Il cielo di fine novembre
di
Aramis
genere
gay
Il cielo di fine di novembre era scuro ed imbronciato, pronto a riversare la sua pioggia su di me. Il vecchio cimitero era silenzioso e freddo.
Ero là da solo e infagottato nel mio cappotto, sperando di tenere lontano il raffreddore.
Poi abbassai lo sguardo alla tomba di fronte a me, mentre le foglie morte venivano soffiate sui miei piedi. La ghirlanda che avevo messo da poco sembrava curiosamente fuori luogo fra la quantità di fiori morti. Sotto l’enorme testa di pietra fra angeli, c’era il nome: Pietri e sotto la scritta: “Matteo, Marito e Padre Adorato .”
Alla mia sinistra io sentii improvvisamente il gracchiare di un corvo. Guardai e lo vidi alto sul vecchio albero dove, da bambino, giocavo ma, cosa più importante, dove ricevetti il mio primo bacio da un uomo.
Camminai verso l'albero mentre il corvo, scuro contro il cielo imbronciato, mi guardava con curiosità.
Lo trovai. Fra le tante altre c’erano le iniziali M.P. + N.M.
Era piacevole sapere che non dicevano niente agli altri se non a me. Tracciai le incisioni col dito inguantato, ricordando quello che voleva dire.
Anche nell’aria fredda, fui preso da una calda sensazione. Ricordavo come se fosse statoil giorno precedente. Io ero giovane ed innamorato. Avevo un amore senza speranza per il giovane custode del cimitero, “Matteo, Marito e Padre Adorato.” Solo che allora non lo era.
Era l’estate del '69, una lunga estate senza fine in cui cresceva la curiosità in me, sull'orlo della virilità. È conosciuta come l'estate dell’amore, quando gli hippy inscenavano sit-in e love-in. Come sarebbe stato vero per me.
La mia famiglia viveva alla periferia della città, vicino al cimitero. I miei amici ed io normalmente lo attraversavamo per andare nel bosco. Poi un giorno, lo vidi per la prima volta. Era un gigante biondo a torso nudo, con la pelle abbronzata da una vacanza primaverile su una spiaggia della Riviera. I suoi capelli un po’ lunghi erano schiariti a strisce dal sole, fra il giallo scuro ed il platino. I suoi occhi erano di un blu brillante come acque marine. Non avevo mai visto un uomo più bello.
Si solito era a torso nudo, portava sneakers e per la maggior parte del tempo dei jeans corti con le tasche che gli penzolavano lungo le lunghe gambe pelose mentre guidava il trattore. Mi piaceva quando lo vedevo così perché mi sembrava nudo e mi chiedevo quanto era peloso il suo inguine. Qualche volta mi salutava con la mano, penso fosse abituato a vedermi là.
Un caldo pomeriggio pensai di portarmi un’altra gazzosa pensando che era possibile che la volesse. Trovai abbastanza coraggio per offrirgliela e lui l’accettò.Era seduto sul suo trattore, la testa inclinata indietro con le gambe pelose spalancate, come se mi si offrisse.
Qualche volta era volgare ed usava parole come merda, cazzo e piscia. Ora capisco che lo faceva solo per impressionarmi.
In un angolo del cimitero c’era un vecchio capannone degli attrezzi con una capanna su di un lato. Era puzzolente, aveva bisogno di riparazioni e di essere ridipinto.
Dentro c'erano delle vecchie riviste di nudo con pagine incollate insieme. I muri sporchi erano coperti di graffiti ed immagini mal disegnate di persone che facevano sesso. Un paio di immagini erano chiaramente di uomini che si succhiavano l'un l'altro e si inculavano. Qualche volta andavo là col pretesto di cagare, ma sbirciavo Matt sul suo trattore attraverso uno dei molti buchi nel muro e mi masturbavo.
Un pomeriggio arrivai al cimitero e lo vidi che parlava una donna biondo platino. Lei teneva elegantemente una sigaretta tra due dita all’altezza della sua spalla. Indossava un largo vestito estivo a fiori e sul viso un grande paio di occhiali da sole scuri. Sembrava una vecchia attrice.
Di quando in quando lei rideva rumorosamente e si accarezzava i capelli cotonati come per tenerli a posto.
Era evidentemente una donna di qualche importanza; forse la moglie di qualche ricco, lo si poteva capire dalla enorme macchina che guidava.
Vidi che posava una mano sul ginocchio di Matt. Gli disse a bassa voce qualche cosa nell’orecchio. Anche da dove stavo lo vidi diventare rosso come una barbabietola. Lui guardò il suo orologio, poi si guardò intorno per vedere se qualcuno stava guardando.
Io mi nascosi dietro l’albero. Quando tornai a guardare li vidi che camminavano verso il magazzino degli attrezzi. Aspettai che fossero dentro prima di decidermi a seguirli, volevo vedere cosa facevano, anche se avevo un'idea abbastanza chiara.
