Week-end con la schiava – La vera natura umana

di
genere
dominazione

Ci svegliammo verso le 10 di mattina, tanto era sabato. La baciai dolcemente e iniziai a preparare la colazione, ancora una volta, volle prendere il mio posto e chi ero io per impedirlo. Ormai capivo quale fosse la sua natura, e un po’ me ne dispiacque.
Ora che la vedevo nuda alla luce del sole, notai i suoi rotolini di grasso, ma me ne fregai, non è la bellezza assoluta che andavo a cercare.
“Ma tu cosa vuoi da me” – MI trovai a chiederle.
“Per ora solo divertirmi”
Le accarezzai il seno – “Buon proposito”
Facemmo colazione, sapeva cucinare proprio bene.
“Su dai, andiamo in piscina, abbiamo bisogno di rilassarci”
“Non ho il costume”
“Prendi pure uno dei miei” – Dato che era venuta vestita in quel modo, le dovetti prestare dei jeans, che le stavano stretti e una maglietta.
Ora non vi annoierò su come passammo la mattinata e su quello che mangiammo, invece passerò immediatamente al pomeriggio, di quando la portai nella casa della mia ex, dove, come accordi, dovevo occuparmi delle sue bollette.
Improvvisamente sentii un urlo. Era Monica.
Si insinuò dentro di me un dubbio. Mi diressi verso la stanza di sinistra, aveva trovato la stanza dei giochi.
Come forse avete letto nei miei racconti precedenti (in caso vi esorto a farlo), la mia ex era una mistress esperta, e nella sua casa milanese aveva una stanza esclusiva per esercitare questo aspetto della sua vita.
Maledizione l’aveva dimenticata aperta.
Appena entrai nella stanza, vidi Monica che accarrezzava un fallo di gomma e si guardava in giro. Non avevo mai visto i suoi occhi cosi luminosi, sembrava che brillassero.
“Cosa è questa roba?” – Mi domandò voltandosi.
“Dai usciamo, non dovremmo essere qui”
La stanza era illuminata dalla solita luce rossa soffusa. Lei si sedette sul letto a baldacchino.
Quel letto era un po’ particolare, sotto aveva una gabbia e in fondo una cogna. Era il letto meno comodo del mondo, era fatto apposta.
In quel locale c’era tutto il necessario per divertirsi. Un armadio per l’abbigliamente necessario. Fruste, catene, una sedia con delle cinquie, una croce di Sant’andrea e un gancio sul soffitto.
“Dai sul serio non dobbiamo stare qui, se lo sa mi ammazza”
“Non hai detto che sta in Sardegna”
“Lo so ma stare qui mi mette a disagio”
“Non dovresti signora” – E si sdraio sul letto.
Si sbottonò i jeans, che gli avevo prestato, e si accarezzò la passera – “Quinti è qui che lei veniva tortura”
“Si, ma lasciamo perdere, andiamo”
Lei non voleva alzarsi, quindi mi avvicinai e la tirai per le braccia.
“Su andiamo”
“Voglio rimanere qui”
Le diedi una sberla. Me ne pentii subito.
Lei mi fissava, questa volta non piangeva, anzi si toccava la guancia che avevo appena percosso.
SI risdraiò a letto e questa volta si tolse i jeans, aveva ancora sotto le muntandine che le avevo regalato.
Mi stavo arrabbiando, ogni volta che giravo la testa, mi ricordavo i brutti e bei momenti che avevo vissuto li dentro. Soprattutto mi ricordavo della gabbia sotto il letto, preferii pensare ad altro.
La fissai e le misi due dita con forza nella figa – “E’ questo che vuoi vero, puttana che non sei altro”
“Uhnn si e lo sai bene” – La troia mi voleva provocare.
“Ricordati che l’hai voluto tu”
Ora non esploravo quella stanza da mesi, ma speravo che le cose fossero ancora al loro posto.
“Signora, quanto ci mette”
“Un attimo, dobbiamo fare le cose per bene”
Trovai l’intimo che mi faceva indossare Antonella e lo lanciai a Monica – “Indossalo”
Si sfilò i vestiti e indossò il corpetto stringivita in ecopelle, il collarino da dove partivano diverse catene, dei bracciali con allacciature e degli slip con catene e borghie d’argento; le donava molto.
