Il primo boyfriend - Capitolo 10
di
Aramis
genere
gay
Non so esattamente quando mi addormentai quella notte, ma credo le cinque. Così naturalmente stavo ancora dormendo alle undici e trenta del mattino seguente, quando il mio telefono suonò.
“Pronto?” Borbottai sonnolentemente.
“Parla Andrea?” Chiese una voce femminile poco familiare.
“Uh-huh.”
“Mi chiamo Sandra e chiamo dall'Ospedale Provinciale. Un suo amico… Luca Dotti mi ha chiesto di telefonarle e chiederle di venire qui.”
“Cosa è successo?”
“Mi spiace, signore, non posso dare queste informazioni al telefono... regole dell’ospedale. Devo dirgli che sta venendo?”
“Sì, io sarò lì appena possibile.”
“Ok, lui è nella stanza 18 del reparto terapie intensive” Disse prima di appendere.
Reparto terapie intensive? Fui colto dal panico. Presi la maglietta e gli shorts più vicini al mio letto e misi le scarpe da ginnastica senza calze. Quella insensibile voce continuava a frullarmi nella testa mentre uscivo agitato da casa. Stanza numero 18 del reparto cure intensive! Cosa diavolo ci stava facendo lì Luca? Corsi mentre cercavo disperatamente le mie chiavi. Non era il momento per una caccia alle chiavi, dovevo andare là.
“Ehi dormiglione.” Scherzò il papà.
“Dammi le tue chiavi!” Dissi.
“Cosa sta succedendo...”
“Ha appena chiamato l’ospedale. Luca è al reparto terapie intensive. Devo prendere la tua macchina, non so dove sono le mie chiavi.”
Papà recuperò rapidamente le chiavi dalla tasca e me le gettò.
“Chiamerò quando saprò cosa è successo.” Dissi correndo fuori.
Velocemente imboccai la strada verso l'ospedale. Non potevo credere che stava accadendo. Non avevo idea di cosa stesse accadendo e per quello che sapevo Luca avrebbe potuto essere morto mentre mi recavo là. Non sapevo cosa pensare. Ero confuso, devastato all’l'idea di perdere Luca ed incazzato con la donna della telefonata che non mi aveva detto nulla eccetto venire all'ospedale. Per tacere che io stavo ancora dormendo. Sono sicuro di aver infranto molte regole del codice stradale,
ma dopo quella che sembrò una dannata eternità, finalmente mi fermai davanti all'ospedale.
Volai dentro, sorpassai il bancone della reception e cercai da solo il reparto. Lo trovai ma le porte si aprivano solo se qualcuno autorizzato lo faceva. Corsi di nuovo alla scrivania e dissi alla donna che ero lì per vedere Luca Dotti alla stanza 18.
“Ok, come si chiama?” Riconobbi la sua voce, era quello della donna per cui avevo sviluppato un odio profondo nel giro di 5 secondi.
“Andrea Monti” Risposi in fretta.
Lei gettò uno sguardo ad un appunto col mio nome e numero telefonico, mi guardò di nuovo, accennò col capo e disse: “Passi pure ma mi raccomando tranquillità.”
Attraversai le porte che si erano aperte ed arrivai al n° 18. Aprii la porta e vidi Luca seduto vicino al letto e sua madre all'altro lato. Lui stava piangendo mentre si girava per vedere chi era entrato. Quando vide che ero io si alzò, venne alla porta e mi gettò le braccio al collo.
“Non avrei dovuto dirglielo.” Mi bisbigliò in un orecchio. Poi cominciò a singhiozzare incontrollabilmente: “Non avrei dovuto dirglielo mai.”
Fui immediatamente sollevato quando compresi che non era Luca che era stato ricoverato. Era suo padre. Questo non era bello evidentemente, ma io mi ero aspettato di peggio.
Portai Luca in una piccola sala da pranzo, tenevo il mio braccio dietro di lui e gli strofinavo la schiena nel tentativo di calmarlo.
Finalmente riprese il controllo e cominciò a parlare: “Pensano che abbia avuto un attacco di cuore. Non ne sono ancora sicuri. Stiamo aspettando il risultato degli esami.” Disse prendendo un fazzoletto dalla tavola vicino al divano dove eravamo seduti.