Mi avvicinai il più silenziosamente possibile al capannone ed entrai nella capanna laterale, trattenni il fiato e misi un orecchio al muro che divideva i due spazi. Li sentii bisbigliare e lei ridere, poi il silenzio. Attraverso un piccolo buco li vidi, Matt aveva la schiena verso di me e lei stava di fronte a lui. Le sue mani erano sulla sua schiena e lo stringeva.
Le mie emozioni aumentarono mentre guardavo, ero eccitato ma geloso; li odiavo, odiavo specialmente lei.
Vidi le sue mani scivolare giù al sedere e stringerlo. Poi, con mio stupore, lei gli abbassò i pantaloncini mettendo in mostra il suo bel culo. Le dita dalle unghie smaltate di rosso strinsero più forte le sue natiche. Lo sentii lamentarsi.
Fu allora che mi resi conto di quello che stava accadendo, lei era in ginocchio e gli succhiava il cazzo.
Ora la odiavo veramente. Ero arrabbiato con loro, ma volevo vedere.
“Oh, baby, sei grosso!” La sentii dire. Poi la sentii lamentarsi con la bocca piena.
Gemetti, perché non potevo essere io là con lui? Ero così geloso! Smisi di guardare e mi sedetti allontanandomi dal muro. Mi spremetti l’inguine e pensai il da fasi.
Improvvisamente la porta dietro di me si spalancò, il bagliore del sole di mezzogiorno mi accecò momentaneamente. La donna con le labbra imbrattate di rosso mi stava guardando. Mi afferrò violentemente per un braccio e mi fece alzare.
“Tu, viscido piccolo pervertito!” gridò. “Chi ti ha mandato qui?”
“Nessuno. Stavo solo usando il cesso.” Dissi spostando lo sguardo da lei a Matteo.
“Sei un bugiardo! Tu stavi spiando. Come osi spiarmi?” Sparò le parole come fossero veleno e le mie orecchie bruciavano d’imbarazzo.
“No! Mi lasci andare!”
Dietro di lei Matteo si stava affrettando a chiudere la lampo ed ansiosamente si guardava intorno.
“Shh!”
Fece mettendosi un dito sulle labbra.
“Non gridare così forte, qualcuno potrebbe sentirti.” Implorò.
Lei si girò improvvisamente verso di lui e, sempre tenendomi, lo schiaffeggiò con forza sulla faccia.
Stupito ed ammutolito lui la fissò incredulo toccandosi la guancia arrossata. “Non dirmi cosa devo fare!” Esclamò.
“Mi lasci andare!”
Dissi io rompendo la tensione. Lei girò la sua collera su di me e mi schiaffeggiò. Mi coprii una guancia e sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma non volevo piangere; non di fronte a Matteo.
“Taci piccola checca! Cosa stavi facendo? È questo questo che volevi vedere?” Chiese afferrando l’inguine di Matteo.
“Lascialo andare, puttana!”
Disse lui spingendo via la sua mano. Quando lei allentò la presa, mi dimenai fuori dai suoi rossi artigli e corsi via.
“Ritorna qui!”
Mi gridò dietro.
Mi guardai alle spalle una sola volta. Li vidi litigare, poi lei corse alla sua macchina e partì sgommando ed alzando la ghiaia dietro di sè.
Ero così pieno di ira e vergogna che dovetti fermarmi per calmarmi prima di tornare a casa.
“Quella puttana!”
E ripetei le parole di Matteo. Le ripetei anche quella notte a letto, il disgraziato
incidente non abbandonava la mia mente, sentivo ancora bruciare la guancia. Ci volle molto tempo prima che potessi addormentarmi.
Per giorni pensai di tornare da lui, ma non ci riuscivo, ero ancora troppo pieno di vergogna. Ma la mia libidine era più forte della ragione ed io mi trovai davanti ai cancelli del cimitero.
Mi ero appena lavato e portavo il miei shorts nuovi oscenamente troppo piccoli. Anche questa volta portavo una gazzosa in più, sperando che Matteo fosse assetato per il sole a picco.
Sentivo il motore del trattore e mi incamminai verso il rumore senza sapere cosa aspettarmi.
Finalmente lo vidi che veniva nella mia direzione. Era concentrato sul suo lavoro ma mi vide ed agitò la mano. Il mio cuore sussultò, non era arrabbiato con me.
Si fermò, spense il motore e scese. Solo che non venne verso di me, andò verso il capanno degli attrezzi.
Mi sembrò strano che mi salutasse e poi si allontanasse. Lo vidi entrare nel capanno, ma prima si voltò, mi fece l'occhiolino e sorrise. Poi mi sembrò che facesse una cosa, non ne ero sicuro, mi sembrò che si stringesse l’inguine.
Fui attraversato da un brivido, rimasi fermo senza sapere cosa fare. Aspettai alcuni lunghi minuti prima di decidermi ad andare.
