da bagno, una polo bianca con i margini in nero, poi subito indietro al lungomare e alla sabbia, saltando giù dal muretto senza passare per i gradini.
In estate non ci sarebbe stato spazio per muoversi, ma in quel momento era ancora gradevole passeggiare e godersi il primo sole, presto sarebbero anche iniziate le pulizie da parte dei bagnini, ma per il momento si potevano ancora trovare piccoli tesori buttati sulla spiaggia dalle onde. In particolare c'era un banco di conchiglie a un certo punto, i gabbiani cercavano con i becchi quelle ancora piene, fino a quando i bambini arrivavano di corsa a spaventarli. Mi chinai a guardare, ce n'erano di ogni forma e dimensione, un mosaico abbandonato sulla sabbia, e alcune erano piatte e tonde proprio come i sassi di fiume.
Provai a lanciarne una, poi un'altra cercando di farla rimbalzare proprio sulla cima delle onde, i bambini avevano dimenticato i gabbiani e guardavano, lo spirito dell'insegnamento allora ebbe la meglio, mi misi a spiegare quali scegliere, a che altezza lanciare, ci volle poco perchè una pioggia fitta di conchiglie si abbattesse sull'acqua.
Poi, lasciato a loro il gioco, mi diressi verso lo scoglio nero.
E' un pezzo di roccia che si protende nel mare, segna il confine tra due bagni e naturalmente è soggetto di leggende, non si sa se originali o copiate da qualche raccolta di fiabe, ma non è del tutto nero, ci sono venature più chiare che brillano al sole. Ci si può arrampicare, in cima è piatto e due o tre persone possono starci comodamente, per questo di solito i bagnini lo usano come posto di guardia, ma quel giorno era vuoto e decisi di conquistarlo. Arrivato sopra mi liberai dei pantaloni, la polo andò a fare da telo per stendersi e mi coricai di pancia sulla pietra ancora fredda, esibendo la mia abbronzatura da estate africana.
Sporgendomi con le spalle oltre l'orlo e le braccia a penzoloni, riuscivo a scorgere il mio riflesso la sotto, sull'acqua verde che lo portava a rompersi e ricomporsi contro lo scoglio, mi ipnotizzava quell'immagine dondolante, mi abbioccava, avevo la tentazione di colpirla con l'ultima conchiglia che ancora avevo in mano, come se bastasse per liberarsene, oppure avrei potuto farmi indietro e chiudere gli occhi per una mezz'ora.
Ma cadde un'ombra all'improvviso e una presenza, tanto ero imbambolato che non avevo sentito salire, eppure l'avevo sopra, e anche senza voltarmi ne avvertivo la leggerezza.
Una donna ? Uno di quei bambini ?
" A qualcosa ti è servita la vacanza, guarda che bella forma hai messo su. "
Lei !
Senza pensare alla mia posizione mi girai col rischio di cadere di sotto, la faccia da scemo che dovevo avere, e naturalmente non mi usciva una parola, o meglio la lingua non riusciva a seguire tutte quelle che mi passavano per la mente. La lingua che si annoda, ma fa meno impressione quando si sa il perchè, e la salvezza nelle piccole cose mi dicevano.
" So rimbalzare le conchiglie sull'acqua. Lo sapevi ? "
Prima che potesse rispondere mi alzai e tirai la conchiglia, che si guardò bene dal rimbalzare e sparì dentro un'onda, rimasi fermo mimando la sorpresa come in un fumetto, congelato nella posizione di tiro.
L'imbarazzo diventò una risata, scuoteva la testa e la coda di capelli dietro, si mise a sedere e io con lei, aveva una gonna lunga color giallo chiaro, scalza, le scarpe le aveva lasciate alla base dello scoglio.