Io ero insicura su cosa scegliere, anche perché erano vestiti di esclusiva proprietà di Antonella. Propensi per una camicetta a maniche lunghe che lasciava scoperto il seno, l’allacciatura era proprio sotto di esso. La gonna era elastica e copriva dalle ginoccha al petto. La parte posteriore era particolarmente sexy, c’era una apertura a cuore a mostrare i glutei. Mancavano gli accessori. Indossai degli scomodi stivali borghiati e un enorme strap on nero.
Ora eravamo pronte. La mia rabbia era sempre viva, se l’era cercata.
Mi avvicinai, mettendo lentamente un piede davanti all’altro, mi reggevo il cazzo finto. Afferai le catene che le scendevano dal collare, le spinsi le braccia dietro la schiena e attaccai gli anelli alle polsiere.
Le afferrai i capelli, e spinsi la sua bocca verso quel pene enorme. La cappella sbattè contro i suoi denti.
“Puttana aprila”
“Si signora”
Le penetrai la gola fino alle tonsille, aveva conati di vomito. Era quello che voleva e la stava accontentando. Le sputai in faccia.
“Sei una misera puttana” – Ecco le sue lacrime.
Mentre lei succhiava, le davo sberle alle tette. Erano così forti che si potevano vedere i segni delle mie dita.
Dentro di me, avevo paura di esagerare, ma sentivo che lo desiderava.
Perlustrai la stanza, da cosa avrei dovuto iniziare. Optai per la sedia. Afferrai un'altra catena e la usai come quinzaglio, lei scivolò dal letto e cadde sul pavimento a quattro zampe.
“Non alzarti”
La trascinai verso la sedia e le ordinai di sedersi.
Per prima cosa recuperai le miei vecchie mutandine, che in quei giorni le avevo regalato, e la imbavagliai con esse, poi mi accertai di legarla per bene. Le immobilizzai la testa e il busto con le cinghie e le braccia e le gambe con le manette poste sui braccioli e sulle gambe della sedia.
Trascinai una sedia vicino a lei. Mi sedetti davanti a lei, la fissai, accavvalai le gambe, le afferai le braccia con le mie mani.
“Allora è questo che vuoi”
Come potete immaginare non poteva rispondere correttamente, imbavagliata in quel modo, però nei suoi occhi intravedevo un misto tra terrore ed eccitazione.
Mi diressi verso la cassettiera magica di Antonella e ne estrassi un coltello d’acciaio. Gli lo feci passare davanti agli occhi e gli incisi la guancia destra, dal quale usci un rivolo di sangue. Gli leccai la ferita.
“Sai tesoro nella dominazione nessuno è succube, deve esserci complicità tra vittima e carnefice” – appoggiai il piede destro in mezzo alle sue gambe – “ormai ti conosco bene, tu godi ad essere trattata così, è una tua cosa psicologia, ti fa stare meglio”.
Appoggiai il coltello sulla gamba destra e applicai una ferita di circa 20 cm.
Il suo respiro era diventato asmatico, come se le fosse impossibilitato respirare.
Passai il colterro di piatto sul suo sero rifatto, poi gli lo leccai. Le camminai intorno, non le davo la possibità di vedermi. Le afferrai il seno da dietro e lo strinzi verso l’alto.
“Ora dimmi, cagna maledetta, perché odi i maschi” – era quella stanza che mi faceva parlare così.
Lei scosse con decisione la testa, non mi voleva rilevare il suo segreto. Gli ripetei la domanda. Mugugnò qualcosa tipo – “nn psso”.
“Cosa, non ho capito bene” – Le diedi una sberla sul volto; intanto continuavo a camminare.
Dopo qualche secondo, mi fermai davanti a lei, la fissai, le tolsi le mutandine dalla bocca e gli morsi il labbro superiore, poi rimisi la gamba destra tra le sue cosce, ma stavolta premetti contro i suoi slip.
Il dolore iniziò a sentirsi, lei si agitava immobilizzata; inutile dirvi che stava piangendo.
Dentro di me ero combattuta, da una parte volevo vedere i suoi limiti, dall’altra la volevo torturare.
“Allora troietta, perché non vuoi scopare con i maschi”
Lei si rifiutava di rispondere. Premetti ancora con più forza il mio stivale sulla sua passera.
“Eeekk” – Fu l’unica cosa che disse. Non capivo se avesse dolore o se provasse piacere.
Mi precipitai alla cassettiere e presi dei morsetti d’acciaio e gli pinzonai i capezzoli. Si morse la lingua.