Entrai lentamente nel capanno laterale, il ricordo della donna che mi si era avvicinata mi terrorizzava ancora, così chiusi la porta a chiave.
Andai subito al muro dove erano i buchi. Mi inginocchiai per evitare di sporcare i pantaloncini nuovi.
Poi lui entrò nel mio campo visivo. Attraversò la stanza togliendosi la camicia e si sedette su un altro trattore. Lo guardai affascinato passarsi lentamente la mano sul corpo. Le sue dita colpirono piano i capezzoli. Una mano scivolò in giù sulla pancia piatta, carezzando la linea di sottili peli.
Quindi aprì il primo bottone dei pantaloncini.
Io ansai.
Abbassò lentamente la cerniera. Perline di sudore apparvero sotto il suo naso e si morsicò il labbro inferiore.
Quando la chiusura lampo fu completamente abbassata, si alzò e mi girò la schiena.
Io guardai in attesa mentre abbassava i pantaloncini ed esponeva il suo bel culo bianco. Era coperto di bei peli ricci.
Barcollai, poi improvvisamente si girò di lato ed il suo cazzo entrò nella mia visuale. Ansai, era quello che volevo vedere da quando avevo messo gli occhi la prima volta su quel fusto biondo, ed ora era lì in tutta la sua magnificenza.
Era bianco come il suo culo non abbronzato, col prepuzio che copriva solamente a metà la testa.
Lentamente ed amorosamente fece scivolare la mano su e giù per la sua lunghezza.
Ero abbastanza vicino per vedere le vene blu scuro che correvano sulla sua superficie. Alla base c’era un'abbondanza di peli rosso pallido. Le palle pendevano nella loro borsa protettiva e pelosa come due uova in una borsa di seta. Col pollice spinse in giù l’uccello.
Quando lo lasciò andare, saltò su e schiaffeggiò rumorosamente contro la pancia tesa. Lo fece due volte. Poi lo tenne e si curvò.
Lo guardai incredulo mentre sporgeva la lingua fuori e leccava piano la cappella. Quindi fece una cosa inaspettata: girò la testa, guardò diritto verso di me e sorrise.
Indicò con un dito e bisbigliò: “Vieni qui!”
Gelai, sapeva che lo stavo guardando. Mi sentii avvampare per l’imbarazzo, mi sedetti senza sapere cosa fare. Lentamente mi avvicinai al muro e guardai di nuovo.
“Per favore!” Lui aggiunse.
Lentamente mi alzai ed in trance mi avviai verso il capanno. Il mio cuore batteva per l’eccitazione e l'attesa.
Aprii lentamente la porta. Fui affascinato dal modo in cui era seduto sul trattore senza uno straccio di vestito a parte le scarpe.
Le sue lunghe gambe erano aperte come per invitarmi oscenamente ad avvicinarmi.
Io mi mossi verso di lui.
C’era un caldo soffocante. L'odore di grasso, benzina ed erba secca mi riempì le narici.
Più mi avvicinavo a lui e più potevo sentire il calore del suo corpo. Poi il suo profumo mi colpì. Aveva un profumo di burrocacao, sudore e sale tutto mescolato insieme; l'odore di un giovane che lavorava al sole caldo. Non era un insieme sgradevole.
I suoi occhi blu mi perforavano mentre lui si menava il cazzo.
“Togliti la camicia!”
Disse in un bisbiglio rauco.
Obbedii, lui allungò una mano verso di me. Mi resi conto che quella era la prima volta che ci toccavamo. L'elettricità del momento volò sul mio braccio ed attraverso il mio corpo, giù fino al mio inguine.
Ora lui era tutto mio ma quello di cui non mi rendevo conto era che avrei fatto qualsiasi cosa mi chiedesse di fare.
Gettai da parte la camicia mentre lui guardava con occhi affamati e la sua mano scivolava lentamente su e giù lungo la lunghezza impressionante del suo attrezzo magnifico. Sembrava incredibilmente duro, quasi dolorante, e non ci potevo distogliere gli occhi.
“Sapevo che stavi guardando.”
Finalmente disse.
“Non pensavo che lei ti scoprisse o fosse tanto arrabbiata. Lei è una vecchia troia, ad ogni modo.”
“Uh uh,”
Fu tutto quello che riuscii a dire.
“Mi piace essere guardato.”
Ammise.
Io ero tra le sue gambe aperte con le mani sulle sue gambe. Sentivo il calore che emana dal suo inguine come un forno.
“Toccami le palle.”
Erano incredibilmente calde e pendendo mi impedivano la vista del buco del culo.
Chiuse gli occhi in estasi quando le toccai.
Poi mise una mano sulla mia spalla e lo sentii spingere. Voleva che mi piegassi ed io lo feci sino a che le sue palle furono vicine alle mie labbra.
“Leccale!” Bisbigliò.