" Lo sai quanto amo il lungomare, sono sempre qui a passeggiare e tu non te ne accorgi. Ti ho visto qui dalla strada e non ho potuto resistere. "
" Vedi l'asino che sono ? Non mi accorgevo, non sapevo che scrivessi, non ti ho neppure chiesto che lavoro fai adesso. "
" Almeno come mi chiamo te lo ricordi ? "
" Si, quello si, ma sai perchè siamo così ? Perchè nella mia testa era passato solo un giorno invece che quindici anni. Infatti stavo ricominciando a comportarmi nella stessa maniera, poi mi sono reso conto, ma non sono stato capace di esprimere, e sono scappato. Non è stata una vacanza... "
Il vento aveva virato e spirava da terra, a ricordarci che non era ancora del tutto estate, per un attimo mi fermai, rabbrividivo, ma Lei rimaneva in ascolto, voleva che andassi avanti.
" ... E sono tornato solo per dirtele queste cose, che ti chiedo scusa per tutto quel che ho fatto. "
" Posso abbracciarti ? Per non lasciarti andare via ancora. "
Potevo negarglielo ? No, non si poteva, e in quel contatto svanirono in un attimo i buoni propositi. La discussione civile, la conclusione, il perdono e il riconoscimento delle troppe differenze, via tutto giù per il secchiaio. Accarezzava con le punte delle dita i lati dei miei occhi, e io cercavo nei suoi una spiegazione, quali fossero i suoi motivi, cosa volesse, ma erano finestre chiuse.
Sembrava del tutto rapita dal momento, ma il mio discorso l'aveva a malapena ascoltato, per me era così importante, tutto quel che avevo attraversato solo per riuscire a pronunciare quelle quattro parole.
Solo per scoprire che non avevo cambiato niente, il desiderio era sempre lo stesso e nessuno dei due voleva che quell'abbraccio finisse. Era interiore il cambiamento, i ricordi non erano più un peso.
" .. Però avrei voluto che dicessi un'altra cosa.. "
" .. No, ci volevano le scuse prima di quello.. "
" .. Posso portarti a casa mia ? Qui sta rinfrescando troppo .. "
Casa sua ?
Era nella stessa strada del bar di cui sopra, primo portone dopo il portico, ma non passammo di li, girando attorno si trovava una porticina bassa, incastrata tra due caseggiati, di cui Lei aveva la chiave.
Dava su di un vicolo privato, no, era un canale. Uno di quei canali d'acqua che attraversavano la città prima dell'avvento dei motori, poi coperti negli anni cinquanta, cementificati, in quanto ormai inutili.
Fioriva lungo le sponde una quantità di laboratori artigianali, ora scomparsi, e Lei ne aveva ristrutturato uno ad uso abitazione, più lungo che profondo, in ombra come la sua vita, e il canale era diventato il suo cortiletto personale. C'erano grandi vasi da cui traboccavano piante di salvia, un tavolo con le sedie di plastica, un'altalena e un calciobalilla usciti da chissà dove. Addirittura un juke-box, funzionante, al riparo della tettoia che introduceva all'appartamento vero e proprio, frammenti della persona che credevo di conoscere, che stavo appena iniziando a conoscere.
L'interno aveva un gran salotto, anche di buon gusto, non fosse stato per la lettiera del gatto e il piattino col latte per terra, quello fu un trauma, duro, ma poco in confronto allo studio, la porta era aperta e sembrava ci fosse esplosa una bomba. Senza neanche chiedere il permesso entrai affascinato dall'orrore, carte, disegni, grafica pubblicitaria, tecnica, quello faceva, ma fogli a terra ? Lavori lasciati a metà e abbandonati per terra ? Mi chinai a raccoglierli per riporli sul tavolo meno ingombrato, e nello stesso tempo mi davo dello scemo, il caos è un ordine di cui non si conoscono ancora le regole, il suo ordine in cui avrebbe trovato il posto di ogni cosa, cambiando la disposizione in base alla logica mia le stavo complicando il lavoro, ma proprio non avevo potuto resistere.
Lei non si era mostrata offesa per la mia invasione, mi aveva abbracciato di nuovo da dietro, penso comprendesse il mio disagio.
