La mia prima volta da mistress (Ingrid 6)

di
genere
dominazione

Mi chiamo Ingrid Lindström e sono la madre di Lizzy. Ho scoperto questo sito grazie a lei, che a quanto pare ha un'ottima fantasia. Leggendo alcune storie, ho pensato che, essendo in pensione, potrei raccontare un po' delle esperienze che ho vissuto dopo il divorzio. Così eccomi qui, pronta a immergermi nei ricordi, sperando di trovare qualcosa di interessante.
Prima di tutto, so che è importante descrivermi fisicamente, anche se le storie che racconterò spazieranno su un arco di 20 anni, durante i quali il mio corpo è cambiato continuamente. Sicuramente non sono più bella come un tempo, né tanto affascinante quanto mia figlia, sulla quale vi siete concentrati ultimamente. Nonostante ciò, non mi reputo ancora da buttare, e penso che la mia eleganza compensi la bellezza persa. Il mio viso è segnato dall'esperienza, e le rughe lo rendono seducente. I miei capelli biondi, con un po' di aiuto, riflettono ancora la luce del giorno. Gli occhi azzurri, a quanto pare penetranti, non trasmettono certo dolcezza. Nonostante l'età, cerco di mantenere la forma, con delle curve generose e un seno rigoglioso. Non so cos'altro dire, ma fornirò ulteriori dettagli nelle mie storia

Come avete notato, e se non l'avete fatto non importa, sto seguendo una sorta di ordine cronologico. Ora siamo giunti a marzo 2005. Mi è tornato in mente forse l'esperienza più ridicola della mia vita, capitata mentre svolgevo il mio lavoro.
Da qualche mese mi occupavo della contabilità dell'azienda informatica di Giacomo Brambilla, ovviamente un nome di fantasia. Sembrava che tutto procedesse come da prassi, fino a quando non mi invitò a cena dopo una riunione per decidere la programmazione del nuovo anno fiscale. Quel giorno notai subito il suo nervosismo. Balbettava, era distratto e ogni volta che lo guardavo negli occhi, girava la testa. Quando giunse l'ora dei saluti, mi annunciò che aveva prenotato un tavolo nel mio ristorante preferito e che gli avrebbe fatto piacere se cenassi con lui. Aggiunse pure che avrebbe pagato tutto lui. Tutto questo per ringraziarmi del lavoro svolto fino ad allora. Non potevo mai immaginare che piega avrebbe preso la serata.
Non vi voglio annoiare con i discorsi fatti durante la cena, anche perché, come al solito, si trattava di lavoro. Voglio arrivare subito al dopo cena, quando, in macchina, mi chiese se potevo passare un attimo da casa sua perché mi voleva mostrare una cosa. Subito pensai che fosse il classico modo per adescare una donna, ma non chiedetemi il motivo, mi sono sempre fidata di lui.
Più ci avvicinavamo alla sua villa fuori città, più lo vedevo teso. Pensate, ha sbagliato pure strada. Finalmente giungemmo a quella bellissima villa. C'ero già stata quando mi voleva assumere e, credetemi, allora non era successo nulla, nonostante fossi rimasta lì per più di un'ora.
Quando giungemmo alla porta d'ingresso, finalmente parlò. “Sa, signora,” di solito mi ha sempre chiamato Ingrid, “è da quando la conosco che ho un'ammirazione per lei e il suo atteggiamento. Penso che sia la persona adatta per adempiere a un altro lavoro. Mi creda, verrà ricompensata profumatamente.” Inutile negarlo, sono sempre stata affascinata dai soldi, soprattutto quelli facili, e devo dire che mi aveva anche incuriosita.
Entrammo in casa ed era tutto buio. Pensai che ci saremmo seduti in sala come l'ultima volta, ma questa volta tirò dritto verso le scale. Non ero mai stata al piano di sopra, che pensavo fosse adibito a posto di riposo e relax. E in un certo senso non avevo sbagliato.
Al primo piano, notai un bagno, due camere da letto e una porta chiusa in fondo al corridoio, e proprio in quella direzione stavamo procedendo. Estrasse una chiave dalla tasca, la inserì nella toppa e l'aprì.
