Redenzione
di
beatrice
genere
pulp
Roma a.d. 1630
era l'anno della peste, uno dei molti, sono scampata anche ad altri passaggi.
Nella città eterna eravamo come sotto assedio, con le scolte di medievale memoria ad ogni porta a non far entrare nessuno che potesse essere di contagio; l'allegria e il brio avevano lasciato il posto a sgomento e paura, anche se qualche bardo intonava un canto, affogato poco dopo nella mestizia dell'urbe. Anche le feste erano rare e ridotte, si sapeva che il morbo banchettava nelle bolgie, e le taverne rimanevano semivuote, con qualche donna del piacere, senza clienti, a stordirsi di sidro; unica scelta era chiudersi in casa.
Mi adeguai, ero giovane e molto attraente non potevo lasciarmi cadere come le altre, pensavo, ma intanto attendevo mia sorella per pranzo.
Stavo in via di Ripetta al secondo piano, in camera odor di carbone e vino che saliva dal molo sul Tevere; proprio li scesi per andare a prendere un fiasco da un mio amico barcarolo; con la testa fra le nuvole pensando a mia sorella, non sentii il cocchiere né gli zoccoli dei cavalli sul selciato ma l'urto della carrozza si, finii spalle a terra su quel letto immondo che erano le strade di Roma.
La vettura nera si fermò subito e scese un uomo, non giovane ma di bell'aspetto, dispiaciuto mi venne a rialzare e si presentò come Corner, l'abito lussuoso porporato tradiva la sua carica, istintivamente risposi ringraziando col mio nome vero, al che ci tenne a dirmi:
"madama, per qualunque cosa esigo che non esitiate a presentarvi a palazzo"
e mi lasciò un foglietto;
lo piegai e feci in modo vedesse che lo riponevo fra i seni.
Fu la mia occasione.
Un paio di giorni dopo, ma forse sbaglio... comunque, decisi di dar seguito all'invito: mi lavai accuratamente nella tinozza che avevo in camera e misi l'abito migliore di cui disponessi;
scesi in strada e per fortuna c'era un carretto a caricare damigiane, chiesi se poteva portarmi a san Marco, lui disse che andava a palazzo Odescalchi alla fine lì vicino.
Si lavò le mani.
Con la scusa di sorreggermi per lo sconnesso della strada toccava, lo considerai un pagamento.
Mi lasciò all'angolo di piazza Venezia e via papale e andò a rinfrescarsi alla fontana sotto le arcate del palazzetto, pochi metri e giunsi al portone.
Due guardie, di cui una conoscevo bene gli attributi, mi fermarono prima di varcare la soglia apostrofandomi per quella che ero, trassi il foglietto dallo scollo del vestito, vidi gli occhi dei due seguire le mie dita sotto la stoffa e tuffarsi nella piccola piega fra i seni, e lo consegnai recitando la formula che proprio in quell'anno era stata coniata:
"sono Chiara Dolfi invitata da sua eminenza reverendissima il cardinale Corner",
la carta profumava di me ma firma e sigillo erano certamente del cardinale,
"è autentica" disse la guardia che conoscevo all'altra annusando con piacere "la scorto al piano nobile" e a me: "seguitemi".
Non mi disse nulla salendo lo scalone, forse non mi aveva riconosciuta o forse del viso di una mignotta non gli importava granché; dopo tre sale immense di quadri ed affreschi e marmi policromi arrivammo in una saletta luminosa, ma molto intima,
"aspettate qui, sua eminenza la farà chiamare" mi disse e prese congedo, chiudendo la porta.
Nella stanza c'erano due divanetti che sembravano saccheggiati da una villa romana, un tavolo con due candelabri d'argento e una sedia su di un bel tappeto orientale; e libri, tanti libri, le pareti erano rivestite di teche chiuse e alte il doppio di me contenenti i volumi, c'era anche una scaletta appoggiata, un'anta era accostata; curiosa, aprii e toccai quelle costole che non avevo mai visto se non come messali sull'altare, un'onda d'odore di carta e inchiostro mi investi, m'inebriò, ne sfilai uno per guardarlo ma una voce leggera arrivò al mio orecchio:
"vedo ti piacciono",
"vostra eminenz..." iniziai, rimettendo a posto il tomo,
"Chiara, per te solo Federico, se vuoi" mi interruppe subito "e prendilo pure è il Decamerone, molto bello",
"ma io non so leggere" obiettai,
"allora dovremmo rimediare" mi si avvicinò e risfilato il libro lo posò sul tavolo "questo lo lasciamo qui e da domani iniziamo a leggerlo insieme",
"ma..." titubante " vi ringrazio, perché fate questo?",
"gradirei Federico, ci credi nel caso?",
"credo che nostro signore operi...",
"dimentica quel che sono e sii sincera" mi rinterruppe,
"no, non ci credo, credo che tutto abbia un motivo",
"meglio di un teologo, mi compiaccio, anche io",
"e, Federico, quale sarebbe un motivo?" chiesi timorosa,
"la tua salvezza, so quel che fai per vivere e che ti fai chiamare Cecilia, trovo bello che rispetti il tuo nome, che è lo stesso di mia madre ed anche il tuo cognome così simile al suo, non posso ignorare questi segnali",
"avrò bisogno di un altro invito, sono donna e non posso varcare impunemente la soglia di un cardinale",
"è vero, userai la porta della servitù, ti farò avere l'abito adatto, a domani" si allontanò benedicendomi,
"a domani emi... Federico" mi inchinai,
Appena tornata al mio appartamento ritirai il cuscino rosso, insegna del mio mestiere, dal davanzale: stavo per entrare nelle grazie di un potente e ricco cardinale.