" Vuoi una copia della chiave per venire a fare le pulizie ? "
" Se avessi le chiavi farei tutt'altro. "
Le sue labbra sul mio collo, e io che piegavo all'indietro la testa per darle spazio, le sue mani che abbassavano i pantaloni e il costume assieme, sapevo già che con la bocca avrebbe ancora rivendicato quel territorio tante volte perduto. Infatti mi trovai appoggiato a quel tavolo mentre lei ci dava dentro senza timore per le conseguenze sui suoi fogli, lo faceva entrare e uscire dalla bocca senza mai allentare la pressione con le labbra, lo faceva scorrere sulla lingua, inginocchiata sulla mia polo.
In un ultimo lampo di lucidità ci spostammo sul divano del salone, spazioso, accogliente, Lei stesa a metà su di me aveva subito ripreso la sua opera, io ero affascinato dal suo pancino, la rotondità appena accennata, le pieghe che faceva la pelle, da sotto saliva prepotente l'odore di donna, ma invece che scendere tuffai la lingua nel suo ombelico, dentro era salato, no, non aveva tanta ciccia, ma un minimo di rotolini da mordere c'erano, per la mia felicità. Anche lei gradiva, a giudicare dall'accanimento sul mio pennone, aveva messo in moto la lingua, voleva finirmi, ma non lo potevo permettere.
La ribaltai verso l'interno del divano e in piedi le presi le caviglie, dopo aver allargato le entrai dentro senza preoccuparmi di poterle fare male, non incontrai la minima resistenza, in quella posizione potevo vedere il movimento dei suoi seni e i suoi occhi, la bocca contratta in una specie di broncio mentre i gemiti le salivano dalla gola, scuoteva la testa e tutto questo spettacolo mi dava ancora la voglia di venire subito.
Era solo per accontentare la parte più animale di noi, ma non sarebbe bastato, ha così poco valore l'orgasmo maschile, volevo il suo, volevo sentire il suo orgasmo dentro di me.
" Ferma. Fammi cambiare posizione, stenditi di fianco.. fammi posto.. "
" Da dietro ? .. "
" Si.. senti come entra.. fatti toccare.. "
Avevo la sua spalla e il collo da baciare, la mia sinistra a torturare il seno, la destra posata sul monte di venere, sentivo pizzicare la ricrescita sotto il palmo, è una cosa che mi manda ai matti, e premevo, la schiacciavo tra la mano e il cazzo che scorreva sotto, Lei si mordeva il labbro, da quella posizione non potevo vedere, ma sicuramente stava mordendo il labbro.
" Adesso metti la tua mano sopra "
" Dove ? .. "
" Lo sai. "
Posò la sua destra sulla mia, c'era dell'affetto in quel gesto, intrecciato al sesso con naturalezza, come i nostri corpi.
Cominciò piano a guidare, la assecondavo e imprimevo più forza nei movimenti, non c'era bisogno di parole, dicevano tutto il respiro e il sudore, si scioglieva sotto le mie mani e la sua diventò una morsa feroce. Gli schizzi arrivarono senza preavviso, a infrangersi sulle nostre dita, onde marine, lei stessa si muoveva come un'onda, non fu una cosa breve. E alla fine di tutto, con sincronia, portammo le mani alla bocca.
" Volevo sconvolgerti la vita, ma non ho mai pensato a cosa avrei voluto fare dopo. Lasciarti come mi hai lasciata ? Riprenderti e tenerti per me ? Non so neanche io cosa voglio. "
Eravamo ancora nella stessa posizione, il mio viso nascosto sulla sua schiena e lei che parlava all'aria. Ci sono confessioni che diventano più sopportabili quando non ci si guarda.
" Anche tu non lo sai ? Siamo pari allora, ma almeno ci siamo liberati del passato. "
" E adesso cosa ci facciamo con la libertà ? "
" Quell'altra parola che avresti sentire al posto delle scuse, è Ti amo ? "
Ed ecco ancora la sua mano piantata sulla mia.
" Perchè rispondi a una domanda con un'altra domanda ? "
" E' che adesso due sole cose possiamo fare: salutarci, oppure prendere un impegno serio. Ma allora escono le differenze, l'età, il carattere, gli altri impegni che già abbiamo.
Funzionerebbe ? "
Lei allora si rivolse nel mio abbraccio per fronteggiarmi, seria, con l'indice seguiva le rughe alla fine del mio occhio.
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