“Cosa è successo?” Chiesi sottovoce.
“Ho detto loro di me. Di noi. Mio papà si eccitò e cominciò a star male. Cominciò a respirare affannosamente, poi si prese il torace e nel giro di un minuto era sdraiato senza coscienza sul pavimento. Io pensavo che probabilmente avrebbero preso la cosa come avevano fatto i tuoi genitori.” Piagnucolò asciugandosi il naso.
Io non sapevo cosa dirgli. Avrei voluto confortarlo e dire che tutto sarebbe andato per il meglio, ma non era vero.
Lui proseguì: “Quindi non sappiamo molto a questo punto. Il dottore dice che si è trattato molto probabilmente di un attacco di cuore causato dallo stress del lavoro e dalla sua dieta poco sana. Ha detto che le prossime 48 ore sono cruciali. Dovremmo avere i risultati tra circa 15 minuti.” Gli baciai la guancia salata per le lacrime e lui mise la sua testa sulla mia spalla. Era tutto quello che riuscivo a pensare per fare in modo di farlo sentire meglio. Quando tirò via la testa dalla mia spalla vide che c'erano lacrime anche nei miei occhi. Gli dissi della confusione che si era creata e che avevo pensato che lui si fosse fatto male o peggio... morto.
Piangemmo sulle nostre spalle per alcuni minuti, poi ritornammo alla stanza 18 per vedere se i risultati erano arrivati.
“Ancora qualche minuto.” Disse sua mamma quando entrammo. Era chiaro che anche lei aveva pianto ma sembrò si fosse ripresa.
“Mamma, mi piacerebbe che tu conoscessi Andrea.”
Lei si alzò e mi venne incontro mentre io andavo verso di lei. Ci stringemmo la mano e lei mi sorrise debolmente. Non sembrò colpirla il fatto che io ero il ragazzo di Luca. Le sorrisi e lasciai andare la sua mano. Lei tornò a sedersi ed io andai all'altro lato del letto, in piedi dietro a Luca. La stanza divenne silenziosa, ma non era un silenzio imbarazzato. Non avemmo bisogno di dire nulla, stavamo tutti pensando la stessa cosa.
Un minuto o due di silenzio erano passati quando la porta si aprì riportandoci al presente: “Signora Dotti, io sono Dottor Pietri, il Cardiologo. Le dispiace venire nel mio ufficio o preferisce che le comunichi qui i risultati?” Chi parlava era una donna di mezza età attraente. La mamma di Luca girò la sua testa verso noi, si rigirò verso il dottore e rispose piano: “No, va bene. I ragazzi dovrebbero sapere cosa sta succedendo.” La donna in camice accennò col capo ed aprì un portablocco di metallo mentre diceva: “Molto bene. Gli esami indicano che suo marito aveva un’insufficienza coronarica. Dovremo fare un doppio bypass. In mancanza di questo le possibilità di sopravvivenza oltre un anno sono molto scarse. Dobbiamo comunque aspettare finché non sarà in grado di sopportare l’operazione. C’è qualche domanda?” La mamma di Luca scosse la testa.
Il dottore lasciò la stanza. Pensai che forse Luca e sua madre avevano bisogno di stare un po’ da soli, così dissi: “Vado a prendere un caffè, desiderate qualche cosa?” La mamma di Luca mi guardò e scosse la testa in diniego, poi disse: “Grazie.” Mi rivolsi a Luca che disse: “Sì, un caffè mi sembra possa andare.”
Ero contento per rimanere da solo, avevo bisogno di alcuni minuti per pensare. Tutto era accaduto in un fine-settimana, le cose stavano accadendo più velocemente di quanto le potessi elaborare. Stavo cominciando a pensare che un po’ di tempo lontano da Luca sarebbe stato meglio per me, ma allo stesso tempo Luca aveva bisogno che ci fossi accanto a lui. Non ero sicuro su cosa fare. Parlarne con Luca sarebbe stato meglio, ma non volevo che lui si sentisse dipendente da me. Io amavo Luca. Io non mi ero mai sentito così con qualcuno. Forse ci stavamo muovendo troppo velocemente.