“Ora mia lady, quello che vedrà dovrà rimanere un segreto tra di noi. Se mai spifferasse qualcosa a qualcuno, sarà immediatamente licenziata, come da contratto.”
Quasi mi spaventai e deglutii.
Varcata la soglia, la prima cosa che mi colpì fu l'illuminazione soffusa: luci rosse e viola creavano un'atmosfera calda e avvolgente, mentre candele collocate strategicamente aggiungevano un bagliore tremolante e seducente.
Le pareti erano rivestite in velluto nero, che assorbiva la luce, rendendo l'ambiente claustrofobico. Specchi dorati, disposti in modo da riflettere varie angolazioni della stanza, amplificavano le sensazioni. Il pavimento era ricoperto da un tappeto di pelle morbida e liscia.
Al centro della stanza, troneggiava un robusto letto a baldacchino, con lenzuola di seta nera e cuscini rossi. Le colonne del baldacchino erano decorate con anelli metallici per le corde e i polsi, mentre le cinghie di pelle pendevano in modo lascivo, pronte per essere usate.
Di fronte al letto, un piccolo tavolo di vetro supportava una selezione di fruste, paddle e flogger di varie dimensioni e materiali.
In un angolo della stanza, una croce di Sant'Andrea dominava la scena. Si trattava di una struttura a forma di X, realizzata in acciaio lucido, dotata di cinghie imbottite per immobilizzare le braccia e le gambe.
Lungo una parete, c'era una vasta collezione di giocattoli: catene, manette, morsetti e pinze, appesi con cura. Accanto agli strumenti, una serie di plug anali, dildo e vibratori in silicone di diverse forme erano pronti per l'uso.
Un'altra parete era dedicata a una serie di armadi e cassetti, che contenevano completi di lingerie, corsetti, body in lattice e uniformi fetish, ordinatamente disposti. Ogni capo emanava un odore inebriante di pelle e gomma.
Feci per scappare, ma lui mi trattenne, gli urlai in faccia - “non ho nessuna intenzione di fare la schiava a nessuno”
“Mia cara si sbaglia, non voglio che tu sia la mia schiava, tutto il contrario, io voglio che lei sia la mia padrona” - mi stupii dalla sua affermazione, e lui continuò - “ora le propongo un patto, lei è libera di accettare o rifiutare, il suo no, non cambierà in nessun modo il nostro rapporto lavorativo, invece il suo si, potrebbe anche migliorarlo, sicuramente la sua posizione finanziaria”.
Estrasse un contratto da un cassetto, mi sembrava di essere la protagonista di un film, direi un brutto film. “Non voglio annoiarla con tutti i termini del contratto, in poche parole, qui ci impegniamo a non rilevare a nessuno quello che accadrò in questa stanza e che, in cambio delle sue prestazioni, lei riceverà un assegno di 1000 euro, esentasse”.
Cavolo 1000 euro, la mia attenzione aumentò.
“Veniamo al dunque, io lavoro sempre e non ho mai tempo per me. C'è solo una cosa che mi rilassa, il sadomaso ed essere alla merce di una bella donna, e indovini, questa volta ho scelto lei. Mi ha sempre attirato, come mi guardava, come mi parlava, è un'autoritaria nata. Ora mi dica accetta” - appena finito di parlare, mi porse il contratto già firmato da lui.
Guardai quel contratto per qualche secondo, con due pensieri in mente: il primo, ovviamente, i soldi; il secondo, se fossi davvero in grado di fare la padrona. Nella vita mi era capitato di essere autoritaria, ma questo era un altro livello. Con mia grande sorpresa, afferrai il contratto e firmai.
Il suo sguardo mi comunicava molte emozioni: sorpresa, eccitazione e ansia. "Bene, ora che il patto è siglato, la prego di scegliere un abbigliamento consono per la situazione. Si guardi intorno e scelga con cura."
Chissà quali erano i suoi gusti, ma pensai che, essendo io quella che doveva decidere, mi sarei lasciata trasportare dall'istinto. Aprii uno a uno gli armadi che avevo davanti e alla fine decisi di vestirmi in questo modo.
Cercai di infondere una presenza magnetica e inesorabile. Ogni dettaglio del mio abbigliamento era studiato per emanare un'aura di dominio e seduzione. Il corsetto in pelle nera avvolgeva il mio corpo come una seconda pelle, stringendo la vita e mettendo in risalto le mie curve provocanti. I dettagli metallici e le fibbie accentuavano il mio aspetto aggressivo.