Avevano un odore muschiato che trovavo eccitante. La mia lingua le colpì leggermente e lo sentii gemere. Gli leccai e succhiai le palle godendo del contatto e della loro consistenza. Avidamente tentai di prenderle ambedue in bocca, ma scoprii che non riuscivo. Dovevo prenderne una alla volta.
Il suo cazzo era posato sodo e lungo sulla sua pancia, io non riuscivo a distoglierne gli occhi. Era uno di quei grossi cazzi con una grossa corda che corre lungo la parte inferiore.
Il suo sedere era all’altezza del mio mento.
Di tanto in tanto strisciavo la lingua più in basso sotto le palle per passarla leggermente sull'orlo del buco del culo.
Quando lo facevo lui si scuoteva e gemeva. Respirava affannosamente e mi teneva stretta la testa.
Io volevo assaggiare il suo uccello.
“Oh, sì!” Gemette.
Glielo presi in mano e sbarrò gli occhi blu guardandomi con desiderio. Era
grosso e più lungo del mio. Lo portai alle mie labbra. Sulla testa c’era una goccia chiara di liquido pre seminale; la leccai e poi allontanai la lingua.
Per un momento fummo legati da questo filo. Senza pensarci ulteriormente e senza vergognarmene presi in bocca il suo cazzo che pulsava ad ogni battito del suo cuore. Era liscio e sodo come un’asta coperta di velluto. Le mie labbra scivolavano su e giù sulla sua testa, poi scivolò più profondamente nella mia gola.
“Oh cazzo!” Gemette. “La tua bocca è così morbida.”
Teneva la mia testa con ambedue le mani mentre mi usava la bocca.
La bava mi gocciolava giù per il mento e sopra il torace.
Il rumore del mio succhiare riempiva lo spazio, se qualcuno si fosse avvicinato avrebbe subito capito cosa stava accadendo.
Improvvisamente pensai alla donna cotonata e sorrisi fra di me col suo grosso cazzo giù nella mia gola, nonostante il suo potere, io avevo quello che lei voleva.
Alzai lo sguardo e guardai il suo torace che si alzava ed abbassava. Osservai le sue ascelle; i peli erano bagnati di sudore che gocciolava sui suoi fianchi. I capelli biondi gli cadevano sulla fronte.
Il mix di odori nel piccolo spazio, il profumo muschiato del suo inguine e del suo sedere, il contatto con il grosso, vellutato cazzo alabastrino che scivolava sulla mia lingua e giù nella mia gola mi stavano inebriando.
Con gli occhi pieni di lacrime lo guardavo intimorito.
Lui si afferrò al sedile del vecchio trattore con ambedue le mani per non cadere. Capii che si stava avvicinando all’orgasmo. Aveva un'espressione concentrata mentre fissava il soffitto.
Ansioso di fargli un favore, mossi la testa su e giù sul suo uccello. Non sapevo cosa sarebbe successo alla fine, ma volevo che lui capisse che stavo facendo del mio meglio per dargli piacere. Di tanto in tanto ingoiavo il suo pene il più profondamente possibile nella mia gola senza soffocare.
Altre volte portavo la mano davanti alla bocca a coprire di saliva il suo uccello. Stavo godendo del potere che avevo su di lui, il potere di farlo lamentare e vibrare di piacere.
Anche se era più vecchio di me, io lo portavo dove volevo.
Il suo corpo tremò sotto l'assalto furioso del suo orgasmo che si avvicinava.
Si fermò per un secondo. Tutto era silenzio. Poi venne con un grugnito.
Il grugnito si mutò in un lungo lamento mentre mi riempiva la bocca.
Sentii il suo sperma sulla mia lingua, salato e dolce allo stesso tempo, per poi versarsi nella mia gola.
Lo ingoiai boccone dopo boccone continuando a cavalcare il suo cazzo come un cavaliere su di un puledro selvaggio, rimbalzandoci sopra.
Contemporaneamente mi masturbavo e poi toccò a me.
Col sapore del suo sperma ancora fresco sulle labbra venni. Sparai fiotto dopo fiotto del mio sperma sul vecchio trattore.
Mi accorsi che ambedue eravamo bagnati fradici ed assurdamente ridemmo.
Lui aveva un’espressione meravigliosa di autocompiacimento.
Ci vestimmo ed uscimmo dal piccolo capannone. Fuori c’era una pompa dove ci lavammo mentre io guardavo incantato i suoi bei muscoli.
Andammo avanti così tutta l'estate. Alla fine, poco prima che la scuola cominciasse, c'incontrammo per quella che doveva essere l'ultima volta. Era sera ed eravamo sotto il vecchio albero. Lui mi disse che doveva ritornare all'università e per un po’ non avremmo potuto vederci. Mi abbracciò stretto e mi baciò. Un bacio lungo ed appassionato, e lui usò la lingua, come fanno gli innamorati nei film, poi con mia sorpresa mi salutò ed andò via senza chiedermi di succhiarlo.
Lo vidi salire in macchina e partire.