Ritornai nella stanza con due tazze di caffè e trovai il papà di Luca sveglio. Io mi sentii incredibilmente imbarazzato. Io ero una parte della ragione che lui stava là sdraiato. La mamma di Luca prese l'iniziativa: “Dolcezza questo è Andrea, l'amico di Luca.”
Non la biasimai per essere stata così vaga su chi ero. Sono sicuro che l’avesse capito da solo, ma senza l’intervento della mamma la situazione sarebbe stata più sgradevole.
“Ciao Andrea” Disse lui con il miglior sorriso possibile.
“Ragazzi perché non andate a fare una passeggiata.” Suggerì la mamma di Luca: “Ho bisogno di parlare a tuo padre da soli.”
Mi dissi che quello era il momento di fare quel discorso.
Luca ed io eravamo silenziosi mentre ci dirigevamo al cortile dell'ospedale. Lo trovammo rigoglioso di fiori ed alberi, ma non c’era un'anima in vista. Ci sedemmo su una panca sotto un albero. Presi la mano di Luca e cominciai insicuro: “Guarda Luca, io posso capire che tu adesso abbia bisogno tuo spazio. A me sta bene stare qui per te se tu hai bisogno di me, sai. Stavo solo pensando che avermi intorno ora potrebbe complicare le cose per, ed io rispetterò il tuo desiderio se è ciò di cui hai bisogno.”
Luca prese un profondo respiro: “Io adesso ho bisogno di te, più che mai, Andrea. Sarà imbarazzante per un po’, abbiamo parlato mentre tu eri fuori. Le prime parole che ha detto mio papà quando lui si è svegliò sono state, ‘io ti amo ancora’” L'espressione sulla sua faccia era contraddittoria, come se lui volesse essere felice e rassicurato che suo padre lo amava ancora, ma aveva paura che non potesse accadere. “Lo faremo, Andrea. Andrà tutto bene.”
Ero contento che l’avesse detto, anche se mi sembrava che non ne fosse molto sicuro. Comunque questo diminuì di molto la pressione.
“Pronto?” Borbottai sonnolentemente.
“Parla Andrea?” Chiese una voce femminile poco familiare.
“Uh-huh.”
“Mi chiamo Sandra e chiamo dall'Ospedale Provinciale. Un suo amico… Luca Dotti mi ha chiesto di telefonarle e chiederle di venire qui.”
“Cosa è successo?”
“Mi spiace, signore, non posso dare queste informazioni al telefono... regole dell’ospedale. Devo dirgli che sta venendo?”
“Sì, io sarò lì appena possibile.”
“Ok, lui è nella stanza 18 del reparto terapie intensive” Disse prima di appendere.
Reparto terapie intensive? Fui colto dal panico. Presi la maglietta e gli shorts più vicini al mio letto e misi le scarpe da ginnastica senza calze. Quella insensibile voce continuava a frullarmi nella testa mentre uscivo agitato da casa. Stanza numero 18 del reparto cure intensive! Cosa diavolo ci stava facendo lì Luca? Corsi mentre cercavo disperatamente le mie chiavi. Non era il momento per una caccia alle chiavi, dovevo andare là.
“Ehi dormiglione.” Scherzò il papà.
“Dammi le tue chiavi!” Dissi.
“Cosa sta succedendo...”
“Ha appena chiamato l’ospedale. Luca è al reparto terapie intensive. Devo prendere la tua macchina, non so dove sono le mie chiavi.”
Papà recuperò rapidamente le chiavi dalla tasca e me le gettò.
“Chiamerò quando saprò cosa è successo.” Dissi correndo fuori.
Velocemente imboccai la strada verso l'ospedale. Non potevo credere che stava accadendo. Non avevo idea di cosa stesse accadendo e per quello che sapevo Luca avrebbe potuto essere morto mentre mi recavo là. Non sapevo cosa pensare. Ero confuso, devastato all’l'idea di perdere Luca ed incazzato con la donna della telefonata che non mi aveva detto nulla eccetto venire all'ospedale. Per tacere che io stavo ancora dormendo. Sono sicuro di aver infranto molte regole del codice stradale,
ma dopo quella che sembrò una dannata eternità, finalmente mi fermai davanti all'ospedale.