Indossai lunghi guanti in pelle che arrivavano fino ai gomiti, aggiungendo un tocco di eleganza. Indossai dei pantaloni in vinile aderenti che enfatizzavano la perfezione delle mie gambe. Ogni passo emetteva un leggero rumore che echeggiava nella stanza silenziosa. Indossai stivali alti fino alla coscia, in pelle lucida, con tacchi vertiginosi. Le punte erano metalliche, così il mio cliente poteva sentire risuonare i miei passi. Il collo era ornato da un choker in pelle.
Trovai una scatoletta con dei trucchi e li usai. Sugli occhi misi uno smokey intenso, emanando una promessa di piacere e punizione. Dipinsi le labbra di un rosso scuro, sembravano pronte a sussurrare comandi irresistibili. I capelli, pettinati in un'elegante coda alta, aggiungevano un ulteriore tocco di severità al mio aspetto impeccabile.
Come tocco finale afferrai una frusta, simbolo del mio dominio.
Avanzai nella stanza recitando una finta sicurezza. Il mio outfit mi aiutava a interpretare quel ruolo. Mentre mi vestivo, notavo che lui si accarezzava il pacco da sopra i pantaloni. Aveva già iniziato male, e gli frustai le nocche della mano destra.
Nella penombra della stanza, illuminata solo da una luce rossa soffusa, il suono dei miei tacchi risuonava come un'eco autoritaria. Feci inginocchiare il mio cliente al centro della stanza; mi guardava con un misto di timore e desiderio. Gli feci togliere la camicia, esponendo il torace nudo, già segnato da precedenti sessioni. Afferrai una corda dal mobile accanto a me e gli legai le mani dietro la schiena, avvolgendo le corde con precisione e fermezza.
"Guarda in basso," ordinai con una voce fredda e tagliente. Obbedì immediatamente, chinando il capo. La frusta nella mia mano destra emise un sibilo nell'aria mentre la facevo schioccare vicino al suo orecchio, solo per vederlo sussultare.
"Sei qui per servirmi e obbedirmi," dissi, camminando lentamente intorno a lui, osservando ogni dettaglio del suo corpo teso. "Qualsiasi errore verrà punito. Chiaro?"
"Chiaro, padrona," rispose con un filo di voce.
Mi fermai davanti a lui, sollevai il mento con la punta della frusta e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. Vidi il conflitto nelle sue iridi, la lotta tra il desiderio di piacere e il timore della punizione. Senza distogliere lo sguardo, scesi lentamente la frusta lungo il suo collo, tracciando una linea invisibile fino al petto.
"Contare," ordinai, sollevando la frusta. Il primo colpo cadde sulla sua spalla sinistra, un taglio netto e preciso. Lui sussultò, ma non perse tempo.
"Uno," disse, la voce tremante ma ferma.
Il secondo colpo arrivò immediatamente dopo, sul lato opposto. "Due," contò, il respiro più affannoso.
Continuai con una serie di colpi, alternando la frusta a piccoli schiaffi con il palmo guantato, osservando attentamente le sue reazioni. Ogni segno sulla sua pelle era un tributo alla mia autorità, e ogni numero che contava era un promemoria del suo posto in quella stanza.
Quando raggiunsi il decimo colpo, la sua schiena era rossa e segnata. Lo fermai, accarezzando le linee che avevo tracciato con la frusta. "Hai fatto bene," dissi con un tono più morbido, quasi affettuoso. "Ora, un'altra prova."
Lo liberai dalle corde, facendolo alzare in piedi. "Avvicinati," ordinai, sedendomi su una poltrona di pelle nera al centro della stanza. Lui si avvicinò esitante, le gambe leggermente tremanti. Lo feci inginocchiare davanti a me e lo guardai dall'alto in basso, il potere della mia posizione chiaro e indiscutibile.
"Massaggiami le gambe," dissi, estendendo una gamba. Senza esitare, iniziò a massaggiarmi, i suoi tocchi delicati ma sicuri. Chiusi gli occhi per un momento, godendomi la sensazione di essere servita, il piacere di avere il controllo completo.