Quella notte intagliai le nostre iniziali sull'albero, volevo ricordare quell’evento per sempre… come se avessi mai potuto dimenticarlo...
Ero là da solo e infagottato nel mio cappotto, sperando di tenere lontano il raffreddore.
Poi abbassai lo sguardo alla tomba di fronte a me, mentre le foglie morte venivano soffiate sui miei piedi. La ghirlanda che avevo messo da poco sembrava curiosamente fuori luogo fra la quantità di fiori morti. Sotto l’enorme testa di pietra fra angeli, c’era il nome: Pietri e sotto la scritta: “Matteo, Marito e Padre Adorato .”
Alla mia sinistra io sentii improvvisamente il gracchiare di un corvo. Guardai e lo vidi alto sul vecchio albero dove, da bambino, giocavo ma, cosa più importante, dove ricevetti il mio primo bacio da un uomo.
Camminai verso l'albero mentre il corvo, scuro contro il cielo imbronciato, mi guardava con curiosità.
Lo trovai. Fra le tante altre c’erano le iniziali M.P. + N.M.
Era piacevole sapere che non dicevano niente agli altri se non a me. Tracciai le incisioni col dito inguantato, ricordando quello che voleva dire.
Anche nell’aria fredda, fui preso da una calda sensazione. Ricordavo come se fosse statoil giorno precedente. Io ero giovane ed innamorato. Avevo un amore senza speranza per il giovane custode del cimitero, “Matteo, Marito e Padre Adorato.” Solo che allora non lo era.
Era l’estate del '69, una lunga estate senza fine in cui cresceva la curiosità in me, sull'orlo della virilità. È conosciuta come l'estate dell’amore, quando gli hippy inscenavano sit-in e love-in. Come sarebbe stato vero per me.
La mia famiglia viveva alla periferia della città, vicino al cimitero. I miei amici ed io normalmente lo attraversavamo per andare nel bosco. Poi un giorno, lo vidi per la prima volta. Era un gigante biondo a torso nudo, con la pelle abbronzata da una vacanza primaverile su una spiaggia della Riviera. I suoi capelli un po’ lunghi erano schiariti a strisce dal sole, fra il giallo scuro ed il platino. I suoi occhi erano di un blu brillante come acque marine. Non avevo mai visto un uomo più bello.
Si solito era a torso nudo, portava sneakers e per la maggior parte del tempo dei jeans corti con le tasche che gli penzolavano lungo le lunghe gambe pelose mentre guidava il trattore. Mi piaceva quando lo vedevo così perché mi sembrava nudo e mi chiedevo quanto era peloso il suo inguine. Qualche volta mi salutava con la mano, penso fosse abituato a vedermi là.
Un caldo pomeriggio pensai di portarmi un’altra gazzosa pensando che era possibile che la volesse. Trovai abbastanza coraggio per offrirgliela e lui l’accettò.Era seduto sul suo trattore, la testa inclinata indietro con le gambe pelose spalancate, come se mi si offrisse.
Qualche volta era volgare ed usava parole come merda, cazzo e piscia. Ora capisco che lo faceva solo per impressionarmi.
In un angolo del cimitero c’era un vecchio capannone degli attrezzi con una capanna su di un lato. Era puzzolente, aveva bisogno di riparazioni e di essere ridipinto.
Dentro c'erano delle vecchie riviste di nudo con pagine incollate insieme. I muri sporchi erano coperti di graffiti ed immagini mal disegnate di persone che facevano sesso. Un paio di immagini erano chiaramente di uomini che si succhiavano l'un l'altro e si inculavano. Qualche volta andavo là col pretesto di cagare, ma sbirciavo Matt sul suo trattore attraverso uno dei molti buchi nel muro e mi masturbavo.
Un pomeriggio arrivai al cimitero e lo vidi che parlava una donna biondo platino. Lei teneva elegantemente una sigaretta tra due dita all’altezza della sua spalla. Indossava un largo vestito estivo a fiori e sul viso un grande paio di occhiali da sole scuri. Sembrava una vecchia attrice.
Di quando in quando lei rideva rumorosamente e si accarezzava i capelli cotonati come per tenerli a posto.
Era evidentemente una donna di qualche importanza; forse la moglie di qualche ricco, lo si poteva capire dalla enorme macchina che guidava.
Vidi che posava una mano sul ginocchio di Matt. Gli disse a bassa voce qualche cosa nell’orecchio. Anche da dove stavo lo vidi diventare rosso come una barbabietola. Lui guardò il suo orologio, poi si guardò intorno per vedere se qualcuno stava guardando.
Io mi nascosi dietro l’albero. Quando tornai a guardare li vidi che camminavano verso il magazzino degli attrezzi. Aspettai che fossero dentro prima di decidermi a seguirli, volevo vedere cosa facevano, anche se avevo un'idea abbastanza chiara.