Volai dentro, sorpassai il bancone della reception e cercai da solo il reparto. Lo trovai ma le porte si aprivano solo se qualcuno autorizzato lo faceva. Corsi di nuovo alla scrivania e dissi alla donna che ero lì per vedere Luca Dotti alla stanza 18.
“Ok, come si chiama?” Riconobbi la sua voce, era quello della donna per cui avevo sviluppato un odio profondo nel giro di 5 secondi.
“Andrea Monti” Risposi in fretta.
Lei gettò uno sguardo ad un appunto col mio nome e numero telefonico, mi guardò di nuovo, accennò col capo e disse: “Passi pure ma mi raccomando tranquillità.”
Attraversai le porte che si erano aperte ed arrivai al n° 18. Aprii la porta e vidi Luca seduto vicino al letto e sua madre all'altro lato. Lui stava piangendo mentre si girava per vedere chi era entrato. Quando vide che ero io si alzò, venne alla porta e mi gettò le braccio al collo.
“Non avrei dovuto dirglielo.” Mi bisbigliò in un orecchio. Poi cominciò a singhiozzare incontrollabilmente: “Non avrei dovuto dirglielo mai.”
Fui immediatamente sollevato quando compresi che non era Luca che era stato ricoverato. Era suo padre. Questo non era bello evidentemente, ma io mi ero aspettato di peggio.
Portai Luca in una piccola sala da pranzo, tenevo il mio braccio dietro di lui e gli strofinavo la schiena nel tentativo di calmarlo.
Finalmente riprese il controllo e cominciò a parlare: “Pensano che abbia avuto un attacco di cuore. Non ne sono ancora sicuri. Stiamo aspettando il risultato degli esami.” Disse prendendo un fazzoletto dalla tavola vicino al divano dove eravamo seduti.
“Cosa è successo?” Chiesi sottovoce.
“Ho detto loro di me. Di noi. Mio papà si eccitò e cominciò a star male. Cominciò a respirare affannosamente, poi si prese il torace e nel giro di un minuto era sdraiato senza coscienza sul pavimento. Io pensavo che probabilmente avrebbero preso la cosa come avevano fatto i tuoi genitori.” Piagnucolò asciugandosi il naso.
Io non sapevo cosa dirgli. Avrei voluto confortarlo e dire che tutto sarebbe andato per il meglio, ma non era vero.
Lui proseguì: “Quindi non sappiamo molto a questo punto. Il dottore dice che si è trattato molto probabilmente di un attacco di cuore causato dallo stress del lavoro e dalla sua dieta poco sana. Ha detto che le prossime 48 ore sono cruciali. Dovremmo avere i risultati tra circa 15 minuti.” Gli baciai la guancia salata per le lacrime e lui mise la sua testa sulla mia spalla. Era tutto quello che riuscivo a pensare per fare in modo di farlo sentire meglio. Quando tirò via la testa dalla mia spalla vide che c'erano lacrime anche nei miei occhi. Gli dissi della confusione che si era creata e che avevo pensato che lui si fosse fatto male o peggio... morto.
Piangemmo sulle nostre spalle per alcuni minuti, poi ritornammo alla stanza 18 per vedere se i risultati erano arrivati.
“Ancora qualche minuto.” Disse sua mamma quando entrammo. Era chiaro che anche lei aveva pianto ma sembrò si fosse ripresa.
“Mamma, mi piacerebbe che tu conoscessi Andrea.”
Lei si alzò e mi venne incontro mentre io andavo verso di lei. Ci stringemmo la mano e lei mi sorrise debolmente. Non sembrò colpirla il fatto che io ero il ragazzo di Luca. Le sorrisi e lasciai andare la sua mano. Lei tornò a sedersi ed io andai all'altro lato del letto, in piedi dietro a Luca. La stanza divenne silenziosa, ma non era un silenzio imbarazzato. Non avemmo bisogno di dire nulla, stavamo tutti pensando la stessa cosa.
