I finti genitori
di
beatrice
genere
prime esperienze
Roma, via del macello
La mattina seguente arrivò rapida e luminosa;
dalla finestra rivolta a nord, spalancata per il caldo, giungevano grida, trambusto e puzza di carbone; raggi radenti, obliqui, del nostro astro in perenne moto, rimbalzavano fra specchi e vetri e boccette della toeletta diffondendosi in striature colorate sul soffitto; forse da rimbiancare.
Nuda mi rotolavo nel letto, affogata nei cuscini razzolavo con le mani a cercare un arto, un calore, un capello di quel cliente, compagno focoso di quella notte; era uscito lesto nel suo tabarro nero, prima dell'alba, sfruttando il cambio di ronda del coprifuoco; di lui l'odore nelle lenzuola e qualche goccia dentro di me.
Non ne sapevo nemmeno il nome vero.
Un foglio s'impigliò fra le dita, distrattamente, senza voltarmi, lo tirai a me; tintinnio e dieci testoni d'argento, più di quanto guadagnasse in una settimana un onesto impiegato della curia, rotolarono sul pavimento a far compagnia al cuscino rosso e a due bicchieri.
Perla mi urlò dall'altra stanza un qualcosa che non capii, così come non capivo ciò che c'era scritto sul biglietto, se non il disegno di un cuore e lo stemma d'aquila e drago che già conoscevo.
La donna che viveva con me era stata una di strada da giovane; poco meno che cinquantenne non era vecchia, ma la vita non manteneva freschi, specie se consumata fra gli archi del Colosseo o nei retrobottega dei candelai; però aveva imparato molto su uomini e trucchi per sopravvivere in questa città corrotta e me ne faceva dono; sapeva mantenere sempre un certo contegno e il che le conferiva fascino ed eleganza.
L'amavo, ricambiata, come fosse mia madre.
Un carnato leggermente olivastro e quel naso che scendeva dritto dalla fronte tradiva la sua origine greca, Kyriake Margaritis, in realtà, il suo nome.
Brunetta quasi mora, con occhi neri sempre marcati di polvere d'henna, era più bassa di me con le mani piccole ma sempre curatissime, diceva che un vero signore prima del viso osservava le mani; anche i piedi erano piccoli gioielli di perfezione, così come le gambe ancora belle, solo segnate da un paio di cicatrici, al pari della schiena, regali di qualche focoso amante, o delle gentilezze di Clemente VIII.
Sgarupata mi alzai, chiedendo a gran voce se c'era acqua bollente, Perla non tardò con la marmitta fumante e, gettate anche alcune foglie di menta nella tinozza, disse:
"è pronto mia cara"
facendo finta di scottarsi un dito,
"grazie dolce nina, come farei senza di te?"
sorrisi,
lei lanciò un'occhiata intorno, sul pavimento vide le monete e mi riprese:
"si potrebbero perdere, le lasci così figlia mia?",
"macché....",
mi sporsi dal letto con i seni ondeggianti nel vuoto e le raccolsi:
"tieni tesoro, mettile con le altre",
allungò la mano, si meravigliò ed esclamò:
"sei bellissima, Cecilia, solo in scudi e testoni meriti di essere omaggiata, non come quelle del rione, a sconto per un giulio o due lustrini!",
risposi calandomi nell'acqua:
"ho la fortuna di essere rara, anche se so che il mio colore in pubblico è da tutti disprezzato...",
"...ma chi osa con coraggio ne sarà appagato!" completò avvicinandosi alla porta,
ci venne da ridere.
I buoni propositi del giorno prima cominciavano già ad affievolirsi, ma ero decisa ad imparare a leggere e scrivere: dovevo sapere che c'era scritto su quella carta. I conti li sapevo già fare più che bene.
Terminata colazione e toeletta, indossai l'abito da serva inviatomi, col suo grembiule bianco e le maniche arricciate; raccolsi i capelli a crocchia, cuffietta in testa e scesi in strada.