Mi avvicinai il più silenziosamente possibile al capannone ed entrai nella capanna laterale, trattenni il fiato e misi un orecchio al muro che divideva i due spazi. Li sentii bisbigliare e lei ridere, poi il silenzio. Attraverso un piccolo buco li vidi, Matt aveva la schiena verso di me e lei stava di fronte a lui. Le sue mani erano sulla sua schiena e lo stringeva.
Le mie emozioni aumentarono mentre guardavo, ero eccitato ma geloso; li odiavo, odiavo specialmente lei.
Vidi le sue mani scivolare giù al sedere e stringerlo. Poi, con mio stupore, lei gli abbassò i pantaloncini mettendo in mostra il suo bel culo. Le dita dalle unghie smaltate di rosso strinsero più forte le sue natiche. Lo sentii lamentarsi.
Fu allora che mi resi conto di quello che stava accadendo, lei era in ginocchio e gli succhiava il cazzo.
Ora la odiavo veramente. Ero arrabbiato con loro, ma volevo vedere.
“Oh, baby, sei grosso!” La sentii dire. Poi la sentii lamentarsi con la bocca piena.
Gemetti, perché non potevo essere io là con lui? Ero così geloso! Smisi di guardare e mi sedetti allontanandomi dal muro. Mi spremetti l’inguine e pensai il da fasi.
Improvvisamente la porta dietro di me si spalancò, il bagliore del sole di mezzogiorno mi accecò momentaneamente. La donna con le labbra imbrattate di rosso mi stava guardando. Mi afferrò violentemente per un braccio e mi fece alzare.
“Tu, viscido piccolo pervertito!” gridò. “Chi ti ha mandato qui?”
“Nessuno. Stavo solo usando il cesso.” Dissi spostando lo sguardo da lei a Matteo.
“Sei un bugiardo! Tu stavi spiando. Come osi spiarmi?” Sparò le parole come fossero veleno e le mie orecchie bruciavano d’imbarazzo.
“No! Mi lasci andare!”
Dietro di lei Matteo si stava affrettando a chiudere la lampo ed ansiosamente si guardava intorno.
“Shh!”
Fece mettendosi un dito sulle labbra.
“Non gridare così forte, qualcuno potrebbe sentirti.” Implorò.
Lei si girò improvvisamente verso di lui e, sempre tenendomi, lo schiaffeggiò con forza sulla faccia.
Stupito ed ammutolito lui la fissò incredulo toccandosi la guancia arrossata. “Non dirmi cosa devo fare!” Esclamò.
“Mi lasci andare!”
Dissi io rompendo la tensione. Lei girò la sua collera su di me e mi schiaffeggiò. Mi coprii una guancia e sentii le lacrime salirmi agli occhi, ma non volevo piangere; non di fronte a Matteo.
“Taci piccola checca! Cosa stavi facendo? È questo questo che volevi vedere?” Chiese afferrando l’inguine di Matteo.
“Lascialo andare, puttana!”
Disse lui spingendo via la sua mano. Quando lei allentò la presa, mi dimenai fuori dai suoi rossi artigli e corsi via.
“Ritorna qui!”
Mi gridò dietro.
Mi guardai alle spalle una sola volta. Li vidi litigare, poi lei corse alla sua macchina e partì sgommando ed alzando la ghiaia dietro di sè.
Ero così pieno di ira e vergogna che dovetti fermarmi per calmarmi prima di tornare a casa.
“Quella puttana!”
E ripetei le parole di Matteo. Le ripetei anche quella notte a letto, il disgraziato
incidente non abbandonava la mia mente, sentivo ancora bruciare la guancia. Ci volle molto tempo prima che potessi addormentarmi.
Per giorni pensai di tornare da lui, ma non ci riuscivo, ero ancora troppo pieno di vergogna. Ma la mia libidine era più forte della ragione ed io mi trovai davanti ai cancelli del cimitero.
Mi ero appena lavato e portavo il miei shorts nuovi oscenamente troppo piccoli. Anche questa volta portavo una gazzosa in più, sperando che Matteo fosse assetato per il sole a picco.
Sentivo il motore del trattore e mi incamminai verso il rumore senza sapere cosa aspettarmi.
Finalmente lo vidi che veniva nella mia direzione. Era concentrato sul suo lavoro ma mi vide ed agitò la mano. Il mio cuore sussultò, non era arrabbiato con me.
Si fermò, spense il motore e scese. Solo che non venne verso di me, andò verso il capanno degli attrezzi.
Mi sembrò strano che mi salutasse e poi si allontanasse. Lo vidi entrare nel capanno, ma prima si voltò, mi fece l'occhiolino e sorrise. Poi mi sembrò che facesse una cosa, non ne ero sicuro, mi sembrò che si stringesse l’inguine.
Fui attraversato da un brivido, rimasi fermo senza sapere cosa fare. Aspettai alcuni lunghi minuti prima di decidermi ad andare.
Entrai lentamente nel capanno laterale, il ricordo della donna che mi si era avvicinata mi terrorizzava ancora, così chiusi la porta a chiave.