Un minuto o due di silenzio erano passati quando la porta si aprì riportandoci al presente: “Signora Dotti, io sono Dottor Pietri, il Cardiologo. Le dispiace venire nel mio ufficio o preferisce che le comunichi qui i risultati?” Chi parlava era una donna di mezza età attraente. La mamma di Luca girò la sua testa verso noi, si rigirò verso il dottore e rispose piano: “No, va bene. I ragazzi dovrebbero sapere cosa sta succedendo.” La donna in camice accennò col capo ed aprì un portablocco di metallo mentre diceva: “Molto bene. Gli esami indicano che suo marito aveva un’insufficienza coronarica. Dovremo fare un doppio bypass. In mancanza di questo le possibilità di sopravvivenza oltre un anno sono molto scarse. Dobbiamo comunque aspettare finché non sarà in grado di sopportare l’operazione. C’è qualche domanda?” La mamma di Luca scosse la testa.
Il dottore lasciò la stanza. Pensai che forse Luca e sua madre avevano bisogno di stare un po’ da soli, così dissi: “Vado a prendere un caffè, desiderate qualche cosa?” La mamma di Luca mi guardò e scosse la testa in diniego, poi disse: “Grazie.” Mi rivolsi a Luca che disse: “Sì, un caffè mi sembra possa andare.”
Ero contento per rimanere da solo, avevo bisogno di alcuni minuti per pensare. Tutto era accaduto in un fine-settimana, le cose stavano accadendo più velocemente di quanto le potessi elaborare. Stavo cominciando a pensare che un po’ di tempo lontano da Luca sarebbe stato meglio per me, ma allo stesso tempo Luca aveva bisogno che ci fossi accanto a lui. Non ero sicuro su cosa fare. Parlarne con Luca sarebbe stato meglio, ma non volevo che lui si sentisse dipendente da me. Io amavo Luca. Io non mi ero mai sentito così con qualcuno. Forse ci stavamo muovendo troppo velocemente.
Ritornai nella stanza con due tazze di caffè e trovai il papà di Luca sveglio. Io mi sentii incredibilmente imbarazzato. Io ero una parte della ragione che lui stava là sdraiato. La mamma di Luca prese l'iniziativa: “Dolcezza questo è Andrea, l'amico di Luca.”
Non la biasimai per essere stata così vaga su chi ero. Sono sicuro che l’avesse capito da solo, ma senza l’intervento della mamma la situazione sarebbe stata più sgradevole.
“Ciao Andrea” Disse lui con il miglior sorriso possibile.
“Ragazzi perché non andate a fare una passeggiata.” Suggerì la mamma di Luca: “Ho bisogno di parlare a tuo padre da soli.”
Mi dissi che quello era il momento di fare quel discorso.
Luca ed io eravamo silenziosi mentre ci dirigevamo al cortile dell'ospedale. Lo trovammo rigoglioso di fiori ed alberi, ma non c’era un'anima in vista. Ci sedemmo su una panca sotto un albero. Presi la mano di Luca e cominciai insicuro: “Guarda Luca, io posso capire che tu adesso abbia bisogno tuo spazio. A me sta bene stare qui per te se tu hai bisogno di me, sai. Stavo solo pensando che avermi intorno ora potrebbe complicare le cose per, ed io rispetterò il tuo desiderio se è ciò di cui hai bisogno.”
Luca prese un profondo respiro: “Io adesso ho bisogno di te, più che mai, Andrea. Sarà imbarazzante per un po’, abbiamo parlato mentre tu eri fuori. Le prime parole che ha detto mio papà quando lui si è svegliò sono state, ‘io ti amo ancora’” L'espressione sulla sua faccia era contraddittoria, come se lui volesse essere felice e rassicurato che suo padre lo amava ancora, ma aveva paura che non potesse accadere. “Lo faremo, Andrea. Andrà tutto bene.”
Ero contento che l’avesse detto, anche se mi sembrava che non ne fosse molto sicuro. Comunque questo diminuì di molto la pressione.
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