Subito vidi il via vai di carretti, c'è chi mi guardava e non capiva se fossi io o un altra, ma i barcaroli non s'ingannavano e i soliti fischi e parole di rozzo piacere volarono; non mi dispiaceva: era il mio mondo.
Quasi mi tirò sotto un carretto scalcagnato era dell'antichissima osteria peniculus, poco fuori porta Portese, lo conoscevo bene perché veniva a prendere i vini dell'Umbria al molo, e mi gridò ridendo:
"rossina! dov'è il tuo vestito verde?"
"Massimo!... pensa alle tue damigiane!",
"mi piace tanto ed è quello che ti sta meglio!",
mi lanciò un bacio,
"quando verrò da te a cena lo metterò!"
ricambiai la cortesia.
Ero troppo pulita. Caricavano il carbone su un carro li al molo, abbracciai una gerla e mi imbrattai il grembio, adesso ero pronta.
Mi incamminai fra carretti e persone, pensando al mio primo giorno di scuola, di fatto quello era, e sentii una manata, ma forte, sulle chiappe, mi voltai di scatto per rendere al simpaticone il colpo, fermai la mano a un soldo dal suo viso:
"Alessandro!" dissi "vossignoria ha rischiato di grosso!!",
"tu sei bella anche zozza!" rise "da te prendo anche lo schiaffo!",
"vai smetti! che devo andare di corsa",
"senti, Cecilia, devo fare un quadro per il Gherardini tu sei perfetta! dimmi di sì!!" giungendo le mani,
"ma... ",
"la borsa è di centoventi scudi, cinquanta solo per te! dimmi di si!" implorante,
"caspita, babbino, ti fai pagare! il mio padrone di casa per cento prese un Caravaggio!',
"la conosco quella crosta, pare non fosse nemmeno sua, ma del suo amico Orazio" sottovoce,
"e che dovrei fare?",
"sii! grazie, grazie!! vieni da me..." festoso,
"grazie.... poi?",
"allora ti dico: l'opera che mi hanno chiesto è Bacco e Arianna..."
"faccio Bacco! bevo come una spugna!" ilare,
"seria, ci devo pensare e tu mi ispirerai" risoluto "ti aspetto domani pomeriggio",
"ma, orbetto, a Verona non ti ci volevano?",
"vuoi mettere il ponentino? dai ti aspetto!" felice come una Pasqua scappò via.
Guadagnai un ingaggio da modella, mai fatto.
L'orbetto era già stato cliente della mia Perla in passato, bazzicando casa nostra quando ero più piccola; tipo simpatico dalle uscite venete divertenti, ebbe un sacco di figli da quella santa donna di sua moglie Lucia, ad una mise il mio nome, ne fui onorata; ottimo giocatore di carte mi insegnò la zecchinetta e ad imbrogliare; grande tracannatore: all'osteria dietro il Pantheon, dove abitava, ci chiamavano coppo ed embrice.
Più volte Lucia, negli anni, è venuta a riprenderselo.
Una sera, quando Barberini non era ancora Papa, ci riaccompagnò l'oste a casa, in casa di Alessandro intendo, e ci scaraventò sul letto come sacchi di caffè; Pietro, l'oste, ha sempre giurato che non ci spogliò, ma la mattina noi eravamo nudi come mamma ci aveva fatti. Credo che il buon Pietro si sia regalato un extra, ma non ricordo nulla.
In ogni caso fu l'addio al celibato per il mio amico.
Intanto, ricordando e sorridendo, giunsi alla porta di via degli Astalli ed entrai nel cortile, fra carretti e mercanzie. Nessuno badò a me tranne una contadina sulla cinquantina che mi squadrò da capo a piedi, cercando di capire chi fossi, non disse una parola e mi inoltrai...
linea alla regia
storia di una fiorentina del '600
puntate pubblicate:
- redenzione
- cecilia e antonio
- i finti genitori
- palazzo venezia
- la notte
- il risveglio
- chiara e gianbattista
- cecilia e alessandro
- la scommessa
La mattina seguente arrivò rapida e luminosa;
dalla finestra rivolta a nord, spalancata per il caldo, giungevano grida, trambusto e puzza di carbone; raggi radenti, obliqui, del nostro astro in perenne moto, rimbalzavano fra specchi e vetri e boccette della toeletta diffondendosi in striature colorate sul soffitto; forse da rimbiancare.