“Non ti muovi di qui finchè non mi rispondi”
“Ti prego non posso”
Partì un'altra sberla, ma questa volta più forte.
“Stronza” – Era la prima volta che cercava di ribellarsi.
Notai attaccato alla sedia un frustino di cuoio e lo presi. Lo sbattei sulla mano più volte, per far sentire il rumore alla mia vittima, e poi gli lo sbattei sulle tette.
Il suo urlo fu assordante.
Ricaricai il braccio, ma le mi stoppò prima.
“Un amico di mio padre mi ha violentata a sedici anni” – Mi fermai di colpo, fui scioccata. Ebbi come primo istitinto, quello di liberarla, ma dentro di me sapevo che non avevo ancora finito.
“Si vede che te lo meritavi” – Sia chiaro dissi quelle parole solo per rimanere nella parte, ucciderei quel tale con le mie mani, e gli sbattei la punta del frustino sul viso. Con quel gesto sembrò che gli avessi impresso un tatuaggio sulla guancia.
Visto che mi aveva detto la verità, la liberai dalla sedia.
Monica faticava a rimanere in piedi, crollò davanti a me. Mi chinai per aiutarla, ma subito mi rialzai. Le appoggiai la suola dello stivale sulla faccia e le ordinai di leccarmi il tacco. La sua lingua l’avvolse, sembrava che lo stesse spompinando.
“Brava la mia cucciola, ora leccami l’intero stivale”
Eseguiva i miei ordini prontamente. Mi alzai la gonna, mettendo in vista la mia passera. Scostai lo strap-on, per comodità – “Datti da fare, rendi felice la tua signora”
La sua lingua risalì lentamente la gamba, raggiunse l’inguine, poi affogò tra le mie cosce. Non era la prima volta che mi leccava, ma stavolta sentivo più decisione, come se la situazine l’eccitava doppiamente.
Io le premevo con forza la testa verso di me, provavo piacere, questo si, ma il mio scopo primario era farle capire chi comandasse.
Mentre mi leccava, estrassi da una tasca un elastico e raccolsi i capelli formando una coda.
Mi chinai, la baciai, ogni tanto bisogna darle un contentino, poi afferrandola per i capelli, la trascinai verso la croce. Quella attrezzatura era infernale e io la conoscevo bene.
“Su mettiti in posizione”
“Come?” – Era confusa.
“Faccia al muro e braccia e gambe per allargate”
Notavo la sua incertezza quindi le frustai il culo.
“Non farmi incazzare, appoggia i tuoi arti sulle braccia della croce”
Una volta che mi ebbe obbedito, le tolsi gli slip che gettai all’indietro, le legai i polsi e le caviglie con i lacci esterni, ancora una volta era immobilizzata.
Non persi tempo, le frustai la schiena – “Tu chi sei?”
“Monica”
“Risposta sbagliata” – La frustai ancora con decisione – “Ripeto la domanda, tu chi sei?”
“Ti prego non lo so” – Stavolta mi avvicinai a lei e le infilati due dita nella fica e spinsi in profondità – “Ripeti con me, io sono una gran puttana”
Ormai aveva finito le lacrime.
“Io sono una gran puttana” – La masturbai con vigore – “Brava, lo vedi che quando ti applichi sai le cose”
Le baciai il collo
“E io chi sono”
“La mia signora” – Questa volta diede immediatamente la risposta giusta, ma le diedi lo stesso una frustata sul culo.
Rimisi il cazzo di gomma in una posizione più comoda e lo spinsi in mezzo alle sue cosce. L’asta artificiale strusciava sulla parte esterna della sua patata. Ora era chiaramente eccitata.
“Dimmi cosa vuoi”
“Essere scopata da lei, signora” – Partì un'altra frustata sul fianco destro – “Hai sbagliato”
Lei rimuginò un attimo, si concentrò – “Voglio appagare ogni suo desiderio e perversione”
Sorrisi – “Ora ragioniamo, ad ogni risposta esatta un regalino” – Le spinsi il grosso pene all’interno della sua figa e diedi dei colpi secchi, che la fecero sobbalzare. Fu la prima volta che la sentii ansimare di piacere.
I miei colpi esperti la facevano tremare. Le mie mani le percorrevano tutto il corpo, soffermandomi principalmente sul seno. Più il suo orgasmo si avvicinava, più io spingevo piu forte. Lo sentii sappraggungere in anticipico. Sentii il suo corpo fremere, il suo organo genitale contrarsi e iniziava ad invocare gli altissimi cieli.