Andai subito al muro dove erano i buchi. Mi inginocchiai per evitare di sporcare i pantaloncini nuovi.
Poi lui entrò nel mio campo visivo. Attraversò la stanza togliendosi la camicia e si sedette su un altro trattore. Lo guardai affascinato passarsi lentamente la mano sul corpo. Le sue dita colpirono piano i capezzoli. Una mano scivolò in giù sulla pancia piatta, carezzando la linea di sottili peli.
Quindi aprì il primo bottone dei pantaloncini.
Io ansai.
Abbassò lentamente la cerniera. Perline di sudore apparvero sotto il suo naso e si morsicò il labbro inferiore.
Quando la chiusura lampo fu completamente abbassata, si alzò e mi girò la schiena.
Io guardai in attesa mentre abbassava i pantaloncini ed esponeva il suo bel culo bianco. Era coperto di bei peli ricci.
Barcollai, poi improvvisamente si girò di lato ed il suo cazzo entrò nella mia visuale. Ansai, era quello che volevo vedere da quando avevo messo gli occhi la prima volta su quel fusto biondo, ed ora era lì in tutta la sua magnificenza.
Era bianco come il suo culo non abbronzato, col prepuzio che copriva solamente a metà la testa.
Lentamente ed amorosamente fece scivolare la mano su e giù per la sua lunghezza.
Ero abbastanza vicino per vedere le vene blu scuro che correvano sulla sua superficie. Alla base c’era un'abbondanza di peli rosso pallido. Le palle pendevano nella loro borsa protettiva e pelosa come due uova in una borsa di seta. Col pollice spinse in giù l’uccello.
Quando lo lasciò andare, saltò su e schiaffeggiò rumorosamente contro la pancia tesa. Lo fece due volte. Poi lo tenne e si curvò.
Lo guardai incredulo mentre sporgeva la lingua fuori e leccava piano la cappella. Quindi fece una cosa inaspettata: girò la testa, guardò diritto verso di me e sorrise.
Indicò con un dito e bisbigliò: “Vieni qui!”
Gelai, sapeva che lo stavo guardando. Mi sentii avvampare per l’imbarazzo, mi sedetti senza sapere cosa fare. Lentamente mi avvicinai al muro e guardai di nuovo.
“Per favore!” Lui aggiunse.
Lentamente mi alzai ed in trance mi avviai verso il capanno. Il mio cuore batteva per l’eccitazione e l'attesa.
Aprii lentamente la porta. Fui affascinato dal modo in cui era seduto sul trattore senza uno straccio di vestito a parte le scarpe.
Le sue lunghe gambe erano aperte come per invitarmi oscenamente ad avvicinarmi.
Io mi mossi verso di lui.
C’era un caldo soffocante. L'odore di grasso, benzina ed erba secca mi riempì le narici.
Più mi avvicinavo a lui e più potevo sentire il calore del suo corpo. Poi il suo profumo mi colpì. Aveva un profumo di burrocacao, sudore e sale tutto mescolato insieme; l'odore di un giovane che lavorava al sole caldo. Non era un insieme sgradevole.
I suoi occhi blu mi perforavano mentre lui si menava il cazzo.
“Togliti la camicia!”
Disse in un bisbiglio rauco.
Obbedii, lui allungò una mano verso di me. Mi resi conto che quella era la prima volta che ci toccavamo. L'elettricità del momento volò sul mio braccio ed attraverso il mio corpo, giù fino al mio inguine.
Ora lui era tutto mio ma quello di cui non mi rendevo conto era che avrei fatto qualsiasi cosa mi chiedesse di fare.
Gettai da parte la camicia mentre lui guardava con occhi affamati e la sua mano scivolava lentamente su e giù lungo la lunghezza impressionante del suo attrezzo magnifico. Sembrava incredibilmente duro, quasi dolorante, e non ci potevo distogliere gli occhi.
“Sapevo che stavi guardando.”
Finalmente disse.
“Non pensavo che lei ti scoprisse o fosse tanto arrabbiata. Lei è una vecchia troia, ad ogni modo.”
“Uh uh,”
Fu tutto quello che riuscii a dire.
“Mi piace essere guardato.”
Ammise.
Io ero tra le sue gambe aperte con le mani sulle sue gambe. Sentivo il calore che emana dal suo inguine come un forno.
“Toccami le palle.”
Erano incredibilmente calde e pendendo mi impedivano la vista del buco del culo.
Chiuse gli occhi in estasi quando le toccai.
Poi mise una mano sulla mia spalla e lo sentii spingere. Voleva che mi piegassi ed io lo feci sino a che le sue palle furono vicine alle mie labbra.
“Leccale!” Bisbigliò.
Avevano un odore muschiato che trovavo eccitante. La mia lingua le colpì leggermente e lo sentii gemere. Gli leccai e succhiai le palle godendo del contatto e della loro consistenza. Avidamente tentai di prenderle ambedue in bocca, ma scoprii che non riuscivo. Dovevo prenderne una alla volta.