Nuda mi rotolavo nel letto, affogata nei cuscini razzolavo con le mani a cercare un arto, un calore, un capello di quel cliente, compagno focoso di quella notte; era uscito lesto nel suo tabarro nero, prima dell'alba, sfruttando il cambio di ronda del coprifuoco; di lui l'odore nelle lenzuola e qualche goccia dentro di me.
Non ne sapevo nemmeno il nome vero.
Un foglio s'impigliò fra le dita, distrattamente, senza voltarmi, lo tirai a me; tintinnio e dieci testoni d'argento, più di quanto guadagnasse in una settimana un onesto impiegato della curia, rotolarono sul pavimento a far compagnia al cuscino rosso e a due bicchieri.
Perla mi urlò dall'altra stanza un qualcosa che non capii, così come non capivo ciò che c'era scritto sul biglietto, se non il disegno di un cuore e lo stemma d'aquila e drago che già conoscevo.
La donna che viveva con me era stata una di strada da giovane; poco meno che cinquantenne non era vecchia, ma la vita non manteneva freschi, specie se consumata fra gli archi del Colosseo o nei retrobottega dei candelai; però aveva imparato molto su uomini e trucchi per sopravvivere in questa città corrotta e me ne faceva dono; sapeva mantenere sempre un certo contegno e il che le conferiva fascino ed eleganza.
L'amavo, ricambiata, come fosse mia madre.
Un carnato leggermente olivastro e quel naso che scendeva dritto dalla fronte tradiva la sua origine greca, Kyriake Margaritis, in realtà, il suo nome.
Brunetta quasi mora, con occhi neri sempre marcati di polvere d'henna, era più bassa di me con le mani piccole ma sempre curatissime, diceva che un vero signore prima del viso osservava le mani; anche i piedi erano piccoli gioielli di perfezione, così come le gambe ancora belle, solo segnate da un paio di cicatrici, al pari della schiena, regali di qualche focoso amante, o delle gentilezze di Clemente VIII.
Sgarupata mi alzai, chiedendo a gran voce se c'era acqua bollente, Perla non tardò con la marmitta fumante e, gettate anche alcune foglie di menta nella tinozza, disse:
"è pronto mia cara"
facendo finta di scottarsi un dito,
"grazie dolce nina, come farei senza di te?"
sorrisi,
lei lanciò un'occhiata intorno, sul pavimento vide le monete e mi riprese:
"si potrebbero perdere, le lasci così figlia mia?",
"macché....",
mi sporsi dal letto con i seni ondeggianti nel vuoto e le raccolsi:
"tieni tesoro, mettile con le altre",
allungò la mano, si meravigliò ed esclamò:
"sei bellissima, Cecilia, solo in scudi e testoni meriti di essere omaggiata, non come quelle del rione, a sconto per un giulio o due lustrini!",
risposi calandomi nell'acqua:
"ho la fortuna di essere rara, anche se so che il mio colore in pubblico è da tutti disprezzato...",
"...ma chi osa con coraggio ne sarà appagato!" completò avvicinandosi alla porta,
ci venne da ridere.
I buoni propositi del giorno prima cominciavano già ad affievolirsi, ma ero decisa ad imparare a leggere e scrivere: dovevo sapere che c'era scritto su quella carta. I conti li sapevo già fare più che bene.
Terminata colazione e toeletta, indossai l'abito da serva inviatomi, col suo grembiule bianco e le maniche arricciate; raccolsi i capelli a crocchia, cuffietta in testa e scesi in strada.
Subito vidi il via vai di carretti, c'è chi mi guardava e non capiva se fossi io o un altra, ma i barcaroli non s'ingannavano e i soliti fischi e parole di rozzo piacere volarono; non mi dispiaceva: era il mio mondo.