"Sei un buon servitore," sussurrai, aprendo gli occhi per guardarlo di nuovo. "Ma ricordati sempre chi comanda."
Con un ultimo sguardo severo, lasciai che il mio cliente continuasse il massaggio, consapevole che ogni azione, ogni respiro, ogni parola era sotto il mio completo controllo. La tensione nella stanza era palpabile mentre il mio cliente continuava a massaggiarmi le gambe con devozione. Sentivo il potere scorrere attraverso ogni fibra del mio essere, alimentato dalla sua sottomissione. Lo osservavo dall'alto, notando come cercasse di eseguire ogni movimento alla perfezione, il suo respiro irregolare e la pelle ancora segnata dalle frustate.
"Alzati," ordinai infine, ritraendo i piedi e fissandolo con uno sguardo penetrante. Lui obbedì immediatamente, le mani tremanti che cercavano di trovare un equilibrio mentre si alzava. Con un cenno del capo, lo feci girare, esponendo di nuovo la schiena rossa e segnata.
"Cammina verso il tavolo," dissi, la mia voce fredda e autoritaria. "Piegati in avanti e appoggia le mani sul bordo."
Mentre lui eseguiva l'ordine, mi alzai dalla poltrona e mi avvicinai lentamente, facendo scorrere le dita guantate lungo il suo corpo, dal collo fino alla parte bassa della schiena. Ogni contatto era un promemoria del mio controllo, della mia capacità di dare piacere e dolore a mio piacimento.
Presi una candela accesa dal tavolo e, con un movimento lento e deliberato, inclinai la fiamma, lasciando che la cera calda iniziasse a gocciolare sulla sua schiena. Il primo contatto della cera sulla sua pelle lo fece sussultare, un gemito soffocato uscì dalle sue labbra.
"Rimani fermo," sibilai, osservando come la cera formasse piccoli rivoli che si solidificavano rapidamente. "Questo è un test della tua resistenza."
Continuai a far colare la cera, creando un disegno caotico sulla sua schiena, ogni goccia un piccolo tormento che lo costringeva a restare concentrato sul suo ruolo di sottomesso. Quando ebbi finito, posai la candela e mi avvicinai di nuovo, osservando il mio lavoro con soddisfazione.
"Molto bene," dissi, accarezzando le linee di cera con un dito. "Sei stato bravo. Ora, per il finale."
Lo feci girare e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. La sua espressione era un misto di dolore, piacere e adorazione. "Stenditi sul letto," ordinai. Lui obbedì senza esitazione, posizionandosi al centro del letto con le mani legate sopra la testa.
Presi una serie di accessori dal tavolo: una gag ball, alcuni morsetti per capezzoli e un vibratore. Mi avvicinai al letto, sollevando la gag ball. "Apri la bocca," dissi. Lui aprì la bocca e io gli misi la gag ball, assicurandola dietro la testa. I suoi gemiti erano ora soffocati, aggiungendo un ulteriore livello di sottomissione.
Applicai i morsetti ai suoi capezzoli, stringendoli con precisione e osservando la sua reazione al dolore. Presi delle forbici e con abili movimenti gli tagliai i pantaloni e li tolsi. Vidi la sua erezione e ne fui delusa. Infine, accesi il vibratore e lo posizionai tra le sue gambe, facendo scivolare la punta lungo la sua pelle sensibile.
"Questo è il tuo premio," dissi con un sorriso freddo. "Goditelo finché puoi."
Mentre il vibratore faceva il suo lavoro, mi sedetti accanto a lui, osservando ogni spasmo, ogni respiro affannoso, ogni tentativo di muoversi sotto il mio controllo. La stanza era riempita dai suoni dei suoi gemiti soffocati e dal ronzio del vibratore, creando un'atmosfera carica di tensione e desiderio.
"Ricorda," dissi infine, chinandomi verso il suo orecchio. "Ogni piacere che provi, ogni ondata di piacere e dolore, è un dono che ti concedo. Non dimenticarlo mai."
Con queste parole, mi allontanai leggermente, continuando a osservare il mio cliente mentre si perdeva nei vortici del piacere e della sottomissione. Ogni istante era un trionfo del mio dominio, un'affermazione del mio ruolo come padrona assoluta.