Forte dell'abitudine indossai lo stesso, però, una vestaglia ricamata e succinta.
Pochi minuti dopo bussarono; la ruffiana, Perla, che abitava con me non era ancora rientrata e aprii non curante, la guardia si palesò:
"avevo il sospetto, Cecilia, ti potrei far arrestare!",
"e per cosa, Antonio, ho solo dato seguito ad un invito" ribattei candida,
"questo pacchetto è per te, da parte...",
"non importa già so, non entri?",
"si" entrando "ho visto che hai tolto il cuscino, pensi già che ti mantenga?" ironizzando,
"mi vuole insegnare e ho deciso di cambiare vita, so cucire sai?",
"vorresti dirmi" avvicinandosi "che preferisci sgobbare per 5 lustrini al giorno, se ti va bene, che spassartela e intascare la stessa cifra ad ogni allargata di gambe?" accarezzandomi le cosce con la spada,
"5 li prendo a te perché mi fai godere, agli altri 10..." continuando ad indietreggiare,
"per di più!" e con voce più calda "accetto volentieri il tuo calice",
serrò la porta, al secondo passo lasciò cadere a terra spada e cintura, il cappello planò sul tavolino di fronte al camino;
gettatosi su di me finimmo sul pavimento freddo, iniziò a baciarmi e sentivo già la sua voglia crescere dentro i suoi calzoni aderenti...
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storia di una fiorentina del '600
puntate pubblicate:
- redenzione
- cecilia e antonio
- i finti genitori
- palazzo venezia
- la notte
- il risveglio
- chiara e gianbattista
- cecilia e alessandro
- la scommessa
era l'anno della peste, uno dei molti, sono scampata anche ad altri passaggi.
Nella città eterna eravamo come sotto assedio, con le scolte di medievale memoria ad ogni porta a non far entrare nessuno che potesse essere di contagio; l'allegria e il brio avevano lasciato il posto a sgomento e paura, anche se qualche bardo intonava un canto, affogato poco dopo nella mestizia dell'urbe. Anche le feste erano rare e ridotte, si sapeva che il morbo banchettava nelle bolgie, e le taverne rimanevano semivuote, con qualche donna del piacere, senza clienti, a stordirsi di sidro; unica scelta era chiudersi in casa.
Mi adeguai, ero giovane e molto attraente non potevo lasciarmi cadere come le altre, pensavo, ma intanto attendevo mia sorella per pranzo.
Stavo in via di Ripetta al secondo piano, in camera odor di carbone e vino che saliva dal molo sul Tevere; proprio li scesi per andare a prendere un fiasco da un mio amico barcarolo; con la testa fra le nuvole pensando a mia sorella, non sentii il cocchiere né gli zoccoli dei cavalli sul selciato ma l'urto della carrozza si, finii spalle a terra su quel letto immondo che erano le strade di Roma.
La vettura nera si fermò subito e scese un uomo, non giovane ma di bell'aspetto, dispiaciuto mi venne a rialzare e si presentò come Corner, l'abito lussuoso porporato tradiva la sua carica, istintivamente risposi ringraziando col mio nome vero, al che ci tenne a dirmi:
"madama, per qualunque cosa esigo che non esitiate a presentarvi a palazzo"
e mi lasciò un foglietto;
lo piegai e feci in modo vedesse che lo riponevo fra i seni.
Fu la mia occasione.
Un paio di giorni dopo, ma forse sbaglio... comunque, decisi di dar seguito all'invito: mi lavai accuratamente nella tinozza che avevo in camera e misi l'abito migliore di cui disponessi;
scesi in strada e per fortuna c'era un carretto a caricare damigiane, chiesi se poteva portarmi a san Marco, lui disse che andava a palazzo Odescalchi alla fine lì vicino.
Si lavò le mani.
Con la scusa di sorreggermi per lo sconnesso della strada toccava, lo considerai un pagamento.
Mi lasciò all'angolo di piazza Venezia e via papale e andò a rinfrescarsi alla fontana sotto le arcate del palazzetto, pochi metri e giunsi al portone.