Quasi mi tirò sotto un carretto scalcagnato era dell'antichissima osteria peniculus, poco fuori porta Portese, lo conoscevo bene perché veniva a prendere i vini dell'Umbria al molo, e mi gridò ridendo:
"rossina! dov'è il tuo vestito verde?"
"Massimo!... pensa alle tue damigiane!",
"mi piace tanto ed è quello che ti sta meglio!",
mi lanciò un bacio,
"quando verrò da te a cena lo metterò!"
ricambiai la cortesia.
Ero troppo pulita. Caricavano il carbone su un carro li al molo, abbracciai una gerla e mi imbrattai il grembio, adesso ero pronta.
Mi incamminai fra carretti e persone, pensando al mio primo giorno di scuola, di fatto quello era, e sentii una manata, ma forte, sulle chiappe, mi voltai di scatto per rendere al simpaticone il colpo, fermai la mano a un soldo dal suo viso:
"Alessandro!" dissi "vossignoria ha rischiato di grosso!!",
"tu sei bella anche zozza!" rise "da te prendo anche lo schiaffo!",
"vai smetti! che devo andare di corsa",
"senti, Cecilia, devo fare un quadro per il Gherardini tu sei perfetta! dimmi di sì!!" giungendo le mani,
"ma... ",
"la borsa è di centoventi scudi, cinquanta solo per te! dimmi di si!" implorante,
"caspita, babbino, ti fai pagare! il mio padrone di casa per cento prese un Caravaggio!',
"la conosco quella crosta, pare non fosse nemmeno sua, ma del suo amico Orazio" sottovoce,
"e che dovrei fare?",
"sii! grazie, grazie!! vieni da me..." festoso,
"grazie.... poi?",
"allora ti dico: l'opera che mi hanno chiesto è Bacco e Arianna..."
"faccio Bacco! bevo come una spugna!" ilare,
"seria, ci devo pensare e tu mi ispirerai" risoluto "ti aspetto domani pomeriggio",
"ma, orbetto, a Verona non ti ci volevano?",
"vuoi mettere il ponentino? dai ti aspetto!" felice come una Pasqua scappò via.
Guadagnai un ingaggio da modella, mai fatto.
L'orbetto era già stato cliente della mia Perla in passato, bazzicando casa nostra quando ero più piccola; tipo simpatico dalle uscite venete divertenti, ebbe un sacco di figli da quella santa donna di sua moglie Lucia, ad una mise il mio nome, ne fui onorata; ottimo giocatore di carte mi insegnò la zecchinetta e ad imbrogliare; grande tracannatore: all'osteria dietro il Pantheon, dove abitava, ci chiamavano coppo ed embrice.
Più volte Lucia, negli anni, è venuta a riprenderselo.
Una sera, quando Barberini non era ancora Papa, ci riaccompagnò l'oste a casa, in casa di Alessandro intendo, e ci scaraventò sul letto come sacchi di caffè; Pietro, l'oste, ha sempre giurato che non ci spogliò, ma la mattina noi eravamo nudi come mamma ci aveva fatti. Credo che il buon Pietro si sia regalato un extra, ma non ricordo nulla.
In ogni caso fu l'addio al celibato per il mio amico.
Intanto, ricordando e sorridendo, giunsi alla porta di via degli Astalli ed entrai nel cortile, fra carretti e mercanzie. Nessuno badò a me tranne una contadina sulla cinquantina che mi squadrò da capo a piedi, cercando di capire chi fossi, non disse una parola e mi inoltrai...
linea alla regia
storia di una fiorentina del '600
puntate pubblicate:
- redenzione
- cecilia e antonio
- i finti genitori
- palazzo venezia
- la notte
- il risveglio
- chiara e gianbattista
- cecilia e alessandro
- la scommessa
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Cecilia e Antonioracconto sucessivo
Palazzo Venezia
Commenti dei lettori al racconto erotico