Il suo orgasmo fu scrosciante, sembrava che si fossero rotte le acque, ma non pensiate che avessi finito.
La liberai dalla sua prigione, e le lasciai un attivo di respiro. Mi inginocchiai sul letto e le indicai di avvicinarsi. Presi in mano quel grosso fallo di gomma e, con un gesto volgare, le indicai di spompinarlo.
Ormai potevo disporre di lei come volevo. Si creò rapidamente una coda, gli lasciai questa piccola concessione. Affondo le labbra sullo strap e lo ingoio interamente. Mi afferrai con determinazione le tette e mi gustai quella scena.
“Aiutami”
Lei capì al volo e mi afferrò, a sua volta, il seno, io presi le sue mani e l’aiutai a masturbarmelo. La sua lingua giocava su quell’asta – “Non uscirai con i maschi, ma a fare pompini sei esperta”
Lei mi sorrise per la prima volta – “E’ cosi che sono stata assunta e continuo a farlo per mantenerlo”
Era condannata a una vita di supplizi.
Ormai iniziavo ad annoiarmi, ma c’erano ancora due punizioni che le volevo impartire.
Mi alzai la gonna, ancora una volta, finsi di voler esser leccata e le pisciai addosso.
“Bevila” – Non si fece pregare e ingoio la mia pioggia dorata. Solo il giorno dopo mi accorsi di aver sporcato le lenzuola di Antonella.
La mia pipì si sparse su tutta la sua faccia e colò sul suo seno.
Mancava ancora qualcosa, fissai la parte terminale del letto e la spinsi verso di essa. Sblocciai i lucchetti della cogna, e le feci infilare le braccia e la testa; per l’ennesima volta la immobilizzai.
Scorsi la mia mano dal collo al sedere e, una volta che vi giunsi, la sculacciai pesantemente. Lei urlava ad ogni mio colpo, ma ne ero sicura, erano gemiti di piacere, era la sua natura.
Sgattaiolai verso il suo deratano e gli infilai la lingua del culo, e sempre meglio lubrificarlo prima di possederlo.
Gli morsi le chiappe e poi avvicinai la gonfia cappella al suo minuscolo buchino. Entrai con difficoltà.
“No la prego, li no”
Le schiaffeggiai i fianchi – “Zitta puttana, lo sai che faccio quello che voglio” – Mi accorsi, che accanto a me, c’erano gli slip di pelle che indossava precedentemente. Li raccorsi e le bendai la bocca. Ora poteva protestare quanto voleva.
La mia lingua le leccò la schiena, i miei colpi erano secchi e potenti.
“Mmmm, mmmmm” – era l’unica cosa che lei potesse dire e urlare.
Le mie mani si spinsero verso il suo capezzoli, erano ancora imprigionati dalle pinze. Li strizzai, un altro mogugno di protesta raggiunse le mie orecchie. Le presi le spalle con le mie mani, per aiutare i miei movimenti. Improvvisamente il suo corpo crollò a foglia morta. La strattonai, la chiamai, era svenuta.
Approfittai di quel lasso di tempo, per masturbarmi e rivestirmi.
Tutta la mia rabbia e il mio nervosismo passarono in pochi secondi e affiorarono i sensi di colpa. La baciai delicatamente, lei si sveglio. Le asciugai le lacrime con le dita.
“Scusami tesoro, ho superato i limiti” – non trovavo le parole giuste per scusarmi – “E’ questo posto che mi trasforma e me la sono presa con la ragazza sbagliata”
Per l’ultima volta la liberai, lei si ricompose – “Lizzy” – era la prima volta che mi chiamava per nome – “Non c’è bisogno di scusarti, sono venuta con te, perché cercavo questo. In fondo un po’ è anche colpa mia”
Non si tolse quel completo sadomaso e si rivestì – “Però come ricompensa, questo me lo porto a casa” – Sapevo che Antonella me la avrebbe fatta pagare, ma in quel momento me ne fregai.
“Sai Monica, mi è venuta una certa fame, che dici andiamo in pizzeria”
Trovò le sue/mie mutandine appese alla sedia e se le infilò in tasca – “Va bene, ma paghi tu”
Risi a sguarcia gola e ce ne andammo da quel posto maledetto. Da allora mi promisi di tornarci da sola, senza compagnia di nessun genere.

Presegue: La riscoperta del sesso.
scritto il
2019-10-06
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