Due guardie, di cui una conoscevo bene gli attributi, mi fermarono prima di varcare la soglia apostrofandomi per quella che ero, trassi il foglietto dallo scollo del vestito, vidi gli occhi dei due seguire le mie dita sotto la stoffa e tuffarsi nella piccola piega fra i seni, e lo consegnai recitando la formula che proprio in quell'anno era stata coniata:
"sono Chiara Dolfi invitata da sua eminenza reverendissima il cardinale Corner",
la carta profumava di me ma firma e sigillo erano certamente del cardinale,
"è autentica" disse la guardia che conoscevo all'altra annusando con piacere "la scorto al piano nobile" e a me: "seguitemi".
Non mi disse nulla salendo lo scalone, forse non mi aveva riconosciuta o forse del viso di una mignotta non gli importava granché; dopo tre sale immense di quadri ed affreschi e marmi policromi arrivammo in una saletta luminosa, ma molto intima,
"aspettate qui, sua eminenza la farà chiamare" mi disse e prese congedo, chiudendo la porta.
Nella stanza c'erano due divanetti che sembravano saccheggiati da una villa romana, un tavolo con due candelabri d'argento e una sedia su di un bel tappeto orientale; e libri, tanti libri, le pareti erano rivestite di teche chiuse e alte il doppio di me contenenti i volumi, c'era anche una scaletta appoggiata, un'anta era accostata; curiosa, aprii e toccai quelle costole che non avevo mai visto se non come messali sull'altare, un'onda d'odore di carta e inchiostro mi investi, m'inebriò, ne sfilai uno per guardarlo ma una voce leggera arrivò al mio orecchio:
"vedo ti piacciono",
"vostra eminenz..." iniziai, rimettendo a posto il tomo,
"Chiara, per te solo Federico, se vuoi" mi interruppe subito "e prendilo pure è il Decamerone, molto bello",
"ma io non so leggere" obiettai,
"allora dovremmo rimediare" mi si avvicinò e risfilato il libro lo posò sul tavolo "questo lo lasciamo qui e da domani iniziamo a leggerlo insieme",
"ma..." titubante " vi ringrazio, perché fate questo?",
"gradirei Federico, ci credi nel caso?",
"credo che nostro signore operi...",
"dimentica quel che sono e sii sincera" mi rinterruppe,
"no, non ci credo, credo che tutto abbia un motivo",
"meglio di un teologo, mi compiaccio, anche io",
"e, Federico, quale sarebbe un motivo?" chiesi timorosa,
"la tua salvezza, so quel che fai per vivere e che ti fai chiamare Cecilia, trovo bello che rispetti il tuo nome, che è lo stesso di mia madre ed anche il tuo cognome così simile al suo, non posso ignorare questi segnali",
"avrò bisogno di un altro invito, sono donna e non posso varcare impunemente la soglia di un cardinale",
"è vero, userai la porta della servitù, ti farò avere l'abito adatto, a domani" si allontanò benedicendomi,
"a domani emi... Federico" mi inchinai,
Appena tornata al mio appartamento ritirai il cuscino rosso, insegna del mio mestiere, dal davanzale: stavo per entrare nelle grazie di un potente e ricco cardinale.
Forte dell'abitudine indossai lo stesso, però, una vestaglia ricamata e succinta.
Pochi minuti dopo bussarono; la ruffiana, Perla, che abitava con me non era ancora rientrata e aprii non curante, la guardia si palesò:
"avevo il sospetto, Cecilia, ti potrei far arrestare!",
"e per cosa, Antonio, ho solo dato seguito ad un invito" ribattei candida,
"questo pacchetto è per te, da parte...",
"non importa già so, non entri?",
"si" entrando "ho visto che hai tolto il cuscino, pensi già che ti mantenga?" ironizzando,
"mi vuole insegnare e ho deciso di cambiare vita, so cucire sai?",
"vorresti dirmi" avvicinandosi "che preferisci sgobbare per 5 lustrini al giorno, se ti va bene, che spassartela e intascare la stessa cifra ad ogni allargata di gambe?" accarezzandomi le cosce con la spada,
"5 li prendo a te perché mi fai godere, agli altri 10..." continuando ad indietreggiare,
"per di più!" e con voce più calda "accetto volentieri il tuo calice",
serrò la porta, al secondo passo lasciò cadere a terra spada e cintura, il cappello planò sul tavolino di fronte al camino;
gettatosi su di me finimmo sul pavimento freddo, iniziò a baciarmi e sentivo già la sua voglia crescere dentro i suoi calzoni aderenti...
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storia di una fiorentina del '600
puntate pubblicate:
- redenzione
- cecilia e antonio
- i finti genitori
- palazzo venezia
- la notte
- il risveglio
- chiara e gianbattista
- cecilia e alessandro
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