Il suo cazzo era posato sodo e lungo sulla sua pancia, io non riuscivo a distoglierne gli occhi. Era uno di quei grossi cazzi con una grossa corda che corre lungo la parte inferiore.
Il suo sedere era all’altezza del mio mento.
Di tanto in tanto strisciavo la lingua più in basso sotto le palle per passarla leggermente sull'orlo del buco del culo.
Quando lo facevo lui si scuoteva e gemeva. Respirava affannosamente e mi teneva stretta la testa.
Io volevo assaggiare il suo uccello.
“Oh, sì!” Gemette.
Glielo presi in mano e sbarrò gli occhi blu guardandomi con desiderio. Era
grosso e più lungo del mio. Lo portai alle mie labbra. Sulla testa c’era una goccia chiara di liquido pre seminale; la leccai e poi allontanai la lingua.
Per un momento fummo legati da questo filo. Senza pensarci ulteriormente e senza vergognarmene presi in bocca il suo cazzo che pulsava ad ogni battito del suo cuore. Era liscio e sodo come un’asta coperta di velluto. Le mie labbra scivolavano su e giù sulla sua testa, poi scivolò più profondamente nella mia gola.
“Oh cazzo!” Gemette. “La tua bocca è così morbida.”
Teneva la mia testa con ambedue le mani mentre mi usava la bocca.
La bava mi gocciolava giù per il mento e sopra il torace.
Il rumore del mio succhiare riempiva lo spazio, se qualcuno si fosse avvicinato avrebbe subito capito cosa stava accadendo.
Improvvisamente pensai alla donna cotonata e sorrisi fra di me col suo grosso cazzo giù nella mia gola, nonostante il suo potere, io avevo quello che lei voleva.
Alzai lo sguardo e guardai il suo torace che si alzava ed abbassava. Osservai le sue ascelle; i peli erano bagnati di sudore che gocciolava sui suoi fianchi. I capelli biondi gli cadevano sulla fronte.
Il mix di odori nel piccolo spazio, il profumo muschiato del suo inguine e del suo sedere, il contatto con il grosso, vellutato cazzo alabastrino che scivolava sulla mia lingua e giù nella mia gola mi stavano inebriando.
Con gli occhi pieni di lacrime lo guardavo intimorito.
Lui si afferrò al sedile del vecchio trattore con ambedue le mani per non cadere. Capii che si stava avvicinando all’orgasmo. Aveva un'espressione concentrata mentre fissava il soffitto.
Ansioso di fargli un favore, mossi la testa su e giù sul suo uccello. Non sapevo cosa sarebbe successo alla fine, ma volevo che lui capisse che stavo facendo del mio meglio per dargli piacere. Di tanto in tanto ingoiavo il suo pene il più profondamente possibile nella mia gola senza soffocare.
Altre volte portavo la mano davanti alla bocca a coprire di saliva il suo uccello. Stavo godendo del potere che avevo su di lui, il potere di farlo lamentare e vibrare di piacere.
Anche se era più vecchio di me, io lo portavo dove volevo.
Il suo corpo tremò sotto l'assalto furioso del suo orgasmo che si avvicinava.
Si fermò per un secondo. Tutto era silenzio. Poi venne con un grugnito.
Il grugnito si mutò in un lungo lamento mentre mi riempiva la bocca.
Sentii il suo sperma sulla mia lingua, salato e dolce allo stesso tempo, per poi versarsi nella mia gola.
Lo ingoiai boccone dopo boccone continuando a cavalcare il suo cazzo come un cavaliere su di un puledro selvaggio, rimbalzandoci sopra.
Contemporaneamente mi masturbavo e poi toccò a me.
Col sapore del suo sperma ancora fresco sulle labbra venni. Sparai fiotto dopo fiotto del mio sperma sul vecchio trattore.
Mi accorsi che ambedue eravamo bagnati fradici ed assurdamente ridemmo.
Lui aveva un’espressione meravigliosa di autocompiacimento.
Ci vestimmo ed uscimmo dal piccolo capannone. Fuori c’era una pompa dove ci lavammo mentre io guardavo incantato i suoi bei muscoli.
Andammo avanti così tutta l'estate. Alla fine, poco prima che la scuola cominciasse, c'incontrammo per quella che doveva essere l'ultima volta. Era sera ed eravamo sotto il vecchio albero. Lui mi disse che doveva ritornare all'università e per un po’ non avremmo potuto vederci. Mi abbracciò stretto e mi baciò. Un bacio lungo ed appassionato, e lui usò la lingua, come fanno gli innamorati nei film, poi con mia sorpresa mi salutò ed andò via senza chiedermi di succhiarlo.
Lo vidi salire in macchina e partire.
Quella notte intagliai le nostre iniziali sull'albero, volevo ricordare quell’evento per sempre… come se avessi mai potuto dimenticarlo...
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