Il ronzio del vibratore continuava a riempire la stanza, mescolandosi ai gemiti soffocati del mio cliente. Ogni fibra del suo corpo era tesa, sospesa tra il dolore e il piacere, in attesa del mio prossimo comando. Lo osservavo attentamente, godendo della vista del suo corpo contorcersi sotto la mia mano esperta.
"Sei vicino, vero?" chiesi, anche se già conoscevo la risposta. La sua testa annuì freneticamente, gli occhi chiusi in uno sforzo disperato di trattenere l'orgasmo che montava dentro di lui.
"Non ancora," dissi con una voce fredda, ritirando il vibratore per un momento. Lui gemette disperato, il suo corpo si arcuò verso di me, cercando il contatto che gli avevo negato. "Devi guadagnartelo."
Lasciai che l'anticipazione crescesse, ogni secondo sembrava un'eternità per lui. Quando vidi che era al limite, riavvicinai il vibratore, questa volta premendolo con maggiore intensità contro di lui. "Adesso," sussurrai con voce bassa ma autoritaria. "Lasciati andare."
Il suo corpo si irrigidì all'istante, un gemito soffocato esplose attraverso la gag ball mentre l'orgasmo lo travolgeva. Ogni muscolo sembrava tremare in sincronia, onde di piacere attraversavano il suo corpo in un crescendo apoteotico. Continuai a tenere il vibratore premuto, prolungando la sua estasi fino a quando ogni fibra del suo essere fu completamente consumata.
Quando infine si placò, rimossi delicatamente il vibratore e la gag ball, permettendogli di riprendere fiato. I suoi occhi erano pieni di gratitudine e sfinimento, un riflesso del suo completo abbandono alla mia volontà.
"Bravo," dissi con un sorriso soddisfatto, accarezzandogli il viso con un gesto quasi affettuoso. "Hai fatto bene."
Mi alzai dal letto, sistemando il mio abbigliamento con calma. "Riposa ora," ordinai. "Ti sei guadagnato questo momento."
Mentre lo lasciavo lì, disteso e sfinito, un senso di compiutezza mi pervase. Ogni momento della nostra interazione era stato un perfetto equilibrio di controllo, sottomissione, dolore e piacere. Rimasi sorpresa dalla potenza del mio dominio.
Mi avvicinai all'uscita e mi girai, fissandolo con uno sguardo glaciale. "Mi aspetto il bonifico entro domani," dissi con voce tagliente. "Altrimenti ti faccio causa e tutti sapranno di te, pure tua moglie."
Chiusi la porta dietro di me, lasciando il mio cliente in un torpore post-orgasmico, sapendo che aveva vissuto un'esperienza indimenticabile. Ero sicura che avrebbe ricordato ogni singolo istante della nostra sessione, con la consapevolezza che ogni piacere che aveva provato era un dono, una manifestazione del mio potere assoluto.
Ogni passo che facevo lontano dalla stanza mi dava una sensazione di appagamento e controllo. Ogni gemito soffocato, ogni sussulto del suo corpo era un trionfo del mio dominio. La mia mente era già alla prossima sessione, pianificando nuove modalità per esercitare il mio potere.
L'odore della cera bruciata e del cuoio ancora pervadeva l'aria mentre mi allontanavo, un promemoria tangibile del potere che avevo esercitato. Sentivo il battito del mio cuore lento e controllato, riflettendo la mia calma e determinazione.
Attraversai il corridoio con un'aria di trionfo, consapevole che il mio cliente non avrebbe mai osato disobbedire. Avevo piantato nel suo animo un seme di paura e adorazione che avrebbe nutrito la sua sottomissione. Ero il suo mondo, la sua padrona, e nulla avrebbe potuto cambiare questo equilibrio di potere.
Raggiunsi la porta d'ingresso e la aprii con decisione. L'aria fresca della notte mi accolse, portando con sé una sensazione di libertà e controllo assoluto. Sorrisi tra me e me, compiaciuta del mio dominio incontrastato.
Salendo sulla mia auto, sentii una scarica di adrenalina attraversarmi. Ogni dettaglio della serata era stato improvvisato, un balletto di potere e sottomissione che aveva raggiunto il suo apice con la mia ultima minaccia. Il bonifico sarebbe arrivato, ne ero certa.
scritto il
2024-06-07
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